Leonardo Fogassi

Neuroscienziato - Docente di neurofisiologia
all’Università degli Studi di Parma

Matematica e neuroscienze

Buongiorno a tutti, grazie per essere così numerosi.


Vorrei innanzitutto ringraziare la presidente dell’Associazione di Brescia e le persone che ne fanno parte e che sono qui presenti.


Mi hanno invitato e sono venuto molto volentieri. Non pensiate che io sia un esterno nel senso che, circa due anni fa, sono stato contattato da persone dell’Associazione Montessori di Parma che in qualche modo mi hanno chiesto di iniziare un cammino insieme, prima attraverso un convegno e poi attraverso delle iniziative che stiamo tuttora portando avanti.


Non conoscevo la pedagogia di Montessori se non in una maniera molto superficiale quindi, come tutti, mi sono messo a leggere un po’ di libri e mi ha fatto molto piacere scoprire che c’era una notevole convergenza tra alcune idee che sono esposte in alcuni libro come La mente del bambino e quelle che sono state le recenti scoperte delle Neuroscienze.


Come spesso succede, i pensatori dei secoli precedenti avevano intuito delle cose che magari non potevano dimostrare direttamente, e Maria Montessori lo ha fatto attraverso la pedagogia e quindi empiricamente, non attraverso delle sperimentazioni sul cervello, per esempio, nonostante fosse medico.


È stato poi possibile verificare queste intuizioni quando le tecniche sono diventate appropriate per poter fare questo tipo di studi empirici e pervenire ai risultati di cui ora disponiamo. Si potrebbero ricordare diversi punti in cui la Montessori cita il fatto che il movimento e la mano sono gli elementi che formano la psiche e secondo me questa è stata un’intuizione molto importante perché effettivamente le ricerche degli ultimi trent’anni confermano proprio questo, e cioè che il sistema motorio, differentemente da quello che prima si pensava, non è un sistema puramente esecutivo ma al contrario ci permette di far emergere le nostre facoltà cognitive; quindi c’è stato un ribaltamento di impostazione, dimostrata attraverso vari tipi di studi.


Montessori aveva intuito questa cosa profonda che è stata rimarcata prima bene da Benedetto Scoppola e di cui penso parlerà anche abbondantemente il Prof. Ghione, il relatore che mi seguirà, che effettivamente mani e mente sono intrinsecamente collegate. Ora a me verrebbe semplice parlare di sistema motorio, cosa che faccio normalmente, invece questa volta ho un compito diverso e ho cercato di andare a vedere quali sono gli elementi, ovviamente in breve, che possono dirci come il cervello elabora gli aspetti matematici.


Naturalmente parlare di matematica vuol dire parlare di tante cose, non di una sola, cioè numeri, quantità, ordini, calcolo quindi è chiaro che chi, su questo problema, ha prima utilizzato un approccio comportamentale e poi neuroscientifico si è fatto vari tipi di domande e adesso, da circa venti o trent’anni, abbiamo alcune indicazioni – chiamiamole così per il momento – ben supportate dagli esperimenti scientifici, che ci permettono di dire quali sono le zone cerebrali interessate, quando parliamo di matematica.


Vorrei però cominciare con un paio di premesse che mi pare sia bene tenere a mente perché stiamo parlando appunto di bambini, quindi di periodi di sviluppo. Poiché lavorate direttamente “sul campo”, penso che sappiate benissimo che il cervello del bambino è un cervello plastico, cioè un cervello che da una parte segue un corso di sviluppo già in qualche modo predestinato dai suoi geni e dall’altra si modifica anche rapidamente in relazione all’esperienza, quindi con l’effetto dell’apprendimento pre-scolastico e poi scolastico.


I collegamenti presenti nel cervello hanno un loro periodo di maturazione lungo anni e guarda caso quelli che maturano ed hanno un picco più rapido sono quelli relativi alle nostre facoltà sensoriali più normali come la sensazione acustica, quella visiva ecc., mentre gli aspetti che riguardano la pianificazione, il ragionamento, le scelte e le decisioni subiscono un processo di maturazione più lento che continua durante il periodo dell’adolescenza, e di questo ci accorgiamo osservando i comportamenti dei ragazzi. Quindi di queste cose bisogna tener presente, per esempio anche nel caso dell’apprendimento della matematica. La stessa cosa si potrebbe dire per l’apprendimento della letto-scrittura.


Questo è un primo punto che secondo me va sempre tenuto presente.


Il secondo punto è che ci sono degli aspetti per cui il bambino ha una specie di “competenza potenziale”, il cui esempio più grande è rappresentato dal linguaggio e per il quale esiste una predisposizione genetica e se il bambino è esposto al linguaggio nel periodo giusto lo impara, mentre se non lo è non lo impara. Questo ci fa vedere l’importanza dell’interazione fra i geni e l’esperienza. Se per esempio un bambino cresce con i lupi (ci sono esempi al riguardo) il linguaggio non lo impara. Un discorso diverso invece deve essere fatto per la letto-scrittura e per quello che riguarda l’abilità matematica. Una cosa che a noi interessa moltissimo è sapere se l’abilità matematica la si costruisce semplicemente durante lo sviluppo ontogenetico post-natale oppure se è già presente nella filogenesi (cioè qualcosa che è già presente nei nostri antenati). Questa è una domanda estremamente rilevante per tantissime altre funzioni ed è la base per cui noi, quando studiamo, prendiamo il modello animale che ci serve per capire come funziona il cervello umano.


Un altro aspetto importante da tener presente è stato in qualche modo rimarcato da Benedetto Scoppola nella sua presentazione sull’aspetto geometrico e il lavoro con le mani. Il nostro cervello è costruito in modo che la percezione e l’azione si integrino completamente quindi anche qui l’intuizione di Montessori su come il bambino si approccia al mondo circostante, su come incomincia a imparare è importante perché nelle scuole Montessori i bambini fanno esperienze sensorimotorie, ed è questo secondo me il punto fondamentale, su cui potrò dire qualcosa dopo aver letto Psicogeometria e Psicoaritmetica. Comunque sappiate che nel cervello le funzioni avvengono tramite uno scambio reciproco fra parte posteriore e parte anteriore della corteccia cerebrale, e servono appunto per creare questi circuiti di base sensorimotori che sono secondo noi la base di tutto, anche delle funzioni di natura superiore.


Ora parliamo appunto un po’ di quello che stavo dicendo prima, cioè del fatto che l’abilità matematica esiste anche negli animali e qui ci sono tante esperienze che sono state fatte nei secoli e ci sono persone che si sono prese la briga di andare a vedere se gli animali potevano, ad esempio, contare. Solo che in alcuni casi, purtroppo, le capacità di conto degli animali, dimostrate da alcuni, sono state un po’ messe in crisi da altri studiosi che hanno fatto vedere che in realtà gli animali non contano ma sono capacissimi di cogliere segni impercettibili e quindi danno la risposta giusta non perché hanno calcolato ma perché hanno colto dall’ammaestratore un segno che quella era la risposta corretta. Però la storia non è finita, perché la psicologia animale ha fatto numerosi altri studi su varie specie che comprendono sia la nostra classe (quella dei mammiferi) sia classi diverse, come quella degli uccelli, e hanno mostrato che gli animali sono in grado di valutare le quantità e che tra l’altro il numero non è un qualche cosa che dobbiamo considerare come completamente diverso da tutte le altre funzioni che noi conosciamo, ma è trattato in maniera abbastanza simile.


Vi faccio solamente questo esempio: un esperimento fatto negli anni cinquanta del secolo scorso, in cui un ratto era disposto di fronte a due tasti A e B e il suo compito era quello di premere un numero preciso di volte il tasto A e solo dopo poteva premere il tasto B per ricevere una ricompensa. Se premeva il tasto A più o meno volte la ricompensa non la riceveva e si è visto che il ratto era capace di eseguire questo compito. Si è anche visto che questa capacità del ratto non dipende dalla durata, perché si può accorciare o allungare la durata in cui premere il tasto ma lui fa attenzione al numero. Emerge però anche un’altra cosa fondamentale e cioè che il numero che il ratto, come altri animali, è in grado di riconoscere, è approssimativo.


Come vi potete immaginare ci sono animali più vicini a noi, come ad esempio lo scimpanzé, che fanno cose eccezionali, addirittura se ne vedono alcuni addestrati per molto tempo che sono capaci di fare addizioni, confrontare fra di loro delle grandezze, ma questo tutto sommato non è così strano perché in fondo la valutazione della quantità è fondamentale nel regno animale in quanto serve per contare il cibo, per vedere quanti predatori ci sono, quanti partner sessuali sono presenti nel gruppo, ecc.; quindi questa capacità ha più di una ragione di esistere.


Però quello che si è capito è che l’animale riesce a distinguere i primi tre numeri, ma dopo il tre le sue capacità diventano approssimative. Quindi non è che l’animale non sappia fare analisi quantititative, se ad esempio metto a confronto numeri come 40 e 50, gli animali lo sanno fare perché c’è abbastanza differenza fra di loro, ma man mano che avvicino queste quantità ecco che iniziano i problemi e aumentano gli errori. Allora si è detto che l’animale ha una specie di “contatore interno”, una specie di “accumulatore” che è in grado di aggiungere man mano delle quantità, ma questo strumento è soggetto pian piano a delle variabilità e non è preciso ma piuttosto vago.


Quindi quello che effettivamente distinguerebbe la nostra specie da quelle precedenti è che noi riusciamo anche a riconoscere le quantità esatte. Però, naturalmente, questa capacità non è disgiunta dal fatto che noi abbiamo anche il linguaggio, anche se la cosa interessante è che i primati non umani, quindi scimpanzé e scimmie, riescono ad accoppiare le quantità con dei simboli, esattamente quello che facciamo noi.

Ora, come si comincia ad affrontare il problema se nell’uomo esistano delle regioni in cui sono localizzate determinate capacità matematiche? Come è fatto molto spesso per tante altre funzioni, inizialmente l’unico punto di partenza disponibile (per esempio nell’Ottocento) era quello di osservare i pazienti, perché i pazienti sono (scusate il termine) una specie di “esperimento naturale”. Il paziente ha una lesione, la lesione mi rivela la funzione che manca; quindi esiste una disciplina che studia i risultati sui pazienti e si chiama neuropsicologia. A questo riguardo, nel campo della matematica abbiamo una serie di dimostrazioni che ci forniscono molte informazioni interessanti, ad esempio il paziente N ha una lesione nell’emisfero sinistro (perché noi abbiamo un emisfero destro e un emisfero sinistro), e si presenta con un problema di linguaggio, con problemi motori – soprattutto a destra – notevolissimi. Riguardo ai numeri a prima vista sembra un disastro ma in realtà andando a vedere meglio, se gli si fa fare dei calcoli, i suoi calcoli sono assolutamente senza senso però si vede che riconosce le cifre e per arrivare a fare il calcolo deve contrare sulle dita. Allora se gli faccio vedere 5, dà l’impressione di riconoscere di cosa si tratta ma per dirlo deve prima contare sulle dita, ed è così anche nei test di confronto: se i confronti sono tra quantità abbastanza distanti tra loro riesce a farlo. Quindi da ciò si intuisce che non ha perso l’approssimazione delle quantità ma ha perso la capacità di definire le quantità esatte.


Un esempio ancora interessante è quello presentato dai pazienti split brain (il termine vuol dire “cervello diviso”). Questi pazienti, a seguito di un’operazione, si comportano come se i due emisferi sinistro e destro lavorassero individualmente, ad esempio se si presenta al paziente un cucchiaio sulla sinistra e poi gli si fa usare la mano sinistra per riconoscere il cucchiaio, senza vederlo, tra numerosi utensili, effettivamente lo riconosce. Ma se invece usa la mano destra non riesce. Se gli si presenta invece una mela sulla destra, questo paziente ancora rivela le proprietà che ho detto prima, però in questo caso inverse, e quindi sa riconoscere solo con una mano l’oggetto posto tra vari utensili, ma fa un’altra cosa molto importante che con l’altro emisfero non sa fare e cioè denominare quello che ha visto. Quindi viene rilevata chiaramente una differenza fra i due emisferi in questo tipo di pazienti. E allora cosa succede con i numeri? Quando si confrontano due cifre presentate una a destra ed una a sinistra il confronto non lo sa fare, però in entrambi i casi se io presento le cifre o tutte e due a sinistra o tutte e due a destra effettivamente sa farlo. La cosa importante ancora una volta è che l’emisfero destro non sa far corrispondere la cifra alla parola corrispondente. Il motivo è che l’emisfero destro non sa usare il linguaggio, mentre invece l’emisfero sinistro lo sa fare.


Infine, un altro paziente un po’ particolare da un certo punto di vista, non conosce il significato quantitativo dei numeri nonostante abbia uno sistema linguistico normale e riesca a fare l’identificazione fra parola e cifra e ad usare degli automatismi, come per esempio le famose tabelline, che riesce a ripetere. Non riconosce però assolutamente a quale quantità corrispondano determinati numeri. Questo paziente ha un danno del lobo parietale (Figura 1).

Quindi, noi sappiamo già dagli esperimenti sui pazienti che la corteccia parietale è importante, soprattutto quella di sinistra, per il riconoscimento delle quantità numeriche e per fare i calcoli, ma vedremo che è importante anche quella frontale. Un’ altro aspetto riguarda gli aspetti automatici dei calcoli, p.es. l’apprendimento a memoria delle tabelline. Come avviene? È come quando andiamo in macchina, all’inizio dobbiamo utilizzare una grande attenzione nel capire tutto quello che dobbiamo fare, applicando anche capacità linguistiche, una volta imparato, andiamo automaticamente, tant’è vero che possiamo fare almeno un’altra cosa in contemporanea. Ecco, per le tabelline è una cosa simile, una volta che le abbiamo imparate queste vengono trasferite ad una regione cerebrale che sta sotto la corteccia e si chiama gangli della base, che poi interverranno ogni volta che abbiamo bisogno di questi automatismi.


È stato interessante perché nel caso dei numeri, diversamente da molte altre funzioni, in qualche modo lo studio sull’uomo e le ipotesi hanno preceduto lo studio fatto sulle scimmie. Vi devo dire subito che io sono un neurofisiologo che studia i singoli neuroni e sappiamo che solo grazie a questi si riescono a capire i meccanismi che vengono utilizzati per svolgere determinate funzioni. Quello che di cui voi sentite molto nominare quando si parla di uomo, cioè le neuroimmagini, di cui anch’ io parlerò, in realtà non riguarda studi eseguiti su singoli neuroni, quindi difficilmente si riesce a parlare di meccanismi, ma piuttosto delle sedi cerebrali in cui sono rappresentate determinate funzioni.


Il singolo neurone viene registrato tramite dei piccoli microelettrodi che ci danno la possibilità di vedere, o meglio di sentire, qual è l’attività del singolo neurone. Come sono stati fatti gli esperimenti per cercare di capire se c’erano dei neuroni che potevano in qualche modo riconoscere la numerosità? C’è qui un esempio (Figura 2) in cui ad una scimmia viene chiesto di guardare una serie di puntini e intanto che lei sta fissando il centro c’è un breve periodo di attesa di un secondo, dopodiché vengono rappresentati altri stimoli che possono essere o uguali a quelli precedenti, in termini numerici, o essere differenti. La scimmia in un caso deve schiacciare una leva se sono uguali e non schiacciarla se sono differenti. Si osserva che questi neuroni rispondono in maniera specifica alla numerosità anche quando nel test si cambia l’aspetto fisico degli stimoli come per esempio se si cambia la grandezza o la densità. Ecco, cambiando tutte queste variabili non cambia nulla se non cambia la numerosità e quando cambia, cambia anche la risposta del neurone.

La Figura 3 è abbastanza importante; la parte di sinistra ci dice che queste curve sono le risposte di due tipi di neuroni: quello della corteccia frontale e quello della corteccia intraparietale. Voglio che vi ricordiate questi due nomi perché serve ricordarsi che esiste questo circuito. Comunque questi neuroni sono capaci di riconoscere le numerosità, per esempio il neurone in alto riconosce il numero 4 rispetto agli altri numeri mentre il neurone che vediamo sotto riconosce il numero 4 e il numero 5.


Nell’immagine vicino vedete un cervello di scimmia, le zone indicate in colore sono la regione intraparietale (quella posteriore) in cui sono stati registrati questi neuroni e quella davanti è la regione prefrontale.


Se andate a vedere qual è la differenza di tempo nelle attività di questi neuroni si nota che quelli parietali si attivano poco prima di quelli prefrontali. Cosa vuol dire? Che quando siamo sottoposti a problemi di numerosità subito si attiva la corteccia parietale. La corteccia prefrontale appare così in un secondo momento, soprattutto quando c’è da mantenere in memoria determinati aspetti della numerosità e quindi quando c’è da utilizzare il dato sulla numerosità per fare qualche cosa, come ad esempio confrontare numeri diversi.

Passiamo subito all’uomo; come vi dicevo prima, i pazienti già ci avevano dato delle indicazioni ma recentemente abbiamo maggiore possibilità di studiare anche il cervello dell’uomo direttamente in attività mediante questi sistemi di neuroimmagine in cui, diciamo, ormai la tecnica principe è la risonanza magnetica funzionale. Questa macchina, in cui un soggetto deve entrare all’interno di un cilindro, riesce a darci non solo l’immagine anatomica del suo cervello, quindi immagini di persone sane o malate. Ma ciò che fa in più la risonanza funzionale è dirci quali sono le parti del cervello più attive di altre quando un soggetto sta facendo un certo compito, che può essere un compito semplicemente come essere toccati su una mano, oppure vedere un immagine più o meno complessa, chiedere di fare un calcolo, fargli vedere una parola, fargli fare una scelta economica. Con le neuroimmagini si possono quindi studiare molte funzioni. Però attenzione a non sopravvalutarne i risultati. A noi danno delle indicazioni molto importanti perché vedere le zone che si attivano vuol dire vedere immediatamente tutto il circuito coinvolto nel compito che il soggetto sta eseguendo. A questo punto, cosa si sa dei numeri, utilizzando questa tecnica? Bene, prendiamo ad esempio questo esperimento del ’99 in cui ai soggetti venivano fatti svolgere due compiti, in un caso un addizione (4 + 5) e dopo un breve tempo gli venivano presentate sia a sinistra che a destra due risposte: il soggetto doveva schiacciare con la mano sinistra se la risposta giusta era a sinistra e con la mano destra se era a destra.


Nel caso dell’addizione approssimata veniva presentata la stessa addizione ma i numeri che erano raffigurati da sinistra a destra non erano la soluzione esatta, ma uno dei due si avvicinava e dovevano rispondere a quale numero si avvicinava di più al risultato esatto. Ciò che si vede da questo tipo di esperimento è che innanzitutto si attiva la corteccia intraparietale, come nella scimmia (Figura 4), ma si attiva soprattutto quando il soggetto svolge un calcolo approssimato, invece quando fa quello esatto si attivano delle altre aree tra cui, per esempio, le aree del linguaggio, e questo ci dice molto perché significa che quando ci presentano delle cifre immediatamente utilizziamo il sistema linguistico, un po’ come diceva Benedetto Scoppola, e cioè che questo sistema ci serve per confrontare 4500 con 4501, cosa che con un calcolo approssimato non riusciremmo mai ad affrontare.

Sappiamo da altri esperimenti che questa stessa regione parietale si attiva quando noi facciamo, per esempio, delle comparazioni tra numeri, delle denominazioni di numeri o addirittura dei calcoli. Quindi questa è la zona centrale per fare un processamento, un’elaborazione dei numeri.


Non solo, la presentazione del numero attiva quest’area non semplicemente su base visiva ma anche su base acustica. Se noi facciamo vedere il numero 2 o presentiamo acusticamente il 2, di nuovo abbiamo un’attivazione di quella regione, mentre non l’abbiamo quando presentiamo ad esempio una lettera o un colore (Figura 5). È quindi un’attivazione molto specifica.

Ecco, un’altra domanda interessante è: cosa succede se noi utilizziamo, invece che le cifre, dei simboli? In un esperimento sempre di risonanza magnetica funzionale sono stati fatti vedere dei puntini. Qui però, per comprendere il risultato, bisogna fare una premessa. Noi sappiamo che se ad un soggetto presentiamo più volte di seguito lo stesso stimolo, ad esempio 16 puntini, l’attività celebrale si abitua perché lo stimolo non è più interessante, l’ho visto troppe volte. Ma se improvvisamente noi gli presentiamo un numero di puntini diversi oppure lo stesso numero di puntini uguali ma messi in modo diverso ecco che immediatamente l’attivazione celebrale risale. La conoscenza di questo processo, chiamato abituazione (quando l’attività cala) è stato il metodo che hanno usato per vedere se, quando si presentavano puntini diversi, si attivavano delle regioni che avevano a che fare con la numerosità. Si attivano infatti regioni parietali di sinistra e di destra, cioè quelle di cui ho parlato prima. La cosa molto interessante è che questa attività celebrale varia: può essere più grande quando la distanza tra due numeri o due gruppi di puntini è minore ed è minore quando invece il numero di puntini è maggiore. Quasi come se il cervello facesse uno sforzo maggiore per riconoscere qualcosa che è troppo vicino, e qui stiamo parlando di quantità espresse in puntini e non in simboli.


Avviamo visto che la corteccia intraparietale si attiva per numerosi aspetti che riguardano la numerosità, si attiva anche quando questa non è simbolica, ma per noi uomini sappiamo che diventa molto importante l’associazione fra numero e linguaggio che è quello appunto che costituisce la differenza fra noi e gli animali. Quello che ci fa passare da un calcolo approssimato ad uno esatto.


Anche su questo aspetto sono stati fatti un paio di esperimenti, e la prima cosa che c’è da dire è che se dei soggetti da una parte devono fare un calcolo come una sottrazione e in un’altra condizione devono ascoltare una frase, oppure leggere una frase, andando a vedere l’attivazione celebrale nei due casi si vede effettivamente che l’attivazione celebrale per entrambi i compiti è lateralizzata, cioè sia per il linguaggio che per la numerosità l’emisfero sinistro è più attivo di quello a destra. Quindi il primo dato è che c’è una lateralizzazione all’emisfero di sinistra per entrambe le funzioni. Con questo non voglio dire che l’emisfero di destra non tratti i numeri perché abbiamo visto che le attivazioni sono in entrambi gli emisferi, ma in questo caso stiamo guardando il calcolo, e il sinistrosi rivela più abile. Vi ricordate il paziente che non sapeva più fare i calcoli? Ecco, quindi c’è una lateralizzazione. Però un’ulteriore domanda è: c’è una relazione tra l’attivazione per il linguaggio e quella per il calcolo? Facendo delle analisi di correlazione si è visto che l’attivazione di una zona che si trova nel lobo temporale è in grado di predire l’attivazione che si ha invece nella corteccia intraparietale che è quella che si attiva per il calcolo, in altre parole effettivamente le due lateralizzazioni possono essere correlate fra loro e questo vuol dire che nell’ontogenesi (del bambino) si è creato questo tipo di accoppiamento fra il linguaggio ed il numero.


Vengo ad un aspetto che credo che vi possa interessare abbastanza e cioè gli studi sui bambini. Essi sono stati fatti sia sui bambini di 4 anni perché si reputava che solo lì si potevano avere delle capacità matematiche, ma successivamente anche su bambini molto più giovani; nel primo caso è stato usato quel paradigma che vi ho fatto vedere anche nell’uomo, quello con i puntini, che confrontava il numero con la forma e si è visto che, come nell’uomo, il compito numerico attivava di più le regioni parietali e frontali, mentre quello che riguardava il confronto fra le forme attivava un settore della corteccia occipitale (Figura 6).


Questo perché tutte le funzioni sono localizzate nel cervello, non sono diffuse, quindi io posso individuare le regioni che svolgono determinate funzioni, e a questo punto ciò è stato verificato anche in bambini di 3 mesi con la tecnica dell’abituazione di cui ho parlato prima, cioè presentazione dello stesso tipo di stimolo in alcuni casi e variazione del numero o dell’identità in altri. Ad esempio si possono cambiare dei puntini da gialli a rossi e le attivazioni celebrali ci dicono anche in questo caso che quando cambia l’identità dell’oggetto, cioè quando cambia la caratteristica riguardante la semantica dell’oggetto, c’è un attivazione in una regione ventrale della corteccia cerebrale, quella occipitotemporale, e invece quando si cambia il numero c’è un attivazione nella corteccia parietale (Figura 7).

Nei bambini di tre mesi, d’altronde, gli studi comportamentali dicono che essi sono in grado di fare confronti di numerosità e addirittura addizioni e sottrazioni molto semplici come 2+1 o 3-2. Ecco, questi bambini lo fanno grazie alla corteccia parietale.


Ora però c’è un problema. Abbiamo detto che gli animali hanno già una capacità approssimativa di valutare le quantità, abbiamo visto quali sono le regioni che nell’uomo si attivano per la numerosità e abbiamo visto anche che la regione parietale si attiva nei bambini di 3 mesi. Ciò suggerisce che probabilmente questo è il risultato della filogenesi, perché a 3 mesi il bambino non ha ancora imparato le attività matematiche.

Perché si attivano proprio queste due regioni di cui ho parlato, cioè la corteccia parietale e frontale? Noi sappiamo che sono stati svolti studi a proposito sulla letto-scrittura perché anche questa è ovviamente una struttura appresa che non esiste nella filogenesi, e cosa hanno mostrato tali studi? Si è visto che c’è una regione della corteccia cerebrale in cui i neuroni si attivano alla specifica presentazione di facce.


Sorprendentemente, quando andiamo a vedere, in soggetti alfabetizzati, l’attivazione cerebrale dovuta alla letto-scrittura ci si accorge che si attiva in maniera particolare una regione chiamata “l’area visiva della forma delle parole” che si trova nella regione occipito-temporale dell’emisfero sinistro, esattamente dove si dovrebbero trovare i neuroni selettivi per il riconoscimento delle facce. Come mai questo? Si può rispondere a questa domanda andando a vedere l’attivazione cerebrale di persone non alfabetizzate che poi sono diventate alfabetizzate in cui, quindi, questa regione della forma delle parole man mano ha cominciato a costruirsi. In queste persone si attiva appunto una regione che ha soppiantato i neuroni in grado di riconoscere le facce. Cosa è successo, questi neuroni sono spariti? No, si sono trasferiti nell’emisfero di destra. Questo è il caso che viene chiamano della “sostituzione” cioè, utilizzo di una regione cerebrale che sarebbe adibita ad una certa funzione, sostituendola con un altro tipo di funzione. Tutta questa premessa che ho fatto serve per capire che lo stesso tipo di domanda si può fare per la matematica: anche qua c’è una sostituzione oppure questa funzione lavora su qualcosa di preesistente?


È stato fatto uno studio molto interessante dal gruppo di Dehaene, che ha lavorato moltissimo sulla numerosità, il quale ha sottoposto dei soggetti a differenti condizioni che confrontavano abilità matematiche come la sottrazione, con abilità linguistiche, movimenti oculari, spostamento dell’attenzione, abilità motorie (puntamento con un dito e afferramento). Perché questo? Si sa che la regione parietale dove vi sono le attivazioni per la numerosità sono in grado di attivarsi anche per queste altre funzioni e quindi ci si chiede se c’è una sovrapposizione di attivazione, cioè le stesse regioni sono coinvolte in tutte queste funzioni? Senza spiegare in dettaglio, si è visto come ci siano regioni specifiche per certe funzioni sempre nella corteccia intraparietale e se ne trova una che si attiva di più per la numerosità rispetto alle altre funzioni. Quindi vuol dire che, effettivamente, nell’uomo si forma una regione particolare, ma verosimilmente questa regione è iniziata da delle basi funzionali preesistenti; noi sappiamo che nella scimmia questa regione serve per riconoscere lo spazio intorno a noi e per organizzare i movimenti all’interno dello spazio, come per esempio i movimenti di orientamento della testa, i movimenti dell’occhio, addirittura i movimenti del braccio per raggiungere determinate zone dello spazio. Quindi è verosimile che la regione dei numeri si sia impiantata proprio su questo tipo di funzione spaziale; qui si possono fare tante speculazioni su quali relazioni ci siano tra lo spazio e in numeri, ma ci sono molti indizi al riguardo, per esempio i movimenti oculari: se noi sappiamo che i numeri sono rappresentati su una linea e se vogliamo andare verso la parte crescente, muoviamo gli occhi verso destra: se verso la parte decrescente, li muoviamo verso sinistra; se facciamo le addizioni ci orientiamo verso destra, se facciamo le sottrazioni ci spostiamo verso sinistra.


Non è un caso che questa regione parietale quando è danneggiata nell’uomo, porta ad un deficit ben noto che si chiama eminegligenza spaziale, che consiste nella incapacità di riconoscere lo spazio di sinistra; la lesione è a destra e il deficit spaziale riguarda lo spazio di sinistra.


Quindi, verosimilmente, diciamo così, la concezione del numero si basa fortemente su una capacità iniziale di codificare lo spazio, e credo che questo sia importante, e ancora di più se parliamo della geometria, in cui si lavora su uno spazio con gli occhi, la testa e le mani.


Vorrei concludere brevemente con un altro aspetto della matematica, perché nella matematica non esiste solamente il numero cardinale ma esiste anche l’ordinale, cioè la capacità di capire quale posizione un numero occupa nella linea dei numeri, e abbiamo già visto che nei numeri abbiamo la possibilità di scindere una sinistra e una destra: come facciamo a riconoscere la posizione di un numero? Gli studi eseguiti per vedere gli effetti di questo parametro, l’ordinalità, effettivamente ci rivelano che ci sono, anche in questo caso, delle attivazioni di tipo parietale e di tipo prefrontale; però la cosa interessante è che, anche se l’attivazione della corteccia parietale di cui ormai abbiamo parlato a lungo è un attivazione che si riferisce alla numerosità, quando si confronta l’ordinalità e la cardinalità le attivazioni non sono esattamente coincidenti.


Quindi, è probabile che ci siano zone distinte. Nel campo della neurofisiologia la questione posizionale è stata studiata moltissimo in relazione alle sequenze; per esempio, cosa succede se io insegno ad una scimmia di fare tre movimenti in sequenza come per esempio, spingere, tirare e girare, oppure scambiando l’ordine della sequenza in modo da ottenere sequenze di vario tipo, e registrando poi dai singoli neuroni durante l’esecuzione di queste sequenze? Si osserva per esempio che ci sono dei neuroni che si attivano solamente quando la scimmia fa l’ultimo movimento della sequenza indipendentemente da qual’è questo movimento. Oppure, ci sono neuroni che si attivano solamente quando la scimmia fa una singola sequenza p.es. tirare, girare, spingere; quando invece svolge altre sequenze gli stessi neuroni non si attivano minimamente, in altre parole, sono neuroni che sono in grado di riconoscere una specifica sequenza di movimenti.


In altri esperimenti che sono stati fatti sulla corteccia prefrontale è stato visto che ci sono neuroni che sono in grado, sempre in una sequenza di 3 oggetti visivi presentati uno dopo l’altro, di rispondere o solamente al tipo di oggetto o al tipo di oggetto quando è presentato in una certa posizione della sequenza; quindi che riescono ad abbinare l’oggetto alla sequenza, per esempio un oggetto giallo presentato come secondo.


È interessante che nella scimmia quando c’è un danno nella corteccia prefrontale in cui si trovano questi neuroni che si attivano per l’ordine all’interno della sequenza, c’è un deficit nei compiti che richiedono alla scimmia di ricordare l’ordine temporale di eventi o di stimoli; quindi, effettivamente c’è una correlazione tra quella che è l’attività del neurone è quello che è il tipo di deficit.


Riassumendo gli spunti che ho cercato di portare in questa relazione, possiamo dire che:

  • Il senso dei numeri approssimato è già presente negli animali
  • Il bambino piccolo riconosce piccole numerosità
  • La capacità matematica è rappresentata in due regioni cerebrali, parietale e prefrontale, sia nell’uomo che nella scimmia. La corteccia parietale è coinvolta nel riconoscimento rapido del numero, indipendentemente dalla modalità in cui viene presentato, mentre la seconda entra in gioco per elaborazioni che richiedono il coinvolgimento della memoria.
  • La corteccia intraparietale è attivata sia dalle rappresentazioni simboliche che da quelle non simboliche.
  • Il collegamento di numero e linguaggio si può cogliere anche a livello di attivazioni cerebrali
  • La matematica superiore è una facoltà tipicamente umana che si sviluppa nell’ontogenesi grazie anche all’educazione, ma la capacità matematica nasce verosimilmente da funzioni tipiche anche del mondo animale.
  • È verosimile che la ricchezza dell’interazione sensorimotoria raffini la distinzione delle quantità nell’animale e guidi l’acquisizione di una capacità numerica sofisticata nel bambino.

Vi ringrazio per l’attenzione.

Matematica-mente
Matematica-mente
AA.VV.
Viaggio alla scoperta della matematica montessoriana.Raccolta degli Atti del Convegno del 15 Ottobre 2016. I Convegni Internazionali si inseriscono in un circuito di eventi organizzati dall’Associazione Montessori Brescia per contribuire alla valorizzazione e alla diffusione del pensiero e del metodo pedagogico di Maria Montessori. Raccolta degli Atti con gli interventi di: Benedetto Scoppola, presidente dell’Opera Nazionale Montessori e professore di Fisica e Matematica all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata Leonardo Forgassi, neuroscienziato e docente di Neurofisiologia all’Università degli Studi di Parma Franco Ghione, professore ordinario di Geometria all’Università di Roma Tor Vergata Daniele Pasquazi, docente di Matematica e Scienze Cristina Bolchi, insegnante di scuola primaria Montessori e formatrice dell’Opera Nazionale Montessori