Il 5 maggio
Andai all’Anatomia mezz’ora più tardi, per ascoltare all’uscio. Non si sentiva nulla. Salii dal prof. Giuliani per chiedergli un libro illustrato. Cominciò a spiegarmi su quel libro e sul più bello disse: “Lei qui non può capire niente. Le figure servono quando si è già studiato sul cadavere”. Mi disse poi, non con quella gentilezza dell’altra volta, che s’io ho soggezione di certe cose, se non mi faccio coraggio e non dimentico d’essere una donna, non farò nulla. Che vada alle lezioni come gli altri, che stia alle spiegazioni sul cadavere.
Sentii una gran disillusione: ero dunque caduta in disgrazia? Risposi: “È quasi ridicolo stare ‘appoggiata’ agli studenti durante la spiegazione e star seduta in mezzo alla platea dove scrivo sulle ginocchia … in tempo di lezione!”. Poi soggiunsi: “Dal momento che mi dice così, anderò a tutte le lezioni – una volta entrata dovrò pur rimanere a sentire ciò che il professore dice. Soffrirò molto, di più non potrò (…). Volevo evitarmi una sofferenza, ma non importa, le seguirò tutte. Forse, anzi certo, vincerò. Altrimenti, capisco di dar troppo incomodo”. Egli non rispose.
Dunque incomodavo, ero di peso, ero “sopportata”! mi prese una profonda mestizia, ebbi le mani gelate. “Le cose alle quali accenna” disse poi il professore “sono pregiudizi della società. Con la volontà che dice di avere, se ne sappia emancipare. Lo scopo pel quale ella sente e vede certe cose, è nobile: dunque (si) imporrà a chi la circonda e non le sarà mancato di rispetto”. “Del resto” soggiunse dopo un poco “siamo fatti tutti eguali, questo si deve mettere in mente e sopra il cadavere lei è come gli altri. Quel cadavere non è più una persona – lo fu: ora diventa un oggetto, l’oggetto del nostro studio che ci serve per conoscere e soccorrere il vivo”.
Uscì, tornò con un sigaro in mano dicendo che oggi, dopo la lezione, m’avrebbe fatto la spiegazione sul cadavere. Io lo ringraziai e feci per andarmene, egli mi trattenne: “S’accomodi. Non aspettiamo che finisca la lezione?”. “Oggi, fece poi, misureremo il suo coraggio, toccherà il cadavere”. Tacque. Io dissi: “Se fosse quella giovinetta d’ieri, perché no? mi è simpatica. Basta che non sia un vecchio”. “Perché?”. “Perché mi fa schifo”. “Perché è un uomo?”. “Perché mi fa schifo”. “È tutta una cosa: un cadavere è un cadavere. Oggi le metterò un grembiule perché non si sporchi e toccherà il cadavere. Ora ci pensi” e mi dette un libro d’anatomia umana con le figure, figure d’ogni genere, naturalmente. Lui, col berretto in testa, fumava leggendo. Mi sembrava una villania. “Sono caduta in disgrazia” pensavo struggendomi per la pena “se non oserò toccare il cadavere, mi manderanno via”. Toccarlo! ma sì… in presenza di cento giovani che guardano pronti a beffare o ad applaudire, in mezzo a tanta vita, una bravata si fa. Ma sola!… sola col professore…!
Io tremavo. Venne un dottore; il Giuliani chiese se il cadavere d’oggi dovea servire per gli esercizi della sera. Il dottore con un sorriso ironico disse quando mai con un caldo simile si erano fatti gli esercizi. “Il caldo” pensai “perché vanno in putrefazione – e io sola… proprio col caldo?… Perché?”. Volli aprir bocca e dire al professore che mi trovavo indisposta, che anderò alle spiegazioni nell’aula, che non avrò più riguardi, né pregiudizi e mi lasciasse andare. Volevo ringraziarlo e andarmene. Ma non sono pusillanime, subito ebbi in mente: “Anderò per la mia causa soltanto, troverò quella forza che mi darebbe un pubblico”.
Venne Todaro che mi disse: “Domani può venire alla mia lezione”. Disse che cosa avrebbe fatto. Giuliani gli fece capire che saremmo andati a (…) il cadavere. “Sì, bene” fece il senatore e se ne andò. Allora Giuliani, sorridendo, mi disse: “Domani ci sarà una lezione simile a quella che c’è stata oggi”. “Non importa” dissi “andrò, altrimenti il prof. Todaro s’inquieta e non stima più il coraggio delle donne”. Il Giuliani sorrise, ma io nell’anima mia piangevo.
Il momento venne. “Andiamo!”. Da questo andiamo, il professor Giuliani si trasformò.
Lui avanti col sigaro in bocca e io dietro, in punta di piedi, camminando come un’ombra. Avevo paura di far rumore. “Entrate!” disse sgarbatamente aprendo l’uscio della sala incisoria. “Così si entra coraggiosamente”.
Vidi su un tavolo un corpo avvolto da un lenzuolo bianco. Più giù, in una stanzina, due servi vestiti di nero, trasportavano un cadavere da un tavolo all’altro. Io li avevo veduti sempre appoggiati i cadaveri; ma in quel trasporto, fatto senza riguardi, la testa e le braccia spenzolavano sfloscie (sic), deformi e negli sforzi di quei due servi, quella testa penzoloni si muoveva dondolando – e il tronco nudo si piegava. Nulla di più orribile che vedere quel corpo senza vita.
Io rabbrividii: da quel momento, mi sentii cadere in un’involontaria immobilità.
“Cosa c’è?” fece ruvidamente il professore “mettetevi questo grembiule, perché dovete toccare i cadaveri e potreste sporcarvi”. Mi dava del voi: mi sembrò non avesse più rispetto per me – che mi trattasse male, perché non lo andassi più a incomodare nell’avvenire.
Mi levai il cappello. Egli, stando dietro, mi allacciava davanti il grembiule. Certo mi stimava assai meno forte di quel che ero, perché credeva che in quella sala io avessi perduto il cervello al punto di non sapermi più allacciare un grembiule e invece ne avevo abbastanza per capire che lui, uomo, non doveva circondare il mio corpo con le sue braccia, neppure in quei momenti e dissi: “Mi allaccio da me”. Egli, lo so, aveva bandito in quel momento l’uomo e la donna. Ero per lui uno studente. Ma non così facilmente dimenticavo io le convenienze sociali.
Come se niente fosse, mi prese per la mano, me la strinse e sempre tenendomi così, mi condusse dinanzi al cadavere coperto dal lenzuolo bianco. I due servi furono sempre presenti ma a distanza. Quel sentirmi prendere per mano senza il mio permesso, m’irritò. Ma quando il professore disse: “Di me non dovete avere soggezione, questa è la giovine che stava ieri nell’aula” con l’altra mano sollevò il lenzuolo… io sentii il mio pudore ribellarsi talmente che gridai: “No, professore, no!” e tentai di svincolarmi per fuggire.