capitolo 10

Le paure degli adulti

Le paure riguardo all’introduzione di una qualsiasi nuova tecnologia sono vecchie quanto il mondo. L’esempio più noto e più antico si trova nel Fedro di Platone, dove Socrate racconta al giovane Fedro il mito della scrittura:

Il dio Theuth, presentando al re Thamus alcune tra le sue invenzioni, propone anche l’arte della scrittura. Ma l’invenzione non incontra l’entusiasmo del re, poiché quest’arte, come egli obietta: «Avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché, fidandosi della scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da se medesimi».

Certo, si è persa la memoria, ma si è guadagnata la cultura. Bisognerebbe, infatti, considerare che, quando si introduce una nuova tecnologia, si perde sì qualche cosa, ma di solito si guadagna qualcos’altro o più probabilmente cambia tutto. Per esempio, col navigatore GPS certamente si perde la visione globale del territorio circostante che ci offre una carta topografica, ma si guadagna in precisione e rapidità per arrivare a destinazione. Oppure, volendo divertirci un po’, possiamo dire che con il cellulare si perde la possibilità di “sbattere la cornetta in faccia” a uno scocciatore telefonico, ma si guadagna l’opportunità di poterlo insultare ovunque ci si trovi.

Molto simile è la paura del nuovo, mascherata da rimpianto del passato: il funereo “ai miei tempi…”. Chi glorifica il passato tende invece a dimenticare le cose brutte e scomode che ora non ci sono più. Ma c’è di peggio. Marc Prensky è convinto che troppi insegnanti vivano l’educazione come preparazione dei bambini per il passato e non per il futuro e parla di “backup education, l’educazione di ripiego, che si trincera dietro affermazioni del tipo: “L’atlante funziona anche quando non c’è corrente, mica come il navigatore GPS”180. A prescindere dal fatto che, se mancasse la corrente seriamente, avremmo ben altri problemi che consultare un atlante, un atteggiamento del genere da parte di genitori e insegnanti vuol dire: non ho fiducia nel futuro che ti sto preparando. Terribile.


La paura che le nuove tecnologie rendano troppo facile la scuola. Così ai più grandi si vieta l’uso di Wikipedia per le ricerche perché “se no copiano”. Certo, è un problema se si punta al sapere libresco, alle nozioni appiccicate. Oppure alle scuole superiori si impedisce l’accesso a MathWorld181 dove si trovano tutte le formule matematiche, senza pensare che, se non si sa come usarle, non servono a nulla. Ma poi, chi ha detto che la scuola debba per forza essere “difficile”?


La paura che giochino invece di studiare. Che cosa dire allora dei molti manager che si allenano e vengono valutati usando giochi elettronici? Se lo fanno un motivo ci dev’essere. Motivi ne hanno pure i chirurghi – li chiamano “chirurghi Nintendo” – che mostrano un rilevante aumento della velocità e una notevole riduzione degli errori se giocano a un videogioco d’azione qualche ora alla settimana182. Forse sarebbe il caso che, nell’emettere giudizi, gli adulti non si fermino alla sola parola “gioco”.

La paura che perdano tempo. Contrariamente ai nostri preconcetti, molti giovani percepiscono l’uso di alcune tecnologie come un lavoro. Pensiamo, per esempio, al dover aggiornare costantemente il proprio profilo su Facebook. I ragazzi ne vedono i costi e scelgono non tanto di rinunciare a questa tecnologia, ma di usarla in modo più intelligente. Lasciamoli sperimentare.


La paura di essere scavalcati. Mettiamoci l’anima in pace, non riusciremo mai a essere più bravi dei nostri nativi digitali. Ci dimentichiamo invece che possiamo collaborare, ognuno contribuendo con quello in cui è bravo: loro con la scioltezza in campo tecnologico, noi con lo sguardo lungo sul perché, sulle implicazioni della tecnologia.


La paura che i giovani si perdano in un mondo virtuale contrapposto al mondo reale. Primo, non è detto che gli incontri reali siano meno ipocriti di quelli virtuali; secondo, la mancanza di presenza fisica porta ad avere minori pregiudizi e dà libertà per sperimentare identità diverse. Non da ultimo la fuga che temiamo, che può diventare un patologico rifiuto persino a uscire di casa, la inneschiamo noi genitori con la pressione che mettiamo sui risultati scolastici dei figli e sulle “proposte” di attività extrascolastiche che non lasciano loro spazio da gestire in autonomia.

Infine, la paura che si facciano abbindolare. Piuttosto, siamo sicuri di conoscerli bene i nostri giovani? A parte i casi patologici, questi hanno un profondo rispetto per l’autorità online e non sono così gonzi come crediamo. Basta vedere come non sono cascati nella rete dei primi, inutili, smartwatch183. Guidiamoli, ma diamogli fiducia. In fin dei conti Montessori si fidava del bambino più che dell’adulto. E se i ragazzi hanno imparato a rapportarsi con gli altri in una scuola non giudicante e non competitiva, come la scuola Montessori, saranno ben allenati per affrontare la complessità di una rete sociale.


Certo tutti questi problemi non sono da minimizzare, ma penso che conoscerli e affrontarli ci possa aiutare a guardare con occhio più sereno tutto l’orizzonte delle tecnologie nella scuola e fuori e a compiere scelte equilibrate. Perché la paura restringe lo sguardo a ciò che si conosce, impedendo di vedere nuove e più entusiasmanti opportunità d’impiego e porta, per reazione, a divieti spesso immotivati che non fanno crescere i nostri giovani.

10.1 Le paure legittime ma ignorate

Oltre alle paure infondate che abbiamo elencato, ci sono problemi creati dalle nuove tecnologie che tendiamo a ignorare o sottovalutare. Non parlo dei problemi di privacy e spionaggio o dei lavori che ci verranno sottratti dalle macchine, problemi su cui possiamo esercitare ben poca influenza. Parlo di cambiamenti sottili e subdoli che manipolano il nostro modo di acquisire conoscenza e di interagire con gli altri. Quello che come educatori possiamo fare è rafforzare lo spirito critico nei nostri futuri adulti e aumentare la loro consapevolezza riguardo a questi lati ambigui della tecnologia.

Partiamo dal web, l’immenso mare d’informazioni e connessioni tra saperi. Tim Berners-Lee, che lo ha inventato, ha sempre avuto una visione molto chiara di cosa doveva essere la sua creatura:

Ho fatto un sogno riguardante il Web… ed è un sogno diviso in due parti. Nella prima parte, il Web diventa un mezzo di gran lunga più potente per favorire la collaborazione tra i popoli. Ho sempre immaginato lo spazio dell’informazione come una cosa a cui tutti abbiano accesso immediato e intuitivo, non solo per navigare ma anche per creare. […] Inoltre, il sogno della comunicazione diretta attraverso il sapere condiviso dev’essere possibile per gruppi di qualsiasi dimensione, gruppi che potranno interagire elettronicamente con la medesima facilità che facendolo di persona184.

La prima paura tecnologica è proprio questa: che un tale strumento si trasformi, senza che i nostri giovani e noi stessi ce ne accorgiamo, in qualcosa di nemico, che passi dall’essere uno strumento di conoscenza e unione a un immenso negozio chiuso fra muri e steccati. Per Mike Elgan questa trasformazione è già avvenuta:

L’internet che vedi è stata recentemente riprogettata per lusingare, assecondare e convalidare – non per provocare, illuminare e istruire185.

Che perdita! Opponiamoci per quanto possiamo a questa deriva, almeno rendendoci conto che esiste.


Un tale mondo virtuale che ci lusinga e ci vuole consumatori, pian piano ci crea attorno uno schermo che filtra e ingabbia, una filter bubble, come la definisce Eli Pariser186, che ci fa arrivare nient’altro che le notizie e le informazioni che condividiamo e i prodotti che più probabilmente consumeremo. Oggi purtroppo – ci mette in guardia lo studioso del web Jesse Hirsh:

nessuno va online per trovare qualcuno che non sia d’accordo con lui. Nessuno va online per trovare qualcuno che può distruggere la sua visione del mondo. Ciò significa che non solo siamo meno informati, ma non siamo più parte della società, siamo parte della nostra tribù. Noi siamo parte del gruppo di persone che la pensano come noi, vestono come noi, si comportano come noi187.

Non era questo il pensiero di Maria Montessori riguardo alle tecnologie, come ci ricorda la già citata prefazione al suo testo

Introduction on the Use of Mechanical Aids: “Montessori era affascinata dalla tecnologia del suo tempo, che assolutamente la incantava e dove vedeva opportunità per unire il nostro mondo e un mezzo attraverso il quale una società mondiale interconnessa avrebbe potuto dare sostegno agli altri e così far avanzare il genere umano.

I motori di ricerca come Google o Bing fanno la loro parte nell’impoverimento della conoscenza perché sono programmati per farci trovare solo quello che vogliamo trovare. Per esempio, un ragazzo che ascolta musica “tecno” difficilmente si imbatterà in una notizia curiosa su Max Gazzè o scoprirà un altro genere musicale che gli possa piacere. La conseguenza ovvia è che viene ucciso sul nascere un aspetto importante della creatività umana: la serendipità (serendipity) definita come il

cercare qualcosa, trovare qualcosa di diverso e rendersi conto che quello che hai trovato è più adatto alle tue esigenze di quello che pensavi stessi cercando188.

L’esempio classico è sfogliare i libri in una libreria e trovare in maniera inaspettata proprio un testo che ci serve, oppure navigare in rete e imbattersi in una pagina o una foto interessante che mai avremmo cercato. Se siamo circondati da “persone che la pensano come noi, vestono come noi, si comportano come noi” queste scoperte a sorpresa non possono avvenire. Dobbiamo recuperare invece la capacità che hanno i bambini di esplorare senza uno scopo preciso e di meravigliarsi per le scoperte inattese. Certo, questo richiede disciplina e l’aver chiara la differenza tra cercare e fare ricerca, perché altrimenti rischia di diventare un vagare senza meta e senza scopo.


Un’ultima, fondata paura è quella che i sistemi tecnologici ci tolgano la possibilità di sbagliare. Non la paura di cancellare qualcosa o di rovinare il computer, errori per cui esistono delle valide reti di sicurezza, ma la paura che un errore di gioventù rimanga registrato per l’eternità, cosa cui non c’è rimedio tecnologico.

È necessario che la rete e la tecnologia lascino alle persone uno spazio per fare degli errori. Pur ritenendo le persone responsabili in caso facciano davvero del male, devono anche concedere un margine di anonimato e oblio perché i più giovani – e magari anche quelli più grandi – abbiano lo spazio per crescere e cambiare189.

Questo margine d’errore si rivela molto limitato190, per cui dobbiamo educare le giovani generazioni a considerare e soppesare questi rischi. Rischi che non si riducono al precludersi opportunità future a causa di errori passati, ma addirittura al perdere un lato importante della propria vita perché:

Parte della magia della giovinezza è che le persone sono capaci di perdonare e dimenticare191.

Se non acquisiamo consapevolezza di questi limiti della tecnologia, questa ci può togliere un altro meraviglioso modo di maturare e crescere: l’apprendere attraverso prove ed errori. In un certo senso con la tecnologia dobbiamo imparare e insegnare ai nostri ragazzi a commettere errori “buoni”, quelli che ci fanno acquisire qualcosa di nuovo. Per esempio, in un programma di simulazione una costruzione può crollare senza conseguenze, oppure un testo o un programma di computer possono essere corretti. Anche in uno scritto per un blog in cui esprimo le mie idee, posso sbagliare e correggermi in base ai commenti che ricevo se seguo le regole del galateo del web. In ogni caso, come scrive Paulo Coelho:

Bisogna correre dei rischi. Noi capiremo completamente il miracolo della vita solo quando permetteremo che l’inatteso accada.

Così si chiude il cerchio e ritorniamo all’importanza della serendipità e quindi della creatività umana prima ancora di affidarci alle meraviglie tecnologiche.

10.2 Ricapitolando

  1. Le paure ci sono sempre state all’introduzione di una nuova tecnologia, ma non dobbiamo permettere che ci blocchino.
  2. Le nuove paure hanno fondamenti spesso legittimi, ma se portano a divieti immotivati, non servono come momento di crescita, anzi, restringono la visione a ciò che già si conosce.
  3. Rendiamoci conto un po’ più chiaramente dei nostri cattivi comportamenti da adulti nell’utilizzo della tecnologia: quando non riusciamo a non controllare la posta, quando siamo persi in Facebook e così via.

La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie
La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie
Mario Valle
Un’integrazione possibile?Un’analisi fresca e attuale dell’impatto delle nuove tecnologie (PC, tablet, videogiochi) nell’ambiente scolastico, da una prospettiva montessoriana. Il pensiero comune sostiene che il mondo Montessori disdegni le nuove tecnologie e che non ne ammetta l’uso nelle scuole o in famiglia. Ma non è così: Montessori stessa credeva che l’introduzione di “ausili meccanici” sarebbe diventata una necessità nelle scuole del futuro.Come comportarsi allora?Mario Valle nel suo libro La pedagogia Montessori e le nuove tecnologie affronta la questione da un punto di vista particolare: esperto di super computer (è impiegato al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico di Lugano) e affascinato dall’approccio Montessori, mostra come le tecnologie possano essere utilizzate nelle scuole.Il risultato è un libro interessantissimo, che è insieme un’ottima esposizione del pensiero di Maria Montessori e un’utile guida pratica per insegnanti curiosi e desiderosi di introdurre in classe (con “spirito montessoriano”) le nuove tecnologie. Credo […] che l’introduzione di ausili meccanici diventerà una necessità generale nelle scuole del futuro. […] Vorrei, però, sottolineare che questi ausili meccanici non sono sufficienti per realizzare la totalità dell’educazione.Maria Montessori, Introduction on the Use of Mechanical Aids L’ebook di questo libro è certificato dalla Fondazione Libri Italiani Accessibili (LIA) come accessibili da parte di persone cieche e ipovedenti. Conosci l’autore Mario Valle lavora da oltre trent’anni nei campi più disparati della scienza e dal 2003 è al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS) di Lugano, a stretto contatto con scienziati e ricercatori, utilizzando quotidianamente supercomputer e tecnologie di punta.Tramite suo figlio, che ha frequentato una scuola Montessori, si è avvicinato a questo mondo e si è appassionato alla concreta scientificità delle idee della Dottoressa Montessori. Ora studia e approfondisce questi temi e condivide le sue riflessioni in pubblicazioni, corsi e presentazioni pubbliche.