Lo sfondo2
Arbeitspadagogik, Education Nouvelle, Educazione attiva sono i termini che designano, in diverse aree linguistiche, un insieme di riflessioni ed esperienze educative diverse per riferimenti teorici, intenzioni, condizioni di realizzazione, collocazione nel tempo e nello spazio, accomunati dal considerare il bambino e la bambina, o qualsiasi interlocutore dell’intervento educativo come parte attiva del processo educativo e dal ritenere che ogni apprendimento debba realizzarsi attraverso l’esperienza agita del soggetto in formazione. P. Bovet riassumeva quello che distingue pensatori e operatori che si riconoscono in questo movimento, nella considerazione che invece di preoccuparsi di sfruttare le capacità ricettive del bambino, per imprimere in questa cera molle conoscenze e abitudini […] vedono, anche e soprattutto, nel bambino, l’organismo eminentemente attivo le cui facoltà si sviluppano attraverso l’attività3.
Le esperienze dell’Educazione attiva, all’inizio del 900 e, soprattutto, con la fine della Prima guerra mondiale, diventano, in Europa principalmente, ma non esclusivamente, un movimento che conosce un impulso particolare, mosso da due fenomeni, uno di carattere politico e sociale, l’altro di carattere scientifico e culturale. Un ampio dibattito esce dalla cerchia ristretta di un gruppo di studiosi e operatori per interessare categorie di professionisti della scuola, della salute, politici e amministratori.
L’esperienza dell’ingiustizia nella detenzione del potere e delle tragiche conseguenze che questa comporta nella vita quotidiana di uomini e donne, in particolare quella della imperizia delle gerarchie militari, quindi dell’ingiustizia sociale di fronte ai rischi mortali della guerra, è decisiva per l’affermazione di un’esigenza di giustizia sociale che si afferma esplicitamente in movimenti politici e azioni di diverse organizzazioni sociali. Fra le categorie più attive ci sono quelle degli insegnanti e degli educatori. L’accoglienza riservata ai bambini usciti dalla guerra senza famiglia e la scuola sono al centro di molte rivendicazioni. Freinet, in una lettera degli anni ’20 scrive: “Un popolo che si è unito durante la guerra, non può essere diviso durante la pace […] i padri hanno fatto la guerra assieme nelle trincee […] i figli devono sedersi gli uni accanto agli altri, negli stessi banchi”.4
La diffusione, fra insegnanti e educatori, di quanto alcuni psicologi e i primi psicanalisti stavano studiando circa aspetti fino allora trascurati dello sviluppo, le prospettive aperte dai loro lavori, l’interesse suscitato dai lavori di Wund e Stern in Germania, di Binet in Francia, confermano, a proposito della costruzione della personalità, del carattere, dell’intelligenza, l’intuizione di molti educatori che educazione e apprendimento sono fenomeni complessi nei quali l’attività dell’interlocutore non è meno importante di quella dell’educatore. Il successo dell’educazione dipende da una collaborazione che si può raggiungere tenendo conto di aspetti che erano stati la parte sommersa di un iceberg, la cui esplorazione è finalmente in corso.
Per il movimento dell’EA il bambino è protagonista dello sviluppo e dell’apprendimento, l’adulto, insegnante o educatore, lo accompagna in una posizione che ha due caratteristiche principali: la previsione positiva e l’equilibrio fra quelli che Ph. Meirieu definisce i principi ‘libertà’ e ‘educabilità’:
La storia dell’Educazione attiva è fatta di scommesse: un bambino [o una bambina, un ragazzo, una donna…] è dichiarato ‘perso’, ‘anormale’, ‘ritardato’… ed ecco che un uomo o una donna si fanno avanti e rifiutano questa sentenza. Affermano che ‘si può fare qualcosa’, che non ci si deve rassegnare. Si mettono al lavoro ribellandosi alla fatalità alla quale altri attorno a loro si sottomettono. Inventano metodi, cercano soluzioni, attuano dispositivi per riportare il soggetto che era stato messo ai margini, nello scambio sociale. A volte, anzi, spesso, non ci riescono completamente. Ma il loro interlocutore fa comunque dei progressi. Spesso li fa con difficoltà, ma li fa in modo da non perdere la speranza. Questi uomini e queste donne hanno fatto la scommessa dell’educabilità […] una scommessa infinitamente necessaria. Una scommessa che è il senso del lavoro dell’educatore.5
Questa affermazione evita il rischio della demagogia e si mantiene nel campo drammatico, ma reale dell’educazione, perché è accompagnata dalla considerazione della necessità di ottenere la collaborazione, di attivare la voglia di partecipare al progetto educativo, da parte dell’interlocutore dell’azione educativa.
È necessario che a un certo punto decidiamo di fare qualcosa di noi stessi e l’educatore non può farlo al posto dell’educando, può solo creare le condizioni perché l’altro prenda lui stesso la decisione, si assuma il rischio. Quello che oggi abbiamo capito […] è che non si può crescere al posto di qualcun altro. Si può, si deve, essere presenti, fare il possibile per aiutarlo. È il principio di educabilità...
Ma bisogna rispettare che sia l’altro a decidere, alla fine, del suo destino e dei suoi apprendimenti: è il principio di libertà. Il principio di libertà è indissociabile dal principio di educabilità. Senza rispetto della libertà l’educabilità diventa addestramento. Senza educabilità il rispetto della libertà si trasforma in fatalismo.6
Kerschensteiner, Freinet, Dewey, Baden Powell, Tagore sono nomi di riferimento quando si vuole ricordare il movimento che è, in realtà, un fenomeno con radici ed estensione maggiori, con un andamento carsico nella storia dell’educazione, e i nomi di educatori e pensatori che vi vengono collocati, variano con gli approcci disciplinari e la prospettiva dei ricercatori: Montaigne ed Erasmo sono nominati da alcuni studiosi, Rousseau e Pestalozzi da quasi tutti, Itard dai pochi che lo conoscono, Montessori e Bernfeld di nuovo da alcuni …
Il contributo originale di Emmi Pikler a questo movimento sta nel suo averne realizzato i principi osservando e occupandosi di bambini nei primi tre anni di vita. Sicuramente, nel movimento dell’Educazione attiva il corpo dei bambini è ben presente nel pensiero di educatori e studiosi e nella organizzazione delle esperienze: vivere il corpo e, dove è possibile, a stretto contatto con la natura, è una dimensione importante nei progetti ricordati, da Rousseau a Baden Powell. Ma si tratta di un corpo ‘civilizzato’, ‘culturalizzato’. Man mano che si retrocede nel processo di socializzazione e si arriva al momento in cui i bambini hanno (sono) il corpo per elaborare l’essere al mondo, esperienze e progetti educativi si diradano fino a scomparire e il campo è lasciato all’amore materno, poi, più recentemente, all’attenzione degli psicologi. L’azione educativa è pensata da poche/i.