CAPITOLO 1

Maria Montessori:
memorie, esperienze, allieve e allievi

di Grazia Honegger Fresco

Infanzie

Mi ha sempre interessato conoscere, nella storia di individui più o meno celebri, tracce della loro infanzia. Si sa molto di quella di Mozart, assai meno di Nannerl, sua sorella maggiore, che pare suonasse meglio di lui, ma non aveva le stesse capacità creative. Sappiamo di “bambiniprodigio” (non sempre felici di esserlo) come Saint-Saens, Listz Paganini, Chopin…


Pensiamo a infanzie irripetibili come quelle dei ragazzetti che a Firenze, nel Quattrocento facevano i garzoni nella bottega del Verrocchio e che, grazie al clima di quella scuola, agli scambi tra loro e ai loro stessi geni, si rivelarono essere Botticelli, Perugino, Signorelli, Ghirlandaio e perfino Leonardo. E le donne? Vengono in mente Lavinia Fontana o Artemisia Gentileschi che, bambine, in pieno Cinquecento, presero pennelli e colori dalla scuola paterna e cominciarono a dipingere; Carla Fracci che ha trascorso un’infanzia quieta e modesta in una zona di campagna; la coraggiosa Frida Khalo e molte altre che, giovanissime – malgrado i soliti pregiudizi – sono riuscite lottando a trovare le strade per farsi riconoscere. L’infanzia è davvero un grande mistero nella sua evoluzione.


Sul piano scientifico, tra Ottocento e Novecento, abbiamo molti più nomi: biologhe, matematiche, astronome. Ricordiamo per esempio Maria Sklodovska Curie, la fisica Lise Meitner, la biochimica Rosalind Franklin, che per prima scoprì la doppia elica del DNA, ma due colleghi maschi che lavoravano con lei se ne attribuirono il merito e la derubarono del Nobel. Tra loro c’è anche Maria Montessori, per il fatto di essere stata una delle prime donne medico in Italia, anche se non la prima, come molti continuano a scrivere. Certo fu la prima a Roma e, come si sa da un suo piccolo diario, oggi nell’Archivio “M. Montessori” ad Amsterdam, dovette mostrare non poca determinazione.


Nata il 31 agosto 1870, della sua infanzia abbiamo notizie attraverso appunti raccolti dal padre Alessandro, che ne misurò ogni anno l’altezza, annotò che a sette mesi diceva mamma e papà, a undici camminava da sola, a diciannove sapeva già spiegarsi molto bene. A dieci mesi, novità assoluta per l’epoca, venne vaccinata contro il vaiolo. Una bambina che cresce sana e vivace. Tutto nella norma. A scuola non è particolarmente brillante. Preferisce giocare con le compagne e, ragazzetta, recitare, tanto da voler frequentare per questo una scuola – sarà il padre ad accompagnarla – e lì riscuoterà un discreto successo. Tuttavia, in seguito si indirizzerà verso studi di tipo tecnico – matematico. Immagino Maria, bambina intelligente e curiosa che va dietro a suo padre, ispettore dei tabacchi, controllore attento del numero di piante coltivate nei campi. Forse colse lì i primi rudimenti del calcolo aritmetico.


D’altro lato sua madre (Renilde Stoppani, 1840-1912) era un’appassionata lettrice e anche la figlia lo diverrà. Quali libri avrà letto da ragazzina? Che cosa c’era ai suoi tempi? Uno dei primi libri per l’infanzia, uscito a puntate nel 1878, era stato Giannettino di Carlo Collodi, seguito nel ’79 da Minuzzolo. Avventure e birichinate di birbantelli simpatici quanto indisciplinati che alla fine un dottor Boccadoro con saggezza e comprensione riconduce su sentieri ragionevoli. (Libri da maschi, diceva mia madre un secolo dopo, come il celebre Giamburrasca, creato da Vampa agli inizi del Novecento). I due di Collodi sono entrambi un anticipo, nello stesso bellissimo italiano, di Pinocchio del 1881-82, tanto più ricco e incisivo, il capolavoro che tutti conosciamo e che, non a caso, conquistò subito i più giovani, anche le femmine. E questo forse lo avrà letto. Non c’era una grande scelta: nel 1875 erano uscite le Memorie di un pulcino di Ida Baccini, nel ’93 Le novelle della nonna di Emma Perodi. Melense e moralistiche le prime (attraverso il pulcino ti insegno a.…), del tutto irreali le seconde. Entrambe autrici fiorentine, con un ottimo italiano che non nasconde il perbenismo del tempo.


Intanto dal 1842 circolava l’edizione italiana di Robinson Crusoe, primo grande romanzo di avventure.1 Perfino Rousseau nel 1762 lo raccomandava nel suo Émile come essenziale per la formazione di un giovane. In una buona traduzione, è ancora oggi lettura appassionante: ne esiste perfino un film, alquanto insolito, realizzato e sceneggiato nel 1952 da Luis Buňuel. A Risorgimento concluso, la gloriosa casa editrice dei fratelli Treves pubblica a Milano nel 1886 Cuore di Edmondo De Amicis. Tutto al maschile, sul buono e l’indisciplinato, la severità e il senso di giustizia. È il (finto) diario di un ragazzino di terza elementare, che nelle intenzioni dell’autore dà valore alla scuola pubblica in un’Italia da poco finalmente riunita. Inframezzato a predicozzi degli adulti, contiene anche celebri racconti di buon esempio con il ragazzo povero e coraggioso in cerca della madre emigrata, il piccolo patriota e altri giovani eroi.

L’abate Stoppani e l’educazione cosmica

Da adolescente Maria avrà forse preferito la lettura sulle bellezze d’Italia dell’allora famoso Il Bel Paese, opera appassionante e gradevole di quell’abate che aveva lo stesso cognome di sua madre.2 Magari Renilde, che non mancava di qualche ambizione, le avrà parlato di una possibile parentela. Maria stessa ne parve in principio convinta, tanto da citarlo più volte nei primi corsi e nelle conferenze. Tuttavia, accurate e ripetute indagini del secondo dopo guerra non hanno potuto dimostrare alcuna parentela dell’Abate con gli Stoppani di Monte San Vito, paese vicino a Chiaravalle: il mito comunque è rimasto.


Intanto tra il 1862 e il 1885 la UTET, autorevole casa editrice torinese esistente già da un secolo, aveva pubblicato una traduzione particolarmente accurata di tutte le opere di Darwin con le stesse immagini da lui prodotte nei testi inglesi. L’opera sull’evoluzione delle specie dai viventi più semplici agli esseri umani, che tanto odio, accuse, plagi, maldicenze aveva suscitato nell’Inghilterra anglicana, legata a un’interpretazione rigida della Bibbia, in Italia non trovò netta opposizione da parte della Curia. Si cercarono via via, anche da parte di studiosi di vario orientamento, modi per conciliare i dogmi della fede con la teoria dell’evoluzione. Di fatto essa entrò negli studi scientifici dello Stato e lo stesso Stoppani citò ripetutamente Darwin traendone in parte materiale per uno dei suoi libri di divulgazione più belli e originali: Acqua e Aria/ ossia la purezza del mare e dell’atmosfera dai primordi del mondo animato del 1875. Il testo fu particolarmente apprezzato da papa Leone XIII che per questa sua opera volle conoscere l’abate e donargli una moneta d’oro. Un’opera allora avveniristica, di cui solo a fine Novecento, quando sono apparsi i segnali più vistosi del disastro ecologico in atto, si è cominciato a cogliere la veridicità delle osservazioni: l’insieme dei continui equilibri che regolano la biosfera, affermati – con prove argomentate – dall’abate lecchese3.


Maria avrà di sicuro letto a suo tempo Acqua e Aria. Prova indiretta è che ne riprese considerazioni ed esempi, aggiornandoli sulle nuove conoscenze, quando aveva ormai compiuto 70 anni. Si trovava, bloccata dalla guerra in atto, a Kodaikanal nel Tamil Nadu indiano, a contatto con una natura totalmente diversa, incredibilmente rigogliosa e la possibilità di osservare direttamente grandiosi fenomeni biologici e climatici, la varietà degli habitat e delle specie, l’equilibrio costante di ciascun elemento vivente a vantaggio di tutti gli altri. Da tempo si era resa conto che la natura era il “libro” base di ogni conoscenza possibile per i ragazzini della seconda infanzia, così pieni di domande e di forte immaginazione. Non dare “materie” tutte separate tra loro, ma le chiavi della conoscenza. Fin dalla Casa dei Bambini 3-6, età sensoriale per eccellenza, ha voluto favorire le prime esperienze di semina e insieme le parti della pianta, i tipi di foglie, corolle, rami, radici e le cinque classi dei Vertebrati. Ogni aspetto liberamente scelto, adoperato, disegnato, senza comandi, né spiegazioni da parte dell’adulto.


Poi nelle primarie cominciano gli approfondimenti: le differenze tra Monocotiledoni e Dicodiledoni, i “trucchi” delle piante per diffondere i loro semi, la conoscenza delle tante specie vegetali e animali, lo studio del Sistema Solare e delle zone climatiche terrestri. Fu però a Kodaikanal, di fronte a tanta rigogliosa diversità di piante e di animali, che mise in chiaro con l’aiuto del figlio Mario la concretezza di Acqua e Aria, l’armonia vitale della biosfera, il segreto dell’inesauribile varietà delle specie viventi, la presenza di vita anche negli ambienti più ostili. Cominciò a osservare nella piccola scuola, curata dalla sua allieva indiana Lena Wikramaratne insieme a Mario, il comportamento di taluni animali, cercando modi concreti per dare ai ragazzini tramite esperimenti e constatazioni fisiche, le leggi che dominano la Terra, l’evoluzione delle specie, la conoscenza delle ere geologiche, i vulcani, i ghiacciai, i deserti, il ciclo dei monsoni, le maree, la Luna, il Sistema Solare.


All’inizio della seconda infanzia, quando la loro mente non ha più i poteri assorbenti dei primi anni, i ragazzini mostrano di voler capire, conoscere i perché e i come della biosfera e dunque occorrono esperimenti, carte, uso della lente, del binoculare, e in seguito del microscopio e del binocolo. Piccole coltivazioni a confronto, uscite frequenti in natura.


Se faccio, capisco”: lo ha affermato in ritardo anche la scuola italiana, per restare poi ferma ad apprendimenti libreschi, sempre tra le quattro mura dell’aula, rendendo odioso anche questo studio. Lei invece cercava le risposte più consone di fronte alle domande dei ragazzini – quelle che loro stessi potevano verificare per ragionarci sopra: a che “servono” un lombrico e un falco, una farfalla o una pianta tutta spine? perché in montagna fa più freddo che al mare? Ce ne sono tante altre: è la Terra o il Sole a far venire la notte? Perché i grandi animali si trovano tutti dove fa molto caldo?


La geografia s’intreccia con la storia umana, le caratteristiche animali (bocche, becchi, artigli, occhi, mobilità, copertura esterna del corpo) in relazione all’ambiente in cui vivono. Uno stesso continuo adattamento lo dimostrano i vegetali. I ragazzini risposero con entusiasmo e di lì partì il progetto che poi verrà chiamato di educazione cosmica, con l’idea di diffondere amore per la natura fin dall’ infanzia, aiutandoli a sentirsi responsabili del benessere di Gaia che è anche il nostro.

Ma chi era questa Maria?

Un genitore mi chiede: “Ma è vero che Montessori era un po’ esoterica?” Di lei hanno detto di tutto: che era una teosofa, una sostenuta dalla Massoneria4, giudicata dai gesuiti “povera filosofa”, da altri preti – papa Montini tra questi – apprezzata per il rispetto dato a ogni bambino e la via di pace di cui è responsabile l’adulto. Altri ancora l’hanno vista come pericolosa voce del modernismo, (nei primi decenni del secolo, fu la grande paura della Curia vaticana, che indagò con modalità in parte simili al maccartismo americano del secondo dopoguerra). I pedagogisti “ufficiali” non sopportavano i suoi risultati (Un medico? Una donna? E di che s’impiccia?). La gente di sinistra l’ha criticata per le sue amicizie con aristocratici5, la gente di destra perché diminuiva le prerogative dell’adulto (si vedano le polemiche di G. Lombardo Radice).


Nel 1910 era stata fondata a Roma l’importante Associazione per gli Interessi del Mezzogiorno (ANIMI), tuttora attiva. Del gruppo facevano parte il barone e senatore Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino, Pasquale Villari, Giustino Fortunato, tutti meridionalisti di approfondita preparazione, convinti che il brigantaggio e altri gravi problemi potevano essere superati progressivamente non certo con sistemi polizieschi, ma con diverse condizioni di vita, a partire dalle scuole per i bambini. Umberto Zanotti Bianco dell’ANIMI contribuì a scoprire i tesori dell’antica Magna Grecia presenti nel territorio. Nei venti anni seguenti l’ANIMI aprì tante piccole Case dei Bambini in piccoli paesi dal basso Lazio alla Calabria: edifici semplici, molto curati nell’aspetto, all’interno con sobrie decorazioni di Duilio Cambellotti, artista all’epoca assai noto. Si preoccupò di preparare le maestre al nuovo rapporto con i bambini. Fu un’operazione culturale e sociale a favore di famiglie poverissime, per lo più analfabete. Un vasto impegno del tutto bloccato da Mussolini nel ’34.


All’estero, dove non interessavano le critiche tipicamente italiane, Montessori fu apprezzata dai protestanti inglesi e americani, dagli ebrei, dagli induisti, perfino dai severi sikk indiani. Alto credito le dettero in particolare i buddhisti che vedevano nelle proposte Montessori, attuate fin dall’infanzia, un grande aiuto per realizzare i sentieri indi cati dal Buddha. Non per questo era seguace di una di queste religioni. Certamente fu pacifista nel senso di voler raggiungere una relazione adulto-bambino non violenta.6


D’altra parte, ci sono oggi ampie ricerche per indicarla come pedagogista cristiana. Maria dopo gli anni Venti aveva pubblicato in merito alcuni testi in risposta a comunità cattoliche della Catalogna, dell’Italia e dell’Irlanda. Da notare inoltre che nei suoi corsi e scritti dell’epoca usava a volte termini tratti dai Vangeli, non perché fosse una devota osservante, ma per farsi capire meglio in ambienti educativi diffusamente cristiani. Almeno questa è l’opinione del romeno Ilie Sulea Firu, (laico), docente all’Università di Bucarest che l’ha conosciuta bene negli anni Trenta ed era molto amico sia di Mario Sr (laico), sia del montessoriano olandese Albert Joosten (cattolico). Non a caso – sottolineava Sulea – parlava con altri esempi nei corsi in India o in Pakistan.

Tanti differenti giudizi nella pettegola Italia non hanno impedito la diffusione di Scuole Montessori in Africa, Australia, Brasile, Canada, Corea, Cina, Hong Kong, India, Israele, Sri Lanka, in molti Stati americani, in alcuni Stati islamici come Egitto, Marocco, Tunisia, Iraq, Nepal e ovviamente in Europa (Austria, Belgio, Cecoslovacchia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Olanda, Norvegia, Polonia, Svezia e, dopo la guerra, in Spagna e in Russia da San Pietroburgo a Mosca). Questo non significa che siano tutte di elevata qualità, comunque un ventaglio di nomi e di luoghi che fa riflettere, molti dei quali aderenti all’Association Montessori Internationale (AMI). Si tratta però di isole felici, in gran parte private. Nelle scuole pubbliche persiste un po’ ovunque l’atteggiamento giudicante e punitivo degli adulti.

L’OMBIUS: “Lo faccio per il tuo bene” e giù un ceffone!

Quando Montessori, quasi ottantenne, si trova nella rigogliosa natura di Kodaikanal, continua a riflettere su “pregiudizi millenari, così universali che è difficile farli riconoscere per come sono “pregiudizi”, anche personali. Li vede come un contagio fra tutte le genti, una diffusa cecità nei confronti dell’infanzia di cui, senza rendersene realmente conto, è afflitta l’umanità intera. È come se, dalla notte dei tempi, perpetuata fino al presente, esistesse una diffusa Organizzazione del Male [che] in nome del Bene, [si è] Imposta all’Umanità con la Suggestione. In breve, l’acronimo OMBIUS.


Ne scrive in un piccolo libro Formazione dell’uomo. Pregiudizi e nebule, che uscirà in Italia nel 19497.


Esagera l’anziana signora? Eppure famiglie e scuole fanno ovunque uso del ricatto (non è immorale e perfino punibile dalla legge?), con il corredo di promesse e minacce, cui oggi si aggiungono il continuo “lasciar correre” e “fa’ come ti pare” per malinteso senso di libertà. E che dire della noia, di anni e anni d’infanzia afflitti da sistemi passivi di insegnamento, da immobilità contro natura, da ripetizioni obbligatorie uguali per tutti e nello stesso momento? E il divieto di fare cose insieme tra bambini? E le nozioni imposte tramite libri di testo rigorosamente identici, finalizzati ad apprendimenti teorici e a controlli collettivi? Mettiamoci anche il peso degli inutili, punitivi compiti a casa. Sono spariti i banchi, criticati da Maria, ma i Non alzarti! Non puoi andare dove ti pare!, sono rimasti gli stessi.


L’idea dell’OMBIUS non è, come ha affermato Augusto Scocchera, suo commentatore, “un’ombra oscura in una pedagogia luminosa” e tanto meno “una misteriosa, infernale creatura”, come ne ha scritto M. Schwegman in una discutibile biografia su di lei. Commenti che dicono: meglio considerarla una stranezza, che riconoscere e scoperchiare alla base una delle più antiche e consolidate radici di aggressività tra gli esseri umani.


Analogo concetto è stato espresso da Alice Miller, che, facendo proprie le ricerche di Katharina Rutschky sulla pedagogia nera8, ne ha descritto i tragici effetti sull’infanzia umiliata e brutalizzata di Hitler, in un pluriomicida di bambini, in una ragazza drogata. Lo stesso è stato verificato da altri sull’infanzia, altrettanto violentata, di Saddam Hussein.

Cambiamenti in vista?

Dai tempi di Rousseau non erano mancate voci annunciatrici di cambiamento pedagogico: i grandissimi Pestalozzi e Tolstoj, esempi rimasti isolati, ma anche il movimento Scout, inaugurato da Robert Baden Powell intorno al 1908, che mostrava grande fiducia nelle capacità dei più giovani. Montessori aveva cominciato dal 1898 con i ragazzini oligofrenici e poi nel 1906-7 con i piccoli di San Lorenzo. Agli inizi del Novecento era emersa la figura del catalano Francisco Ferrer y Guardia, anarchico, libertario e pacifista, che aveva aperto nel 1901 la Escuela moderna. “Educare equivale attualmente a domare, addomesticare”, denunciava Ferrer sostenendo che voti ed esami sono mezzi di controllo per inquadrare fin dall’infanzia i cittadini in un preciso sistema gerarchico. Il suo proposito era quello di realizzare un insegnamento razionale, affrontando argomenti giudicati “pericolosi” dai ben pensanti quali imparare a lavarsi, conoscere le scienze e la matematica, co-educare i due sessi, non far uso di voti che spingono i giovani all’adulazione, allo spiare, a umiliare i compagni più fragili. Liberi da dogmi e da imposizioni, i ragazzi potevano scegliere che cosa studiare, aiutarsi in esperienze concrete; conoscere e praticare di persona arti e mestieri. Per questo andavano spesso a visitare fabbriche, musei, parchi per osservare ambienti naturali e praticare una biologia viva, piuttosto che impararla su libri ben poco scientifici. Produceva egli stesso i testi necessari e preparava i maestri a questo nuovo modo di intendere l’educazione. Scuole gratuite, accessibili a tutti, corsi serali per i genitori o chiunque fosse interessato. In poco tempo sorsero almeno 120 scuole in Spagna e altre all’estero, irritando le autorità religiose e statali. Nel 1906 Ferrer venne arrestato con l’accusa, rivelatasi poi falsa, di aver organizzato un attentato contro re Alfonso XIII. La Escuela venne chiusa. Ferrer, malgrado ostilità e difficoltà d’ogni tipo, continuò nella sua azione finché nel 1909, durante la settimana di ribellione popolare contro la coscrizione di giovani da inviare in Africa per le guerre coloniali, con un pretesto fu di nuovo arrestato e dopo un processo-farsa del tribunale militare, condannato a morte. Inutili le proteste in Spagna e nel resto d’Europa, con interventi di persone autorevoli, tra queste anche Montessori. La monarchia sostenuta dai militari e la Chiesa spagnola tra le più rigide lo temevano al massimo e lo fecero fucilare, creando in tal modo un martire. Le sue scuole si diffusero più di prima in Europa, negli Stati Uniti, perfino in Asia e sopravvissero al loro ideatore fino agli inizi della II guerra mondiale.


Un’altra scuola fondata nel 1889 nel Derbyshire inglese dallo scozzese Cecil Reddle “The Abbotscholme School for boys” per studenti dalle elementari all’adolescenza, aveva finalità simili, ma con intenzioni meno radicali rispetto a Ferrer. Liberati dalle rigidità tipiche dei collegi tradizionali (divisa, cappello a cilindro e altro ancora) “la nuova scuola”9 promuoveva lo studio delle lingue antiche e moderne, arti e mestieri, il teatro e l’attività fisica basata sui principi dell’hebertismo10. Reddle esercitò forte influenza su vari pedagogisti del Novecento, come Hermann Liedz (1868-1919), convinto assertore dell’educazione nuova e attraverso costoro su Alice Franchetti e su Elisabeth Rotten.

Ancora sul panorama pedagogico agli inizi del ’900

La riscossa per un forte mutamento pedagogico divenne più energica dopo la disastrosa prima guerra mondiale. Il ginevrino Adolphe Ferrière11, nel ’20 visitò in Europa nuove scuole attente ai bisogni dei bambini e dei ragazzi. Apprezzava in particolare Montessori. Più volte aveva visitato a Milano la CdB e Scuola Elementare della Società Umanitaria dirette da Anna Fedeli. Si sedeva silenzioso in un angolo, con una tavoletta su cui annotava domande e risposte. Era la stessa bella scuola cui si ispirò proficuamente nel 1916 la ticinese Maria Boschetti Alberti12, per i cambiamenti cui desiderava arrivare per i suoi allievi. Anche lei ebbe vari incontri con Ferrière.


Questi visitò in Belgio La scuola de l’Ermitage – ècole par la vie pour la vie di Ovide Decroly, fondata nel 1907; la straordinaria Odenwaldschule per adolescenti fondata nel 1910 dai tedeschi Edith e Paul Geheeb che dovettero trasferirla in Svizzera all’arrivo dei nazisti. A questa si è in parte ispirata Maria Montessori per progettare gli Erdkinder e alla libertaria Summerhill, davvero insolita, creata dallo scozzese Alexander S. Neill nel 1921.


Negli stessi anni Ferrière entrò in contatto con la filosofa berlinese Elisabeth Rotten della “Società degli Amici” (Quaccheri), convinta pacifista. Grazie alle molte lingue che conosceva, riuscì a intrecciare rapporti tra persone con interessi affini: Ferrière e la pedagogista inglese Beatrice Ensor, del movimento teosofico, orientato a un’educazione non punitiva nella speranza di ostacolare nuove guerre. Uniti fondarono a Ginevra la Lega Internazionale per l’Educazione nuova che poi si dilatò nella New Education Fellowship (NEF), vasto movimento apolitico e pacifista (anche Einstein vi collaborò in alcune circostanze). Aperta a tutte le fedi religiose, la NEF organizzò congressi sempre molto affollati. Il primo a Calais nel 1921, con oltre cento presenze da molti paesi; il secondo nel 1923 a Montreux cui parteciparono Jaques-Dalcroze, il creatore dell’educazione ritmica gli psicoanalisti Jung e Adler, di diverso orientamento. Il terzo congresso NEF fu ad Heidelberg nel 1925, il quarto nel 1929 a Helsingor, nel castello di Amleto; il quinto a Nizza nel 1932.


Montessori intervenne solo a questi ultimi due. A Helsingor con i numerosi sostenitori presenti, fondò l’AMI. Intanto nel 1925 a Ginevra Ferrière e la Rotten avevano avviato il Bureau International d’Education (BIE), con lo psichiatra Pierre Bovet (presidente) e lo psicologo Edouard Claparède, allo scopo di promuovere l’educazione attiva, termine creato da Ferrière. Nel 1932 il BIE invitò Montessori a parlare su “Educazione e pace”, tema per lei centrale in quegli anni, sempre più minacciosi. Dopo gli anni Sessanta il BIE si trasformò nell’UNESCO13.


Tutte queste realizzazioni, con sfumature diverse, avevano molti aspetti in comune: abolizione di voti e di punizioni; classi con età miste e coeducazione dei sessi; attenzione alle esperienze nella natura, alle arti, alla musica, al teatro; grande libertà di scelta nelle attività; impostazione pacifica dei rapporti adulti-bambini. Nell’insieme una nuova considerazione dell’infanzia, anche se quasi mai il cambiamento arrivò a intaccare le istituzioni pubbliche. Nel novero di tante proposte attive solo Montessori si era mossa dalla prima infanzia, con l’educazione sensoriale, base per le future attività di studio. Aveva predisposto anche serie di oggetti rispondenti a ciascuno dei cinque sensi, per i quali si era in parte ispirata alle esperienze dei medici francesi Itard e Séguin e in parte li aveva sperimentati lei stessa per due anni con ragazzini tolti dal manicomio di Roma e condotti con successo agli esami come i “normali”. Un successo che l’aveva resa famosa. Proprio questo materiale sensoriale venne preso di mira da più parti, come limite alla fantasia, adatto solo a bambini con problemi e costoso (invece può durare anche oltre trent’anni). È trascorso oltre un secolo e dove esso viene presentato in un ambiente ordinato, senza imposizione, mostra di non aver perso il suo fascino per i bambini 3-6 anni. Basato sull’attività liberamente scelta, consente a ciascun bambino di riparare da sé all’eventuale errore, purché l’adulto non intervenga mai a correggere. Requisito molto apprezzato anche dai bambini di oggi, super-stimolati, sommersi da continui giochi usa-e-getta. Viceversa la concretezza di ogni esperienza sensoriale così acquisita porta alla formazione di concetti netti per uguaglianze e similitudini, creando una base solida sul piano logico e operativo nella psicoaritmetica, psicogeometria, psicogrammatica, psicomusica [scienze in aiuto allo sviluppo della mente], non certo sostituibili con lezioni collettive, date oralmente dall’adulto, basate sull’uso dei pennarelli e sui giochi del far finta, continuamente valutate e i cui risultati sono posti a confronto tra loro. Le conseguenze sul piano emotivo ed etico sono evidentemente molto diverse.

Dopo la seconda guerra la vita ricomincia

Nel secondo dopoguerra ritornò un po’ ovunque un intenso periodo di rinascita dell’educazione attiva, anzitutto tramite i CEMEA, creati in Francia nel 1936, soprattutto per organizzare vacanze di qualità per ragazzini e adolescenti. Rinati dopo il 1945-47 e diffusi in paesi francofoni anche fuori d’Europa, in Italia ebbero molto peso negli anni 1950-70 grazie al gruppo fiorentino dell’Università di Firenze con Lamberto Borghi, Gastone Tassinari, Margherita Fasolo, Marcello Trentanove, il neuropsichiatra Adriano Milani Comparetti (fratello di don Milani), i coniugi Codignola, fondatori a Firenze di Scuola-Città Pestalozzi. Non ultima Lina Mannucci, che diede vita per vari anni a vacanze invernali ed estive di qualità per i figli dei dipendenti dell’azienda di Adriano Olivetti a Ivrea e poi fondò a Firenze un’ottima scuola dell’infanzia14. È stato un ampio movimento per la formazione di educatori, docenti, medici e infermieri prima della riforma Basaglia, che si svolse in un’ottica laica15, malgrado l’opposizione delle gerarchie religiose a proposte di libertà di pensiero e di azione.


Per contro, da parte cattolica, spicca l’esempio del tutto originale di don Lorenzo Milani per un cristianesimo coerente, a partire dall’obiezione di coscienza al servizio militare con l’attacco ai cappellani militari che benedivano le armi, alla scuola pubblica classista, ferma su modelli non più accettabili. Quando dichiarò che l’obbedienza a fini sbagliati non è più una virtù, si tentò di metterlo a tacere mandandolo nella minuscola parrocchia di Barbiana. Lì svolse la sua missione di prete facendo il maestro con il motto “I care16 (mi prendo cura), in una piccola scuola dove aiutò gli allievi di famiglie non certo ricche e colte a cercare la verità dei fatti e il coraggio di scriverne.


L’altro polo di grande interesse si aprì a sinistra con il contributo del maestro francese Célestin Freinet17 che proponeva la tipografia in classe, la corrispondenza interscolastica, lo schedario autocorrettivo e le monografie su vari argomenti costruite dai ragazzi stessi contro i libri di testo, in Italia regalati dallo Stato. Lettere e volumetti erano spesso illustrati da linoleografie, da loro incise su linoleum e risultanti in bellissimi bianco e nero18. Il tutto ben poco apprezzato a destra e dai cattolici. Freinet fondò in Francia il Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), che ebbe seguito in Italia dal 1951 con Pino Tamagnini, Aldo Pettini, Maria Luisa Bigiaretti e tanti altri. Quando la tipografia scomparve a causa delle nuove tecnologie, non sono mancati altri maestri eccellenti come Mario Lodi e più di recente, Franco Lorenzoni, entrambi con grandi aperture culturali, attenti al gioco, al territorio, alla natura, attivi nella formazione di colleghi più o meno giovani per una scuola in ascolto dei bambini e dei ragazzi.


Terzo punto-guida fu dal 1947 il Villaggio del CEIS (Centro Educativo Italo Svizzero), creato da Margherita Zoebeli nella Rimini distrutta dai bombardamenti, con l’aiuto del Dono Svizzero (istituto fondato dalla Rotten allo scopo di aiutare nel dopo guerra comunità infantili in difficoltà). Il CEIS tuttora attivo fu costantemente innovatore, grazie all’apertura mentale di Margherita, alla sua vasta esperienza individuale e sociale. Anche lei attenta a ogni possibile aspetto educativo: oltre il lavoro nelle classi, la musica curata al massimo, il Villaggio si apriva alla natura, alla città con feste annuali in cui non mancavano danze e spettacoli; accoglieva bambini in difficoltà con gli altri, curava la formazione continua degli adulti.


Nella stessa epoca Elisabeth Rotten, ormai sessantenne, sempre indomabile, sostiene l’amico Walter Robert Corti nel costruire a Trogen (Cantone di Appenzell) un Villaggio, poi intestato a Pestalozzi, per accogliere orfani di guerra. Questo esiste tuttora e con le stesse finalità per dare un’opportunità di formazione sicura e aperta a bambini orfani e adolescenti “non accompagnati” dalle tante regioni in guerra. Lei, che si dichiarava da sempre “montessoriana”, partecipò a San Remo 22-27 agosto 1949 all’VIII Congresso Internazionale Montessori, il primo dopo il conflitto mondiale, organizzato da Maria, che era tornata dall’India dal 1947.


È lì che ebbi occasione d’incontrare questa donna, minuta nell’aspetto, ma di straordinaria energia, al servizio degli altri.

Perché tanta ricchezza è andata perduta?

Perché l’OMBIUS ha continuato e continua a trionfare? Finora nessuno è riuscito a scalfire su larga scala il macigno mascherato d’amore ai danni dell’infanzia. Non si sopportano gli innovatori. Un’analisi particolareggiata dei motivi non è semplice. Certo abbiamo attraversato un secolo insanguinato come nessun altro in passato, tradendo le speranze di donne e uomini di buon senso. Da una prima guerra devastante a una seconda ancor più mostruosa, l’Europa è stata sommersa dagli inganni della retorica mussoliniana, dalla repressione franchista, dagli orrori del nazismo, dello stalinismo e di altri loro imitatori. Da noi in particolare la dittatura fascista, resasi colpevole di non pochi delitti in Europa e in Africa orientale, si è alleata con i nazisti in un velenoso antisemitismo e in un malcostume diffuso, pree postbellico, mai realmente risolti.


Nel 1934 le numerose scuole Montessori, esistenti dalla Lombardia alla Calabria, furono immediatamente trasformate in materne agazziane, gestite in gran parte da ordini religiosi. Dopo la seconda guerra, Montessori fu ancora osteggiata da destra e da sinistra, sempre per motivi ideologici e considerata “un fossile” nelle facoltà universitarie. Non poteva essere diversamente, data la staticità delle strutture scolastiche, che continuò negli anni della rinascita economica (il famoso boom). Con gli aiuti americani si imposero le leggi del consumismo, non solo di oggetti, ma anche di idee. Ogni novità in arrivo dagli Stati Uniti, è tuttora acriticamente accettata. Paese quasi sempre vincitore, diffonde comunque il suo modello di sviluppo economico. Abbiamo imparato anche noi la produzione illimitata di oggetti, nata da designer creativi che, con uno sterminato consumo di materie prime, ha favorito livelli di inquinamento oggi non più risolvibili19.


Oltre ai problemi sociali, nelle famiglie l’OMBIUS sta oggi assumendo la veste di non cura della prole, indifferenza e abbandono precoce. Pensiamo alle migliaia di parti e nascite sempre più medicalizzati, neonati subito separati dalle madri o affidati ad altri a 2-3 mesi di vita per motivi di lavoro o per la difficoltà a sostenere le attenzioni quotidiane dovute a un piccolo: che però rischia di vivere il primo anno lontano da legami stabili e affettuosi. Di pari passo all’incuria dell’ambiente, stiamo perdendo di vista il valore unico e irripetibile della “lunga infanzia umana”.


L’indifferenza e la fretta dei tempi attuali hanno rotto ogni argine nei confronti dei minori: assistiamo a bambini e bambine violentati e prostituiti, obbligati – come denunciava già Montessori a fine Ottocento – a lavori durissimi, lasciati morire in mare da nuove leggi perverse, sofferenti nei campi profughi, piccoli soldati addestrati ad armi potenti, usati come corrieri della droga o per attraversare campi minati… All’opposto i piccoli di casa nostra “drogati” fin dal primo anno dall’uso onnipresente di televisione e cellulari.


La società intera forma un inconscio collettivo, dove tutti agiscono d’accordo, allontanando e deprimendo il bambino, [affermando di agire] per il suo bene” con senso di doloroso dovere e perfino di sacrificio, notava Montessori parlando dell’umanità in cammino inconsapevole per diventare Nazione Unica.20 Intanto ogni bambino cresce: che cosa porta nella vita adulta del suo inconscio “pozzo di dolore21? Che cosa opporre all’OMBIUS? Maria propone nuove modalità di rapporti con bambini e ragazzi, a partire da una consapevole e continua formazione degli adulti. Forse è una visione utopistica, ma può aiutare a riflettere e ad agire in modo sano e cosciente: Una Via d’Amore Attraverso il Bambino. Con un’altra sigla: il VAHIB.

Il contributo originale di Montessori

Maria si era laureata nel 1896 in medicina e chirurgia, interessata alla psichiatria tra le pochissime donne di fine secolo. All’epoca le scienze avevano assunto via via l’orientamento positivista, movimento di pensiero che si opponeva all’idealismo imperante (il trionfo delle idee sulla realtà), affermando che “prima si osservano i fatti, se ne deducono ipotesi – niente è immutabile – quindi eventuali teorie e modalità di intervento”. Tra i vari settori di studio, il positivismo modificò la medicina, il rapporto medico-paziente, il trattamento di persone disabili e così via. Malgrado l’ambiente esclusivamente maschile della facoltà medica, Maria seppe farsi valere durante gli studi vincendo il premio Rolli, prima tra i colleghi maschi. S’impegnò accanto ad Anna Fraentzel, moglie di Angelo Celli22, nell’ambulatorio trasteverino “La Scarpetta” in aiuto alle madri più povere per i loro piccoli. Nel 1896, appena laureata entrò nel gruppo femminista romano contribuendo con la scrittura di articoli e di manifesti alla difficile e allora deludente lotta per il diritto di voto. Tra le rivendicazioni del ruolo femminile nella società, ci fu la sua opposizione a Cesare Lombroso, allora celebre, che sosteneva “una pretesa inferiorità cerebrale della donna come un arresto di sviluppo infantile rispetto all’uomo”. Tesi priva di fondamento che Maria confutò con molta chiarezza nel suo Antropologia Pedagogica23. Il suo passato femminista è stato a lungo ignorato anche in ambiente montessoriano, ma rivalutato negli anni Novanta. Si veda La giovane Montessori di Enzo Catarsi, 1998.24


Il lavoro all’università la portò a collaborare con il collega Giuseppe Ferruccio Montesano (1986-1961) per salvare dai manicomi e dall’isolamento ragazzini con deficit di vario tipo. Insieme a Clodomiro Bonfigli e altri crearono la Lega per la protezione dei fanciulli deficienti che ebbe, grazie all’impegno personale di Maria, una forte ripercussione sull’opinione pubblica.


Nel contempo tra lei e Montesano sorse un intenso legame e nel maggio del ’98 nacque il loro figlio Mario25. Il perbenismo ottocentesco, forse sua madre Renilde o altri motivi che ignoriamo costrinsero Maria a dare il bambino in baliatico alla famiglia Traversa di Vicovaro, vicino a Roma. Andò spesso a trovarlo, senza fargli sapere di essere sua madre. Montesano, che l’aveva legalmente riconosciuto, lo affidò in seguito a un decoroso collegio in Toscana, ma i rapporti con Maria non ebbero alcun seguito. Nel 1913 Maria prenderà con sé il figlio, che diventerà col tempo il suo più importante collaboratore e interprete.


All’impostazione positivista, basata sull’osservazione diretta e minuziosa, Montessori rimase sempre fedele. Non immaginò mai il neonato, il bambino di 3 anni, il ragazzino di 10 o l’adolescente come esseri vuoti, da guidare costantemente alla stregua di cani al guinzaglio con promesse, ricatti e punizioni d’ogni tipo. Piuttosto li osservò per capire che cosa esprimessero in desideri e interessi e solo dopo agire di conseguenza. “Guarda i bambini come Fabre osservava gli insetti nel loro ambiente senza alterarlo”, scrisse di lei il giornalista americano Sam McClure, che nel 1915 le organizzò il primo viaggio per San Francisco e ve l’accompagnò. Maria aveva messo in pratica questo criterio già quando aveva lavorato per due anni con i ragazzini tolti dal manicomio: “il mio solo titolo in pedagogia”, scriverà nel Metodo del 1909.26 Un’idea scomoda per gli adulti che non intendono rinunziare alle loro certezze per mettersi al “servizio della vita”, sperimentando l’apprendimento dell’incertezza27.

Sembra riflettere Montessori: “non so che cosa presenti ogni bambino o ragazzino con cui ho a che fare, ma è da lui che devo partire, è lui che mi insegna, che pone domande. A me il compito non di pungolare, ma di rispondere”. Al centro della relazione educativa occorre porre il bambino e non l’adulto, come da secoli si è sempre fatto: una lunga storia di aggressività e di violenze che nessuna riflessione filosofica o credo religioso sono riusciti a scalfire. Il motto “Segui il bambino” proposto da Maria Montessori rovescia la relazione con l’adulto. Non più lotta, ma comprensione dei bisogni e delle potenzialità individuali che, a lungo termine, può diventare, strumento di pace. Lo si constata osservando comunità di giovanissimi, concentrati su azioni da loro autonomamente scelte, liberi di muoversi e di parlare tra loro, in una calma operosa nel tempo e nello spazio.


Nelle scuole Montessori questo si raggiunge a partire da due regole essenziali:

* Rimettere a posto ogni oggetto usato

* Non togliere mai un oggetto a un compagno.


Si sperimenta l’attesa paziente: c’è un tempo per tutto. Quanto all’ordine, ne è responsabile in primo luogo l’adulto in quanto organizza gli spazi con oculatezza e rispetto dei bambini presenti. Un progetto rivoluzionario, forte e complesso, in cui non si danno premi, né voti, né punizioni. Mai vengono proposti stimoli, confronti, esclusioni moralistiche: ai genitori come agli educatori, è richiesta una profonda conversione dei criteri tradizionali. Quando un bambino, già in stato di sofferenza per repressioni e minacce in vario modo subite (il povero Franti del vecchio Cuore!), entra in un luogo di pace e di attività interessanti, rapidamente modifica il suo comportamento: è il fenomeno che Maria chiamerà “normalizzazione”28. Il bambino normale non è quello intelligente, ma rissoso, ribelle, pavido, litigioso ecc., (“È così per natura”, si dice), ma quello che sa controllare i propri impulsi, sa aspettare, ascoltare, attivo e socievole e ha raggiunto da sé questo stato attraverso l’attività, la ripetitività spontaneamente adottata, lo stato di concentrazione nella condivisione con altri. Si è “normalizzato”, lasciando emergere la sua vera natura, creativa e originale.


Sradicare teorie e pregiudizi vecchi di secoli, condivisi da milioni di persone è quanto mai difficile. I cambiamenti sostanziali sono lentissimi. Di attenzione ai bambini si parla nel Vangelo e sono all’epoca di Roma Imperiale ne scrivono sia Giovenale con il suo “Maxima debetur puero reverentia29 (grande rispetto si deve al bambino) e Quintiliano con i suoi 12 libri di Istitutio oratoria.30


Venti secoli più tardi Maria cerca di stabilire contatti, ovunque fosse possibile, per mostrare una modalità impostata sul rispetto dei più piccoli. Mussolini è colpito dall’idea dell’alfabetizzazione precoce che ha fatto il giro del mondo. Le fa ponti d’oro e lei dapprima si adatta pur di salvare quello che già è stato avviato, ma quando il rapporto diventa di chiusura e di controllo, taglia i ponti e lascia l’Italia nel 1934, senza più tornarvi fino al 1947. I critici possono affibbiarle molte etichette, ma è difficile incasellarla in questo o in quel movimento.


Anche la pretesa di quanti vogliono definirla “pedagogista cristiana” non ha grande fondamento, non era una pedagogista e se ha certamente avuto tra gli anni Venti e Trenta importanti contatti con le Francescane di via Giusti, con la Madre Tincani31 e con le esperienze catalane avviate da Maccheroni, oltre che l’incontro con don Sturzo, non per questo si è mostrata in seguito una fervente cattolica. Rispetto ai fenomeni della biosfera ha cercato ed esaminato fatti inerenti a interpretazioni di tipo eto ed ecologico, non certo fideistico.

La “lunga infanzia umana”

Uno degli aspetti più interessanti è stato il suo riflettere sulle trasformazioni proprie di ogni essere umano durante la sua crescita. Differenze in una continuità come un’onda composta da quattro susseguenti piani di sviluppo: 0-6 prima infanzia; 6-12 seconda infanzia (un tempo chiamata fanciullezza); 12-18 adolescenza; 18-24, giovinezza. Fasi in un continuum in cui si osservano i cicli di ogni vivente. Si pensi agli insetti: ovulo fecondato, bruco, crisalide, farfalla. Ma negli esseri umani tali fasi non sono altrettanto considerate nella realtà quotidiana, salvo suddividerle in porzioni scolastiche. Nella pratica si trattano i piccoli come se fossero già adulti e gli adolescenti come irresponsabili al pari di bambinelli. Le scuole di ogni ordine e grado, rigidamente omogenee per età, si reggono sulla competizione elevata al massimo e quindi sul giudizio continuo, culminante in verifiche, esami, diplomi. Siamo ancora al “dividere per regnare” caro ai re di Macedonia, di Francia o agli Asburgo. Nella vecchia pedagogia: “separa e reprimi per ottenere obbedienza”. Il potere è in mano agli adulti: un modello che si è rivelato nel tempo sempre più fallimentare.


Montessori, in base alle sue osservazioni, ha proposto una scuola completamente diversa, dai più piccoli ai grandi, in cui si notano fattori ricorrenti:

  • il concetto di mente assorbente e la scoperta dei tre periodi sensitivi (ordine, linguaggio, movimento) limitati ai primi 2-3 anni di vita;
  • ripetizione spontanea e concentrazione che esigono massimo rispetto: evitare interruzioni, tanto meno usare la distrazione per indurre azioni o comportamenti diversi;
  • libertà di movimento, di scelta e di uso degli oggetti entro le due regole sopra ricordate, che allena indirettamente e fin dai primi anni alla responsabilità personale e al rispetto degli altri;
  • “aiutami a fare da solo”: mai sostituirsi al bambino in ciò che sa fare da sé: ovvero sostenerne l’indipendenza, quale preludio all’autonomia; [“L’adulto non deve mai sostituirsi al bambino” scrive nel Segreto dell’infanzia32];
  • l’eventuale errore è facilmente riscontrabile, se ogni oggetto o azione presentino in sé tale opportunità.

Basi del lavoro a ogni livello, dal nido alla scuola media sono:

  • gruppi eterogenei al massimo (età, sesso, religione, lingua, etnia, censo, colore di pelle o di capelli, cultura, capacità personali);
  • ogni oggetto o materiale di uso comune è in copia unica. Ci possono essere varianti più semplici o più articolate, mai doppioni. Questo aumenta le opportunità di scelta, aiuta di per sé a sperimentare l’attesa, previene la competizione;
  • ogni attività ha un proprio valore: dalla scopa alle forbici, dall’incastro più semplice al materiale più complesso, come ogni ambiente (i bagni, gli armadi, le varie stanze, il giardino) esige la stessa cura (funzionalità e dimensioni degli oggetti, ordine, pulizia). Le cose sono di tutti e tutti le rispettano, perfino i piccoli dei 20-24 mesi lo capiscono e si regolano di conseguenza, senza raccomandazioni;
  • il garbo nell’uso degli oggetti, il controllo della voce si assimilano dall’esempio degli adulti: non si chiama alcuno da lontano, si saluta, si ringrazia, si usa ogni oggetto con cautela e calma;
  • l’adulto cura di continuo l’ambiente: con le relative proposte di attività, tutte esposte ad altezza di occhi e di mani per le scelte personali, sorveglia i propri gesti, interviene il meno possibile, incoraggia in modo indiretto chi non osa scegliere. Il bambino che impedisce la tranquillità degli altri, è seguito da vicino, aiutato a trovare pace tramite la scelta di attività per lui interessanti. Il criterio generale in tutte le fasi di crescita è, come già detto, “segui il bambino”. Se necessario, l’adulto cambia o aggiunge particolari dell’ambiente con accurata attenzione a ciascuno dei presenti. A ogni livello una nutrita biblioteca e un angolo di “vita pratica”, per il piacere distensivo di adoperare l’acqua dei piccoli, le attività con colori, creta e per gli esperimenti per i più grandi.

Le prime allieve e i primi allievi

Fin dai primi anni del suo lavoro con i bambini, Maria ebbe attorno a sé il sostegno di giovani donne che subito colsero la novità della sua proposta nel panorama moralistico e rigido della scuola d’ inizio Novecento. Tanto intenso fu l’entusiasmo delle prime scoperte, che Maria era quasi sul punto di creare con le amiche a lei più affini una sorta di gruppo spirituale di grande riserbo e riflessione.


Dopo gli anni Dieci le cose andarono diversamente, soprattutto quando dopo la morte nel 1912 di sua madre, ella poté prendere con sé il figlio. “La donna più celebre del momento”, la definì nel 1915 la stampa americana, quando arrivò negli Stati Uniti. Da allora in poi, ovunque andasse, senza timore del nuovo, raccontava ciò che aveva visto e che continuava a constatare in tante scuole.


Le prime allieve diffusero a largo raggio questo sguardo innovativo sull’infanzia: “i bambini sono diversi, sono i nostri maestri”.33 La

Catalogna in particolare, poi l’Olanda e l’Inghilterra furono i paesi più ospitali; ma anche l’Austria prima che si scatenasse il regime nazista, grazie a Lili Roubiczek Peller (Praga 1898-N.Y. 1966) e all’incontro con Anna Freud, che lavorò come maestra nella CdB, costruita nella Rudolfplatz secondo i criteri della Bauhaus34 prima di mettersi in salvo con il padre in Inghilterra.

La prima allieva americana (1910), Anne George, tradusse “il Metodo” e aprì nel 1913 a Tarrytown (N.Y.) una CdB, la prima in USA. Seguirono Rosy Chotzen Joosten (1850-1993) ad Amsterdam e, trent’anni dopo, suo figlio Albert (Abs) Joosten, (1914-1980) attivo dopo la seconda guerra mondiale soprattutto in India.


Inoltre, Claude Claremont (1890-1967) che insegnò a Londra, fu anche interprete e traduttore di suoi testi in collaborazione con la moglie Francesca, di origine italiana; Edwin M. Standing (1887-1967), nato in Madagascar da genitori missionari quaccheri, che lavorò in India come educatore privato per vari anni. Nel 1921 seguì un corso Montessori e nel 1923 si fece cattolico. Divenne amico diretto dei Montessori e per oltre trent’anni s’impegnò come insegnante e formatore in varie regioni e Stati.35


La grande tragedia collettiva del ’900 ha colpito in vario modo molti suoi allievi, che desidero qui in modo sommario ricordare:

Ilie Sulea Firu, (Oravitza, Banato 1906 – Bucarest 2011), docente all’Università di Bucarest. Dopo aver frequentato il corso di Roma nel 1931, tentò di avviare una CdB, ma l’esperienza fu di breve durata36 per difficoltà economiche. In seguito, riuscì a mantenere vivi i rapporti con Mario Sr. e con A. Joosten, ma la dittatura di Ceaușescu tra il 1974 e il 1989 segnò tragicamente i suoi ultimi anni. A Parigi dai primi anni Trenta Georgette Fray, (1893-1996), moglie dell’autore di teatro Jean Jacques Bernard, fu l’importante traduttrice di Montessori. Entrambi arrestati dalla Gestapo, si salvarono, ma François-René, il figlio maggiore, fu ucciso a Buchenwald. Nel dopoguerra aprirono un’esemplare CdB e Scuola elementare nella loro casa e guidarono numerosi corsi. La seconda figlia Anne Marie, diplomata AMI, continuò a lungo il loro impegno formativo.


Ersébet Burchard-Belaváry (1897-1987) chiamata da Maria “Elisabetta d’Ungheria”, diplomatasi Montessori, passò alcuni anni in Olanda per approfondirne l’attuazione pratica. A Budapest aprì una CdB privata dal 1928 al 1941 e fu attiva nel proteggere bambini minacciati dall’odio nazista. Riprese dopo la guerra l’impegno di corsi formativi e ricevette importanti riconoscimenti alla sua esperienza, pubblicando una rivista e vari libri in ungherese.


Clara Grunwald (1877-1943), berlinese, figlia di un rabbino, aveva frequentato, con l’amica Elsa Ocs, che conosceva l’italiano, il 2° corso internazionale a Roma nel 1914. Divenuta insegnante, constatò la rigidità dell’educazione tedesca e la grande miseria in cui vivevano le famiglie operaie; giunse così a scegliere il credo pacifista dei Quaccheri insieme agli ideali socialisti di giustizia e libertà. Inizialmente in accordo con Montessori cominciò a diffonderne il più possibile idee e proposte tramite conferenze e corsi, creando nel 1919 a Lankwitz / Tempelhof una Kinderhaus (CdB) esemplare. In seguito riuscì a farne aprire in altri quartieri di Berlino e poi in altre regioni, malgrado l’ostilità dei froebeliani. Promosse la DMK, associazione Montessori tedesca, anche a sostegno delle CdB che erano in continue difficoltà, dando generosamente di sé e vivendo di poco. Nel 1929, periodo di grave crisi economica, entrò in conflitto con la Montessori e altri membri dell’AMI, i quali vollero istituirne a Berlino una sezione, disconoscendo il suo lavoro. Clara si ritirò da tutti gli impegni già presi, pur continuando a lavorare con gruppi di bambini. Nel 1933, dopo la “Conferenza di Wallensee” in cui i capi nazisti decisero la “soluzione finale per gli ebrei”, la persecuzione ebbe inizio e nel 1936 tutte le scuole Montessori vennero chiuse. Elsa emigrò in America, mentre Clara – aveva già 66 anni – volle restare per favorire al massimo l’espatrio di bambini ebrei. Nel 1943 arrivò per lei e per i bambini a lei affidati l’ordine per Auschwitz. Era molto conosciuta e un funzionario cercò di aiutarla: ma lei rifiutò di lasciare i piccoli fino all’ultimo37 e morì con loro.

Julia Ivanovna Faussek (Kerc, oggi Tavria, Crimea, 1863 – Leningrado 1942). Di famiglia numerosa, era particolarmente legata al fratello maggiore Nicolaj. Il padre Ivan Andrusof nel 1870 morì in mare. La madre superò gravi difficoltà divenendo famosa in città come cuoca, tanto da far studiare i figli. Nicolaj appassionato alla storia antica della Crimea, scoprì con Julia vasi e altri reperti molto antichi che, più tardi, divenuto geo-palentologo, lasciò al Museo di Kerc. Julia si trasferì a San Pietroburgo per studi anche scientifici. Tra i suoi maestri, Mendelejev, creatore della tavola periodica degli elementi. A vent’anni si laureò e cominciò a insegnare storia naturale in un ginnasio femminile. Molto apprezzata in sede universitaria, vi entrò come docente, collaborando con lo zoologo marino Victor Faussek. Si sposarono ed ebbero quattro figli. Vissero alcuni anni a Napoli, presso la celebre Stazione zoologica, per gli studi del marito che ebbero esito importante. Dopo anni felici, la vita di Julia fu attraversata da gravi lutti. Il maggiore dei figli si suicidò giovanissimo per una delusione d’amore e Victor, depresso e indebolito, si ammalò e in seguito a un’operazione morì nel 1910. Nicolaj e sua moglie Nadezhda (Nadia) Schlieman (figlia dello scopritore di Troia) le dettero molto conforto, ma Julia cadde in profonda depressione, finché le cose cambiarono. 


“Nel 1912 lessi nel giornale Vestuik Vospitania [Messaggero dell’educazione] un articolo di E.N. Janzul su un giardino d’infanzia in Italia38 (…). Nell’estate 1913, mentre ero sul mar Baltico, sentìi parlare di un mio vicino piuttosto anziano, un fisico di nome V.V. Lermontov, considerato uno che delirava. Volli conoscerlo e vidi che non era affatto matto. Parlava di Maria Montessori con un entusiasmo che mi toccò profondamente. Si era fatto arrivare da Londra tutto il materiale e l’aveva studiato a fondo”


Lermontov fu conquistato dalla personalità di Julia; le insegnò tutto quanto sapeva. Il 10 ottobre 1913 Julia aprì a San Pietroburgo in via Spalérnaja n.7 la prima CdB in Russia. Nell’estate del 1914 venne inviata in Italia dal Ministero Educazione Popolare per vedere di persona le CdB. “Quello che ho vissuto a Roma ha superato tutte le mie aspettative”. Vi si recò con un’amica di gioventù, Tatiana, figlia di Tolstoj e incontrò Montessori39 per chiederle come organizzare CdB in Russia. Maria, molto interessata, le suggerì semplici accortezze per cambiare le cose. Al ritorno Julia descrisse quanto visto nel piccolo libro: Un mese a Roma nelle Case dei Bambini di Maria Montessori.40 L’entusiasmo provato la indusse a ricominciare. Nella Pasqua 1915 organizzò un convegno esponendo i materiali, visite alla sua piccola scuola, scrisse articoli e offrì consulenza gratuita. Negli inverni 1916 e 1917 tenne corsi per CdB, ma le sue speranza naufragarono per le condizioni di vita e l’inizio della guerra. Dopo la Rivoluzione d’ottobre 1917 crebbero fame e miseria “I bambini sono stati derubati della loro infanzia” annotò, senza arrendersi. Aprì una nuova CdB. in via Ofizérskaya, in un ginnasio chiuso nel 1917. La frequenza aumentò fino a 40 piccoli. Tenne corsi su Froebel e Montessori, confrontandoli con esperienze pratiche. Nel 1920 aprì nell’Università la terza CdB proponendo ricerche, tirocini osservativi, uso dei materiali e della ricca biblioteca. Nell’ ottobre 1923 l’Università la invitò a parlare delle sue decennali esperienze in un convegno che ne inviò informazione a Montessori. 


Morto Lenin (21 gennaio 1924) la città cambiò nome in Leningrad. Nel 1925 Julia decise di visitare Scuole Montessori in Europa e per il viaggio chiese aiuto a Nadezda Krupskaja41 che le dette 500 rubli. Malgrado il poco denaro, visitò anche scuole elementari Montessori in Olanda e in Germania. Alla fine tornò a Roma e incontrò di nuovo Montessori, che la incoraggiò donandole una foto con dedica. Dopo il 1925 le idee Montessori furono considerate inaccettabili per i bambini sovietici. Nel 1930, dopo la chiusura di tutte le CdB e malgrado ulteriori impedimenti, Julia continuò nel suo impegno, guadagnando appena da vivere, scrivendo i suoi pensieri “per le generazioni future”. Nel 1937, in pieno stalinismo, uno dei suoi figli (di 37 anni) e sua moglie, accusati di spionaggio, furono entrambi fucilati.42 Dal settembre 1941 i nazisti cominciarono l’assedio di Leningrad, che si concluse nel gennaio 1944 con la loro disfatta. In meno di tre anni era morto circa un milione di persone. soprattutto per fame. Julia si trovò a 79 anni in questa terribile esperienza. Il 15 luglio 1941 iniziò un nuovo testo, ma non lo finì. Sua figlia voleva uccidersi, ma lei la pregò di resistere per conservare il suo lavoro e affidarlo a mani sicure. La figlia l’accontentò. Julia morì di fame nel febbraio 1942 e fu sepolta in una ignota fossa comune, con molti altri insieme a lei.


Oggi gli scritti di Julia e le osservazioni sui bambini del suo tempo sono valorizzati soprattutto per merito di Elena Hiltunen che, avendo scoperto in anni maturi Montessori e insieme l’impegno di Julia, ha pubblicato vari testi di Montessori e propri, anche per i genitori. Ha diretto per anni la rivista “Montessori” in cirillico, attraverso un preciso, continuo impegno formativo, ha promosso una rete di oltre 3.000 strutture dai primi anni ai 12, da San Pietroburgo – tornata al suo antico nome – fino agli Urali.

Alice Hallgarten Franchetti (1874-1911). Nata a New York da ricca famiglia, plurilingue e molto colta, d’intensa spiritualità, attiva nel fare e con grande senso di giustizia, dopo alcuni viaggi in Europa, si stabilì a Roma. Conobbe l’allora tragica situazione del rione di San Lorenzo e cercò aiuti per cambiare concretamente le cose. Incontrò lì casualmente il barone Franchetti: simpatizzarono subito, tanto che si sposarono nel 1900. Alice scoprì in quali condizioni abitative vivessero le famiglie che lavoravano le loro terre. Volle che avessero case più confortevoli – con i vetri alle finestre per ripararsi dal freddo invernale – e istituì scuole per i bambini fino alla sesta elementare, sull’esemoio di quelle viste in Germania ad opera da Hermann Lietz. Con il costante appoggio del marito, cercò in ogni modo di valorizzare l’abilità delle contadine nel tessere finissimi teli di lino e di cotone per i loro corredi. Creò a Città di Castello il Laboratorio Tela Umbra (tuttora esistente con i telai e un museo con notizie e possibilità di acquisto), facendo conoscere attraverso persone che frequentava una lavorazione artigianale così pregiata e del tutto sconosciuta. Offrì nuove opportunità a donne costrette dalla povertà a fare le “bucatare” (lavandaie). Al tempo stesso, sapendo il valore della cultura contro i pregiudizi e le ingiustizie, decise di avviare una “Scuola di preparazione alla Vita” per giovani donne, le tessitrici e chiunque altro fosse interessato, con l’aiuto di Felicitas Buchner43.


Intanto nel 1904 l’ingegnere Eduardo Talamo, altro aristocratico con notevoli capacità costruttive, aveva avviato con l’Istituto Romano dei Beni Stabili, la rinascita del quartiere, edificando casamenti con cortili ricchi di piante e ordinate condizioni abitative. Fu lui a chiedere alla notissima Montessori, di creare luoghi per accogliere i più piccoli, a partire da via dei Marsi 58.44 Quando la conobbe, Alice trasformò nella nuova modalità le classi aperte a Rovigliano e nella sua stessa casa a “La Montesca”. Convinse Leopoldo a visitare le prime CdB a San Lorenzo e lui, perentorio, disse a Maria. “Lei deve subito scrivere un libro su tutto questo”. La ospitarono nella loro casa romana a villa Wolkonsky, perché potesse redigerlo al più presto e nella massima tranquillità. Appena finito con il titolo Il Metodo della Pedagogia scientifica, Franchetti lo fece stampare a Città di Castello. Era il 1909. Nell’agosto organizzarono a “La Montesca” il Primo Corso di Pedagogia Scientifica, cui parteciparono in totale 65 persone, tra cui Anna Maria Maccheroni, Adele Costa Gnocchi, le sorelle Maria e Giovanna Fancello dalla Sardegna, Teresina Bontempi dal Ticino. Tramite le sue conoscenze aristocratiche, già utilizzate per Tela Umbra, Alice mise la Montessori in contatto con la Regina Margherita, al punto che quest’ultima andò a visitare di persona la piccola Casa di San Lorenzo. Inoltre, visti i clamorosi risultati nelle CdB – l’attività continua e ordinata dei piccoli, la loro spontanea socievolezza, il fatto che arrivassero così facilmente a scrittura e lettura in un mondo ovunque alle prese con grave analfabetismo – nello stesso 1909 scrisse un lungo articolo a un’amica giornalista del The London Journal of Education. Di lì la notizia rimbalzò in molti paesi, suscitando un vivace dibattito, specialmente negli Stati Uniti. Non a caso il Corso del 1913 – di fatto il quinto – fu il primo a carattere internazionale con allieve provenienti da regioni lontane, 60 dagli Stati Uniti45.


Alice cercò fino all’ultimo di tenere vivi i fili di quanto aveva seminato, ma veniva da una famiglia falciata dalla tisi e sapeva di essere molto ammalata. Nella primavera del 1911 morì nel sanatorio di Leysin nella Svizzera francese, lasciando un vuoto penosissimo per tanti, in particolare per Franchetti che tanto l’aveva amata e apprezzata.

Diffusione a macchia d’olio

Nessuno può negare a Maria Montessori l’acutezza delle sue osservazioni e successive proposte per ogni ambito dello sviluppo umano. Nella sua vita non ha tralasciato occasione per trattenersi in scuole (per es. in Catalogna passava lunghe mattinate a osservare i neonati nella “Maternità” di Barcellona, secondo l’informazione di M.A. Paolini) dedicandosi soprattutto alla formazione degli adulti tramite i Corsi. Ne realizzò 30 internazionali dal I° del 1913 a Roma al 29° (o 30°) a Perugia nell’estate 1951. Quelli nazionali sono più numerosi in vari Stati europei (Amsterdam, Barcellona, Berlino, Innsbruck, Londra, Nizza, Parigi, Roma, Stoccolma, negli USA a San Francisco e a San Diego). I Congressi internazionali di più giorni (dal I° del 1929 a Elsinor al 9° Londra, giugno 1951) ogni volta su un tema specifico ad amplissimo raggio erano molto affollati


Montessori era rigorosa e appassionata, severa eppure ricca di attenzioni per gli altri, sempre curiosa e desiderosa di far crescere ovunque la ricchezza nascosta dell’infanzia. Se da un lato si opponeva a quanti scrivevano in modo artificioso e impreciso, banalizzando idee e materiali, senza capire il profondo cambiamento che è alla base delle sue osservazioni, dall’altro sapeva coinvolgere amici e allievi, condividendo intuizioni, risultati, eventuali incompletezze e successivi miglioramenti.


Ebbi occasione di incontrare a fine anni Ottanta, in occasione di una sua venuta a Roma, Mario Montessori Jr, divenuto in Olanda importante psicoanalista46. Da lui seppi che negli anni precedenti la seconda guerra era abitudine della sua celebre nonna riunire attorno a sé, soprattutto d’estate, “allievi e docenti di vari paesi che si confrontavano tra loro e con mio padre sui tanti aspetti emersi dal lavoro con i bambini”. Ascoltava tutti con attenzione, specie chi le riferiva risposte e reazioni infantili.


Molti hanno lasciato un segno tangibile e un sostegno a latere essenziale al movimento Montessori: in primo luogo alcune italiane, come Maria Guerrieri Gonzaga Maraini (1869-1950) che fu per lei vera amica, sua sorella Sofia Guerrieri Gonzaga Bartolini e Anna Fedeli (1885-1920), raffinata conoscitrice della lingua italiana.


Accennerò qui di seguito ad alcune sue allieve che ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere, ricevendone ogni volta grande arricchimento: Anna Maria Maccheroni, Adele Costa Gnocchi, M. Antonietta Paolini, Giuliana Sorge, oltre a Flaminia Guidi, M. Teresa Adami Marchetti (1921-2009) e Gianna Gobbi (1919-2009), allieve di Costa Gnocchi come vedremo di seguito.


Certamente ogni paese potrebbe citare l’allieva o l’allievo di riferimento e il cerchio si allargherebbe ancora.

Anna Maria Maccheroni (Livorno, 1876 – Roma, 1965)

Arguta e vivace, con una cultura ampia e solida, inclusi il francese e lo studio del pianoforte, appena diplomata maestra, andò a Roma presso una zia per frequentare la Facoltà di Magistero femminile, dove Montessori teneva lezioni di pedagogia scientifica e di antropologia. Come ha raccontato in un suo libro di ricordi47, ne fu conquistata e fu tra le prime a osservare la nuova “scuola nella casa” inaugurata ufficialmente il 6 gennaio 1907. Anna Maria colse subito il rapporto tra libera scelta, assenza di giudizi e controllo dell’errore in mano ai bambini e si mise al lavoro, prima a San Lorenzo, poi a Milano, su incarico di Maria Montessori, per avviare alcune CdB nei grandi casamenti della Società Umanitaria. Tornò a Roma per il secondo Corso del 1910, organizzato nel Convento delle Suore Francescane di via Giusti 12. Qui era stata allestita una CdB, per accogliere al meglio moltissimi orfani del terremoto di Messina (1908). C’era un pianoforte e “Mac” cominciò a usarlo, a suo modo, per i bambini. Non li chiamava, non dava indicazioni di sorta. Suonava e basta. “La musica parla da sola, non ha bisogno di interpreti”, sosteneva. All’inizio eseguiva una marcia che ripeteva più volte, poi passava a un ritmo di corsa, lo ripeteva e poi tornava alla marcia. Qualche piccoletto cominciava a muoversi a tempo, altri incerti restavano a guardare. Lei taceva. Eseguiva ancora una corsa e qualcun altro entrava. Alternava ancora marcia e corsa, seguiti da un Largo o da un Adagio che richiedevano passi lunghi e lenti. C’era chi si accorgeva subito del cambiamento, altri no. Non aveva importanza: ogni tanto li guardava sorridendo e continuava a suonare in maniera espressiva come i brani richiedevano, mai in modo didattico, marcando i tempi forti, come si usava nelle scuole, quasi che bambini fossero sordi o troppo piccoli per sentire. Lei continuò a procedere “nel rispetto dei bambini”. Non si stancò di ripeterlo negli innumerevoli corsi che tenne in seguito: “O si suona o si parla, conviene tacere e suonare il meglio possibile”. Chiamò questi brani musiche a reazione motrice. I primi esempi da lei adottati sono stati pubblicati da Montessori nell’Autoeducazione nelle scuole elementari (1916) con un intero capitolo dedicato all’educazione musicale. Lei in poco tempo entrò a far parte della famiglia Montessori e chiamata affettuosamente Mac. Durante il lavoro nelle CdB si rese conto che, a fronte dei tanti aiuti sensoriali alla conoscenza di grandezze, forme, colori, pesi, superfici, per l’educazione uditiva c’erano solo le scatole dei rumori – una doppia serie di cilindretti di legno ben chiusi, che si potevano appaiare e mettere in scala. Interessanti, ma non erano suoni. Così, seguendo i criteri costruttivi dei materiali sensoriali, creò “i campanelli Montessori”.48 A disposizione dei piccoli come tutti gli altri oggetti, sono al tempo stesso un vero e proprio strumento musicale. Ogni campanello si compone di una semisfera (campana) di una speciale lega, appena oscillante su un sostegno di legno. Si suona con un battente di legno, colpendola sui margini in modo che vibri. Il fatto di essere in doppia serie consente l’appaiamento, attività semplice e interessante per i bambini 3-6 anni. Essi formano una scala progressiva di suoni, ciascuno separato dagli altri, in modo da poterli mescolare e disporre in gradazione (scala). Una serie su sostegni bianchi e neri come i tasti del pianoforte dispone di campane dal primo Do a diametro maggiore al Do all’ottava con il diametro minore. La seconda serie ha campane tutte della stessa grandezza, sostegni tutti eguali di color marrone, ma i suoni sono in scala49. In tal modo appaiamento e gradazione sono attuabili solo in base al suono, senza alcun supporto visivo.50


Per i bambini nella seconda infanzia Mac creò in seguito il “traspositore”, uno speciale metallofono non in appaiamento, con cui è possibile formare tutte le scale maggiori e minori della musica europea e, volendo, anche le pentatoniche.

Apriamo una breve parentesi per ricordare alcuni importanti innovatori nei primi trent’anni del Novecento in fatto di educazione musicale: da Émile Jaques-Dalcroze, il creatore dell’educazione ritmica che rivoluzionò il modo di suonare gli strumenti, la ginnastica, la danza e il teatro, a Edgar Willems, che si occupò a fondo dell’educazione uditiva, raccomandando come punto di partenza essenziale l’offerta ai più piccoli di un ambiente ricco di suoni, filastrocche, ninne nanne, canti e altre esperienze uditive. Béla Bartók e Zoltán Kodály sono stati i primi etnomusicologi, interessati a raccogliere l’antico repertorio di canti nei più sperduti villaggi ungheresi; ne fecero tesoro nelle loro composizioni, influenzando la musica del Novecento e creando brani per i più giovani. Kodály elaborò anche un sistema molto semplice per i ragazzi, in modo che chiunque potesse leggere un testo musicale e cantarlo. Il sistema si diffuse anche in Italia come il “Do mobile” di Roberto Goitre. Importante anche il compositore tedesco Carl Orff che elaborò un complesso sistema educativo, a partire dalla voce e dal linguaggio e creò un magnifico strumentario con xilofono e metallofono a tasti mobili con una varietà di piccola percussione, tutti di alta qualità sonora.


A fronte di questi autori la nostra Maccheroni fu la prima e l’unica a progettare uno strumento autocorrettivo per bambini così piccoli, usabile da loro in modo indipendente, in grado di arrivare prima dei sei anni alla lettura e scrittura musicali, conoscenza dei valori, creare piccole melodie, sempre nell’ambito dell’ottava,51 unitamente alle esperienze di movimento su musica già descritte. Mac non è stata importante solo per la musica. Nel 1913, arrivata dalla Giunta Catalana la richiesta di avere qualcuno per avviare una CdB, Maria affidò a lei questo incarico così importante. I risultati furono subito di grande interesse. Quando i genitori molto religiosi le chiesero come dare i simboli della fede cattolica ai figli nel rispetto loro dovuto, Mac non esitò a sperimentare mezzi nuovi, coinvolgendo anche Maria.52 Solida come sempre, seppe superare difficoltà e diffidenze al punto di essere invitata nel luglio 1915 nel monastero benedettino di Monserrat per il Congresso Liturgico (oltre duemila partecipanti, l’episcopato catalano e un nunzio apostolico), lei, unica donna, a spiegare il valore dei piccoli bambini e le risposte che essi si aspettano in famiglia e fuori di essa.53 Intorno ai quarant’anni una malattia invalidante – forse un’artrite reumatoide – le limitò progressivamente i movimenti; alcune amiche e allieve l’aiutarono, eppure continuò a tenere corsi in varie città europee, aiutando scuole, continuando a perfezionare trentasei albi monografici per ragazzini e adulti sui vari aspetti della musica. Piccola, vestita sempre di nero, un lungo abito leggero, quasi monacale, anche sul capo, pronta ad assumere un tono allegro e operoso quando si trattava di parlare di musica. La ricordo così, grata anche di quanto ha insegnato a mia sorella Vittoria (che l’ha assistita negli ultimi anni per il lavoro degli albi) e anche a me in fatto di educazione musicale.

Adele Costa Gnocchi (Montefalco, PG, 1873 – Roma, 1967)

L’ho conosciuta dall’infanzia: mia madre era stata sua allieva e continuò a rivolgersi a lei per l’educazione delle figlie. Fu così che nel 1933-’34 andai con mio padre tutte le mattine nella piccola CdB di viale Angelico 22, annessa alla Regia Scuola di Metodo Montessori per le future maestre, voluta dalla Regina Margherita. La “Signorina”, come era chiamata, la ritrovai più volte dall’infanzia alla giovinezza: è stata la mia vera Maestra. Come suo lavoro stabile era insegnante di pedagogia per le future maestre – oltre trent’anni d’impegno fino alla seconda guerra – nel Conservatorio delle Suore Dorotee di via Ripetta 231.54


Aveva seguito da vicino Montessori dal 1° Corso del 1909 e dalla prima CdB a San Lorenzo, poi in corsi e congressi, accolto e osservato i piccoli 3-6 in una sua “Scuoletta”, prezioso minuscolo angolo nel grande Palazzo Taverna dietro la Chiesa Nuova, per una ventina di bambini al massimo. Vi si sono alternate maestre eccellenti come Elena Alegiani, Giulia Gorresio, Gianna Gobbi, le sorelle Teresa e Luciana Carbonari. Qui, su proposta dei conti Taverna, si integrarono spazi contigui per accogliere un gruppo di ragazzini della seconda infanzia, tra cui Lavinia, figlia dei proprietari. Le maestre erano Flaminia Guidi e a M. Teresa Adami Marchetti, che, insieme a Gianna Gobbi, si erano diplomate in un corso Montessori, organizzato da Adele a Roma, in assenza dei Montessori che erano già in India e in accordo con loro. La sede fu nell’Istituto “Nazareth”, in via Cola di Rienzo, quartiere Prati, diretto da Suore di un ordine francese, difficilmente attaccabile dall’OVRA55. Per l’uso dei materiali, l’aiutò M. Antonietta Paolini. Montessori in totale fiducia verso di loro, fece arrivare i diplomi da lei firmati attraverso vie diplomatiche.56 Tutte e tre insieme a Paolini e a Sorge divennero poi sue assistenti nei corsi da lei tenuti in Italia dopo il 1949.


A metà degli anni Cinquanta riuscì a organizzare (dieci anni prima della scuola media) nel Liceo “Virgilio” di via Giulia57 un ciclo sperimentale di ginnasio Montessori, con le migliori docenti del momento e una tutor che seguiva tutte le classi creando collegamenti tra studenti, docenti e famiglie, ruolo che si rivelò basilare.58 Proprio l’ampia conoscenza delle varie fasi dello sviluppo infantile la portò a considerare la mancanza di uno studio serio del periodo 0-3 e soprattutto del neonato. Non la vita prenatale59 – il “periodo sacro della madre”, diceva – ma il parto-nascita, i bisogni del neonato, i suoi primi segnali, la giusta accoglienza. D’accordo con Montessori, da poco tornata dall’India dopo la guerra e seguendone l’esempio, decise di aprire una scuola per giovani donne disposte a elaborare un nuovo modo di aver cura dei più piccoli. Era il 1947. Formidabile organizzatrice, modesta nei modi, forte e decisa, Adele cercò gli aiuti giusti – una sede, con l’aiuto dell’Opera Mon tessori, a piano terra di Palazzo Vidoni – a fianco della celebre chiesa di Sant’Andrea della Valle. Trovò luoghi dove le allieve potessero vederli nascere nella sala parto del “San Camillo”, grande ospedale civile, tramite l’ostetrico Paolo Ungari, marito di una sua ex allieva e osservare i bambini senza madri nel Brefotrofio Romano diretto dal pediatra Giuseppe Vitetti, nel reparto guidato da Cesare Pignocco60 e quelli in famiglia e nella sua “Scuoletta”, trasformata per i piccoli dai 14 ai 30 mesi circa. Due pediatri, Alberto Durio e Cesare Pignocco (1903-1986), illustravano la fisiologia del neonato e le malattie infantili. In seguito, entrarono Giorgio Poddine e la ginecologa Sandra Scassellati, entrambi di grande attenzione e sensibilità. Essenziali le straordinarie lezioni di Adele: poche parole che, con metodo maieutico, costringevano a riflettere, a interpretare i risultati delle varie osservazioni, a capire i segnali dei bambini, le risposte delle madri, le emozioni che ogni allieva provava. Importante il contributo da parte di alcune famiglie, disposte a collaborare aprendo la loro casa come luoghi di osservazione: spesso erano madri che erano state sue allieve.


Questa scoperta dei più piccoli fu un’esperienza unica e irripetibile nel suo insieme.


Si capì la diversità di ogni neonato, i tanti aspetti di un’accoglienza delicata e protettiva attraverso luci attenuate, silenzio, gesti cauti e ridotti al minimo, un port-enfant morbido per ridurre gli urti, i vagiti acuti che sparivano in un immediato bagno caldo, invece delle manovre sbrigative e brutali in uso.61 Essenziale interpretare le tante qualità dei pianti, l’errore dell’orario rigido, il bisogno estremo di ripetitività nei gesti, nelle cure, nelle parole, del ritrovarsi ogni volta con la madre per sentirsi sicuro: erano i primi segnali del periodo sensitivo dell’ordine.62 Guidate da Gianna Gobbi, le allieve cucivano i primi indumenti, delicati per non disturbare quel corpo appena venuto alla luce, inventavano i primi oggetti di gioco per i piccoli tra il primo e secondo anno. Scoprire come fare da “filtro alle ansie delle madri, senza mai sostituirsi a loro”, come diceva Elena Gianini Belotti, già diplomata AIM e guida al tirocinio delle allieve.


In quel difficile periodo post-bellico non si trovavano libri, salvo le vecchie cose d’epoca fascista, davvero inguardabili: ma Adele aveva una sua provvista de Il Bambino in famiglia e quello fu agli inizi una guida. Alcuni testi li prepararono gli stessi pediatri. Dalle prime 14 allieve si arrivò ad averne in breve oltre 30 ogni anno, mentre la Scuola era ormai triennale con l’ultimo anno di specializzazione sul neonato e la guida di nuovi ottimi medici come il pediatra Giorgio Poddine e la ginecologa Sandra Scassellati.

Le prime osservazioni sulla cura dei neonati vennero presentate dai pediatri Vitetti e Pignocco all’VIII Congresso Internazionale, 22-29 agosto 1949, presieduto dalla stessa Montessori e nell’autunno dello stesso anno la scuola AIM entrò a far parte del “Consorzio ministeriale per l’istruzione tecnica”, primo riconoscimento importante da parte dello Stato.


Adele mise anche in valore sia l’educazione ritmica – una novità in Italia, specie in pieno fascismo – realizzata dall’austriaca Cecilia Hanau (formatasi alla scuola di Dalcroze, aveva da anni in via Condotti una frequentatissima palestra) sia la musica, organizzando nel 1954 il primo stage di Flauti di Bambù, con un’allieva dell’inglese Margaret James.

Nel 1960 la scuola AIM divenne statale a pieno titolo, purtroppo perdendo molte delle sue specificità. Per continuare a osservare neonati e bambini di poco più grandi, Adele fondò il Centro Nascita Montessori (CNM) e ne affidò la direzione a Elena Gianini che con grande intelligenza mantenne tale ruolo fino al 1980.


Nei suoi ultimi vent’anni Adele dette vita anche a “l’Associazione per l’Educazione Religiosa del Bambino”, da cui con Sofia Cavalletti e Gianna Gobbi prese forma concreta la “Catechesi del Buon Pastore”.63 Donna di fede profonda, priva d’ogni possibile bigotteria, era al tempo stesso di una lucida, ferma laicità: rispettava le persone per quello che erano, senza mai indagare sui loro credi. Non cercava proseliti, ma teste pensanti. Aveva una lettura straordinaria delle capacità, anche nascoste, delle persone. Il fascino dei suoi silenzi, delle frasi sempre così acute e originali conquistava tutti. Ha seminato moltissimo accanto a sé. Le è stata cara la sua Montefalco, ma quando un meraviglioso ciliegio fu tagliato perché le foglie autunnali davano fastidio, non ci ha più messo piede.

Maria Antonietta Paolini (Urbino, 1907 – Acquapendente, VT, 2000)

Chiamata familiarmente “Pao” dai Montessori, aveva avuto un’educazione raffinata (famiglia di origini nobiliari), alta, bella nel viso, di eleganza sobria negli abiti e nel linguaggio, di spontanea gentilezza nei modi. Diplomatasi maestra, a 23 anni, si iscrisse al XV Corso Internazionale Montessori a Roma nel 1930 e volle approfondire i contenuti nei corsi successivi del 1931 e 1932. Nell’estate dello stesso anno a Nizza per il II Congresso Internazionale, tenne aperta un’improvvisata CdB, come farà Gianna Gobbi durante l’VIII Congresso del 1949. Nei due anni successivi, recatasi in Egitto con suo padre in missione diplomatica, insegnò nella Scuola Italiana al Cairo. Appena tornata nel 1934 si recò a Barcellona, dove Montessori si era stabilita con la famiglia del figlio in Calle Canduxer 22. Era un villino con giardino, in cui al primo piano Maria volle organizzare una piccola CdB, che affidò alle sue cure. 


Due anni dopo ebbe inizio in Spagna la grave guerra civile tra destra e sinistra: da un lato i militari guidati da Francisco Franco, i cattolici più rigidi, con l’aiuto di fascisti e nazisti (Guernica!), dall’altro, i repubblicani spagnoli con molti volontari, provenienti da vari paesi europei. La vita era diventata pericolosa. Nel 1936 Pao e i due nipoti maschi trovarono rifugio in Olanda, accolti da Ada Pierson, diplomata Montessori a Londra nel 1933. Suo padre, un banchiere in grado di offrire loro ospitalità generosa, mise a disposizione di Maria a Laren, a 30 Km da Amsterdam, una villa “la Groenendaal” dove avrebbe potuto finalmente organizzare una scuola “sua”: la grande casa a più piani, il bel giardino, l’orto, gli alberi, l’acqua, spazi per correre, giocare, studiare, rapidamente si trasformò in una grande comunità che ospitava bambini e ragazzi dai 3 ai 12 anni e un gruppo di ragazze, future maestre. Paolini e Ida Waller, cugina di Ada, vi lavorarono insieme con entusiasmo e buona intesa. Nuove osservazioni permisero loro di mettere a punto taluni materiali sensoriali; di affinare l’attività molto ampia tra grandi e piccoli. Lo scambio e l’interesse reciproci dettero nuove conferme all’eterogeneità sperimentata positivamente.


Dal 1936 al 1939 la neonata scuola cominciò ad avere molti visitatori.64 Tra questi nel 1937 George Arundale, presidente della Società Teosofica, con la moglie Rukmini Devi (celebre danzatrice, molto colta, fonderà in seguito la Casa Editrice Kalàkshetra per diffondere i testi di Montessori in lingue indiane). La coppia chiese ai Montessori se fossero disposti a tenere un corso in India e loro accettarono con il consueto entusiasmo. Promisero di andare nell’autunno del 1939, pensando di rientrare circa sei mesi dopo. In effetti partirono in ottobre, sottovalutando, come molti, l’occupazione nazista della regione dei Sudeti, che di fatto era l’inizio della seconda guerra mondiale.


La scuola venne chiusa sul finire del 1939. I nazisti invasero l’Olanda nel 1940, scatenando una feroce campagna antisemita. La bella villa Groenendaal (oggi non più esistente) venne occupata dal comando tedesco. A mantenere aperto il “lumicino Montessori” rimase solo Abs Joosten, docente in Olanda nei corsi Montessori. Pao rientrò in Italia. Maria José di Casa Savoia cercava una maestra Montessori per i figli: la richiesta arrivò a Costa Gnocchi che le propose Paolini, appena rientrata da Laren. Pao allestì a Villa Ada, nel centro di Roma, una piccola classe Montessori, che però non ebbe molta durata in quella stagione così drammatica. Finita la guerra, Maria non poté subito tornare in Europa, ma già nel 1945/’46 cominciò a scrivere a Paolini, inviandole da India, Ceylon e Pakistan lettere affettuose, con richiesta di notizie sue e dei nipoti lontani.


Intanto si preparava l’VIII Congresso, riallacciando i fili del movimento, a San Remo nel 1949, il primo dopo la guerra, non facile da organizzare per la difficoltà di viaggiare. Dapprima se ne occupò Giuliana Sorge con la sua rete di conoscenze, alla fine fu Pao la segretaria del Congresso, che si concluse con la sua proposta di istituire a Perugia, presso la locale Università per gli Stranieri, un Centro di Studi Montessoriani. Lì, nell’estate 1950 Maria Montessori guidò il XXIX Corso Internazionale per 80 allievi italiani ed esteri, con l’aiuto di Mario Sr., Paolini, Maccheroni, Guidi e Adami-Marchetti. Paolini, sempre abile nell’organizzare gli ambienti, aveva intrapreso la trasformazione in senso Montessori, dell’Asilo “Santa Croce”, esistente a Perugia dal 1891. Fece costruire nella CdB un’aula dedicata a Montessori con balconata, da cui le future maestre potevano osservare in silenzio i bambini al lavoro senza alterarne le scelte e la concentrazione, rinnovando l’esperienza già attuata – come già detto – a Roma in viale Angelico. L’aula esiste tuttora al “Santa Croce”. In seguito in altre aule Pao avviò la Scuola Elementare e affidò la prima classe a Sara Concas.65 Da allora Pao fece del “Santa Croce” la sua casa, ricavando per sé due minuscole stanze (salottino e camera da letto con bagno). La grande struttura divenne anche sede concreta del Centro Studi e dei Corsi Internazionali per CdB. Nel suo lavoro Pao mise particolarmente a punto il valore della libera scelta, del controllo dell’errore e dell’indipendenza di ogni bambino, basati su poche regole e soprattutto sul buon esempio di adulti che non gridano, non imbrogliano, non puniscono. Nei Corsi ebbe sempre gruppi affollati di persone, giunte anche dal Giappone e dall’America Latina, riflettendo costantemente sugli aspetti più significativi del materiale sensoriale che lei stessa aveva contribuito a perfezionare, tenendosi in stretto contatto epistolare con Maria fino alla morte di lei.

Giuliana Sorge (Milano, 1903 – Milano, 1987)

Diplomatasi maestra, aveva seguito a Milano il corso nella sede dell’Umanitaria nel 1924, diretto da Montessori per iniziativa della “Società Amici del Metodo”, presidente M. Guerrieri Gonzaga. Dal 1926 partecipò alle attività del gruppo, scrivendo sul bollettino “Montessori”, svolgendo ottime conferenze. Nel 1927 Montessori affidò a lei e a Eda Margonari, altra eccellente allieva, l’incarico di aprire in Argentina una CdB. Imparato rapidamente lo spagnolo, tenne conferenze in alcune università. La CdB di Buenos Ayres, organizzata e guidata da loro due, ebbe subito effetti clamorosi e contribuì a far apprezzare Montessori dalla comunità italiana e dalla stampa nazionale. Tornata in Italia nel 1929 Maria le affidò la direzione della “Regia Scuola di Metodo”, attiva già da un anno. Si erano subito visti soddisfacenti risultati nelle allieve per il clima ricco di scambi e di libertà negli studi, ma i fascisti cominciarono a interferire. Nel 1933 pretesero che vi insegnasse cultura fascista tale Olga Prini (spia dell’OVRA). Inutili le ferme opposizioni di Giuliana: alla fine fu arrestata e costretta nel 1934 a tornare a Milano e la “Regia” di colpo chiusa.


Giuliana trovò generoso appoggio presso famiglie amiche. Dapprima Maria Guerrieri Gonzaga, che aveva aperto a Palidano del Mantovano, una piccola CdB e promosso dal 1915 il proseguimento nella Scuola Elementare, poi Myriam Gallarati Scotti (altra grande famiglia lombarda) che, con il marito G. Battista Agliardi e mediante altre donazioni,66 aveva aperto a Paladina (Bg) una CdB con consigli diretti di Montessori: l’Asilo “Bolis”, affidato dapprima alle Suore Sacramentine, in seguito alle Suore Poverelle. Myriam Agliardi si oppose con decisione alla chiusura intimata dai fascisti e dopo il 1934 ebbe l’aiuto di Sorge per mantenerne alta la qualità educativa. A Sombreno (frazione di Paladina), dove gli Agliardi hanno un’antica villa,67 Giuliana trovò generosa ospitalità.


Dopo la guerra, nella tarda primavera del 1949, con l’appoggio di Agliardi e di don Agostino Vismara, sopravvissuto a Mauthausen, ella organizzò a Bergamo il suo primo affollatissimo corso. In seguito a questo, Eleonora Caprotti Honegger (1902-1992) con Antonia Trezzi, giovane maestra e con Myriam Agliardi, avviò una piccola CdB in centro città. Prima maestra diplomata da Sorge, fu la musicista Mariuccia Barbaglio. Dagli ottimi risultati derivò la sezione locale dell’Opera Montessori, presieduta da Myriam Agliardi con don Vismara, la svizzera Tilde Tschudi e altri. Nel 1954, in via Vittorio Emanuele 31 A, venne iniziata la costruzione di una bella Scuola dai 3 ai 12 anni, luogo di esperienze condotte da Mario Sr. con Camillo Grazzini per vari anni. Lì rimase fino al 2018, con trasferimento in zona periferica della città.

Giuliana continuò a realizzare corsi: il secondo, nella primavera del 1952, a Milano a pianoterra del “Museo Civico di Storia Naturale”; nell’estate 1953 il terzo corso a Genova Nervi, il quarto a Padova. Con la ripresa delle Acciaierie Falck, conobbe Maly Levi Da Zara, (moglie di Giovanni Falck) che mostrò vivo interesse a organizzare CdB ovunque le Acciaierie fossero attive: a Dongo (Co), a San Maurizio al Lambro e a Sesto San Giovanni. Qui negli anni ’60 avviò anche una scuola elementare Montessori, dove insegnò dal 1969 al 1974 Costanza Buttafava. Subito dopo la seconda guerra l’UNLA68 aveva chiesto a Montessori di trovare un sistema rapido per alfabetizzare gli adulti. Maria elaborò un materiale cartaceo di efficace semplicità. Maly, con l’aiuto di Giuliana e di Costanza per la sua grafia nitida, lo fece costruire. Cercarono di diffonderlo donandolo. Purtroppo, non ebbe successo per il disinteresse delle autorità nazionali e locali e la resistenza dei maestri, poco intenzionati a cambiare vecchi e infruttuosi modi di insegnare.69


La sua arte nel condurre i corsi

Costanza, assistente di Giuliana Sorge nei corsi da lei tenuti dal 1961 al 1971 – due all’anno, tra primavera ed estate – la ricorda70 come “un personaggio carismatico, dal fascino non comune, che traspariva anche dalla grande cura che aveva della sua persona, impeccabile nell’abbigliamento, misurata nel linguaggio, cordiale nel rivolgersi ad altri. Pretendeva ordine e rigore dai suoi allievi, a lo esercitava anzitutto con sé stessa”.


Le sue lezioni, sempre preparate con cura, erano affascinanti, qualunque argomento trattassero. Ogni volta precisione, garbo, ricchezza di aggettivi e di avverbi, il tono della voce suscitavano piacere per la mente e arricchimento dell’osservare e del conoscere. I corsi duravano tre o quattro mesi e richiedevano molto lavoro personale, esercitazioni con i materiali per conoscerli a fondo, capirne il senso e i motivi d’interesse, riscontrabili nei bambini. Per realizzarli, chiedeva ospitalità a scuole pubbliche, chiuse d’estate; ne attrezzava la palestra con varie serie di materiali avute in comodato dalla ditta di Gonzaga, in modo che la preparazione delle allieve (gli allievi assai rari) fosse ottimale. Molti erano i partecipanti (in media 200 iscritti, ogni volta), ma ella predisponeva gli ambienti in modo che ciascuno si sentisse a proprio agio. Altro grande insegnamento era la precisione, il modo di affidare diversi compiti di approfondimento secondo interessi personali, l’attenzione ai particolari, il senso estetico, l’armonia dei colori, la disposizione ordinata e logica degli oggetti, erano fattori essenziali per trasformare il modo di agire con i bambini, dando loro esempio indiretto di cura di sé e delle cose. Imparare facendo: l’uso nobile delle mani, lo sbagliare e il correggersi, il confronto naturale con gli altri. I suoi corsi, ufficialmente per CdB, in realtà andavano ben oltre: i materiali più avanzati di aritmetica fino alle radici quadrate e allo studio dei volumi e di geometria (dal triangolo equilatero, costruttore di poligoni regolari ai teoremi di Pitagora e di Euclide), l’analisi grammaticale, logica e le letture da interpretare; le nomenclature classificate di biologia vegetale, animale e di geografica fisica (contrasti di forme di terra e d’acqua, monti, fiumi, mari e laghi) e, non ultima, la storia dell’umanità dalle ere più antiche e i bisogni base degli esseri umani…Corsi intensissimi: contro libri tutti uguali occorrevano materiali nuovi, strisce storiche sull’evoluzione dei viventi, sulle società umane, su scoperte e invenzioni, arti e mestieri, aspetti del costume… Per questo Giuliana proponeva vari temi: chi era interessato poteva iscriversi per formare un piccolo gruppo di ricerca e imparare – come lei sosteneva – a lavorare in gruppo.


Non aggiungeva argomenti estranei alle tematiche centrali del corso, per mantenere alta la concentrazione e, liberando la mente da pregiudizi e vecchie abitudini, approfondire e saper poi guidare i bambini. A volte invitò Grazia Honegger Fresco a riferire sui piccolissimi, Sofia Cavalletti sulla Catechesi del Buon Pastore e un biologo a parlare di animali, piante e dei loro habitat.


Le prime due ore di ogni giorno erano dedicate alle esercitazioni. Seguiva una sua lezione generale su aspetti dello sviluppo infantile, talora svolti da sue assistenti (Grazia, Costanza o altre dopo di loro). Nel pomeriggio vi erano gruppi di lettura su testi di Montessori con relative riflessioni o approfondimenti vari. C’era anche un tempo per scrivere, elaborare l’album personale, preparare materiali nuovi per i quali lei esigeva massima cura, nel rispetto di sé e dei bambini cui erano destinati. L’intensità del lavoro e il clima di scambio in totale assenza di giudizio permettevano di arrivare alla fine davvero preparati e consapevoli. Era rarissimo, se non per motivi gravi, che qualcuno abbandonasse il corso. Prima degli esami, si organizzava per il pubblico esterno una grande mostra di presentazione dei materiali, per far conoscere il lavoro svolto e il significato di una scuola Montessori. Tutto si ricollegava, non c’erano materie isolate da altre: tutti ne uscivano arricchiti, anche sul piano culturale.


Ogni corso era una immersione totale in una nuova scoperta dei bambini. Giuliana ha seminato moltissimo con questa sua modalità, soprattutto nel Nord Italia, lasciando tracce significative in molti luoghi. Ricordiamo in ordine alfabetico: Arona, Bergamo, Bologna, Como, Desenzano, Ferrara, Genova Nervi, Padova, Parma, Peschiera, Rimini, Sesto San Giovanni, S. Silvestro (Mn), Trento, Varese, Verona.


Testimonianza a cura di Costanza Buttafava, Milano, settembre 2019

Flaminia Guidi (Roma, 1905 – Roma, 2006)

Figlia di un notaio, colta, appassionata di matematica, abitava in via del Casaletto, in una piccola villa sempre accogliente, con un giardino fiorito in fondo al quale in poche arnie, negli anni Cinquanta e forse anche Sessanta, allevava api che certo si nutrivano bene nei vasti prati di villa Pamphili, appena di fronte a casa sua. Le api, così industriose – mi diceva – dovremmo imparare da loro. Suonavi e apriva l’anziana, burbera Giuseppina, fedelissima e piena di premure affettuose per la sua “Signorina”. Flaminia aveva una 500 rossa fiammante. Nel cruscotto teneva sempre una piccola bussola sferica: diceva che le era utile per ritrovare sempre la strada di casa nel caotico traffico cittadino. Nei corsi che teneva (ne ricordo uno molto efficace nel 1958 a Messina e le lezioni di aritmetica nel corso a Castellanza (Va) nel 1976) era molto concreta e attingeva di continuo alle esperienze fatte con i bambini, nella bella scuola da lei fondata e diretta al Tuscolano.71 Una sua allieva, Andreina Betturri, maestra da molti anni e oggi, a sua volta, direttrice di corsi Montessori con sua sorella Caterina, ha scritto questi ricordi:


Aveva a cuore alcuni principi montessoriani che ripeteva in ogni occasione: il primo era i 4 piani dell’educazione.72 Di qualunque argomento si parlasse, tornava ai periodi dello sviluppo. Talvolta mi sembrava ripetitiva e solo ora ne capisco il senso profondo”.


Un altro tema quasi ossessivo era il movimento. “Non togliete ai bambini il movimento” mi sembra di sentire ancora la sua voce: “Non vi sostituite al bambino”. Per esempio, durante la festa di Natale, aperta ai genitori, ogni bambino accendeva la sua candelina da un grande cero. Puntualmente qualche adulto prendeva la candela del bambino per aiutarlo ad accendere e poi gliela restituiva. Ogni volta che osservava gesti del genere, poi ce ne parlava con rammarico… Diceva che i movimenti si devono eseguire, mostrare con cura e poi lasciare che siano i bambini ad agire. Parlava dei movimenti quotidiani come lavare le mani, pulire i materiali, spazzare, ma anche movimenti necessari per le uscite, i laboratori speciali o anche per grandi traslochi come togliere dalla sala da pranzo tutte le sedie e tutti i tavoli. Non permetteva che fosse il personale della mensa a farlo, si organizzava con i bambini. Rifletteva sempre molto sui movimenti da proporre. Il risultato era in genere bellissimo, rapido, efficace, silenzioso. In pochi minuti i bambini, attentissimi alle regole da rispettare, felici di essere utili e partecipi attivi al bene comune, vuotavano l’intera stanza, accatastando sedie e tavoli senza urtarsi, né gridare. Teneva molto al servizio in sala da pranzo, come situazione collettiva di grande valore. Fino a tarda età, quando poteva, se ne occupava direttamente. Il pranzo era l’occasione solenne per evidenziare alcuni momenti dell’anno: centro tavola dorati e candeline accese per l’Avvento, il Cantico di San Francesco in prossimità della Pasqua. E fiori, ogni volta che poteva, al centro dei tavoli. I bambini entravano in sala e si sedevano, ma frequentemente, in attesa del pranzo, chiedeva ai commensali di un tavolo alla volta di alzarsi in piedi silenziosamente. Noi insegnanti che arrivavamo in sala per ultime, trovavamo questa massa di bambini (almeno 120) in piedi, silenziosissimi. Lei, che era di statura bassa non si vedeva, né si sentiva. Faceva pochi cenni e i bambini erano molto attenti a sedersi, di nuovo in gara con sé stessi per non fare alcun rumore. Flaminia proponeva esercizi di movimento in ogni occasione. Capiva, sentiva che il pericolo nella scuola è l’adulto che ferma, che agisce al posto del bambino.


Amava raccontare spesso la storia dei coralli, del loro ruolo fondamentale nell’assorbire il carbonato di calcio dissolto nell’acqua del mare. Raccontava con passione, trasmettendo chiara l’idea che ciascun essere, anche il più umile, svolgendo con cura e dedizione il suo incarico, anche minimo, è un anello indispensabile e prezioso nel progetto cosmico. Diceva che la gratitudine è il sentimento più difficile da coltivare: sfiorisce presto.


Nella scuola primaria aveva costante attenzione agli interessi dei bambini, ma lo stesso per noi, giovani insegnanti. Per esempio, per me interessata a la Chanson de Roland costruì con il compensato una grande Durlindana e la foderò con carta argentata. Questo oggetto entusiasmò i bambini e ne nacque una magnifica drammatizzazione. Le chiedemmo aiuto per interessare maggiormente i bambini alla storia. Ci propose di costruire un grande plastico del bacino del Mediterraneo. Portò gesso alabastrino e lo architettò in modo tale che al suo interno si potesse versare acqua per immaginare l’emergere di nuove civiltà. Una delle colleghe ricorda che una volta condusse al mercato un gruppo di bambini molto interessati ai pesci. Lasciò che ne scegliessero uno (ovviamente vollero il più grosso). Lo portarono a scuola e con l’aiuto di strumenti adatti lo sezionarono in ogni parte: scaglie, pinne, organi interni. Le piaceva guidare l’auto e lo ha fatto fino a tarda età. Spesso mi riaccompagnava a casa e se lungo la strada incontrava un gatto nero ridendo faceva inversione a U, diceva di avere sangue napoletano nelle vene. Allegra, intuitiva, intelligente, rideva di cuore, amava la vita e la buona cucina. Curava il suo aspetto, indossava girocolli luminosi e un gradevole profumo di lavanda che la precedeva sempre e resta ancora oggi uno dei ricordi più vividi negli ex alunni. A ogni Natale c’era un regalo per ciascuna di noi maestre e un biglietto personale, pensato e scritto con cura. Alle lettere che le inviavano i bambini rispondeva sempre, ogni volta su carta originale e preziosa, con attenzione estrema.


Era molto vigile per i campi scuola. Ci ha insegnato mille volte a organizzare tutto nei minimi particolari, coinvolgendo tantissimo, ogni volta, i bambini. Fin quando ha potuto, ci ha accompagnato personalmente oppure ci ha raggiunto in seguito. Durante i viaggi faceva una cosa che noi, dopo di lei, non abbiamo più avuto il coraggio di ripetere: lasciava i bambini soli per un determinato tempo, un’ora Per esempio, in cui potevano fare acquisti o passeggiare. Dava loro un appuntamento preciso, al quale arrivavano sempre puntuali con lo sguardo attento al loro orologio da polso. Aveva una fiducia totale e sincera in ciascuno di loro.


Era profondamente religiosa, ma lo si intuiva, perché non ne parlava mai. Non nominava Dio, neppure durante le poche intensissime parole che pronunciava durante la festa di Natale e che provocavano un emozionante silenzio nella sala gremita di bambini, illuminata solo dalle candeline che formavano una stella intorno al Bambinello. Una volta soltanto, ed era ai suoi ultimi mesi di vita, mi disse che il Vangelo di Giovanni era straordinario. Era una donna fortissima e tenace, consapevole e lucida. In ospedale, una delle sue ultime notti, prima di chiedere gli antidolorifici, mi disse: “Mi arrendo”. Aveva 101 anni.


Testimonianza di Andreina Betturri, Roma, settembre 2019

Conclusioni

Mi pare importante sottolineare la differenza indicata da Emanuela Cocever, tra il continuo diretto lavoro con bambini e con adulti realizzato da E. Goldschmied e da E. Pikler rispetto a Montessori, che dopo gli inizi diretti, si è dedicata sì a continue attività di osservazione, ma ha preferito svolgere attività di formazione verbale. Come ho ricordato nel capitoletto Diffusione a macchia d’olio, Montessori era in continuo ascolto di allievi e allieve, poneva domande acute su questo o quell’altro aspetto, accogliendo i loro quesiti e le problematiche colte nei bambini, tornando sempre a un rigoroso rispetto dell’originalità di ciascuno di loro.


Per quanto mi concerne, ho incontrato direttamente Montessori tra il 1949 e il 1951 nelle conferenze alla Sala Borromini, in quelle a palazzo Venezia durante il corso nazionale 1950-51, nel VIII congresso, a San Remo1949 e una volta in forma privata per presentarle un neonato nell’estate del 1950 quando lei era in Umbria per il XXIX corso internazionale. Dunque, non ho mai lavorato direttamente con lei, mentre ho lavorato da vicino e intensamente con tanti suoi allievi e allieve. Oltre a quelli qui descritti (a eccezione di Alice, Julia, Clara, Standing e Claremont) potrei aggiungere gli incontri con Maria Maraini, ì seminari con Mario Sr, Abs Joosten, Ilie Sulea Firu, Camillo Grazzini, M. Teresa Marchetti, Giulia Gorresio, le sorelle Benedettini, Georgette e Anne Marie Bernard, come in allieve di seconda generazione come M. Louise Pasquier, Costanza Buttafava, trovando nelle inevitabili e significative differenze personali il comune filo conduttore, l’importanza dell’osservazione obiettiva ed empatica, l’intervento indiretto, il valore dato alla cura dell’ambiente come altra guida al bambino libero di scegliere. La forza delle proposte montessoriane l’ho sperimentata direttamente attraverso i neonati, i bambini dei primi anni, la-CdB, la scuola elementare, con gli occhi aperti a quanto, a partire da esperienze diverse giungesse ad analoghe aperture di nonviolenza, ascolto, assenza di giudizio e di competizione aggressiva.

E dunque chi meglio di Elinor e di Emmi, grandi innovatrici?


Mi rendo conto di aver messo tanto – ma ancora insufficiente – del lungo percorso di vita e di impegno compiuto da Maria Montessori. in una prospettiva di lavoro di Educazione e Pace per cui venne per tre volte (’49, ’50 e ’51) proposta per il Nobel alla pace. Inutilmente perché ogni anno vennero eletti tre uomini, personaggi di sicuro valore ma che –come ebbe a sottolineare il giornalista Vittorio Gorresio – hanno riparato ai danni della guerra, mentre Montessori costruisce la pace.


Spero comunque di aver fatto un lavoro utile e ringrazio Rosa Giudetti per avermi spinto con le altre colleghe e amiche a questa riflessione.

Tre sguardi sul bambino
Tre sguardi sul bambino
Grazia Honegger Fresco, Emanuela Cocever, Barbara Ongari
Viaggio alla scoperta di Maria Montessori, Emmi Pikler ed Elinor Goldschmied.Le prospettive educative di tre grandi pioniere dell’educazione che hanno posto in evidenza il ruolo centrale di ogni bambino nella realizzazione del proprio percorso di crescita. Tre sguardi sul bambino, scritto a sei mani dalle autrici Grazia Honegger Fresco, Emanuela Cocever e Barbara Ongari, intende tracciare sinteticamente la vita e le opere di Maria Montessori, Emmi Pikler ed Elinor Goldschmied, tre grandi pioniere dell’educazione, che hanno posto in evidenza il ruolo centrale di ogni bambino nella realizzazione del proprio percorso di crescita. Le prospettive personali con cui ciascuna propone i fondamenti dell’azione educativa (quali l’osservazione, la qualità dei materiali, le modalità dell’intervento adulto) ne mettono in luce l’importanza e l’attualità anche nella pratica professionale degli educatori e degli insegnanti di oggi. Il nostro compito è quello di dare aiuto quando viene richiesto. Se stiamo attenti a non interferire con le attività del bambino e con i suoi interessi, a meno che non diventino pericolosi, sarà la natura a occuparsi del suo sviluppo.Maria Montessori L’essenziale è che il bambino scopra le cose il più possibile da solo. Se lo aiutiamo a trovare la soluzione a tutti i problemi, lo priviamo di qualcosa di essenziale al suo sviluppo. Un bambino che raggiunge qualcosa attraverso la propria esperienza, acquisisce un sapere di qualità superiore a quella che raggiungerebbe se qualcuno gli offrisse la soluzione.Emmi Pikler Gli adulti spesso pensano che, se non intervengono direttamente nel gioco, sono privati di un ruolo; non si rendono conto che è solo la loro presenza a dare fiducia ai bambini mentre giocano e imparano. Elinor Goldschmied Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo. Emanuela Cocever, già ricercatrice del Dipartimento di Scienze dell’educazione di Bologna, svolge attività di ricerca e formazione nell’ambito dell’Educazione Attiva e della Pedagogia Istituzionale. Con il gruppo interdisciplinare Centotrecentoscritture, si occupa di scrittura ed elaborazione dell’esperienza lavorativa nelle professioni di cura. Barbara Ongari, psicoterapeuta infantile, specialista dell’età evolutiva, svolge attività clinica a favore di bambini e famiglie e di formazione per gli operatori socio-sanitari ed educativi.