Franco Ghione

Professore ordinario di Geometria all’Università di Roma “Tor Vergata”

La matematica con la mente e con le mani

Buongiorno a tutti.


Io ringrazio tantissimo l’Associazione Montessori Brescia e in particolare Rosa Giudetti, della quale ho apprezzato l’entusiasmo, l’essere schierata, il credere alle cose che fa; la ringrazio per avermi dato l’opportunità di vivere questo momento insieme a voi.


Il mio avvicinarmi ai problemi della scuola è di origine soprattutto etica. Le mie ricerche in matematica erano arrivate ad un tale livello di sofisticazione, di astrazione, mi assorbivano così tanto tempo che non riuscivo più a sottrarmi alla domanda: “Ma sto usando bene il mio tempo? Che valore ha quello che sto facendo? Posso fare altro?”. E ora sono qui con voi, con delle maestre e dei maestri che fanno un lavoro utilissimo, e ritorno a quel momento nel quale ho pensato che il lavoro che stavo facendo poteva essere trasformato, che alcune competenze, che a quell’epoca avevo raggiunto, potevano essere utilizzate in un altro ambito che avesse per me un valore etico, un valore cioè di impegno nella lotta sociale. E dove se non nei problemi della scuola, dell’educazione, della diffusione del pensiero scientifico come pensiero critico, avrei potuto trovare risposte a questo? Ma da dove iniziare, dove sopperire alla mancanza assoluta di esperienza?

La svolta avvenne attraverso la lettura di questo libro, un libro scritto da un’insegnante di matematica che lavorava in una scuola superiore e che aveva trasformato il suo lavoro in un lavoro di ricerca sotto la guida di un neurofisiologo di Pisa, il prof. Lamberto Maffei, un libro uscito nel lontano 1990 che indaga (credo per la prima volta in Italia) i rapporti tra le Neuroscienze e la didattica della matematica.


Questo libro metteva in evidenza una cosa che, nel mio mestiere di professore universitario e di ricercatore in geometria, è molto importante, l’esistenza di un pensiero non verbale e in particolare di un pensiero visivo. Gli stessi Elementi di Euclide, di cui parlava prima Benedetto Scoppola, hanno una caratteristica straordinaria dal punto di vista didattico: c’è il ragionamento, la dimostrazione – sviluppata con estremo rigore – e c’è l’immagine, la figura, senza la quale la dimostrazione è inarrivabile. l recenti studi sulle figure originali negli Elementi di Euclide sono di estremo interesse e mostrano come la geometria razionale nasca nel momento in cui, attraverso la scoperta del papiro, diventi possibile accompagnare il testo verbale con dei disegni. Oltre a questo negli Elementi, troviamo le costruzioni che permettono di fare con riga e compasso gli oggetti geometrici ed è in questa possibilità, di costruirli, la prova della loro esistenza. Questi tre elementi – ragionamento, immagini, e costruzione – convivono negli Elementi di Euclide e, questi tre elementi, conferiscono a una materia così astratta come la matematica, un legame intrinseco non solo col pensiero verbale ma anche con il pensiero visivo e fattivo. Così ho cominciato a pensare che fosse possibile affrontare i problemi della didattica della matematica su un terreno scientifico, fondato sulle ricerche neuro cognitive e non solo con i vecchi metodi della filosofia e della psicopedagogia.


Conobbi Laura Catastini e nacque un’intensa collaborazione che ancor continua e che mi permise di capire le nuove potenzialità di quell’approccio e di seguirne, per quanto mi era possibile, i suoi sviluppi.


Oggi, con una certa timidezza nel parlare alla presenza di un neuro scienziato come il prof. Fogassi, e comunque con la modestia di un ignorante curioso, cercherò di esprimere quelle idee che in un ambito neuro-scientifico hanno influenzato il nostro programma didattico in particolare l’esperienza, l’Accademia dei lincei all’interno del progetto “Con la mente e con le mani”. Farò alcuni esempi di quanto, secondo noi, alcuni aspetti delle Neuroscienze potessero esserci utili nel nostro lavoro didattico.

Primo.

Esistono esempi di apprendimento non naturali che richiedono pratiche di apprendimento lente e complesse. Questo è molto importante nel momento in cui ci confrontiamo con il costruttivismo, cioè con l’idea che si possa imparare la matematica semplicemente interagendo con un ambiente stimolante dove l’allievo può fare esperienze e, attraverso queste, costruire il pensiero matematico; questo si può fare per alcune cose ma non per tutte e questo è molto importante saperlo. Apprendimenti non naturali, sono la lettura e la scrittura: questa non è un intuizione pedagogica è un dato scientifico. Il libro di Dehaene “I neuroni della lettura” è un libro su questo molto chiaro e mette al tappeto quelle impostazioni che si servono, per insegnare a leggere e a scrivere, di una metodologia “globale”, senza passare dai fonemi e dalle lettere ma partendo direttamente dalle parole date come un tutt’uno. Questo metodo è fallimentare e, a questo punto delle ricerche neurologiche, non si tratta più di una scelta pedagogica legittima da confrontare con altre possibili scelte pedagogiche, oggi sappiamo, sulla base del funzionamento del nostro cervello, l’inadeguatezza del metodo globale indipendentemente da ogni ideologia. Ci, sono a mio modo di vedere, molte analogie tra la scrittura e la matematica perché il linguaggio è pieno di metafore, il linguaggio si articola, come la matematica, su concetti astratti, coi quali si ragiona, si fanno delle inferenze; la matematica, non è un apprendimento naturale, ma bisogna fare uno sforzo per apprenderla. Lo stesso accade con la musica classica occidentale e il suo linguaggio: questa espressione culturale altissima che esportiamo in tutto il mondo perché è bellissima, e perché piace, è il risultato di un immenso sforzo collettivo e culturale: pensate a quante competenze ci sono in un’orchestra o in nella messa in scena di un’opera lirica: ogni violinista che suona in un’orchestra ha studiato almeno 8-10 anni prima di essere lì, e così tutti gli altri strumentisti e ancora di più il direttore d’orchestra. Pensate a chi ha scritto la musica servendosi di un linguaggio fatto di astrusi e innaturali segni su un pentagramma e a chi ha fatto la regia e ai cantanti che passano la vita per imparare a cantare. Tutto questo è non “naturale” e richiede un esercizio e un continuo e faticoso addestramento. Anche la logica formale, cioè la capacità di fare un ragionamento formalmente corretto, non è una cosa naturale. Piaget pensava che l’uomo adulto arrivasse naturalmente a ragionare ma non è così. C’è una difficoltà intrinseca, una ostruzione presente nel nostro cervello, nella gestione della negazione che noi riscontriamo tutti i giorni con i nostri allievi all’università non più abituati a fare dimostrazioni per assurdo, a ragionare con il “non”. L’affermazione “P implica Q” per molti studenti significa che non P implica non Q. Questo sbaglio di logica è usato spesso dai politici e dai pubblicitari per ingannare il pubblico poiché loro sanno che su questo il nostro pensiero naturale inciampa. Lo slogan “se non giochi non vinci”, presuppone inconsciamente l’idea che se invece giochi vinci. Ma non è così: giochi e perdi. La logica è un apprendimento non naturale e va insegnato a scuola attraverso continui esercizi ed esempi. Gli Elementi di Euclide sono, per questo scopo, di estrema utilità anche per le tante dimostrazioni per assurdo che il libro contiene.

Secondo

Il processo di comprensione è facilitato se il pensiero non verbale, legato ad altre modalità sensoriali, viene coinvolto nell’attività educativa. Per pensiero non verbale, pensiamo essenzialmente alle sensazioni che derivano dalla visione, dall’ascolto, dal tatto attraverso la manipolazione con le mani di oggetti concreti ma anche di figure astratte, di forme geometriche di legno o plastica. L’idea di Maria Montessori di fare seguire con il dito i contorni di un simbolo alfabetico o numerico è, secondo me, un’idea straordinaria perché muove nel cervello del bambino dei neuroni che altrimenti non si ecciterebbero. L’esplorazione attiva con tutti i sensi di una realtà anche formale, attraverso l’uso e la produzione in cartone, legno, plastica di oggetti astratti come le figure geometriche tridimensionali è di estrema importanza a tutti i livelli scolari. Ugualmente è estremamente importante la visione del movimento geometrico che possiamo facilmente realizzare attraverso l’uso di un software di geometria dinamica come geogebra, che mostra su uno schermo delle figure in movimento e, attraverso questo movimento, fa risaltare la differenza tra ciò che nella trasformazione si conserva e ciò che invece si cancella.

Terzo

L’esistenza di un sistema percettivo-motorio, che oggi si inizia a indagare con i metodi delle neuro scienze, ci offre un altro senso in grado di simulare il movimento necessario ad una determinata azione, altre vie percettive quindi, altri modi di guardare alla formazione dei nostri pensieri. L’esistenza di questo sistema percettivo motorio di cui parlava prima il professor Fogassi, è una novità di questi anni e, influenza moltissimo il nostro lavoro, ad esempio, come dicevo prima, attraverso la visione di immagini in movimento che possiamo riprodurre con il computer, o stimolando gli studenti all’uso delle mani per seguire determinate forme, o ancora, come recenti attività a Roma hanno sperimentato, collegando il movimento del corpo ad attività culturali come la danza, lo studio dell’equilibrio, delle forze fisiche. Anche l’uso di gesti metaforici da parte degli insegnanti può figurare un determinato concetto: elevare al quadrato accompagnato dal gesto della mano destra che eleva verso l’alto la mano come fosse un numero.

Quarto: il ruolo delle emozioni.


Prima fra tutte la gioia della scoperta personale e, di contro, l’ansia da prestazione. Spesso la matematica paralizza: “Oddio non sono capace” e questa ansia blocca completamente lo studente, non riesce più a fare nulla, il suo pensiero è bloccato. Questo è secondo me uno dei grandi temi su cui la scuola lavora poco: come togliere l’ansia da prestazione nell’insegnamento della matematica? Sul versante positivo c’è la curiosità. L’uomo è curioso per natura: vuole capire le cose, capire come si sviluppano, e bisogna far leva su queste curiosità che sono ancora più forti nei bambini. La competizione può essere anche una cosa molto utile così come lo stupore. A me piace riferirmi a due parole che spesso Galileo nei suoi dialoghi rivolge al suo interlocutore Sagredo: “Io ti reco insieme meraviglia e diletto”. Se nell’insegnamento della matematica non c’è meraviglia, non c’è diletto. La meraviglia è una cosa inattesa “Oh! Come? Funziona così? È così? Come è possibile?” Benedetto ha fatto degli esempi su come si possa portare nella matematica delle cose che creano stupore, incredulità, al posto di cose banali che sono ovvie solo a guardarle e il diletto è nel riuscire da soli a risolvere un problema non ovvio.


Mi piacciono molto queste immagini di Maria Montessori per un motivo che adesso vi dirò. Credo che molte delle idee che lei ha sperimentato non valgano solo per la scuola primaria; molte di queste io le uso nel mio corso universitario, sono delle intuizioni che vanno aldilà del contesto della scuola primaria, sono delle intuizioni di carattere pedagogico di più ampio respiro e per questo credo si possa tentare di raccogliere alcune di queste idee e trasferirle in altri contesti dove noi svolgiamo una nuova sperimentazione didattica. Penso principalmente alle scuole secondarie di primo grado dove molto è, a nostro parere, trasferibile. Maria Montessori resta nel nostro progetto didattico, nella nostra ricerca didattica di questi ultimi 15 anni, un punto di riferimento fondamentale. Pensiamo, ad esempio, al richiamo di cui parlava Benedetto Scoppola, ad andare all’“origine delle cose”, per dare senso alla matematica, per rispondere alla domanda: “A che serve questa cosa che mi insegni?” Forse alle primarie questa domanda è meno forte, ma nelle scuole secondarie è una domanda sempre presente a cui si deve dare una risposta. “ A che serve? A che serve l’algebra? A che serve la geometria?”.


Se andiamo all’origine delle cose troviamo le risposte, perché le cose non nascono se non hanno una loro funzione, un loro perché. L’origine delle cose, per la geometria, si trova negli elementi di Euclide lì, capiamo a cosa serve: serve a rappresentare con la riga e il compasso le forme del mondo intorno a noi, mondo che è inizialmente descritto da forme elementari, attraverso le quali noi possiamo misurare, interpretare, schematizzare. Oppure, – cosa che Benedetto Scoppola ha appena accennato, ma che importante – il richiamo alla bellezza. Per questo ho scelto quei disegni che rendono, attraverso la loro bellezza, ancora più pregnante il concetto di altezza, di base, di lato obliquo di un triangolo isoscele. La bellezza rende preziosi gli strumenti che stiamo dando ai nostri allievi: “io ti sto dando il sistema decimale che ti serve, per esprimere un numero comunque grande… e ce n’è sempre uno più grande ancora e tu ora lo puoi scrivere, lo puoi dire.” Pensate che su questo Archimede ha scritto un opuscolo “L’Arenario” che lui ha pensato per dire al suo re come insegnare al figlio ad esprimere con parole e con simboli il numero di granelli di sabbia contenuti nell’intero universo: è una cosa straordinaria che si possa scrivere e dire questo numero! Dare ai bambini questo strumento, permette di risolvere questo e ogni altro problema di numerazione, e questo strumento – il sistema decimale – Maria lo voleva d’oro perché apparisse immediatamente come cosa preziosa. Tutti gli oggetti esposti nell’atrio di quest’aula sono bellissimi, perché la bellezza affascina, appartiene alla nostra natura e se una cosa è bella ci sentiamo siamo più incuriositi, interessati a capirla, manipolarla, lavorarci sopra.

Adesso voglio darvi un esempio concreto di cosa intendiamo per “matematica con la mente e con le mani”. Il punto di partenza è l’idea di “equidistanza”. Intanto c’è il termine “equi” che è molto importante: equi vuol dire uguaglianza, giustizia e quello che noi stiamo facendo è in un certo senso legato all’idea di equità e di giustizia.


Il problema iniziale è il seguente: trovare dei punti equidistanti da A e da B; si dà ai ragazzi un foglio di carta bianco formato A4, dove sono stati disegnati orizzontalmente (cioè come estremi di un segmento orizzontale) due punti indicati con le lettere A e B e un centimetro. Il foglio è bianco e ci sono solo due segni (come direbbe Euclide) due punti. Si chiede agli studenti di disegnare sul foglio bianco alcuni punti (almeno tre) che abbiamo la stessa distanza sia da A che da B.


L’insegnante comincia ad osservare quello che fanno, con una curiosità vera, senza prefigurazione su ciò che accade, con la curiosità di capire cosa succede nel loro pensiero. Non sappiamo a priori quello che faranno; magari disegnano il punto di mezzo che potrebbe essere il punto equidistante che viene in mente per primo. Ci sarà diversità tra le diverse soluzioni proposte? Probabilmente si. Alcuni disegneranno i punti in alto, altri in basso altri forse sia in alto che in basso intuendo una qualche simmetria. Come useranno il righello? Tutte queste risposte sono utilissime all’insegnate per capire come si sviluppa e si diversifica il pensiero dei singoli allievi. Dopo aver disegnato qualche punto, il centimetro potrà permettere di verificare se quel punto verifica le condizioni richieste. È il singolo studente che ha visto come equidistante il punto che lui ha disegnato, lui ha scelto di disegnare quel punto e ora lui, con il righello, è in grado di vedere se questa scelta risolve o no il problema. Giusta o sbagliata, gestisce lui l’intero processo: l’insegnante osserva e fornisce gli strumenti necessari.


A questo punto l’insegnante fornisce agli allievi un compasso; con il compasso si fanno due circonferenze con lo stesso raggio, uno con centro in A e l’altro con centro in B; là dove si intersecano viene naturale pensare che quei due punti siano equidistanti da A e da B perché il raggio è lo stesso nelle due circonferenze, ma qui si nasconde un problema cognitivo di logica formale su cui si deve fare molta attenzione: il connettivo logico “e” che per tutti noi è banale non è detto lo sia anche per gli allievi: se un punto si trova sul primo cerchio “e” sul secondo ha la stessa distanza da A e da B.


Il compasso permette di fare altri esempi su un secondo foglio dove ora i due punti sono disegnati obliquamente. Si possono disegnare diverse coppie di circonferenze e si intravede che i punti possono trovarsi da parti opposte rispetto al segmento AB. La domanda fondamentale è ora: “quanti sono questi punti?” “Sono infiniti?” Qua, forse per la prima volta, si tocca il tema dell’infinito. Cosa pensano gli studenti? Cosa diranno? Anche ora l’insegnate deve ascoltare con curiosità. “Dove sono questi infiniti punti?” “E se sono infiniti li posso disegnare tutti?” Problema gigantesco: disegnare infiniti punti! Pensate che avete iniziato costruendo uno, poi due, punti e adesso si arriva alla conclusione che ne esistono infiniti. Riuscire a disegnarli tutti sarebbe un grande successo che darebbe agli allievi una certa soddisfazione. La cosa diventa possibile se si riconosce una “forma” a questa infinità di punti. Forse qualche allievo dopo aver disegnato col compasso 7, 8 punti si accorgerà che questi sono allineati.


Questa scoperta non deve in nessun modo essere anticipata dall’insegnante ma deve venire dalla classe, deve portare nella mente di chi l’ha vista per primo una soddisfazione intima di felicità! Questi infiniti punti si trovano su una retta che posso disegnare con la riga in un colpo solo “tutti insieme”. A questa retta diamo il nome di Asse del segmento AB. Contiene il punto medio ed è ortogonale al segmento AB.


A questo punto si fornisce agli studenti uno strumento nuovo. Lo strumento nuovo si chiama “Assigrafo”, nome inventato dai ragazzi di una scuola secondaria di I grado dove abbiamo già sperimentato una parte di questo laboratorio.

L’Assigrafo, contiene anche dei numeri preceduti dal segno meno, ma non si suppone che gli allievi conoscano l’aritmetica dei numeri positivi e negativi, qua - 2 significa solo che la distanza di questo punto da 0 è uguale a quella segnata dal punto 2 e il segno - indica solo che il punto è dall’altra parte. Questo strumento, una volta che gli studenti hanno imparato ad usare, diventa anche una prima introduzione al piano cartesiano. Adesso gli strumenti con cui i ragazzi possono fare esperimenti sono l’Assigrafo, che comprende anche il centimetro perché lo strumento ha anche i centimetri e i millimetri, e il compasso. Cosa fa l’assigrafo e come si usa? A partire da due punti A e B sul foglio, posiziono il mio Assigrafo, in modo che nel punto A e nel punto B ci sia lo stesso numero ma con il segno opposto e dove c’è lo zero traccio la linea: quello che trovo è l’asse del segmento AB.


A questo punto cominciamo a porci dei problemi e a risolverli con i nostri strumenti. Sono problemi di giustizia di equità. Partiamo da un problema antichissimo che leggiamo in lingua originale: è un toscano del 400, preso dal trattato di aritmetica di Ser Filippo Calandri, un maestro che ha scritto questo libro bellissimo e bene illustrato. Leggere il testo in un antico dialetto colloca la nostra attività in un contesto storico reale e dà spessore all’argomento, favorendo un alone di significati carichi di fantasie legate a quel periodo storico: castelli, armature, duelli, disfide, principesse rapite, ecc, ecc.

Ecco il problema:


Sono due torre in uno piano che l’una è alta 60 bracia e l’altra è alta 80 bracia e da l’una torre a l’altra è 100 bracia; e in tra queste dua torre è una fonte d’aqua in tal luogho che movendosi dua uccelli di sudette torre et volando di pari volo, giungano a un’otta (simultaneamente) a detta fonte; vo sapere quanto la detta fonte sarà presso a ciascuna torre.


Nel libro c’è anche il disegno, con le due torri, la fonte, gli uccelli in volo e si deve trovare dove mettere la fonte in modo che nessuno dei due uccelli sia svantaggiato, quindi la fonte deve avere la stessa distanza dalla torre alta e dalla torre bassa. Cosa vuol dire comprendere un problema? Perché io credo che i nostri studenti spesso vanno male nelle prove Invalsi perché non capiscono cosa devono fare, non capiscono i problemi e, credo che su questo si lavori poco. Cosa vuol dire comprendere un problema? Ecco cosa dice a questo proposito Primo Levi ne “I sommersi e i salvati”, un testo molto bello:


“Ciò che comunemente intendiamo per “comprendere” coincide con “semplificare”: senza una profonda semplificazione, il mondo intorno a noi sarebbe un groviglio infinito e indefinito, che sfiderebbe la nostra capacità di orientarci e di decidere le nostre azioni. Siamo insomma costretti a ridurre il conoscibile a schema: a questo scopo tendono i mirabili strumenti che ci siamo costruiti nel corso dell’evoluzione e che sono specifici del genere umano, il linguaggio ed il pensiero concettuale.”


Cioè il linguaggio e la matematica. Comprendere dunque vuol dire semplificare. Abbiamo le due torri: una è alta 60 bracia l’altra è 80 bracia, sono distanti 100 bracia l’una dall’altra; semplificare vuol dire dimenticarci delle torri e delle fantasie che esse evocano (principesse tenute prigioniere, torri un po’ pendenti come quella di Pisa, ecc) vuol dire dimenticarci che lo spazio che tra le due torri potrebbe essere pieno di buche, vuol dire cioè fare un’immensa semplificazione rispetto al problema e ridurlo a due segmenti verticali di lunghezze 60 e 80 millimetri e un segmento orizzontale lungo 100 millimetri che collega le estremità inferiori dei due segmenti verticali. Il passaggio dal problema concreto alla sua semplificazione è molto importante e su questo si lavora troppo poco, si dà il problema già in termini semplificati nascondendoci che c’è dietro una realtà che devi semplificare. È questa semplificazione che rende il problema reale accessibile al nostro pensiero che ci permette di affrontarlo e risolverlo con gli strumenti astratti che la matematica ha elaborato.


Per risolvere il problema pigliamo il nostro Assimetro, lo posizioniamo opportunamente nel modo seguente,

Tracciamo l’asse e vediamo dove questo interseca la retta orizzontale. Il punto trovato avrà la stessa distanza dai punti rossi, e misurando la distanza dalla torre più bassa, si troverà 64 millimetri. Tornando al problema iniziale, la fonte dovrà essere collocata a una distanza di 64 bracia dalla torre più bassa.


Ecco un ulteriore problema di giustizia: c’è una strada, nera nella figura, ci sono due case e si deve mettere la fermata dell’autobus in modo che nessuno degli abitanti delle due case sia svantaggiato rispetto all’altro. La fermata deve quindi essere equidistante dalle due case. Nell’esperienza che abbiamo fatto è stato interessante vedere come i ragazzi hanno semplificato il problema, dove hanno messo il punto che identifica la posizione della casa: alcuni lo hanno posto al centro della casetta, altri sulla porta, altri sul tetto. Naturalmente queste differenze non modificheranno in modo rilevante la soluzione del problema. E come si risolve? Usiamo ancora il nostro assimetro, posizionandolo tra le due casette e troviamo il luogo di equidistanza: ci sono due soluzioni al problema, quale scegliere? Che siano i ragazzi a decidere discutendo le varie proposte argomentando la scelta migliore.

Presentare i problemi con più soluzioni è molto interessante perché si deve ragionare per scegliere la soluzione ottimale.


Un ulteriore problema. I proprietari di tre case vogliono costruire un pozzo in modo che sia equidistante dalle tre case; questo problema, come vedremo avrà, nello sviluppo della matematica, un’importanza decisiva che porterà al concetto di curvatura fondamentale nello studio della geometria differenziale.

Qual è l’idea per trovare la posizione del pozzo? Be’, troviamo tutti i punti equidistanti dalle prime due case A e B, e per questo possiamo usare l’assigrafo, poi troviamo tutti i punti equidistanti da altre due case B e C, e infine, intersechiamo i due assi. Vedete che ora è diventato essenziale disegnare tutti gli infiniti punti equidistanti per poter trovare la loro intersezione che a priori non sappiamo dove possa trovarsi.

Se io metto il compasso in O e prendo come raggio AO trovo che questa circonferenza passa anche per B e C. Questa è una cosa molto interessante. Ora si può cominciare a fare delle congetture.


Congettura: per tre punti passa sempre una circonferenza.


È importante avviare una discussione. È sempre vero il nostro enunciato? C’è un caso in cui la cosa non va. È interessante vedere se gli studenti riescono a vederlo. Si discute. Come devono essere i tre punti? Occorre che i due assi si intersechino. E quand’è che non si intersecano? quando sono paralleli. E quand’è che sono paralleli? Quando i tre punti sono allineati. Ragionamenti, badate, tutt’altro che semplici.


Teorema: ogni triangolo ABC può essere inscritto in una circonferenza. Come si fa dato il triangolo a costruire la circonferenza? Si fanno gli assi di AC e CB e si intersecano. Ora però accade un’altra cosa interessante che il punto O sta anche sull’asse di AB. Perché? OA è uguale a OB e quindi il punto O è equidistante anche da A e da B. E allora i 3 assi si incontrano in un punto e questa è una cosa strana dato che, generalmente, tre rette non si incontrano in un punto. Il ragionamento qui mette in moto una importante capacità logica: CO è uguale a AO perché O sta sull’asse di AC “and” CO è uguale a BO perché O sta sull’asse di CB, “then” AO è uguale a BO e quindi O appartiene anche all’asse di AB. Non pensate che questo ragionamento sia facile in un pensiero non allenato alla logica formale.


Si mostra ora la seguente foto satellitare di un tratto del fiume Arno nelle vicinanze di Pisa

Problema: il fiume disegna un arco di circonferenza? Come si fa a rispondere? Gli studenti hanno la foto, ricavata da Google Maps, stampata su un foglio A4 e hanno i loro strumenti compasso, centimetro, assimetro e devono vedere se questo è o non è un cerchio. La soluzione si ottiene scegliendo tre punti del fiume (e ognuno sceglie quelli che vuole), si tracciano due assi con l’assimetro e si trova la loro intersezione. A questo punto si traccia, col compasso, la circonferenza che ha centro nell’intersezione dei due assi e si va a vedere se si sovrappone al fiume: si sovrappone! Ciò può far pensare che questa ansa possa essere artificiale: è abbastanza difficile che la natura produca un cerchio così perfetto. Una ricerca che è stata fatta da un insegnante al quale, durante un laboratorio, avevo proposto questo problema, mi ha confermato che nel XVI secolo fu fatta una deviazione dell’Arno proprio in questa zona per poter portare l’acqua lontana da Pisa scongiurando possibili inondazioni della città. Questo problema è molto interessante perché presuppone che l’allievo agisca sulla figura e, in questo caso, l’azione da compiere non è univoca dal momento che vi sono infinite scelte, tutte legittime, per i tre punti di partenza. Il pensiero produce una azione, non agisce passivamente secondo una routine, ma aggiunge elementi alla figura liberamente scelti (i tre punti) che gli permettono di trovare una risposta.


Indichiamo qualche altro problema della stessa natura legato alla presenza in natura di circonferenze. Si forniscono agli studenti delle immagini stampate su fogli A4 e si pongono delle domande.

Quale è quale punto della luna piena ci appare come il suo centro? Quale cratere si trova nel centro? Durante le fasi lunari, l’arco che separa la zona illuminata da quella in ombra è un arco di circonferenza? Anche su questi problemi si può innescare una interessante discussione. Dopo aver trovato il centro della luna possiamo cercare su una mappa lunare se in quella regione si trova qualcosa di interessante. Sulla Luna ci sono tantissimi grandi personaggi e, a ognuno di questi, è dedicato un cratere. Il cratere Archimede, ad esempio, è molto bello perché sta vicino a un triangolo formato da altri tre piccoli crateri.


Quando la luna ha l’aspetto di una falce vediamo una linea che separa la zona illuminata da quella in ombra che forma ha? È una circonferenza? Se voi chiedete a chiunque di disegnare una falce di luna, normalmente si disegnano due archi di circonferenze, mentre quella interna è un arco di ellisse. Questo problema è un problema al negativo. Si presenta una “non circonferenza” e si chiede di dimostrare che quella linea non è una circonferenza. La routine usata per l’Arno, l’arcobaleno ecc ora non funziona. Come dimostrare che non può essere una circonferenza? È interessante vedere come ragionano gli studenti. Che risposte danno, come argomentano.


A questo punto voglio raccontare con un esempio semplice, come si può utilizzare il computer nella didattica della matematica utilizzando il software di geometria dinamica, geogebra, che si può acquisire gratuitamente e che permette di muovere le figure mantenendo la loro struttura.

Attraverso geogebra, si mostra il triangolo rettangolo rosso che ruota velocemente all’interno della circonferenza grigia. In ogni posizione il triangolo è inscritto alla circonferenza. Si chiede semplicemente: “cosa vedete?” Ci si aspetta che lo studente veda il cerchio diviso a metà dal triangolo, che l’ipotenusa è un diametro, che il centro del cerchio sta su questa ipotenusa. C’è qualcosa che non si muove nel triangolo che gira, una cosa che sta sul triangolo ma che non si muove pur muovendosi il triangolo: si tratta del centro della circonferenza, e questo si vede! L’esperienza dovrebbe portare naturalmente alla conclusione che se un triangolo rettangolo è inscritto in una circonferenza allora la sua ipotenusa passa per il centro. La cosa può essere dimostrata facilmente servendosi ancora dell’assigrafo. Si ricopia la figura sul proprio quaderno e si ragiona sulla configurazione degli assi dei due cateti che vengono a formare un rettangolo.


La considerazione dell’intersezione dei due assi di un triangolo porta naturalmente al concetto di centro di curvatura e curvatura per una qualsiasi linea quando il triangolo diventi sempre più piccolo. La circonferenza che ha il centro nell’intersezione di due assi di un triangolo infinitesimo si chiama cerchio osculatore e ha una grande importanza nello studio della geometria differenziale. La figura a sinistra mostra un arco di ellisse con due diversi centri di curvatura: la linea si “curva meno” quando cerchio osculatore ha raggio più grande. La figura a destra mostra il luogo dei centri di curvatura di una ellisse.

Io credo che – e così concludo – si possano individuare dei concetti elementari che hanno un loro sviluppo profondo all’interno della matematica e che rappresentano le cellule fondanti della disciplina. Nell’esempio che ho riportato è il concetto di Luogo geometrico che sta al centro, il fatto cioè che una infinità di punti, una infinità di soluzioni a un determinato problema –l’equidistanza-, può avere una forma – nel caso in questione la forma rettilinea – forma che ci permette di considerare questa infinità come un “infinito attuale”, ovvero di rappresentare con un unica linea la totalità di soluzioni. Saranno poi le proprietà geometriche di questa linea che ci permetterà di trovare soluzioni a problemi più complessi – la circonferenza per tre punti- quando la soluzione richiede di considerare più condizioni contemporaneamente – “end”. Credo sia anche questo un compito dell’Università: individuare idee fondanti e una loro possibile presentazione elementare, legata allo sviluppo naturale del pensiero dello studente, servendosi della mente e delle mani, di oggetti concreti da manipolare attraverso una precisa pratica didattica, attraverso anche l’uso anche del computer, che ci da possibilità di rappresentare forme e strutture in movimento.


Grazie.

Matematica-mente
Matematica-mente
AA.VV.
Viaggio alla scoperta della matematica montessoriana.Raccolta degli Atti del Convegno del 15 Ottobre 2016. I Convegni Internazionali si inseriscono in un circuito di eventi organizzati dall’Associazione Montessori Brescia per contribuire alla valorizzazione e alla diffusione del pensiero e del metodo pedagogico di Maria Montessori. Raccolta degli Atti con gli interventi di: Benedetto Scoppola, presidente dell’Opera Nazionale Montessori e professore di Fisica e Matematica all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata Leonardo Forgassi, neuroscienziato e docente di Neurofisiologia all’Università degli Studi di Parma Franco Ghione, professore ordinario di Geometria all’Università di Roma Tor Vergata Daniele Pasquazi, docente di Matematica e Scienze Cristina Bolchi, insegnante di scuola primaria Montessori e formatrice dell’Opera Nazionale Montessori