capitolo 2

I materiali Montessori:
la loro funzione e il rapporto con il lavoro,
il gioco e la vita sociale del bambino

Maria Montessori vedeva l’educazione come uno strumento attraverso cui i bambini avrebbero potuto sviluppare la loro personalità così da arrivare all’età adulta come persone mature e indipendenti. Progettò il materiale educativo per aiutarli in questa impresa. In genere, questa basilare funzione del materiale viene ignorata quando lo si mette a confronto con l’attrezzatura che si trova nella maggior parte delle classi della scuola dell’infanzia. La delusione nei confronti del materiale Montessori deriva da un confronto che però viene fatto solo in modo superficiale. Un approccio così approssimativo è causato dall’adesione a ciascuna delle due principali correnti di pensiero che oggi interessano l’ambito educativo. La prima sostiene che i bambini piccoli dovrebbero essere liberi di esprimere i loro bisogni e le loro fantasie senza vincoli, e provare perciò ben poca frustrazione. Gli oggetti dovrebbero offrire soprattutto momenti di gratificazione. Quando li maneggiano, i bambini scopriranno anche alcune delle loro qualità oggettive, ma questa è più o meno una questione secondaria. In questa prima fase si considera che l’apprendimento ostacoli lo sviluppo disinibito della personalità del bambino, e non sia quindi qualcosa che deve essere forzato attraverso un insegnamento organizzato. Da questo punto di vista, il materiale Montessori appare troppo rigido.


Il secondo approccio educativo, al giorno d’oggi molto popolare, considera ogni sviluppo come parte integrante del processo di apprendimento, e l’apprendimento come il risultato del condizionamento, decodizionamento, o ricondizionamento di riflessi all’origine semplici. Pertanto, le conoscenze possono essere acquisite a partire dagli esperimenti sui ratti o su altri animali, e poi applicate sugli esseri umani in una situazione di apprendimento. Anche se l’organismo umano raggiunge un livello più alto di differenziazione, le catene di reazioni che si rinvengono corrispondono in sostanza allo stesso modello meccanico. Qualsiasi concetto teorico deve obbedire alle leggi inerenti a questa teoria di base. Ciò è considerato vero ancor prima che venga effettuato il passaggio alla sperimentazione e osservazione umana. Quindi, qualunque capacità tra quelle presenti all’interno del sistema nervoso a una data fase di maturazione può essere acquisita dal singolo, a patto che venga realizzato un adeguato condizionamento basato sulle leggi teoriche accettate e condivise. Chi assume questa prospettiva troverà il materiale Montessori carente, per esempio, di una dettagliata organizzazione delle istruzioni. Dunque penserà che abbia una portata limitata per un apprendimento efficace. Questa è solo una spiegazione parziale e molto semplificata dei due approcci educativi comunemente accettati, ma spero possa essere d’aiuto per chiarire la mia posizione in relazione all’educazione montessoriana. Ad ogni modo, include i punti di vista più basilari delle due scuole di pensiero. Vengono però visti solo come parte degli schemi educativi di base, schemi che derivano da una più ampia concezione dello sviluppo umano. La sintesi che abbiamo visto illustra anche un’importante questione che concerne l’educazione in generale: che siano espressi apertamente o no, gli obiettivi dell’educazione e i metodi usati per raggiungerli sono determinati dalla matrice psicologica che deriva dalla sottostante concezione generale dello sviluppo umano.


In verità la Montessori propone una terza e più ampia concezione dell’educazione. Come ho già detto, la studiosa vede una differenza biologica essenziale tra uomini e animali. Tale differenza è chiaramente visibile negli schemi che stanno alla base del comportamento dei singoli individui umani, poiché essi non sono determinati in maniera preponderante dall’ereditarietà. L’uomo deve costruire queste strutture interiori da cui sviluppa, nel corso della vita, il comportamento personale a partire dalle proprie esperienze. È l’istinto a predominare negli animali, mentre le altre funzioni sono subordinate. Il comportamento complessivo di un animale e il rapporto della specie con l’ambiente specifico vengono inseriti nello schema istintuale di cui è dotato fin dalla nascita, quindi sono ereditari. Nell’uomo, ciò che corrisponde a questo aspetto dell’istinto animale si manifesta solo dopo la nascita. È una creazione interiore realizzata dall’uomo nel corso della giovinezza, che si protrae molto di più rispetto a qualsiasi altro essere vivente, e avviene in un rapporto di dipendenza dalla comunità in cui l’individuo si sviluppa, e da cui non può considerarsi separato. Eppure ciò non significa che l’uomo sia un prodotto dell’ambiente, o che il suo sviluppo venga lasciato in mano al caso. È piuttosto un processo complesso guidato da forze interiori che si susseguono in certi periodi della sua vita. Tali forze sono strettamente correlate all’ordine di maturazione e sviluppo, così come alla realtà esterna. I comandi interiori sono tuttavia di un ordine differente rispetto agli istinti animali. Montessori li definì istinti guida. Indicano la strada che prenderà lo sviluppo mentale dell’uomo, ma poiché questo sviluppo può sussistere solo all’interno della società, saranno i valori culturali predominanti a definire le sue forme.


Lo sviluppo interiore, poiché deve precedere l’indipendenza, è quindi il compito più importante del bambino. Per realizzarlo, il bambino è dotato di certe potenzialità che non esistono negli adulti. Maria Montessori chiamò una di queste capacità la mente assorbente. Attraverso gli stretti legami emotivi instaurati con chi si prende cura di loro, i bambini, durante i loro primi anni di vita, assorbono attivamente gli schemi basilari che incontrano nell’ambiente sociale. È da questi schemi che prende forma il loro comportamento personale. La spiccata sensibilità e il gran desiderio di assimilare idee dall’esterno esiste non solo in relazione agli altri esseri viventi e al loro comportamento, ma comprende tutto ciò che fa parte del mondo del bambino. Il suo rapporto emotivo con il mondo esterno è così intenso che influenza tutto il suo essere. Ecco perché la Montessori ha chiamato il bambino in questa fase di sviluppo un embrione spirituale. Nei successivi stadi di sviluppo, i bambini sono guidati verso la maturità da periodi sensitivi che li stimolano a svolgere certe attività e ad acquisire determinate esperienze, necessarie per strutturare ulteriormente la loro personalità rispetto all’ambiente. Le possibilità offerte dal mondo circostante determinano se questa predisposizione verso nuove esperienze, che sfocia nell’arricchimento della personalità, sia ben stimolata, usata solo in parte o addirittura repressa.


Secondo Montessori, l’educazione dovrebbe essere un aiuto alla vita. Deve quindi essere uno strumento per sostenere e guidare il bambino nell’arduo compito di costruire le fondamenta della sua personalità. Sono tre i fattori che determinano la direzione di questa costruzione interiore. Il primo è la psiche del bambino, con i suoi specifici bisogni, potenzialità e periodi sensitivi, che determina il ritmo e la direzione del suo sviluppo interiore. Lo sviluppo non avviene mai in linea retta, ma mostra delle fluttuazioni e delle differenze individuali. Il secondo è la comunità culturale, con i suoi standard, le usanze, gli schemi comportamentali, gli ideali, la religione e la conoscenza di tutti gli altri aspetti della sua civiltà. È l’ordine predominante della comunità che permette al bambino di raggiungere un’armonia interiore. Il terzo è il mondo materiale con le sue qualità oggettive, a cui l’uomo si deve adattare per poter utilizzare liberamente le proprie abilità.


L’ambiente dell’uomo moderno è estremamente complesso e differenziato sicché un essere che affronta per la prima volta il mondo attuale non può fare a meno di sentirsi confuso. Nondimeno, quando un bambino lascia la protezione del grembo materno deve fare i conti con questo mondo. Lo può fare solo attraverso l’esperienza e gli adulti devono concedergli la libertà di acquisire tale esperienza da solo. Allo stesso tempo, devono aiutarlo, quando possibile, a esplorare e assimilare il suo mondo e i princìpi che lo regolano. Devono quindi edificare un ponte tra il loro mondo e quello del bambino. Il metodo Montessori crea questo ponte attraverso un ambiente preparato, ed è qui che il materiale montessoriano svolge un ruolo fondamentale. L’idea non è quella di riprodurre in miniatura il mondo degli adulti, né di distorcere la realtà trasformandola in un paradiso immaginario nel quale i desideri e le fantasie dei bambini sono le sole cose da prendere in considerazione. Piuttosto, l’ambiente preparato dovrebbe mettere il mondo in generale, e di conseguenza il mondo degli adulti, alla portata del bambino in qualsiasi stadio di sviluppo si trovi e in qualunque momento.


Per far ciò, deve soddisfare certe condizioni generali. Primo, dovrebbe essere suggestivo sia dal punto di vista estetico che pratico per i bambini appartenenti a diverse fasce d’età, ma allo stesso tempo dovrebbe rispecchiare l’organizzazione e l’ordine necessari a una comunità per funzionare correttamente. Le regole per ottenere questa condizione dovrebbero essere valide per tutti. Sarebbe meglio che le regole non derivassero dal desiderio dell’adulto di imporre la propria autorità, ma, così come avviene per la regolazione del traffico stradale, dal desiderio di concedere libertà individuale per svolgere un’attività in maniera indipendente, senza interferire con quella degli altri. L’ambiente preparato dovrebbe anche stimolare l’interesse dei bambini per le attività mirate di cui hanno bisogno per promuovere il loro sviluppo generale. Inoltre, deve essere organizzato per permettere di svolgere le attività a modo loro e secondo il loro ritmo. L’ambiente non dovrebbe focalizzarsi su una sola funzione o capacità, ma attrarre tutta la personalità del bambino. Dovrebbe fornire al bambino anche l’opportunità di esercitare, padroneggiare e integrare con precedenti competenze qualsiasi nuova funzione o capacità acquisita. Ciò deve valere anche per il comportamento generale. I bambini dovrebbero sentirsi a loro agio nell’ambiente sicché al momento della preparazione si deve tener conto dei loro limiti e possibilità. L’ambiente andrebbe adattato alla statura dei bambini che in tal modo possono cogliere l’opportunità di agire in maniera indipendente ogni volta che hanno imparato come fare. Gli adulti dovrebbero guidare e aiutare il bambino allorché è necessario, non senza necessità. Se per esempio l’uso dei servizi igienici è acquisito e i bambini, sotto questo aspetto, possono essere considerati indipendenti, non dovrebbero chiedere l’aiuto di un adulto solo perché i servizi igienici disponibili sono adatti agli adulti: andranno perciò adattati alla statura dei bambini. E lo stesso discorso si applica ai mobili o a qualsiasi altro oggetto presente nell’ambiente e che si trova lì per essere usato, perché altrimenti i bambini si trovano costantemente di fronte a compiti eseguiti dagli adulti e che però essi sanno che potrebbero fare loro stessi, se solo non fossero troppo piccoli rispetto agli oggetti in questione. In questo caso potrebbero finire per considerare gli adulti come dei potenti rivali anziché dei modelli. Infine, l’ambiente preparato dovrebbe contenere materiale costruito e scelto per fornire ai bambini gli strumenti con cui avere le esperienze primarie attinenti al loro sviluppo. Il materiale Montessori non è puramente didattico, e non è nemmeno costituito da giocattoli, anche se, certo, i bambini lo usano per imparare e giocare, e per di più, gli piace tantissimo.


Il materiale è solo uno dei tanti mezzi attraverso cui i princìpi montessoriani trovano piena espressione. Ora che la sua posizione è stata stabilita all’interno del quadro di riferimento degli altri due approcci educativi, prendiamo in considerazione la sua speciale funzione.


Se usato in modo corretto, questo materiale ha due scopi principali. Da una parte, favorisce lo sviluppo interiore del bambino, vale a dire la preparazione indiretta che deve precedere lo sviluppo di qualsiasi nuova funzione dell’ego. Dall’altra, aiuta il bambino ad acquisire nuove prospettive mentre esplora il mondo reale. Lo rende consapevole di alcune proprietà degli oggetti, le loro interrelazioni, i principi di differenziazione presenti all’interno di una data categoria, le sequenze organizzative e modalità particolari per maneggiare gli oggetti. Sfida l’intelligenza del bambino, che è dapprima incuriosito e poi assorto davanti ai principi che sono messi in gioco. Se si accende una scintilla, se viene scoperto un principio, si risveglia nel bambino una spinta a mettere in pratica il concetto appena acquisito attraverso un’infinita ripetizione delle azioni che lo hanno condotto fin lì. Quando il bambino ha padroneggiato perfettamente il principio in questione, passa ad applicarlo in modo spontaneo maneggiando altri oggetti. Innanzitutto il materiale non insegna ai bambini la conoscenza effettiva, ma rende loro possibile la riorganizzazione della conoscenza secondo principi nuovi. Ciò aumenta la capacità di apprendimento. Dato che i materiali rispondono a tale funzione, la Montessori li definisce astrazioni materializzate.


Vorrei illustrare ora, attraverso qualche esempio, i due aspetti cardinali del materiale. Tutte le funzioni dell’ego, come la percezione, il pensiero, il linguaggio, la comprensione degli oggetti, la coordinazione del movimento e il processo generale di apprendimento, richiedono un lungo periodo di preparazione indiretta prima di emergere come aspetti integranti della personalità. Questo si traduce in alcune attività dei bambini che non hanno alcun senso per gli adulti. Spesso i bambini si immergono in tali attività in maniera così ostinata che è molto difficile riuscire a distoglierli.


Una volta ho assistito alla seguente scena: una bambina che non era ancora in grado di parlare ma sapeva già muoversi piuttosto bene, si tirò su aggrappandosi al bordo del tavolino della sala. Poi iniziò a esaminare un vaso di fiori posto sopra il tavolo. Se ne stava in posizione eretta, sostenendosi con la mano sinistra, e incominciò a togliere i fiori dal vaso, uno alla volta, usando la mano destra per metterli sul tavolo. Assorta in tale attività, manifestava una serietà e una concentrazione che ricordava quella di un chirurgo in una sala operatoria. L’acqua versata sul centrino non la disturbava affatto, e tantomeno la disturbava la madre, che si divertiva a guardare la scena. Non appena tutti i fiori furono sul tavolo, la bambina iniziò a rimetterli nel vaso, uno alla volta, con estrema cura. Una volta terminata l’operazione, iniziò a toglierli di nuovo. Quando entrai nella stanza, la scena era già in corso da un bel po’. La bambina ignorò del tutto il mio ingresso.


Era la quinta o sesta volta che lo faceva, e non sembrava aver intenzione di smettere. Era come se il resto del mondo non esistesse. Io e sua madre continuavamo a guardarla, affascinati. Si era però già fatta l’ora di pranzo ed era piuttosto tardi, così, dopo un po’, quando tutti i fiori vennero rimessi nel vaso, sua madre propose di andare a mangiare. La figlia non le prestò la benché minima attenzione e incominciò da capo. La madre, anche se apprezzava l’importanza che la figlia dava all’attività, non voleva che lei o la famiglia saltassero il pranzo, quindi continuò a chiamarla, in modo amichevole ma persistente. Alla fine la bambina, senza nemmeno alzare lo sguardo o interrompere ciò che stava facendo, disse con veemenza “No, no!” e continuò.


A quel punto i fiori erano di nuovo sul tavolo, e la madre le disse “Bene, mettili pure nel vaso, ma poi andiamo a mangiare”. La bambina esclamò nuovamente “No!” e continuò a rimettere a posto i fiori, ricominciando poi per l’ennesima volta. Allora la madre agì in maniera più decisa: prese la figlia, le sorrise, le promise del cibo appetitoso e le diede il permesso di continuare con i fiori dopo pranzo. La bambina era disperata, piangeva e singhiozzava, anche quando se ne stava seduta davanti al cibo. Ci vollero un bel po’ di coccole e carezze prima di calmarla. Per fortuna era affamata, così una volta distolta l’attenzione dalla sua precedente attività e dopo che il momento dei singhiozzi era passato, l’opzione di mangiare aveva cominciato ad attrarla e poteva tornare a sorridere al mondo.


Questo esempio è paradigmatico di quelle attività che sembrano superflue agli occhi degli osservatori meno attenti, specialmente se giudicano in base agli standard degli adulti. A cosa serve continuare senza sosta a mettere i fiori in un vaso e a toglierli di nuovo? Per un bambino, però, può essere una faccenda molto seria. Lo scopo dell’attività, tuttavia, deve essere ricercato all’interno del bambino, e non nell’azione in sé o in uno scopo pratico.


L’altra funzione del materiale Montessori – aiutare i bambini ad acquisire nuove prospettive – è illustrato dal seguente esempio che ho avuto modo di osservare in prima persona; la protagonista è una bambina di quattro anni. Eravamo seduti su un enorme divano rivestito di cretonne su cui la bambina aveva camminato e saltato un bel po’ nell’arco della sua breve vita, dato che il divano si trovava proprio sotto la finestra che dava sulla strada. Stavamo chiacchierando ed eravamo entrambi di buon umore. All’improvviso, smise di prestarmi attenzione e iniziò a guardare con aria seria il cuscino su cui eravamo seduti, senza dire una parola. Mentre mi stavo domandando cosa avesse catturato la sua attenzione, la bambina indicò con il ditino un punto del rivestimento a fiori e disse “Questo è verde scuro”. Poco dopo, indicò un altro punto e aggiunse “Questo è più chiaro”. Infine trovò un altro punto ancor più chiaro e disse “E questo è il più chiaro”. Quando le sfumature di verde furono esaurite, incominciò a esaminare un altro colore, e poi un altro ancora, e così via. Allora iniziai a partecipare a quelle osservazioni, ascoltando le sue affermazioni e facendole domande sulle altre sfumature, e continuammo così fino a quando non dovetti andarmene. Insomma, la parte interessante di questa storia è che ciò che la bambina aveva imparato grazie al materiale Montessori non erano solo i colori, e neanche i nomi, che peraltro già conosceva. Aveva imparato il concetto di sfumatura, che le consentiva di “riscoprire” il mobile a cui si era abituata in quei quattro anni di vita. Guardava il suo stesso mondo con occhi diversi, e con una percezione più differenziata.


Questo effetto è atteso solo quando il materiale offerto al bambino corrisponde al tipo di attività per cui, in quel periodo, nutre un interesse speciale, e quando la sua intelligenza è sufficientemente sviluppata da comprenderne l’idea di fondo. Se il materiale viene dato al bambino troppo presto, risulterà troppo difficile; se troppo tardi, risulterà noioso. Ma se il momento è giusto, verrà visto come qualcosa che il bambino è in grado di conquistare. Il materiale Montessori offre ai bambini simboli e strumenti per intrepretare il loro mondo in maniera più coerente e diversificata. Stimola così il desiderio di imparare poiché rende l’apprendimento piacevole, anziché frustrante o faticoso.


Chiunque abbia mai visto un “bambino Montessori” nel momento in cui scopre di saper leggere non dimenticherà mai la sua felicità, la sua faccia raggiante, l’orgoglio di vedere un nuovo mondo aprirsi davanti ai suoi occhi. Ho avuto il privilegio di osservare tutto questo con i miei figli, e sono convinto che accade qualcosa di importantissimo e molto costruttivo ai bambini che frequentano una scuola Montessori. A prescindere dalle teorie sottese, non vorrei aver privato nessuno dei miei figli di questa esperienza unica che ha anche apportato qualcosa di nuovo al nostro rapporto. Ora i bambini non soltanto sono contenti di leggere e dare un senso a quelli che prima erano simboli misteriosi, ma provano la gioia di condividere qualcosa con gli adulti, qualcosa che fino a quel momento apparteneva in maniera esclusiva al mondo dei grandi. Adesso anche i bambini sono entrati a far parte di quel mondo; hanno qualcosa in comune con i genitori con cui si identificano; il legame si è rafforzato ed è diventato più concreto, e si è anche rafforzato il loro ancora debole “io”. Tutto ciò è avvenuto come se fosse un miracolo, senza che i bambini sapessero che sarebbe successo. È questo elemento di scoperta che rende l’approccio montessoriano nei confronti della lettura un’esperienza unica e gratificante.


In linea generale i materiali Montessori vengono usati in classe a livello individuale ed è quindi importante capire se un metodo che enfatizza il loro utilizzo possa rendere giustizia ai bisogni sociali dei bambini. Storicamente, il metodo Montessori è stato definito un approccio individuale per differenziarlo da quello classico, l’unico metodo usato nelle scuole nella prima metà del XX secolo. In realtà però l’educazione sociale ha sempre occupato un posto importante nelle scuole Montessori. Sono svariati i fattori che contribuiscono a questo tipo di educazione: il ruolo dell’insegnante, il metodo di lavoro libero, l’ambiente preparato – che incoraggia il rispetto degli altri e dei materiali – e l’inclusione di bambini di fasce differenti d’età in un solo gruppo.


Montessori descrisse la funzione dell’adulto in classe in termini di guida anziché di insegnante, tant’è che scartò questo termine, preferendo quello di “direttrice”. Senza guida, nessuna comunità può formarsi. Bisogna che qualcuno si prenda cura affinché gli schemi comportamentali ritenuti necessari per una convivenza regolata all’interno di un gruppo vengano rispettati. Pur se la comunità scolastica assomiglia in qualche modo a quella familiare tuttavia è anche diversa e perciò richiede maggiore crescita sociale. Gli insegnanti sono i rappresentanti di questa comunità più ampia ed è loro compito aiutare i bambini a familiarizzare gradualmente con le regole. In più, deve essere svolto in modo tale da rendere possibile l’accettazione interiore da parte dei bambini.


Gli insegnanti devono attenersi alle regole della comunità scolastica per il bene del gruppo e dei singoli; pertanto nell’educazione montessoriana l’unica punizione è l’isolamento dal gruppo per un periodo limitato di tempo. Se un bambino disturba gli altri, l’insegnante gli spiega che così facendo gli altri bambini non possono continuare le loro attività, e gli consiglia di andare a cercare qualcosa che gli piacerebbe fare. Se continua a interrompere, il bambino viene messo in disparte con il tavolo, la sedia e il materiale. Può ancora vedere il gruppo, ma ne viene isolato. In ogni caso è libero di unirsi agli altri quando pensa di essere in grado di partecipare nuovamente. È la situazione sociale che determina quando queste misure sono necessarie, ed è il desiderio di appartenenza del bambino che lo incoraggia a correggere la propria condotta.


L’equilibrio tra la libertà dell’individuo e i bisogni del gruppo è un altro punto essenziale dell’educazione sociale montessoriana. Si può parlare di vera comunità solo quando ogni membro del gruppo si sente a sufficienza libero di essere se stesso, e al contempo limita le proprie libertà per potersi inserire nel gruppo. L’essere sociale nasce dalla ricerca di una soluzione ottimale tra indipendenza personale e dipendenza dal gruppo. Troppa libertà individuale porta al caos; troppa uniformità, imposta dagli adulti, porta alla uniformizzazione impersonale o alla ribellione.


L’ambiente preparato promuove lo sviluppo sociale poiché obbliga i bambini a prendere in considerazione sia gli oggetti sia gli altri individui. Dato che l’ambiente è adattato ai loro bisogni interiori, ai loro occhi risulta suggestivo e stimolante; li invita a partecipare a tutti i tipi di attività, ma entro certi limiti. Prima di tutto, i materiali impongono specifiche condizioni. Ad esempio il controllo degli errori, che è incorporato. Ogni volta che le condizioni non vengono soddisfatte, sono gli stessi oggetti a mettere alla prova i bambini attraverso le loro proprietà. I bambini si trovano così di fronte a problemi per i quali devono trovare le soluzioni più adeguate se vogliono svolgere i compiti che hanno scelto di eseguire. Il rapporto di fatto nei confronti degli oggetti favorisce l’adattamento interiore all’ambiente.


In maniera analoga, è richiesto anche un adattamento esterno, dal momento che tutto ciò che si trova nell’ambiente preparato occupa un posto speciale. Dopo l’utilizzo, il materiale deve essere rimesso al proprio posto ed essere riconsegnato nelle condizioni originarie cosicché altri bambini possano lavorarci e, in sua mancanza, capiscano che lo sta usando qualcun altro. Tale adattamento esterno è possibile solo se si seguono le indicazioni dell’insegnante, se il bambino acquista consapevolezza dei bisogni altrui e solo se vi è ordine nell’ambiente, che accresce il desiderio dei bambini di collaborare per mantenerlo così come lo hanno trovato. Tali forme di adattamento sono aspetti importanti che determinano lo sviluppo sociale dell’individuo.


Il rispetto per gli altri si sviluppa ancor più attraverso il rapporto tra i bambini e l’insegnante all’interno dell’ambiente preparato. Quando un bambino va all’asilo per la prima volta, all’età di due anni e mezzo o tre, ha avuto poca esperienza di contatto diretto con gli altri della sua età, perché il bambino piccolo si rivolge emotivamente molto di più agli adulti che lo circondano. Prima sviluppa un legame personale con la madre, poi con il padre e infine con altri adulti di cui si fida e che si trovano nel suo primissimo ambiente sociale. Il legame con l’insegnante è il passo successivo di questa serie di legami. Gli insegnanti occupano un posto importante nella classe così come la madre lo occupa in casa, e i bambini si rivolgono a loro in modo naturale quando hanno bisogno d’aiuto. Il rapporto che si sviluppa è meno personale rispetto a quello con la madre, ma un legame positivo tra l’insegnante e il bambino è la sola base soddisfacente per l’educazione. Per tale ragione, Montessori ha definito l’educazione una tecnica dell’amore.


Gli insegnanti devono impegnarsi in maniera attiva per costruire un rapporto positivo e far sì che i bambini si rivolgano a loro con fiducia, accettando la loro autorità come una cosa normale. Per raggiungere questo obiettivo, gli insegnanti dovrebbero riuscire ad attirare l’attenzione dei bambini non solo per come si pongono e grazie all’aspetto che mostrano, ma anche in quanto promotrici di esperienze nuove e piacevoli. Devono rispettare la personalità dei bambini, capire i loro bisogni di sviluppo e apprezzarne le conquiste. In questa maniera evitano di contrapporsi ai bambini in guisa di rappresentanti di un’autorità arbitraria, ma li affiancano come persone più sagge, capaci di capirli e disponibili ad aiutarli nell’impresa di crescere. I bambini a loro volta rispondono con affetto e sono più propensi ad accettare la guida degli insegnanti. Una volta stabilito questo rapporto, gli insegnanti sono in grado di aiutare gradualmente i bambini a diventare membri della comunità della classe, una cosa possibile soltanto quando essi rispettano gli interessi del gruppo e aiutano a mantenere l’ordine sociale esistente. Imparano a usare il materiale con cura e a lasciarlo in buone condizioni anche per gli altri, a mantenere l’ambiente condiviso piacevole e ordinato, a comportarsi in modo tale che gli altri lavorino indisturbati; apprendono le buone maniere che possono farli sentire a loro agio in varie situazioni sociali, imparano a mettere in secondo piano la soddisfazione dei propri desideri quando entrano in conflitto con le esigenze della realtà e i bisogni degli altri. Tutto ciò viene fatto nel modo più naturale possibile ogni volta che si presenta l’occasione.


La Montessori fu tra i primi a comprendere l’importanza del lavoro collettivo per lo sviluppo mentale e cercò di elaborare le condizioni ottimali per realizzarlo nelle sue scuole. Gli esercizi di vita pratica pensati per i bambini piccoli promuovono il contatto sociale sia per la natura del compito sia per il modo in cui vengono organizzati in classe. È esperienza comune quella di vedere gruppetti di due o più bambini che scelgono volontariamente di incominciare a fare gli esercizi insieme. Nell’educazione Montessori viene posto l’accento sul lavoro collettivo durante tutta l’educazione primaria e secondaria. All’inizio del periodo di lavoro viene fatta una breve lezione su un argomento generale che potrebbe suscitare l’interesse di tutto il gruppo. Quando ciò riesce bene, spesso l’attività dei bambini si intensifica; così a volte accade che i bambini incomincino subito a lavorare insieme. In altri momenti possono lavorare in maniera individuale, a modo loro e secondo le loro intuizioni e abilità. Tuttavia, allo stesso tempo stanno prendendo parte a un evento di gruppo, per cui i loro contributi separati fanno riferimento a un argomento comune e possono essere visti in un secondo tempo come un risultato collettivo. Le discussioni in classe di certo non mancano quando, per esempio, il lunedì mattina l’insegnante dà ai bambini l’occasione di parlare del fine settimana appena trascorso. Così imparano a parlare davanti a un gruppo, a darsi l’opportunità di parlare a vicenda, a contribuire proficuamente agli spunti di riflessione. Nel medesimo tempo ascoltano la vita quotidiana di un altro individuo. Soprattutto dopo una vacanza, questo esercizio dà luogo a temi e disegni sulle esperienze fatte. Inoltre, i bambini spesso reagiscono attivamente alle cose che l’insegnante legge ad alta voce o a ciò che dice riguardo a una tematica di cui tutti nel mondo degli adulti stanno parlando, nell’elaborazione di una dimostrazione scientifica e via dicendo. Alcune attività individuali sono poi al servizio del gruppo, come ad esempio prendersi cura di piante e animali in classe, pulire le mensole e i materiali, distribuire la merenda. Ci sono attività di gruppo come ad esempio decorare la classe in occasione di festività e occorrenze particolari, la lezione del silenzio, gli esercizi sulla linea, la danza e il canto. Vengono creati spettacoli e dialoghi, e ci sono giochi di tutti i tipi, da fare al chiuso o all’aperto: in breve, una buona classe Montessori offrirà varie attività collettive.


Resta da considerare ora se il contributo individuale dei materiali Montessori è adatto ai bambini piccoli, perché è anche vero che i bambini che lavorano con i materiali riescono a farlo tranquillamente da soli. Nella letteratura psicologica, questo tipo di occupazione solitaria viene in genere etichettato come egocentrico. Credo che il termine sia corretto solo se il comportamento del bambino viene giudicato con standard degli adulti; il che è proprio quello che fanno gli psicologi in questione. Ma se si prende in considerazione la natura del bambino, diventa subito chiaro che questo termine non può essere usato per descrivere la sua attività. Un bambino piccolo può essere del tutto assorbito e affascinato da ciò che sta facendo, ma il suo impegno è rivolto ai materiali su cui è concentrato, non su se stesso.


Va da sé che i bambini in una classe Montessori fanno molto di più che lavorare con il materiale. Sono ben consapevoli di chi li circonda, e si nota come i piccoli siano intenti a osservare il lavoro degli altri, in particolare dei più grandi. Così facendo assimilano molto più di quanto non sembri, e si stanno già preparando per una partecipazione sociale più attiva all’interno della comunità della classe. Il contributo della classe Montessori nello sviluppo della vita sociale talora passa inosservato per via dell’enfasi data alla crescita interiore del bambino. Spesso si pensa allo sviluppo sociale come a un reciproco contatto, ma questo significa sottovalutare l’intero processo. È indispensabile un lungo periodo di preparazione indiretta se il bambino deve sviluppare la capacità di relazionarsi con gli altri. Così come per tutti gli aspetti dello sviluppo umano, non c’è niente che venga raggiunto subito e in maniera diretta.


I bambini che si esercitano, soli e tranquilli, con i materiali Montessori si stanno preparando inconsciamente a partecipare alla comunità in cui poi dovranno trovare il loro posto in quanto adulti indipendenti. Il metodo Montessori è concepito appositamente per aiutarli in questo importante compito. Se ci sono insegnanti di formazione montessoriana che non hanno ancora compreso l’obiettivo dell’educazione, a cui il metodo deve il suo carattere così dinamico, ciò dipende dai loro limiti e non del metodo in sé. Qualunque insegnante o adulto che non riesce a apprezzare l’importanza di questo sviluppo interiore svilisce l’uomo fino ad abbassarlo a un mero animale gregario e nega al bambino l’aiuto di cui ha bisogno per diventare ciò per cui è nato: un essere sociale.


Ora vorrei parlare del terzo aspetto dei materiali Montessori, e cioè quello del gioco, perché è sempre stato – ed è ancora oggi – avvolto dall’incomprensione e dalle critiche. Con il passare del tempo, però, l’osservazione critica ha preso un’altra piega. Se in precedenza si sosteneva che i bambini delle scuole Montessori potevano fare tutto quello che volevano, e quindi giocavano tutto il giorno, oggi si afferma l’opposto, cioè che i bambini possono fare solo quello che Maria Montessori voleva che facessero, e il bisogno di giocare liberamente non viene perciò soddisfatto.


Per ordinare la concezione della Dottoressa sul gioco nella giusta prospettiva, è necessario inquadrare il contesto storico in cui iniziò la sua opera. Innanzitutto, le scuole per i bambini al di sotto dei cinque o sei anni erano l’eccezione anziché la regola. Quando c’erano strutture separate per i bambini molto piccoli, queste erano delle nursery dove i bambini giocavano sotto l’attento sguardo di un’istitutrice, abbondonati un po’ a se stessi.


Dal momento che si riteneva che i bambini piccoli non fossero in grado di far nulla, eccetto giocare, si offrivano loro quegli oggetti che, secondo gli adulti, sembravano i più adatti per quel tipo di comportamento piuttosto futile. I giocattoli che si compravano di solito erano graziosi e ingegnosi, ma non adatti per i bambini. L’aspetto estetico era determinato soprattutto da ciò che attirava gli adulti, perciò erano basati su una proiezione sui bambini delle preferenze degli adulti, e non su ciò di cui i bambini sentivano il bisogno per poter giocare. L’abitudine di dare i giocattoli ai bambini racchiudeva un senso di superiorità da parte degli adulti, che non prendevano sul serio l’attività del gioco, ma volevano meramente compiacere i piccoli. Mi ricorda il comportamento dei commercianti bianchi, che offrivano specchietti e perline colorate ai capi delle tribù primitive per stabilire delle buone relazioni commerciali. Il gioco dei bambini veniva visto dagli adulti più come una faccenda infantile che come un comportamento umano fondamentale nella fase iniziale di sviluppo. Solo quando un bambino faceva qualcosa che rispondeva alle aspettative degli adulti, e cioè quando si comportava poco da bambino, allora poteva aspettarsi di ricevere degli apprezzamenti.


Montessori però voleva studiare i bambini nel loro mondo. Mentre era alla ricerca delle condizioni ottimali per il suo esperimento scientifico, si lasciò guidare dalle attività, dalle reazioni e dalle espressioni spontanee dei bambini. Incominciò offrendo loro i giocattoli che avrebbero dovuto compiacerli, ma ne presentò anche di nuovi, alcuni dei quali sono uguali ai materiali che si trovano nelle scuole Montessori odierne. Dal punto di vista dei bambini, essi continuarono semplicemente a giocare, ma con giocattoli più stimolanti. Agli occhi dell’osservatore, però, i risultati erano di notevole importanza. L’esteriorizzazione dei contenuti dell’esperienza del bambino che dà forma a materiale amorfo, l’elaborazione di intuizioni derivate dalla vita quotidiana agendo da soli o insieme agli altri bambini, l’espressione di sentimenti dominanti attraverso fantasie di ogni tipo e un’inesauribile attività fisica; anche se non erano mai stati del tutto compresi, sono questi gli aspetti più comuni del comportamento infantile che si sono susseguiti nel corso del tempo. Il lavoro di Montessori, invece, dimostrò con chiarezza e per la prima volta che i bambini hanno un bisogno interiore di imparare a conoscere se stessi e il loro mondo: di sviluppare l’intelligenza e altre funzioni mentali attraverso attività significative, di migliorare il controllo dei movimenti tramite l’uso del corpo in situazioni strutturate, di organizzare i contenuti dell’esperienza a seconda dell’ordine incontrato nel mondo e attraverso la conoscenza delle proprietà delle cose, familiarizzare con l’ambiente e con le proprie capacità per diventare infine indipendenti.


Per i bambini tutto ciò avviene in modo naturale e volontario, e perciò dovrebbe prendere il nome di gioco. I bambini Montessori non sono diversi. Continuano così ogni volta che si stancano dopo un periodo di attività concentrata. Ma quando i bambini vengono aiutati in maniera adeguata, ci si meraviglia per le qualità che sono capaci di sviluppare: il massimo sforzo compiuto da bambini piccolissimi, la frequente ripetizione di esercizi – non per l’esito finale, ma per l’attività in se stessa – il senso dell’ordine, una concentrazione elevata che si manifesta quando il compito desta l’interesse del bambino, la gioia espressa nel lavoro, la crescente fiducia in se stessi e la sensazione di sentirsi a proprio agio a livello sociale, e diverse altre manifestazioni che portarono Montessori a sviluppare il proprio metodo educativo.


Nel comportamento spontaneo dei bambini si possono distinguere due atteggiamenti principali. Il primo è il desiderio di esprimere se stessi. La direzione degli eventi è, per così dire, dall’interno all’esterno. Gli oggetti servono come mezzi di espressione dei contenuti dell’esperienza del bambino, delle sue capacità e dei prodotti della sua fantasia. Ciò che vive nel bambino viene esteriorizzato tramite l’uso degli oggetti e dal significato che il piccolo fa loro assumere durante il gioco libero. I materiali poco strutturati, che funzionano solo come materiali grezzi, sono i più indicati per raggiungere questo scopo. Anche creta, sabbia, acqua, perline, materiali per colorare, fogli bianchi e materiale artistico di vario tipo possono essere molti utili. Un bambino che corre a cavalcioni sopra un bastone, facendo finta di essere un prode cowboy in sella al suo cavallo, mentre insegue da solo un gruppo di indiani non trarrebbe alcun beneficio dal ricevere un cavallo vero, o un cavallo giocattolo, in cambio del suo bastone. Il bastone non simboleggia neppure un cavallo. In effetti non è altro che un segno: un segno che indica il passaggio tra realtà e fantasia e che mantiene il collegamento fra questi due mondi. È simile ai cartelli che nel teatro medievale indicavano lo scenario, lasciando così l’apparato scenico all’immaginazione degli spettatori. Quando i bambini, da soli o con gli altri, sono impegnati con i giochi di fantasia, c’è ben poco che gli adulti possono fare per aiutarli. Anche l’utilità degli oggetti è limitata perché devono essere adeguati, o essere resi tali dai bambini, al mondo della fantasia. Da soli i bambini sanno come questo mondo deve essere organizzato e quale significato si deve attribuire agli oggetti. Gli oggetti dovrebbero prestare un grado di realtà alla fantasia dei bambini senza disturbare il flusso naturale di quest’ultima a causa di proprietà troppo specifiche o essendo l’oggetto troppo diversificato. In tutte le fantasie, soprattutto quelle dotate di contenuto emotivo, un bambino deve confrontarsi con la sua esperienza personale, e i giochi di fantasia gli permettono di raggiungere un’elaborazione conscia di tale esperienza. D’altra parte, partendo da una fantasia, il bambino non diventa più sapiente circa le qualità oggettive del mondo, le proprietà delle cose e le loro interrelazioni o l’organizzazione del suo ambiente. I bambini danno forma alle fantasie, e la realtà deve rispettare i dettami dell’immaginazione.


Quando la realtà non sostiene la fantasia del bambino, o quando le vicende nell’ambiente circostante o gli eventi connessi al corpo del bambino attirano la sua attenzione, l’atteggiamento del bambino verso il mondo esterno cambia. Se, per esempio, a poca distanza passa il camion dei pompieri, a sirene spiegate, il bambino con il bastone si dimenticherà per un momento di essere un cowboy e, incuriosito, presterà attenzione all’evento reale. È tipico di queste situazioni il fatto che i bambini non creano il loro mondo, ma ne sono estratti, per così dire, dal richiamo della realtà e vanno alla scoperta delle cose che esistono nel mondo nelle loro forme. L’adeguamento ora deve provenire dai bambini, se vogliono migliorare la conoscenza degli eventi e delle cose reali, e analizzarli valutandone le qualità. Le cose hanno un significato e un’organizzazione, delle caratteristiche, dei valori e possibili usi. Il mondo mostra una struttura ben definita in cui possono essere distinti vari principi d’ordine, leggi e reciproche relazioni. Gli oggetti nel mondo quindi impongono delle condizioni sul potere di associazione dei bambini, sulle loro intuizioni e sulle capacità di coordinare i movimenti e, se tali condizioni non vengono rispettate, i fanciulli non riescono a usare adeguatamente le cose del mondo reale che incontrano.


Le modalità di costruzione interiore che avvengono quando i bambini sono impegnati nei giochi di fantasia, o in qualsiasi situazione di auto-costruzione, sono sconosciute. Eppure, in quanto forma di attività spontanea, i giochi di fantasia meritano uno studio attento. Maria Montessori scoprì che, di fronte a una possibilità di scelta, i bambini sceglievano quelle attività che alla fine andavano a costituire l’ambiente montessoriano. Non espresse mai alcun giudizio sulla scelta in sé; si limitò a osservare e accettare il comportamento dei bambini. Il fatto che i bambini educati secondo il suo metodo scelgano in genere delle attività che li informino sul mondo esterno forse è in parte dovuto a due aspetti della loro vita. Il primo riguarda le attività di vita pratica, che si basano sulle azioni che i bambini vedono fare agli adulti all’interno dell’ambiente. Il secondo concerne invece il fatto che nella nostra cultura i bambini tendono ad avere più opportunità di esprimere se stessi attraverso il gioco anziché di sviluppare la loro conoscenza sul mondo esterno grazie a specifiche attività. Pertanto, di fronte alla scelta, tendono a scegliere quest’ultima opzione.


In questo capitolo, mi sono soffermato sul ruolo dei materiali Montessori: il loro ruolo primario come forma di preparazione indiretta per le funzioni dell’ego e la differenziazione dell’intelligenza del bambino, la posizione che occupano nello sviluppo della sua vita sociale, la relazione tra il bisogno di esprimere se stessi, come avviene nei giochi di fantasia, e quello di autorealizzazione, che è basato sul contatto con la realtà esterna. Il ruolo dei materiali è stato frainteso sia dagli ammiratori sia dai critici, ma senza motivo. Se si comprende l’approccio di base dell’educazione come aiuto alla vita, il ruolo dei materiali acquista un senso logico. Più semplicemente, aiutano il bambino a costruire se stesso.

L'educazione come aiuto alla vita
L'educazione come aiuto alla vita
Mario M. Montessori Jr.
Comprendere Maria Montessori.Un affascinante sguardo sulla personalità di Maria Montessori, sulla sua filosofia educativa e sul ruolo dell’educazione nella formazione della personalità. L’educazione come aiuto alla vita offre un affascinante sguardo sulla personalità di Maria Montessori e sulla sua filosofia educativa relativa alle tematiche della crescita e dello sviluppo del bambino.  Un’opera indispensabile per chiunque desideri comprendere appieno la visione che la pedagogista aveva del bambino e la portata delle sue idee in un mondo in continua trasformazione. Mario M. Montessori Jr. esamina le idee di Maria Montessori sul lavoro a scuola e, allo stesso tempo, espone il significato profondo e il corretto uso dei materiali di sviluppo; espone le idee sul ruolo dell’educazione nella formazione della personalità e la relazione degli uomini con il cosmo. Di particolare rilievanza, infine, è l’accostamento del metodo Montessori con la psicanalisi e, più in generale, con la psicologia moderna. Forse il risultato più straordinario del suo approccio [di Maria Montessori] è stata l’intensità con cui i bambini partecipavano alle attività. Veniva coinvolta tutta la loro personalità, ed era evidente che provavano quel genere di piacere e soddisfazione che si prova solo quando vengono appagati i bisogni primari. L’obiettivo delle attività non poteva trovarsi nel mondo esterno, ma nei bambini stessi. Stavano formando la loro personalità, costruendo gli uomini e le donne che un giorno sarebbero diventati…Mario M. Montessori Jr. Conosci l’autore Mario M. Montessori Jr., figlio di Mario M. Montessori Sr., è uno dei quattro nipoti di Maria Montessori.Psicoanalista, visse in Olanda e ricoprì la carica di Vicepresidente dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale. Fin dalla nascita assorbì le idee educative di sua nonna, fungendo spesso lui stesso da oggetto delle sue osservazioni.Una volta laureato in Psicologia, lavorò non solo con gli adulti, ma anche con i bambini e gli adolescenti; queste esperienze lo convinsero che la filosofia sull’educazione alla pace propugnata da sua nonna avrebbe potuto contribuire in maniera significativa alla costruzione di un mondo più pacifico, in cui l’uomo avrebbe vissuto in armonia con il suo ambiente.