TERZA PARTE - L'alimentazione al nido

26. Bambini a tavola: la cura del pranzo

di Sara Sacchetti

Nell’asilo nido consideriamo il pasto un momento educativo, sullo stesso piano di altre occasioni in cui sembrano prevalere gli aspetti cognitivo e sociale. A tal fine, ci sembra utile esporre tutto ciò che un’educatrice può fare in tale situazione per ogni bambino e in base a quali obiettivi.


In primo luogo si riconosce che il protagonista del pranzo o della merenda è il bambino e quindi si favorisce al massimo la possibilità di fare esperienza e conoscenza, permettendogli di sperimentare la sua autonomia e la capacità di soddisfare i propri bisogni.


L’educatrice è consapevole che un ambiente ben preparato e il suo atteggiamento professionale possono aiutare il bambino a sviluppare alcune competenze di base, quali il controllo dei movimenti, la presa delle mani sempre più precisa ed efficace, l’uso corretto di stoviglie e di posate in vista del raggiungimento di una progressiva indipendenza. Anche un piccolo che non parla può chiedere l’acqua indicandola, se l’educatrice mette la brocca in vista, quindi se lo pone in condizione di scegliere e di esprimersi. Se gli offriamo un piccolo cucchiaio simile al nostro, comincerà a conoscere lo strumento che l’adulto utilizza per nutrirlo. Lasciamo che lo prenda in mano e lo esamini, imparando gradualmente a servirsene. Generalmente è intorno ai 12-15 mesi che il bambino riesce, dopo numerosi tentativi personali, a impugnarlo nel modo migliore. Favoriamo questi esperimenti per consentirgli di scoprire gradualmente come raccogliere il boccone e metterselo in bocca.

Indipendenza

Uno degli scopi più significativi dell’adulto che lavora al Nido è di accompagnare il bambino nel percorso verso il fare da sé, senza che questo presenti vissuti di frustrazione, ma sia al contrario un’esperienza di crescita.


Lo svezzamento segna un periodo di transizione, che implica mutamento delle abitudini, sia alimentari sia delle modalità connesse. Mentre il latte, tramite il potente legame fisico con la madre, o il poppatoio (se dato in modo affettuoso) gli permettono di succhiare con soddisfazione, il cibo solido esige di nutrirsi diversamente, offerto da una persona separata da lui in posizione frontale.


Al Nido il piccolo tavolo che si frappone tra il bambino e l’educatrice per la prima volta definisce anche la separazione con uno spazio fisico. Tuttavia, nei primi pasti, i piccolissimi di almeno 6 mesi sono ancora in braccio alla loro educatrice, seduta su una sedia a schienale alto con un suo tavolino di appoggio per eventuali oggetti. Via via favorirà la sicurezza posturale senza anticipare posizioni. Solo quando il bambino è in grado di sostenere schiena e testa e di stare seduto tanto da riuscire ad afferrare e a tenere in mano gli oggetti, potrà essere seduto su una sediolina, meglio se dotata di piccoli braccioli. Mangerà al suo tavolino, da solo, con l’educatrice che inizialmente gli è accanto.


In seguito passerà a un tavolo più ampio (a quattro posti) con altri compagni, ciascuno su sedie stabili, proporzionate e leggere tanto da essere trasportabili senza fatica da loro stessi.


Una delle caratteristiche fondamentali dell’arredo montessoriano è che non deve mai trattenere, ma piuttosto contenere e consentire. Quindi no al seggiolone dove il bambino viene infilato, lontano dal tavolo, non libero di salire e di scendere da solo. Viceversa le sedie, proporzionate alle sue dimensioni e molto stabili malgrado la loro leggerezza, gli permettono di sedersi e alzarsi in maniera indipendente, se è in grado di farlo, e di agire alla stessa altezza del piano del tavolo.


L’educatrice deve allenarsi a una continua capacità di osservazione e alla relativa flessibilità per assicurarsi che, a determinare i tempi del pranzo, sia il ritmo dei bambini e non una scansione di orari, utile ad esempio al personale assistente. L’organizzazione di ogni aspetto del Nido ruota intorno alle esigenze dei piccoli e non il contrario.


D’altra parte essi non hanno bisogno di mille comandi o distrazioni, quanto di conferme positive per sentire che ogni loro atto d’indipendenza è apprezzato: non si sentiranno aggrediti da giudizi negativi che minano l’autostima. Comunichiamo loro la nostra fiducia evitando ogni forma di stress, come parole o frasi giudicanti, ironiche, rivolte con aria innocente, ma che loro possono vivere come negative, quali in realtà sono (termini come “pasticciona” e simili).


Pensiamoci: li aiutiamo o li rimproveriamo?

La preparazione dell’ambiente

Per questi passaggi, l’adulto deve controllare che il bambino sia in grado di star seduto da solo (senza appoggi dietro la schiena), proponendogli una seggiolina che abbia il sedile di altezza eguale alla distanza tra ginocchio e talloni. Dunque, una posizione confortevole che ha raggiunto da sé a poco a poco e che, ripetuta nel tempo, gli diviene familiare, dandogli ulteriore sicurezza. Il piano del tavolino dovrà trovarsi al massimo appena sotto il giro vita. Mobili (si spera in legno) eccessivamente alti rispetto a tali criteri potranno essere facilmente abbassati con l’intervento di un falegname o di un genitore esperto.


Al tempo stesso l’educatrice riflette sulla posizione che deve assumere, seduta ad altezza del piccolo, di fianco o di fronte come necessario, anche per consentirgli di vedere cosa fa e come.


Un bambino diventa abile quando, conquistata una competenza, riesce a utilizzarla liberamente nella giornata, grazie alle opportunità che incontra in ogni spazio disponibile. Per il pranzo, si pone molta cura nella scelta della scodella (se il pasto prevede cibi cremosi): una con diametro di circa 12 cm è facile da tenere con entrambe le mani. Il piatto sarà in proporzione; il bicchiere piccolo, in modo che possa prenderlo anche con una sola mano. Infine cucchiaio e (successivamente) una forchettina di facile uso, con i “denti” non appuntiti. Le posate (in dimensioni da frutta) sono in acciaio, facili da impugnare; evitiamo quelle in plastica.


Una piccola brocca, in vetro leggero, non più alta di 12-15 cm; arriverà a usarla verso i 2 anni, ma intanto l’adopera l’adulto davanti ai suoi occhi. Tutti gli oggetti sono reali per favorire, tramite le differenze di peso e di forma, il necessario controllo dei gesti, cosa che non avviene con stoviglie di plastica, anche se robusta.


Altro oggetto importante è la salvietta con lacci dietro (aperto il fiocco, se la toglierà). Se questi sono congiunti con un elastico, riuscirà a mettersela da sé già intorno ai 18 mesi (l’indicazione rispetto all’età è sempre relativa, perché da un bambino all’altro ci sono sempre differenze). I vari oggetti che essi utilizzano con i loro tempi sono tutti aiuti indiretti all’indipendenza.


Al di fuori della situazione pranzo, i bambini apprezzano altre esperienze: lavare le mani e asciugarle, sperimentare la solidità di oggetti di legno da sovrapporre o da allineare e, per contro, la morbidezza della pasta di pane, il gusto di travasare piccoli semi o farina di mais, ma anche l’acqua, scoprendo che alcune cose galleggiano, altre affondano, altre ancora assorbono (piace avere una spugnetta per pulire un tavolo bagnato o sporco di marmellata dopo la merenda). Ognuna di queste opportunità esige dall’adulto la scelta accurata di oggetti funzionali, adeguati per dimensioni e preparati per un’attività individuale, situazione che favorisce maggiormente la ripetizione spontanea e quindi la concentrazione, fenomeno mentale di solito sottovalutato dagli adulti.


Altra proposta indiretta è quella dell’ordine secondo cui avvengono i momenti di cura, di alimentazione (se ancora in braccio) o di distribuzione del cibo nei piatti. Questo permette al piccolo di sperimentare la regolarità di un prima e di un dopo, quindi di pre-vedere, accettando assai più facilmente i tempi pur brevi di attesa.


Quando il bambino dimostra chiaramente la volontà di fare da sé, non spaventiamoci. Accogliamola come risposta positiva a tutta la cura che avremo messo nel preparare gli oggetti dell’ambiente, senza mai ricorrere a sollecitazioni, rimproveri e altre parole inutili.


Imboccare il bambino per fare presto o distrarlo durante il pasto se dirige la sua attenzione verso altro vuol dire trattarlo come se fosse un contenitore vuoto e privarlo della consapevolezza del cibo che sta mangiando. Così lo si rende passivo, non riconosciuto nei suoi desideri e nelle sue esigenze primarie.


Viceversa, un piccolo può mettere alla prova la propria indipendenza attraverso la libera scelta della quantità degli alimenti da mangiare e dell’acqua da bere, con la possibilità già nel secondo anno di servirsi da solo o di dire “basta”, di bere quando ha sete lui e non quando lo decide l’adulto, tanto meno, con argomenti pretestuosi, solo a fine pasto.


È evidente che l’autoregolazione si acquisisce attraverso una personale maturazione che è insieme emotiva e cognitiva. Per scegliere la quantità che vuole mangiare, il bambino deve aver prima raggiunto un’idea di quantità e saper riconoscere il proprio limite. Allora saprà servirsi da solo, prendendo la quantità sufficiente, senza farne avanzare. Si tratta di un lungo, lento cammino che va rispettato perché gli assicura, malgrado la separazione da casa, tranquillità e benessere.

Mangiare con altri

L’obiettivo del mangiare al Nido non è solo alimentare, ma ha anche una valenza relazionale. Confrontiamo l’intimità del pasto di un piccolino imboccato in braccio all’adulto con l’atmosfera conviviale di un pranzo consumato insieme ad alcuni coetanei. Questa situazione è preceduta dal tempo in cui il singolo mangia da solo con la sua educatrice che, imboccandolo, instaura con lui una relazione significativa. È diversa da quella con il genitore, ma (attuata incoraggiando) lo aiuterà a sviluppare nuove competenze di base.


È però essenziale che si tratti di un’educatrice stabile (di riferimento1), la “sua” educatrice, quella che il piccolo e i suoi genitori conoscono meglio fin dagli inizi della frequenza al Nido.


A questa relazione rassicurante, dopo un tempo su misura del bambino, subentra il valore del rapporto con i coetanei. I piccoli scoprono che mangiare è anche un momento di comunicazione e di scambio tra loro e con altri adulti. Il pasto diventa quindi una prima esperienza collettiva e pone le basi a un comportamento sociale. Le regole, finalizzate al benessere collettivo, si acquisiscono col tempo, trasformandosi in abitudini e in modi d’agire diversi.


I piccoli manifestano un profondo bisogno di regolarità nell’ambiente circostante e nel loro agire, per esempio hanno bisogno di ritrovare le cose sempre al loro posto. Questa esigenza di stabilità si verifica anche al momento del pasto: ognuno ha il posto fisso a tavola. Come già detto, c’è lo stesso ordine per servirsi e per la successione delle pietanze. Dire di aspettare il proprio turno per servirsi a tavola significa mandare ai bambini un messaggio di situazione non ansiogena, nella quale si ricorda che c’è sufficiente quantità di cibo per tutti. C’è però qualche piccola regola da rispettare:

  • non si può mangiare in piedi o in giro per la stanza. Quando è necessario, lo si ricorda con calma e con tono fermo, serio e insieme garbato, senza alcuna eccezione;
  • non mettere le mani nel piatto del vicino: questo significa cogliere l’idea di rispetto dell’altro da me;
  • infine, aspettare che tutti abbiano finito prima di alzarsi da tavola: questo rafforza il senso dello stare insieme e l’attenzione per gli altri.

Ovviamente tutti gli adulti del Nido devono essere d’accordo su questi semplici segnali di limite.

Favorire lo sviluppo di buone pratiche e sane abitudini alimentari permette di costruire un buon rapporto con il cibo (mangiare sano, mangiare bene, provare nuovi sapori) e insieme di prevenire conflitti al momento del pasto.

Difficoltà

A volte l’educatrice può sentirsi a disagio con i genitori che chiedono ansiosamente se il bambino ha mangiato tutto e che esigono che si insista se non lo fa. Non è facile far capire che i loro figli “sanno già” scegliere se mangiare una pietanza o no. Proponiamo di assaggiare un poco di tutto, senza però ossessionare con le quantità.


Diamo importanza al momento del pasto con una tavola ben imbandita e una preparazione gradevole degli alimenti. Il bambino è l’ospite d’onore del pranzo: anche il modo in cui apparecchiamo la tavola può comunicare e trasmettere un desiderio di convivialità, l’attenzione e la ricerca del bello. Possiamo incuriosirli facendo odorare i profumi, scoperchiando una pentola con sorpresa, variando i tipi di frutta e verdura, facendo una visita in cucina.


Nel corso dell’anno proponiamo attività relative ai cibi come spremere arance e limoni, sbucciare mandarini, tagliare la banana a fettine, impastare, spianare e condire la pizza, formare biscotti, tagliare carote, zucche e patate cotte o crude per fare il minestrone che mangeranno a mezzogiorno. Tutte attività che, appena possibile, potrebbero essere offerte anche in famiglia (“Mi aiuti a fare…”).


Non di rado capita che il bambino a casa non mangi e al Nido invece sì, con non poco disappunto per i genitori che faticano a spiegarselo.


La famiglia rientra nella sfera dell’affettività, mentre al Nido c’è un accudimento di tipo professionale in un contesto collettivo nel quale difficilmente il bambino utilizza il cibo come protesta. L’educatrice sa come abbassare le tensioni e non far innescare meccanismi di comando. Con i modi fin qui descritti evita che il pasto diventi terreno di sfida, senza minimamente ricorrere a minacce, punizioni o all’imposizione di finire ciò che è nel piatto. La maggior parte dei bambini apprezza il cibo e non ha problemi a mangiare, purché le educatrici si mettano in sintonia con loro, prestando attenzione ai gusti di ognuno, e agiscano in modo da soddisfarli in maniera personalizzata. L’educatrice deve sostenere e contenere le emozioni dei bambini, dando attenzione sia al singolo che al gruppo.


A volte in famiglia si vieta al bambino di toccare il cibo con le mani, temendo che si sporchi, insudiciando l’ambiente. Lo si imbocca meccanicamente, rendendo le sue mani inutili, mentre toccare il cibo è per lui grande occasione di piacere e di scoperta.


Maria Montessori, in Educazione alla libertà2, scrive:

“La madre che imbocca il bambino senza compiere lo sforzo per insegnargli a tenere il cucchiaio non lo sta educando, lo tratta come un fantoccio. Insegnare a mangiare, a lavarsi, a vestirsi è un lavoro ben più difficile che imboccarlo, lavarlo e vestirlo”.


Anche Elinor Goldschmied3 stigmatizza l’importanza che la nostra cultura attribuisce alla capacità del bambino di usare il prima possibile il cucchiaio in modo corretto, quasi fosse una stressante prova sociale. Se non è pronto, è per lui un peso deludente; quando invece ne è capace, prova autentica gioia.

Aiutami a mangiare da solo!
Aiutami a mangiare da solo!
Centro Nascita Montessori
L’alimentazione dei bambini da 0 a 3 anni.Quali preziosi consigli darebbe Maria Montessori sull’alimentazione dei bambini?Una guida per rendere il momento del pasto un’occasione per aiutare i più piccoli a “fare da soli”. Quali preziosi consigli darebbe Maria Montessori a genitori e operatori della prima infanzia sull’alimentazione dei bambini?Quali suggerimenti per facilitare l’introduzione del cibo complementare e far sì che i più piccoli vivano questo momento come un piacere, piuttosto che un dovere?L’osservazione e il rispetto delle competenze e dei tempi di ciascun bambino dovrebbe essere la norma anche a tavola. Aiutami a mangiare da solo!, curato dal pediatra Franco De Luca, partendo dalle linee guida dell’OMS e dalle raccomandazioni delle più importanti società scientifiche pediatriche, raccoglie i contributi degli operatori del Centro Nascita Montessori e vuole essere una guida per tutti coloro che credono che il momento del pasto sia un’occasione per aiutare il bambino a “fare da solo” e scoprire il piacere dell’esperienza sensoriale che deriva dal gusto e dal piacere di mangiare. La madre che imbocca il bambino senza compiere lo sforzo per insegnargli a tenere il cucchiaio non lo sta educando, lo tratta come un fantoccio. Insegnare a mangiare, a lavarsi, a vestirsi è un lavoro ben più difficile che imboccarlo, lavarlo e vestirlo.Maria Montessori, Educazione alla libertà Conosci l’autore Il Centro Nascita Montessori di Roma si occupa di ricerca sullo sviluppo e sul mondo relazionale del bambino nei primi anni di vita, organizza corsi di formazione per operatori della prima infanzia e promuove la cultura di una buona nascita, accompagnando le coppie verso il nuovo ruolo genitoriale. L’operato del Centro è guidato dal pensiero montessoriano, in un costante confronto di idee, eventi ed esperienze a livello nazionale e internazionale. Franco De Luca ha svolto l’attività di Pediatra di Comunità dal 1978 presso il consultorio familiare di Campagnano di Roma, dove, dal 2012 al 2016, è stato Direttore dell’Unità Operativa Complessa “Tutela Salute della Donna e Medicina Preventiva in età evolutiva”.Attualmente in pensione, affianca alla libera professione l’impegno nella promozione, protezione e sostegno dell’allattamento al seno, come formatore e tutor valutatore per l’UNICEF delle iniziative Comunità e ospedali Amici dei bambini. Dal 2003 è presidente del Centro Nascita Montessori.