TERZA PARTE - L'alimentazione al nido

Intermezzo

di Grazia Honegger Fresco

Il bambino entra al Nido... per socializzare?


Ecco un verbo tutto da verificare. Molti dei termini che ancora oggi usiamo non corrispondono più alle nuove conoscenze sulle capacità innate dei primi anni di vita, avviate da Maria Montessori e oggi pienamente confermate dalle neuroscienze. Ad esempio crescere, adoperato come transitivo (crescere un figlio) è invece intransitivo (è il figlio che cresce, dal proprio interno, come una sequoia o un pulcino). Socializzare è un altro verbo abusato e spesso frainteso.


Gli autori di questo testo descrivono ampiamente come si possa realizzare la cura rispettosa dei piccoli, nei Nidi che scelgono di adottare in pienezza e onestà i criteri montessoriani, tenendo lontane cattive prassi alquanto diffuse. Quando i bambini raggiungono la fase dello stare in piedi con sicurezza e del parlare, sembra scatenarsi, in molti adulti che ne hanno la responsabilità, una sorta di “appetito socializzante”, come a dire: “Va bene, fino adesso uno alla volta; d’ora in avanti si lavora a gruppi”. L’acquisizione delle competenze che consentono al bambino di andare fisicamente e autonomamente verso l’altro sembra far dimenticare all’adulto che le competenze relazionali del piccolo sono un fatto molto più complesso: esse, infatti, sono il frutto di una conoscenza di sé e dell’altro diverso da sé, come altro da sé, che matura gradualmente nel corso del secondo e terzo anno di vita del bambino. Gli adulti, non tenendo conto di questo aspetto, organizzano già dal secondo anno grosse tavolate di bambini con l’idea che questo favorirà la socializzazione, come se semplicemente essere immersi in un gruppo basti per “imparare” a stare con gli altri. Dimenticando inoltre che il bambino va osservato e che va carpito il momento in cui è propenso a una relazione con più bambini.


Ci si pone un nuovo obiettivo: socializzare, o meglio, “far socializzare”: insegnare ad essere socievoli tramite proposte collettive. È l’educatore che dice dove, come, vicino a chi mettersi, indicando l’azione che tutti eseguiranno in contemporanea. Più scolastico e prematuro di così!


Viceversa i piccoli, ancora e per lungo tempo, mostrano interesse per azioni personali, per ricevere attenzioni individualizzate e risposte precise a quanto riescono a esprimere. Soprattutto hanno bisogno, grazie ad attività liberamente scelte e ripetute con tempi personali, di affinare la loro concentrazione, capacità che invece nelle attività di gruppo (guidate da un adulto) si trasforma.


La capacità di concentrarsi1 (lo sosteniamo a ragion veduta) si costruisce dai primi mesi di vita, dai primi sguardi e ascolti prolungati, dai primi gesti ripetuti: tutte azioni che ogni bambino mette in atto spontaneamente se non viene disturbato. Se piange, prima di capire che cosa chiede, lo si distrae con la posizione, con il ciuccio, mostrandogli altro. L’importanza della concentrazione è sottolineata in vari modi anche da altri autori, come Emmi Pikler, Elinor Goldschmied, ma anche John Bowlby, Selma Fraiberg e Mary Winn. Oggi è decisamente sottovalutata, in nome di un volgare “volémose bene” ed essere gruppo a ogni costo. Credo che i piccoli debbano essere rispettati nelle loro modalità iniziali.


“Ma devono pur imparare!”, sostiene qualcuno. In quale modo? L’imparare ha come contrappeso l’insegnare, dualità di verbi che si riscontra in tutte le lingue originate dal greco e dal latino e forse anche in altre. “Noi non siamo gente che insegna”, diceva Montessori, e sulla sua scia abbiamo constatato che il bambino non impara a camminare, ma sviluppa i propri movimenti; non impara a parlare, ma assorbe il linguaggio ascoltando gli altri; scopre usi e costumi assimilando modi e comportamenti dalla famiglia e dall’ambiente circostante, il tutto secondo le tappe invisibili dell’apparato neuro-muscolare. E l’imparare dall’esperienza continua anche dopo l’infanzia.

Inutile farlo camminare con tanto di scarpette prima del tempo: lo farà solo quando sarà pronto. Nessuno può accelerare quello che è previsto dal codice genetico, il famoso DNA, qui assolutamente determinante.


Ogni bambino realizza il proprio sviluppo grazie alla conformazione speciale del cervello e ai neuroni specchio, scoperti nel 1992 da Giacomo Rizzolatti con la sua équipe (Università di Parma). Sono questi, attivi per l’intera esistenza, a renderci individui sociali.


Qualcuno ha detto: “Siamo fifty-fifty”. Cinquanta per cento corredo genetico, cinquanta per cento adattamento all’ambiente. Ma ecco la sorpresa, il fatto molto interessante riguardo ai piccoli: ognuno di loro, con tale sacchetto di tesori, si manifesta in modi del tutto originali in vari aspetti del comportamento, della parola, a seconda del proprio DNA e dell’ambiente in cui vive (a partire dalla madre in cui ciascuno si è formato). I due fattori si intrecciano in innumerevoli varianti, con una preziosa diversità che le strutture scolastiche (e non solo queste) ignorano o cercano di annullare con sistemi sempre più aggressivi via via che si cresce (confronti, lodi e punizioni, premi e minacce, voti e pagelle ecc.). L’obiettivo è costringerli in un modello unico, addomesticato, senza peraltro riuscirci.


Anche l’alimentazione rientra in questo quadro, dividendo i bambini in bravi o capricciosi, obbedienti o anarcoidi (si arriva a usare persino questo aggettivo!).

Il fatto è che i piccoli non soddisfano mai abbastanza i genitori e nemmeno gli educatori: “Ancora non arriva a...”, “Non sa ancora parlare”, “Sa solo fare...”, “Suo fratello invece sapeva già...”, tutti discorsi intorno a loro, come se fossero... sordi. “È piccolo, non capisce”. Da subito inizia il grande equivoco, in nome del quale si cerca di abbreviare i tempi ma, come non si possono anticipare le fasi di sviluppo di un gattino o di una rosa, è altrettanto assurdo pretenderlo da un bambino. Inoltre è causa di non poca sofferenza voler imporre forme di socializzazione quando ogni luogo per la prima o seconda infanzia è all’insegna della competizione. Forse è perché nei primi anni è più facile condizionarli che si afferma la necessità di abituarli per tempo alla vita di gruppo?


Anche i genitori dicono “Lo porto al Nido perché socializzi”: ma che cosa hanno davvero in mente? Spesso il Nido è uno di quei posti raffazzonati che nessuno controlla, dove (con tanto di etichetta Montessori) non c’è alcun rispetto per i piccoli. Vengono inseriti in tre giorni, mangiano in dieci minuti, niente giochi significativi, orari rigidi e così via: un bambino non può che starci malissimo, piange a lungo e per giorni, senza che nessuno si fermi a riflettere.

Bambini non rispettati nei loro tempi lenti, nel bisogno di ordine e nell’uso di oggetti, chiusi in box e in lettini a sbarre, lasciati piangere a lungo; bambini che ricevono no e contraddittori, tante coccole ma anche sculaccioni, in una parola maltrattati: come possono essere addestrati a diventare individui sociali?


Secondo la Montessori la socializzazione non è un punto di partenza, ma la risultante spontanea dello stato di benessere individuale che consente di aprirsi ad altri. Dunque è piuttosto un punto di arrivo.


Anche una struttura per la prima infanzia può essere un luogo di raffinata socializzazione, a partire da un ambientamento graduale (almeno due settimane), gestito in accordo con il genitore; ma dipende da come è organizzata e secondo quale idea di bambino.


Oggi entrano al Nido bambini che hanno già acquisito un bagaglio negativo di esperienze. Non possono che essere aggressivi verso persone e cose, tanto sono confusi, disorientati. Incapaci di ascolto e di concentrazione, hanno troppo dolore dentro di sé. Quando arrivano alla scuola d’infanzia, a 2 anni e mezzo o 3, non sanno adoperare il cucchiaio, portano ancora il pannolino; disperati senza il ciuccio, vogliono tutto e subito senza limiti. Se la struttura è organizzata a gruppi, con vari adulti che si alternano e urlano, urlano sempre2, i piccoli non trovano pace e aumentano la loro “rabbia”. Alla primaria arriveranno (forse) con l’etichetta di “soggetti incontrollabili”.

Se invece entrano in un ambiente calmo, dove gli adulti non gridano, non mettono fretta né castigano, non usano baci né dolciumi per sedurli, preparano tanti giochi significativi da poter prendere a piacere, si vede come a poco a poco i nodi interiori si sciolgono, i timori scompaiono. Cominciano a interessarsi a un libro, all’attività con l’acqua, a un compagno con cui giocare. È l’inizio del cambiamento. Scoprono di trovare rifugio e limiti riappacificanti nell’adulto (e mai questi interviene per proteggere lui o altri senza prediche, parlando il meno possibile, approvando ogni gesto positivo).


Finalmente, dopo due o tre mesi, sono “altri bambini”. La conversione sembra un miracolo (Montessori parla di normalizzazione), che si rinnova costantemente. Devono sentirsi amati per poter amare; sentire la fiducia dell’adulto, la sua pazienza e il suo sguardo protettivo per provare sicurezza e concentrarsi su qualcosa di interessante. Sviluppano spontaneamente gesti gentili: se a uno cade un cestino pieno di oggetti, un altro subito accorre per aiutare. Un piccolo non riesce ad allacciare il tovagliolo? Un compagno più grande se ne accorge e lo annoda in sua vece. Un tipo di attenzione agli altri che non ha nulla di pietistico e che si mantiene nel tempo3.


Nei rari momenti collettivi in Nidi di questo tipo la presenza dell’adulto si fa evidente, ma sempre lieve e vigile. Si tratta di piccoli gruppi di sei, otto bambini al massimo e per un tempo che non superi i venti minuti: oltre questi limiti un piccolo non può sostenere con altri la propria attenzione. I piccoli gruppi si riducono ulteriormente a tre o quattro componenti per un libro, un nuovo gioco, una canzone che si canterà tutti insieme quando ognuno la saprà. La gradualità rassicura e garantisce a ciascuno il successo.


La situazione collettiva più ampia è il pranzo, sapientemente preparato con esperienze progressive a piccoli gruppi. Ogni particolare è presentato con calma al singolo bambino perché possa memorizzare i vari passaggi, si tratti di portare un piatto o un vassoio con le posate, di aprire un rubinetto o riempire una brocca.


Questa è l’esperienza di innumerevoli Nidi e Case dei Bambini in giro per il mondo. Armati di capacità osservative e, allo stesso tempo, di grande pazienza da parte degli adulti, bambini di un’età ancor più delicata, i “senza parola” (in-fanti), si dimostrano comunicativi e desiderosi di rapporti con gli altri.


Nasce così, come un fiore che apre i suoi petali, la società per coesione, il punto d’arrivo, la costruzione di un ambiente di pace. La collettività è diventata comunità. Una vera scuola anche per noi adulti.

Aiutami a mangiare da solo!
Aiutami a mangiare da solo!
Centro Nascita Montessori
L’alimentazione dei bambini da 0 a 3 anni.Quali preziosi consigli darebbe Maria Montessori sull’alimentazione dei bambini?Una guida per rendere il momento del pasto un’occasione per aiutare i più piccoli a “fare da soli”. Quali preziosi consigli darebbe Maria Montessori a genitori e operatori della prima infanzia sull’alimentazione dei bambini?Quali suggerimenti per facilitare l’introduzione del cibo complementare e far sì che i più piccoli vivano questo momento come un piacere, piuttosto che un dovere?L’osservazione e il rispetto delle competenze e dei tempi di ciascun bambino dovrebbe essere la norma anche a tavola. Aiutami a mangiare da solo!, curato dal pediatra Franco De Luca, partendo dalle linee guida dell’OMS e dalle raccomandazioni delle più importanti società scientifiche pediatriche, raccoglie i contributi degli operatori del Centro Nascita Montessori e vuole essere una guida per tutti coloro che credono che il momento del pasto sia un’occasione per aiutare il bambino a “fare da solo” e scoprire il piacere dell’esperienza sensoriale che deriva dal gusto e dal piacere di mangiare. La madre che imbocca il bambino senza compiere lo sforzo per insegnargli a tenere il cucchiaio non lo sta educando, lo tratta come un fantoccio. Insegnare a mangiare, a lavarsi, a vestirsi è un lavoro ben più difficile che imboccarlo, lavarlo e vestirlo.Maria Montessori, Educazione alla libertà Conosci l’autore Il Centro Nascita Montessori di Roma si occupa di ricerca sullo sviluppo e sul mondo relazionale del bambino nei primi anni di vita, organizza corsi di formazione per operatori della prima infanzia e promuove la cultura di una buona nascita, accompagnando le coppie verso il nuovo ruolo genitoriale. L’operato del Centro è guidato dal pensiero montessoriano, in un costante confronto di idee, eventi ed esperienze a livello nazionale e internazionale. Franco De Luca ha svolto l’attività di Pediatra di Comunità dal 1978 presso il consultorio familiare di Campagnano di Roma, dove, dal 2012 al 2016, è stato Direttore dell’Unità Operativa Complessa “Tutela Salute della Donna e Medicina Preventiva in età evolutiva”.Attualmente in pensione, affianca alla libera professione l’impegno nella promozione, protezione e sostegno dell’allattamento al seno, come formatore e tutor valutatore per l’UNICEF delle iniziative Comunità e ospedali Amici dei bambini. Dal 2003 è presidente del Centro Nascita Montessori.