Inediti di Maria Montessori82

1. Agli inizi degli studi di medicina: l’impatto con la sala anatomica

Appunti di taccuino non firmati, di pugno di Maria Montessori. Libretto senza copertina, formato 14,5 X 10, carta a quadretti piccoli, scrittura con inchiostro nero. Iniziano il 25 marzo 1891 e terminano il 31 agosto dello stesso anno (Oggi, 21 anno!, scrive).


Le pagine più interessanti sono quelle che in cui descrive l’inizio della sua partecipazione alle lezioni nella sala anatomica, le emozioni provate tra pudore ed orrore, l’intervento di un insegnante per aiutarla a superarle. Siamo in un’epoca in cui anche solo mostrare una caviglia era considerato indecente, e lei ha solo vent’anni. Malgrado questo, non manca di determinazione e di coraggio, come testimoniano queste annotazioni autobiografiche.


La trascrizione è integrale. I puntini tra parentesi indicano parole non decifrabili.

Lunedì 4 maggio 1891

Settimana memorabile. Alla scuola d’Anatomia83 trovai un cadavere coperto. Si vedeva un corpicino assai piccolo, in confronto al senatore Todaro. Alla fine della lezione il Senatore avvisò che avrebbe cominciato a parlare delle arterie del bacino. Era un avviso per me che avevo chiesto al prof. Giuliani d’avvisarmi: per certe lezioni delicate non sarei andata e avrei ascoltato dietro l’uscio. Il prof. Giuliani con una delicata gentilezza che mi consolò e mi commosse, mi promise aiuto – mi disse che mi avrebbe dato dei libri – mi avrebbe spiegato in particolare. Mi promise d’avvisare il Todaro. Ecco dunque l’avviso!

Dopo la lezione, il Dott Mingazzini fece la spiegazione sul cadavere. Tirò giù il lenzuolo fino alla vita – vidi una mammella troppo sviluppata per esser d’un uomo… “È una giovinetta!” disse il Dottore. Di giovinette c’ero anch’io, lì dentro. Tutti mi guardarono – sotto quegli sguardi, dinanzi a quell’innocente infelice mezza nuda, sentii forte emozione. Credo di non aver arrossito esageratamente. Ciò che è strano è che io vidi una mammella sola, quella che stava accanto agli studenti.


(La ragazza) era piccola ma graziosa, graziosissimo il tronco. Il colore cadaverico, visto anche a piccola distanza, con la sua uniformità, fa sembrare più grassi. Vicinissimo, ogni illusione sparisce: la morte è spaventevole. Uno studente si mise a palpare quella mammella graziosa: nessuno difendeva quell’infelice bambina? Già il Dottore stava sollevando con le pinze le vene d’un braccio tutto spaccato, con l’osso a nudo… Me ne andai, non potendo vedere a toccar quella mammella. La bimba m’era simpatica, aveva 15 anni, era ben fatta, tenera. L’avrei anche baciata. Pensai d’andare il giorno dopo a toccarla, ma ci pensavo per burla.

Il 5 maggio

Andai all’Anatomia mezz’ora più tardi, per ascoltare all’uscio. Non si sentiva nulla. Salii dal prof. Giuliani per chiedergli un libro illustrato. Cominciò a spiegarmi su quel libro e sul più bello disse: “Lei qui non può capire niente. Le figure servono quando si è già studiato sul cadavere”. Mi disse poi, non con quella gentilezza dell’altra volta, che s’io ho soggezione di certe cose, se non mi faccio coraggio e non dimentico d’essere una donna, non farò nulla. Che vada alle lezioni come gli altri, che stia alle spiegazioni sul cadavere.

Sentii una gran disillusione: ero dunque caduta in disgrazia? Risposi: “È quasi ridicolo stare ‘appoggiata’ agli studenti durante la spiegazione e star seduta in mezzo alla platea dove scrivo sulle ginocchia … in tempo di lezione!”. Poi soggiunsi: “Dal momento che mi dice così, anderò a tutte le lezioni – una volta entrata dovrò pur rimanere a sentire ciò che il professore dice. Soffrirò molto, di più non potrò (…). Volevo evitarmi una sofferenza, ma non importa, le seguirò tutte. Forse, anzi certo, vincerò. Altrimenti, capisco di dar troppo incomodo”. Egli non rispose.


Dunque incomodavo, ero di peso, ero “sopportata”! mi prese una profonda mestizia, ebbi le mani gelate. “Le cose alle quali accenna” disse poi il professore “sono pregiudizi della società. Con la volontà che dice di avere, se ne sappia emancipare. Lo scopo pel quale ella sente e vede certe cose, è nobile: dunque (si) imporrà a chi la circonda e non le sarà mancato di rispetto”. “Del resto” soggiunse dopo un poco “siamo fatti tutti eguali, questo si deve mettere in mente e sopra il cadavere lei è come gli altri. Quel cadavere non è più una persona – lo fu: ora diventa un oggetto, l’oggetto del nostro studio che ci serve per conoscere e soccorrere il vivo”.


Uscì, tornò con un sigaro in mano dicendo che oggi, dopo la lezione, m’avrebbe fatto la spiegazione sul cadavere. Io lo ringraziai e feci per andarmene, egli mi trattenne: “S’accomodi. Non aspettiamo che finisca la lezione?”. “Oggi, fece poi, misureremo il suo coraggio, toccherà il cadavere”. Tacque. Io dissi: “Se fosse quella giovinetta d’ieri, perché no? mi è simpatica. Basta che non sia un vecchio”. “Perché?”. “Perché mi fa schifo”. “Perché è un uomo?”. “Perché mi fa schifo”. “È tutta una cosa: un cadavere è un cadavere. Oggi le metterò un grembiule perché non si sporchi e toccherà il cadavere. Ora ci pensi” e mi dette un libro d’anatomia umana con le figure, figure d’ogni genere, naturalmente. Lui, col berretto in testa, fumava leggendo. Mi sembrava una villania. “Sono caduta in disgrazia” pensavo struggendomi per la pena “se non oserò toccare il cadavere, mi manderanno via”. Toccarlo! ma sì… in presenza di cento giovani che guardano pronti a beffare o ad applaudire, in mezzo a tanta vita, una bravata si fa. Ma sola!… sola col professore…!


Io tremavo. Venne un dottore; il Giuliani chiese se il cadavere d’oggi dovea servire per gli esercizi della sera. Il dottore con un sorriso ironico disse quando mai con un caldo simile si erano fatti gli esercizi. “Il caldo” pensai “perché vanno in putrefazione – e io sola… proprio col caldo?… Perché?”. Volli aprir bocca e dire al professore che mi trovavo indisposta, che anderò alle spiegazioni nell’aula, che non avrò più riguardi, né pregiudizi e mi lasciasse andare. Volevo ringraziarlo e andarmene. Ma non sono pusillanime, subito ebbi in mente: “Anderò per la mia causa soltanto, troverò quella forza che mi darebbe un pubblico”.


Venne Todaro che mi disse: “Domani può venire alla mia lezione”. Disse che cosa avrebbe fatto. Giuliani gli fece capire che saremmo andati a (…) il cadavere. “Sì, bene” fece il senatore e se ne andò. Allora Giuliani, sorridendo, mi disse: “Domani ci sarà una lezione simile a quella che c’è stata oggi”. “Non importa” dissi “andrò, altrimenti il prof. Todaro s’inquieta e non stima più il coraggio delle donne”. Il Giuliani sorrise, ma io nell’anima mia piangevo.


Il momento venne. “Andiamo!”. Da questo andiamo, il professor Giuliani si trasformò.

Lui avanti col sigaro in bocca e io dietro, in punta di piedi, camminando come un’ombra. Avevo paura di far rumore. “Entrate!” disse sgarbatamente aprendo l’uscio della sala incisoria. “Così si entra coraggiosamente”.


Vidi su un tavolo un corpo avvolto da un lenzuolo bianco. Più giù, in una stanzina, due servi vestiti di nero, trasportavano un cadavere da un tavolo all’altro. Io li avevo veduti sempre appoggiati i cadaveri; ma in quel trasporto, fatto senza riguardi, la testa e le braccia spenzolavano sfloscie (sic), deformi e negli sforzi di quei due servi, quella testa penzoloni si muoveva dondolando – e il tronco nudo si piegava. Nulla di più orribile che vedere quel corpo senza vita.


Io rabbrividii: da quel momento, mi sentii cadere in un’involontaria immobilità.

“Cosa c’è?” fece ruvidamente il professore “mettetevi questo grembiule, perché dovete toccare i cadaveri e potreste sporcarvi”. Mi dava del voi: mi sembrò non avesse più rispetto per me – che mi trattasse male, perché non lo andassi più a incomodare nell’avvenire.


Mi levai il cappello. Egli, stando dietro, mi allacciava davanti il grembiule. Certo mi stimava assai meno forte di quel che ero, perché credeva che in quella sala io avessi perduto il cervello al punto di non sapermi più allacciare un grembiule e invece ne avevo abbastanza per capire che lui, uomo, non doveva circondare il mio corpo con le sue braccia, neppure in quei momenti e dissi: “Mi allaccio da me”. Egli, lo so, aveva bandito in quel momento l’uomo e la donna. Ero per lui uno studente. Ma non così facilmente dimenticavo io le convenienze sociali.


Come se niente fosse, mi prese per la mano, me la strinse e sempre tenendomi così, mi condusse dinanzi al cadavere coperto dal lenzuolo bianco. I due servi furono sempre presenti ma a distanza. Quel sentirmi prendere per mano senza il mio permesso, m’irritò. Ma quando il professore disse: “Di me non dovete avere soggezione, questa è la giovine che stava ieri nell’aula” con l’altra mano sollevò il lenzuolo… io sentii il mio pudore ribellarsi talmente che gridai: “No, professore, no!” e tentai di svincolarmi per fuggire.

Sentivo il mio pudore più forte di me, avrei perduto i sensi dinanzi a quella donna nuda. Ma la “bimba” era mutilata, avea subìto la prima mutilazione della signora di Lamballe84. “Vedete, disse il professore, le hanno tagliato tutto: di che temete?”. Io fui così confortata che mi misi a ridere forte, d’uno riso convulso, funereo (…).

Il professore, vedendo ch’io stavo per guardare il viso della fanciulla, lo coprì col lenzuolo. “No, non lo guardate questo”.

Mi teneva ancora stretta per la mano. Forse era assai debole la mia intelligenza in quel momento! credevo di trovarmi con un De Venosi [?] e mormorai: “Perché mi tiene la mano? Mi lasci andare”. Invece di rispondermi, prese una manina della morta e la strofinò alla mia – io presi quella povera mano, l’accarezzai e dissi: “Non mi è nuovo il gelo dei morti”. Poi sollevai un lembo di carne tagliata sul braccio e scoprii l’osso, comprimendo con le mie dita il grasso del braccio.


“Qui fece la spiegazione il Dott. Mingazzini ieri?”, chiese indicando il braccio che io toccavo. “Sì, qui”. Poi osservai il cadavere. La mia simpatia per quella fanciulla era finita. Una mammella staccata lasciava scoperta la carne annerita, con su delle uova di moscone, tutta sudicia, le gambe secche. Gran piedi, sudici, neri. Feci l’osservazione. Il professore disse al servo: “Lavate una gamba” quello prese una spugna e lavò. Il nero non andava via. Io sempre tenendo le mie dita nel grasso e nella carne di quel braccio, guardai il professore. “Vedete che non è sporca” fece lui “sono i lividi per l’avanzata putrefazione, sta per disfarsi. ‘Ah!’ feci io e non lasciai il braccio. Ero divenuta insensibile. Egli me lo levò dalle mani. Allora mi sentii inorridire dal ribrezzo e feci una boccaccia. ‘Non voglio musi!’ disse il professore ‘i musi non si debbono fare. Venite qua’”. Lo seguii nella stanzina dell’altro cadavere.


La porticina si richiuse e i due servi restarono vicino, in piedi, immobili.


Qui il viso del cadavere si vedeva ed era nudo tutto il tronco – “era coperto il più possibile per non farmi vedere tutto in una volta” così disse il professore. Coperto da lì fino ai piedi. Dallo stomaco in giù era spaccato. gli ultimi lembi delle coste libere erano sollevati – le intestina mancavano, si vedeva il bacino, una pozza sanguinolenta. Il professore fumava sempre, io mi tenevo a distanza.


“Date la mano a quest’uomo” disse il professore indicandomi il cadavere. La mano era grinzosa e sudicia. Non mi mossi. “Perché è grinzosa questa mano?”, “Era molto vecchio”. “Ah, è stata la vecchiezza, non la morte che ha raggrinzito questa mano”.


“Anche il lavoro, era un contadino. Lo tocchi”. (Mi ridava del lei). “No, è sudicio”. “Ma non è sudicio, questo vecchio è putrefatto; sono lividi della putrefazione quelli, non avete ancora imparato?”.


Mi prese una mano e la fece passare più volte su e giù su quel braccio. Io lasciavo fare ma avvicinandomi sentii un puzzo indescrivibile di fradicio, così potente che detti indietro dicendo: “Ma che puzzo insopportabile!”. “Sì, questo deve essere per lei una gran sofferenza, ma si deve abituare, venga qui, ora le spiegherò la lezione che ha lasciato oggi”. Egli fumava, ma io sentivo nulla. Stetti lì con quel tremendo puzzo, pazientemente per tutta la spiegazione. Solo quando mi montava il respiro, mi scostavo un momento.


Nessuna emozione sentivo per l’uomo povero morto all’ospedale, sentivo solo quel fetore che era enorme. Finita la spiegazione, un servo uscì. Io stavo pure per andarmene anche perché credevo che il piacere che mi faceva il professore gli pesasse. Egli mi disse: “Non vede l’ora di infilare quella porta?!…”. “Anzi, non ho sentito nulla”. “Sì, ma intanto guarda la porta?! …”. Io sorridevo. “Su, su, queste cose bisogna farle allegramente”. “Allegramente!! è già abbastanza forte. Vede, quell’uomo ha camminato, ha mangiato, ha lavorato, ha compiuto tutte le funzioni della vita. Ora eccolo qui, ha cessato di essere uomo, è un oggetto”.


Infatti è vero. L’uomo morto in putrefazione non è più uomo, non desta pietà. Tra una giovinetta e un vecchio non c’è differenza, fanno ugualmente orrore e schifo. Aveva detto bene il professore: che ragazza! che vecchio! Un cadavere è un cadavere. Il professore disse: “Faccia quel che vuole su questo cadavere”. (Capii subito che intendeva ch’io lo scoprissi di più). “Che debbo fare?” “Lo guardi”. “L’ho già guardato anche troppo, non so che cosa vuole che faccia”.


Guardai per combinazione il bidello. Forse a un cenno del professore se ne andò via subito. Allora il professore prese un preparato in secco che rappresentava il bacino, che era fornito di un’appendice. Mi spiegò che era un’appendice maschile. Tanto irriconoscibile che non riconobbi. “Questa è una parte del tutto, il tutto è qui” e scoprì il cadavere. Non provai né meraviglia, né emozione. Lì ci andava di mezzo il pudore del professore. Poco dopo, ricoperto il cadavere, entrò il servo che ci offrì sapone ordinario e poi saponette profumate. Ci lavammo due volte. Nel condurmi alla fontana il professore mi passò un braccio intorno alla vita, quasi per sostenermi o farmi capire che non ero sola. Ma io, sospettosa, gentilmente mi divincolai senza offenderlo. C’era presente il servo.


Lavandomi chiesi al professore del quale finalmente riconoscevo la paterna bontà, dopo quanto tempo ci si abitua a mangiare il giorno che si è toccato un cadavere di quel genere. “Subito”, mi rispose. Io sorrisi, credendo che mi avesse detto una spiritosità. Ma la mia meraviglia fu al colmo quando chiamò un altro servo, ordinandogli di comperare delle paste. “È bene che mangi subito, se no oggi non mangia più e la debolezza di stomaco le impedirà di mangiare anche domani”. Passammo nella grande sala incisoria e restammo in attesa delle paste. Mi chiese se io mi dedicherei all’ostetricia; gli risposi di sì, arrossendo tutta confusa. “Allora potrà stare nell’ospedale a suo agio perché ci sono le levatrici”.

Io lo guardai: quando mi si parla di medicina, mi par di sognare – anche tutta la scena che era succeduta mi sembrava un sogno. Un sogno che aveva lo sciocco incubo di credermi in presenza di un De Vescovi e di credermi malamente sopportata. Mi ricordo che quando andò via dalla stanzina anche l’altro servo, restammo soli noi due col cadavere, gli dissi: “Perché sta chiuso l’uscio? mi permette che l’apra?” e poi per allontanare il sospetto, soggiunsi “se no, moriamo asfissiati”. “Con un sorriso calmo e buono il professore mi indicò la finestra aperta: ‘Non tema’ disse tranquillamente tra due boccate di fumo ‘non c’è nessun pericolo!’”. E fece quella tale spiegazione, mentre prima aveva detto al servo: “Coprite tanto che basti, non voglio far vedere alla signora tutto in una volta”. Invece aveva scoperto, ma soli85, per non offendere il mio pudore con la presenza di un altro uomo (aveva scoperta86); dunque mi trovava più coraggiosa di quel che avea creduto.

Venne la pasta, la presi con quella mano che poco prima avea poggiato sul grasso putrefatto di quella fanciulla: dinanzi a lei, ma sulla soglia dell’uscio che metteva nel corridoio, cominciai a mangiare. Il primo boccone non andava giù. Il servo rideva. Il professore mi faceva coraggio. A un tratto sputai: “Non mi sono lavata la bocca, oh, porcheria!”. “La bocca non era sporca” fece tranquillamente sorridendo il professore “le mani sì erano sporche – ma ce le siamo lavate bene. Nelle mani, nella bocca non ha più nulla – quello che crede d’avere è impressione e le impressioni si debbono vincere”. “Ma quell’aria venuta dal morto …”. “Di quella non ha più niente in noi c’è un continuo scambio d’aria – se contenesse dentro sé tutta quell’aria respirata lì dentro, sarebbe morta. Mangi e vinca le impressioni”. Mangiai, e i bocconi andavan giù sempre meglio. Il professore lo notò lodandomi e mi strinse la mano dandomi un “a vederci a domani”.


Uscii di lì contenta di me, rinforzata nei nervi non sentii nello stomaco il puzzo, come l’altre volte che avevo veduto e sentito il cadavere. Era una impressione. Il professore, buon medico dell’anima, me l’aveva levata. Noto che mi ricordai d’aver lasciato su una boccettina e invece di fuggirmene subito, andai a riprenderla. Dunque non ero minimamente turbata. È una forza che mi viene miracolosamente.

6 maggio 1891

Andai alla lezione – e in mezzo alla scolaresca, sentii nominare certe parti dal senatore Todaro. L’emozione non fu grande, credo d’essere arrossita, ma subito mi prese un violento mal di capo e dovetti chiudere il calamaio, non essendo più sicura di me. Così pazientemente, aspettai la fine della lezione col capo appoggiato a una mano. Aspettai dopo il prof. Giuliani, per mezz’ora. Vidi con meraviglia che gli studenti andavano via subito, segno che non si erano fermati alle spiegazioni del dott. Mingazzini. Io intanto sentivo un gran rumore. Venne finalmente il Giuliani brontolando: “Mi spiace signorina, disse” ma hanno già incassato i morti, non posso farle la spiegazione“.


“Non importa” dissi io con vero piacere. Il bidello diceva: “Puzzavano tanto che non si poteva star sopra. Se vuole che li levi dalle casse…”. Quel rumore che avevo sentito era venuto dunque dal trasporto dei tavoli a ruote dove stanno i cadaveri e dai battiti del martello sui chiodi della cassa. Salutai contentissima il professore.


Avevo anche oggi da ricordarmi di qualcosa: la buona Pappi (?) m’aveva serbato delle bellissime rose e me le aveva fatte trovare nell’ora della colazione, prima di andare all’anatomia umana. Mi sembrò di riconoscere un aiuto provvidenziale, un premio alle mie pene. Presi le carissime rose e con la loro compagnia feci la lunga e assolata strada per andare all’altra università.


Oggi è il 7 – Giovedì – festa dell’ascensione. Piove – il mio animo è tranquillo. Ho intenzione di passare la giornata studiando.

2. Lettera a Donna Cristina: un documento del 1903 sulla Scuola Magistrale Ortofrenica

Lettera in brutta copia con molte correzioni e rifacimenti, autografa della Montessori, senza data: cinque grandi fogli di carta color nocciola, formato 35,7 X 27, interamente scritti, uno strappato a metà, ma scritto anch’esso. All’esterno il plico risulta piegato con una dicitura in matita blu: Lettera a Donna Cristina87 .

Sopra in alto una dedica: “Dolce come il profumo di un segreto affetto, forte come la luce di una speranza, salisce a voi il mio cuore!”.

La lettera, databile intorno al 1903, esprime la sofferenza per aver lasciato o dovuto lasciare la Scuola Magistrale Ortofrenica di Roma, in cui aveva insegnato per due anni, con la protesta per l’ingiustizia e per i mancati riconoscimenti che le impedivano di approfondire studi che le stavano a cuore.


Al di là del linguaggio che a noi oggi suona un po’ enfatico, la giovane dottoressa esprime il sentimento di avere un compito davanti a sé, come medico e come donna e una duplice, difficile lotta da affrontare. La trascrizione è integrale; tra parentesi e in corsivo le frasi cancellate dall’Autrice.


(p. 1) Ho sentito parlare all’Università della inaugurazione dei nuovi locali della Scuola Magistrale Ortofrenica le ragazze parlavano di rinfreschi, di versi, di festa.


Infatti ho comperato un giornale e vi ho trovato la notizia che Le unisco. Anche Lei vi leggerà il trionfo dei miei nemici. A loro tutto sorride: la gioventù inneggiante e le autorità beneficenti che concedono nuovi locali, somme di denaro e protezione.


Di me, chi più si ricorda?… in quella scuola è proibito pronunciare il mio nome, nome di un nemico; in quella scuola hanno distrutto tutto quanto poteva ricordarmi, perfino fatto a pezzi o bruciato gli strumenti che io avevo fatto fabbricare per l’educazione dei bambini, con tanto entusiasmo d’amore, affinché non si dica che qualcosa di mio possa esservi ancora utile. E pure io misi anima e sangue, pel trionfo di quella istituzione: l’ho amata! (si ricorda quando uscivano i bambini dal Manicomio ed entravano) le ho dedicato cinque degli anni migliori della mia vita.


(p. 2) (La lunga storia della mia sofferenza là dentro) Mi si erige dinanzi all’anima la lunga storia delle ingiustizie che mi hanno straziata, come un fantasma crudele che mi spezza il cuore! O come è amara e fredda questa mia solitudine!


Mia diletta signora! Lei ha visto com’è il mio pianto quando un’anima dolce e generosa m’invita alle confidenze. (….) E pure – quanto è raro uno sfogo per me e quanto singolare un’anima che risponda al mio dolore! Per lo più io giro solitaria tra gente indifferente o crudele; cerco solo in me e da me la forza di riprendere nuovamente il lavoro e vincere la disperazione.


(Da professore mi sono fatta allieva, da dottore, studente.)


Un ideale lontano di opera ancor più difficile mi sorride di pallido incerto sorriso e io lo seguo, come stanco viaggiatore in un deserto. Che potevo fare di più! No, non posso descrivere il prezzo di queste parole: ho trovato la forza di ricominciare un lavoro! ricominciare! fin dallo studio di scuola…

(Dopo sette anni che ero dottore88, dopo essere passata a traverso facili trionfi, dopo aver fondato due istituzioni89 nelle quali fui un momento regina – sì, dico, tornai umile studente in III corso di Università entrando scolara in quelle aule, dove già alcuni miei antichi compagni di scuola vi entrano come docenti, a tutti sconosciuta – seguono tre parole non leggibili – Sentii più volte la vergogna che deve provare un ricco caduto nella miseria: quella gioventù animata dalle belle speranze che io pure provai tredici anni fa, quando cominciai gli studi universitari passava accanto a me loro compagna di scuola vecchia a loro confronto, oppressa dalla disillusione della vita. Sentii questa specie di umiliazione fredda, che non saprei descrivere. Io non sono uno studente come un altro: la fatica delle lezioni, la tortura degli esami speciali si sopportano)

(p. 3) Da professore mi sono fatta allieva, da dottore studente, ma che cosa triste lo studente che non ha più le brillanti speranze della gioventù, ma l’amarezza delle delusioni! (…) Come un morto freddo e solo – che si sforzi di ricominciare la vita e rientri in una culla. Ho sentito più volte la vergogna che deve provare un ricco caduto nella miseria. una specie di umiliazione fredda che non si può descrivere.


E pure – strane crudeltà del mondo! Ho veduto le persone sollevarsi intorno a me per respingermi. Non sentivano che io seguivo un potente dovere: il dovere di vivere e di lavorare, anche quando sembra di non poter più vivere e di non poter più lavorare. Non capivano che il mio corpo fatto grave da un’oppressione compiva un dovere trascinandosi tra quei banchi di scuola. Tutti in coro ripetevano: “Cosa viene a fare questa rimestatrice? non le basta quello che sa e quello che ha?”.

(p. 4) – Voglio studiare antropologia – e mi fanno perdere otto mesi di tempo con false promesse (infine mi impediscono di continuare lo studio). Quante piccole miserie tra quei professori che si mettevano su uno con l’altro per non accettare di far parte d’una commissione esaminatrice! oggi dava le dimissioni uno domani un altro; oggi uno diceva che non mi credeva (istruita) colta abbastanza per ammettermi all’esame, domani un altro metteva scuse che come donna ne sapevo già troppo e mi contentassi. Finalmente, dopo otto mesi d’incertezza, intercalati da promesse, concludono, come se niente fosse, che rifiutano assolutamente di costituire la commissione. (A fare una cosa simile a un uomo dottore avrebbero forse avuto paura, ma una donna… cosa importa? oggi le si dà, dom)90. E da un altro lato le stesse incertezze come studente d’Università. Non so se ancora potrò iscrivermi studente in III Corso di Filosofia. Il Ministero – cosa veramente (scandalosa) inconcepibile! – rinnega per me le leggi fatte da lui stesso: ha appena approvato un regolamento che ammette gli studenti di scienze naturali e medicina alla facoltà di filosofia – ed io che per prima mi presento in queste condizioni, sono respinta. Perché?… tredici anni fa i miei esami non furono sufficienti al liceo – io feci gli studi di matematica invece che quelli logici: tredici anni fa… al liceo!!! una profana che è da sette anni dottore e da quattro anni professore in una scuola superiore al liceo!! Sembra una favola, ma pure è la verità. E poi sia pure questo, ma nelle Scienze naturali si può andare coi soli studi di matematiche e il regolamento ammette il passaggio dalle Scienze alla Filosofia. Dunque in ogni modo io sono più che in regola. (Il) Ministero non ha dato il consenso ch’io sia studente di III Corso di Filosofia all’Università… e ha rinviato la mia domanda al Consiglio Superiore (p. 5) dell’Istruzione!…


Il Ministero! quello che mi dette incarichi che mi fece fondare una scuola: e ci sono i documenti. Io sono in credito col Ministero – ho insegnato tre anni – ho contribuito all’istruzione pubblica – ho educato i deficienti; ho preparato i maestri; ho portato dall’estero un metodo nuovo91.


Ho speso denaro, forze e cuore. Il Ministro92 non mi ha dato nessun altro compenso che sancire un’ingiustizia contro di me: che non rispondermi, quando chiedevo giustizia alla persona del Ministro con una lettera, che rinnegava le proprie leggi per respingermi, quando ho voluto fare il sovrumano sforzo di umiliarmi e ricominciare a studiare!! Una donna… cosa importa?… oggi le si dà – domani le si leva; oggi le si promette, domani le si manca di parola, chiede giustizia e le si ride in faccia.

Che danni può recare una donna? una donna sola? senza protezione?

La gente del governo può mai interessarsi se una donna fu sacrificata? È vero che c’è un Ministro il quale si atteggia a giustiziere, ma nel caso pratico, non può preoccuparsi di guardare i documenti del suo ministero, i debiti di compenso verso una persona che per incarico del ministero lavorò, di interrogare il precedente ministro sulla verità delle cose: è troppo lungo lavoro questo.


Val meglio dare una buona somma di denaro a chi resta padrone del campo: cosa importa se questi poi è o non è lo sfruttatore del lavoro di una donna?…


(p. 6) Ecco il dolore più profondo che possa provare un’anima: l’ingiustizia trionfante (Mia cara, mia dolce Signora! qualche volta l’eccesso… Eccomi tuttavia forte e serena…)


Tuttavia l’eccesso aspro dell’amarezza ci fa sentire dentro come un gigante che nasce e che si erge a lottare col mondo: allora il rivo di lacrime diventa un fiume di fuoco e quella amarezza diviene dolce come la serenità dei forti. Oh! che sarebbe stato di me se nel cielo del futuro non fosse comparsa la stella che ci guida sulla via della nostra missione in terra e che noi dobbiamo seguire – e che qualche volta si può seguire solo essendosi rinnovellato un mortale dolore?


Mia diletta signora! sul Suo cuore versai in ogni sua piega e sfumatura l’anima mia – quanto soccorso mi ha dato la sua bontà (soccorrevole) e l’amicizia generosa con cui mi ha sostenuta!


Lei sa che oggi io devo chiedere: non per me – ma per il mio lavoro. Devo acquistare autorità nella (mia) Scuola di Magistero, diventando professore straordinario, per entrare nel Consiglio dei Professori, dal quale oggi sono esclusa per la pochezza della mia carica: e ne ho diritto, avendo già insegnato quattro anni, mentre ne basterebbero tre; e devo avere dal Ministero la somma che mi occorre per continuare i miei studi non come favore, ma come giusto compenso a quanto feci nella Scuola dei deficienti in servizio della istruzione pubblica. Ecco la materia di cui ho bisogno per esplicare nell’opera la mia forza. Cioè forza non mia…

3. Una risposta a Giuseppe Lombardo Radice

Scritto in inchiostro viola su sette fogli color crema, formato 27,3 X 21,3, questo testo93 , a quanto ci risulta mai pubblicato, fu steso da Maria Montessori negli anni tra il ”26 e il ”28 in cui più aspra si fece la critica di Lombardo Radice verso le Case dei Bambini. È interessante anche perché parla di sé in terza persona.


Di formazione idealista, pedagogista autorevole e apprezzato, Lombardo Radice non riuscì ad accettare l’impostazione “scientifica” e l’affermazione internazionale della Montessori.


Perché l’“Idea Montessori”94 non risponde agli attacchi del Prof. Lombardo Radice.

Gli attacchi del prof. L.R. sono ormai la sua esclusiva produzione letteraria o immaginativa che sia (non vorremmo chiamarla “educativa”) e occorrerebbe ribattere che magari nel campo Montessori ci fosse qualcuno che potesse dare tutte le sue energie a tale occupazione, ma purtroppo il lavoro Montessori è grande – e i suoi “operai” sono insufficienti all’opera. Anche bisogna osservare che L.R. e M. non sono “avversari”. Avversari sono coloro che lottano uno contro l’altro. Qui invece la lotta è da una parte sola: è l’attacco senza risposta, l’attacco che non riesce ancora a svegliare la difesa. Chi è addentro all’opera M. sa quanto gli attacchi siano indifferenti a chi appartiene a un’opera di attività fattiva e di fede.


Che significano questi attacchi senza risposta di L.R.? Si tratta di un uomo e di una donna. È forse (questa) una donnetta isterica e incapace di tacere, mentre l’uomo continua il suo lavoro produttivo? Cosa strana – e che per la prima volta, fa un quadro d’eccezione: l’uomo che borbotta ed è la donna che continua silenziosa il suo lavoro.


È forse una rivalità interessata? È qualcuno che ricorre alle male armi per forse denigrare l’altro che ha un posto ufficiale ed eventualmente sostituirlo?


Per una volta le cose sono a rovescio. Chi attacca è una persona che ha un posto rimunerativo, una posizione sociale assicurata, una cattedra importante e ricopre un potere eccessivo; chi è attaccato non ha un posto, non ebbe mai nulla dal suo paese e scelse per sé l’esilio, benché la sua opera risplenda in tutto il mondo come una delle opere italiane più belle e più pure dei nostri tempi.

M…95, Ambasciatore di Francia, scrisse dopo la guerra un articolo sulle ultime scoperte, notando come tutte si erano rivolte drammaticamente a facilitare l’esterminio fra gli uomini: il telegrafo, l’aviazione, le scoperte della chimica e della fisica, compresa la radiotelegrafia: solo una cosa era rimasta pura, luminosa di bontà e salvatrice; la scoperta di un fondo sconosciuto dell’animo del bambino, illuminato dal metodo Montessori che apporta alla umanità speranza e pace.


Ma volendo sforzarci ancora un poco verso gli attacchi radiciani, perché coloro che se ne lamentano non si sforzano un poco a leggere, a cercare qualche base di verità alle osservazioni del noto professore? Ciò che egli dice è così alla superficie che chiunque e col minimo sforzo potrebbe farsi il merito di incrociare le armi con colui che fu così recentemente il capo dell’educazione di tutti i fanciulli d’Italia96. Egli parla così come gli vengono le idee, confondendo l’immaginazione con la documentazione. Mettete un documento di prospetto alla sua fantasia passeggera fissata da lui stesso sulla carta: ed ecco fatto.


Egli dice che la Montessori conobbe la Latter97 e parlò con lei quando (fu) alla Montesca: benché nomini la Latter, non dice di averla conosciuta, di averle parlato. “Perché?” si chiede – o meglio chiede al mondo che legge il L.R. Questa domanda lanciata al vuoto è insinuazione di plagio: la Montessori imparò dalla viva voce della Latter … ecc.

Ebbene, la Montessori fu per la prima volta alla Montesca nel 1909, mese di Agosto, e la sua permanenza segna il suo primo corso sul metodo, il cui libro usciva in tale occasione alle stampe per vivo e zelante interessamento dei baroni Franchetti. Il libretto della Latter, “Giardinaggio”, che tutti possono procurarsi nella traduzione e prefazione di Bice Rovà, porta la data del Luglio 1908. In tale prefazione si fa la commemorazione della morte della Latter, avvenuta nel 1907 nelle Indie inglesi. Ciò non è difficile. Quei maestri che vorrebbero trovare tutto fatto, anche le difese contro attacchi simili a quelli del L.R., saprebbero ciò che vogliono solo leggendo, non dico una prefazione, ma una semplice data! ed essi stessi potrebbero rispondere come facevano gli scolaretti nelle scuole antiche: “La Montessori non dice di aver parlato alla Montesca con la Latter, perché quando andò alla Montesca (Italia) la Latter era morta già da due anni in India nel Mysore”.


Un altro simile attacco, ripetuto già varie volte dallo stesso L.R. Qui egli sa le date. Nel 1898 la Rosa Agazzi e la Montessori si trovavano contemporaneamente al Congresso Pedagogico di Torino: la Rosa Agazzi era relatrice iscritta tra gli oratori e doveva esporre il suo metodo per l’educazione infantile. La Montessori invece, come si sa, dichiara di aver iniziato il suo metodo in un’epoca a cavallo tra il 1906 e il 1907 (cioè nel Natale del 1906). “Post hoc, ergo propter hoc”.


Non so se ciò risulti dagli Atti del Congresso, ma le duemila persone presenti vivono ancora in massima parte e sono testimoni che vorranno un po’ ridere a tale insinuazione … la povera signorina Agazzi doveva sì essere relatrice e oratrice, ma presa da turbamento non osò aprir bocca – e non disse nemmeno la formula: “Signore e signori … ovvero: eccellenti colleghi”. E si ritirò così.


Ma se anche l’Agazzi avesse parlato – e fosse stata una affascinante e irresistibile oratrice – sarebbe rimasta estranea ugualmente all’opera della Montessori. Questa è laureata in Medicina, tra le primissime donne in Italia ed era reduce da un viaggio trionfale in Germania. Già da un anno le più varie riviste – russe, spagnole, tedesche – portavano il suo ritratto giovanile come quello di una “pioniera” del progresso sociale. Il cuore della Montessori era pieno della questione dei deficienti, dei fanciulli maggiormente infelici e perseguitati e fu il primo “medico” che portò innanzi al cuore dei maestri italiani una questione viva di umanità riguardante la scuola. Il suo discorso potente attrasse e sconvolse il congresso; il più eletto dei relatori, il prof. Bencivenni, ritirò la sua relazione su “La riforma dell’educazione morale” e seguì con bello e generoso slancio l’indicazione di amore e di giustizia data dalla Montessori che appunto toccava e dava nuova luce alla questione dell’educazione morale.


La Montessori era una lottatrice: con immenso sforzo aveva rotto i ghiacci del pregiudizio che nel secolo scorso ostacolavano l’avanzata della donna nelle università, specialmente nel campo della medicina. Essa aspirava a qualcosa di molto alto – era andata a difendere una causa scientifica, la cui risoluzione era nella scuola, ma non per rivaleggiare coi maestri elementari, né per commetter plagi alle maestre d’asilo.

E che avrebbe preso poi, la Montessori, dalle Agazzi secondo L.R.? Gli esercizi di vita pratica. Che bambini normali si soffino il nasino e si abbottonino vicendevolmente il grembiule: era proprio questo che poteva affascinare e far abbandonare il livello della carriera universitaria98, conquistato con tanta tenacia? Ai posteri l’ardua sentenza.

4. “Aiutare il bambino a svolgere la vita che è in lui…”

Testo senza data, ma risalente agli anni ’10, scritto a matita su due fogli protocollo a righe, tre facciate con varie cancellature; conservato all’interno di un gruppo di lettere raccolte in un pacchetto e datate anni venti, è probabilmente anch’esso della stessa epoca. Trascrizione integrale. Le sottolineature sono nel testo.


Se dunque prendiamo come mira di “aiutare” il bambino a svolgere la vita che è in lui, dobbiamo preparargli un ambiente favorevole.

La scuola così intesa non è più soltanto un luogo dove s’incontrano degli insegnamenti e dove s’impara qualche cosa, ma diventa molto più di questo.


È un luogo di salute, creato a proteggere i bambini nel periodo delicato; e difficile della crescenza. Invece della preoccupazione di condurre il bambino ad adattarsi a quel luogo ove è necessario istruirsi, c’è il problema scientifico di trovare l’ambiente adatto ai bisogni imperiosi e assoluti della vita, cioè alle sue leggi immutabili.


L’istruzione non è più che un dettaglio dell’insieme: tutte le manifestazioni della vita devono essere considerate e l’ambiente deve corrispondere, a tutte. La scuola diventa allora “il mondo” creato per le nuove generazioni, al fine di aiutarle e fortificarle.


L’istruzione non deve esulare da un tale ambiente, perché l’uomo non vive di solo pane e l’istruzione è necessario alimento a quanto l’uomo ha di più caratteristico: l’intelligenza. E così la cultura entra nella scuola quasi come la refezione igienica; cioè come una risposta a bisogni e a necessità dell’intelligenza del bambino, non come “la finalità” della scuola e lo scopo da raggiungere a ogni costo, anche a costo della salute, dell’impoverimento della vita vegetativa, nervosa e del carattere.


In tal modo intesa si comprende come la scuola sia un luogo fortificante, una “Casa di salute” e interesse del bambino è quello di andare a scuola il più presto possibile; anche prima, anzi, prima che l’intelligenza si sia svolta abbastanza per “imparare” nel senso comunemente inteso. Per questo il piccolo bambino di due anni e mezzo o tre di età, entrando in simili scuole, vi trova quelle cure fisiche e morali che lo aiutano a ben crescere, ma che non devono limitarsi solo alla prima infanzia; lo stesso criterio deve continuare a condurre il bambino su su, seguendolo in tutta l’epoca delicata in cui l’uomo si trova in periodi formativi.


Le “Case dei Bambini” sono ciò che dice il titolo: la “casa”, il luogo dove si vive, dove la pace, la felicità ci fanno migliori: dove sappiamo:., d’incontrare un’oasi “che ci siamo formata” e dove siamo “padroni”, tra “padroni” dove fu creata un’armonia benefica tra noi e l’ambiente. La “casa” è di tutti quelli che l’abitano e ognuno vi trova tutto quanto è necessario a dare forza e riposo. Ogni membro della famiglia dice “casa mia” e tutti ci vivono insieme.

Un documento del 1928: le Scuole per i contadini dell’Agro Romano e delle Paludi Pontine

Il brano che proponiamo qui di seguito è tratto da una Relazione, relativa agli anni 1913-1928, che porta in copertina l’emblema del Fascio e la data “Anno VII” (dell’Era Fascista), indicazione che era d’obbligo nel ventennio mussoliniano su qualsiasi testo venisse stampata. 


Il fascicolo, formato 30,5 X 20,8, è stato pubblicato da Luigi Proja, piazza Giovine Italia 7, Roma; comprende 31 pagine di testo e 18 “Tavole illustrative”.


In seconda di copertina è segnato in alto che le Scuole ecc. sono “costituite in Ente Morale delegate dal Ministero della P.I. alla gestione della Scuole Rurali uniche per il Lazio, le Marche, l’Umbria, gli Abruzzi, con R.D. 20 agosto 1926”. Un ente che farà scuola accanto ad altri gruppi di coraggiosi innovatori come ad esempio Umberto Zanotti Bianco, Leopoldo Franchetti, Giuseppe Lombardo Radice e Gaetano Piacentini per le scuole della Calabria, costruite e organizzate dall’Associazione per gli Interessi del Mezzogiorno, a partire dal 1921.

Nel ’28 Pietro Fedele è il nuovo ministro dell’Educazione Nazionale al posto di Gentile ed è anche il presidente del Comitato Direttivo dell’ente “Le Scuole per i contadini”, nel quale troviamo tra gli altri i nomi di Alessandro Marcucci (che seguiva da vicino l’andamento delle Scuole99 ) e di Duilio Cambellotti, pittore e grafico. Unica donna, Liliana De Bosis, della quale non siamo riusciti a sapere di più.


Segue una “Dichiarazione” – curioso titolo – a firma A.M. (p. 5), di tono alquanto (il regime lo esigeva!) retorico. In essa si fa un accenno a Giovanni Cena e ad Angelo Celli, scrittore ed educatore il primo che aveva fondato nel solo Lazio almeno settanta scuole tra infantili ed elementari, ma anche scuole per adulti; medico e celebre parassitologo il secondo, che aveva lottato non poco contro la malaria delle zone paludose. (Di cui la Montessori era stata allieva).


Non sono invece citati i nomi di quattro donne che per prime avevano avviato la difficile impresa, fin dagli anni ’10 e che, accanto a questi uomini, avevano dato non poche energie: Emilia Mariani, coraggiosa emancipazionista di fede socialista, fondatrice del periodico “L’Italia Femminile”, di cui si parla nello studio della Ravelli; Anna Fraentzel, moglie del Celli (fu tra le fondatrici e poi presidente della sezione romana dell’Unione Femminile; si occupò in particolare delle condizioni di vita e di lavoro degli abitanti delle campagne romane). Con lei collaborò attivamente Rina Faccio Pietrangeli (alias Sibilla Aleramo)100 .

La quarta figura femminile era Maria Montessori che metteva a disposizione le sue competenze, preparando le maestre e riuscendo a reperire mobilio e materiali per dare, come lei diceva, “nutrimento psichico” a bambini che non avevano assolutamente nulla.


Fu sul lavoro di queste donne che poi si innestò l’azione, indubbiamente molto importante, di Giovanni Cena, morto nel ’17, e di Angelo Celli, morto nel 1914. Marcucci è dunque il loro erede, nel senso di continuatore della difficile impresa e quasi certamente il fascicolo, che stiamo esaminando e che non riporta il nome dell’autore, è opera sua101 (si veda anche la sigla sopra ricordata).


La “Dichiarazione” termina con un inevitabile osanna a Benito Mussolini che nell’anno V, nel giorno dell’Ascensione, aveva segnato “con alta e lucida parola le mete da raggiungere dalla nostra gente rurale, ridonata a dignità e prosperità di vita, quale fu un tempo romanamente…” (p. 7): il solito tono altisonante tipico del regime.


Le scuole rurali, stabili o ambulanti, crescevano rapidamente: scrittori e poeti (Pascoli o Ada Negri) ne parlavano, suscitando interesse anche fuori d’Italia. Molti stranieri che percorrevano questa “terra fatidica” per ammirarne e per studiarne le bellezze e le memorie, poterono constatare come, con pochi mezzi, questa lacuna dell’istruzione e dell’assistenza veniva in parte colmata, in quanto non la sola diffusione dell’alfabeto con forme didattiche originali102 veniva curata, ma altresì l’assistenza sanitaria e sociale, la formazione di una coscienza civile e patriottica, là dove era il più completo abbandono, congiunto a un avvilente sfruttamento della vita umana” (p. 9).


Secondo il testo che presentiamo, una missione della Croce Rossa Americana nel ’19 visitò parecchie di codeste Scuole e Asili della Campagna romana e redasse un resoconto assai positivo circa le scuole per i contadini dell’Agro. “…Questa popolazione nomade scende dai monti d’Abruzzo per coltivare durante la stagione agraria le pianure romane. Vive in capanne di paglia e da un’estate all’altra va dai monti al piano. Essa comincia soltanto adesso a godere dei benefici dell’istruzione, considerata come mezzo di elevazione capace di portare alla più alta valorizzazione il loro stato…”103 .

Dalle otto scuole esistenti nel 1907-1908 si era giunti nel 1923 a 975 tra scuole diurne e scuole festive o serali, distribuite nelle quattro regioni. Le diurne per i ‘fanciulli’ vennero portate a 1280 nel ’28-29, con una percentuale di promossi di poco al disotto dell’80%, che ci si impegnava ad alzare.


Ai maestri che lavoravano in queste scuole – quasi tutte donne – si intendeva dare “una cultura adeguata, specialmente in Agraria e su l’Igiene dell’infanzia, e un’adatta preparazione d’animo”. Per questo si istituivano “speciali corsi estivi (…) di 40-45 giorni (…) a carattere residenziale (…), nutrite, alloggiate e istruite gratuitamente” e potevano anche fruire di borse di studio per frequentare, durante un intero anno, la Scuola Agraria femminile di Niguarda (Milano) o la Scuola Agraria femminile fascista di S. Alessio (Agro romano) istituita nell’aprile 1928 dal Partito Nazionale Fascista (p. 15 del testo).


Dopo aver considerato altri aspetti della formazione delle insegnanti, le realizzazioni in fatto di edilizia scolastica rurale (pp. 17-18) e le Scuole per Adulti (pp. 19-20), l’autore passa a esaminare gli Asili d’infanzia rurali, anzi “ruralissimi”, dice (p. 21), che ospitano, nel ’28, 1329 bambini divisi tra 13 sezioni in Abruzzo e 12 sezioni nel Lazio.


Alla bella descrizione del clima di queste scuole (pp. 22 e 23), riprodotta qui di seguito, nella quale chi è del mestiere riconosce un lavoro in senso Montessori di alta qualità, seguono purtroppo due pagine intitolate “Fascistizzazione della Scuola” per Balilla e Piccole Italiane: i figli del Regime di penosa memoria con le relative modalità di addestramento.


Nelle pagine finali del fascicolo numerose le “tavole illustrative”: fotografie con piccoli in azione nella Casa dei Bambini, attività all’interno e all’esterno per l’avviamento agrario, mobilio appositamente studiato (tavoli e sedie, non banchi!), i nuovi edifici, alcuni dei quali davvero molto curati. Sono anche riportati i ‘fregi decorativi’ di Duilio Cambellotti nella scuola di Casale delle Palme (Paludi Pontine), a Torre Spaccata (Roma), a Colle di Fuori sui Colli AlbanCi è sembrato interessante trascrivere parte di questo documento, ancora a proposito dei rapporti di Maria Montessori con il regime fascista. Qui lei, come persona, non è mai nominata, quasi che il lavoro nelle scuole fosse già completamente uscito dalla sua diretta cura e, d’altro canto, si sente molto bene nella descrizione come vengano messi in luce da Marcucci non solo l’aspetto istruzione/igiene/vitto, ma il senso preciso del ritrovamento di una dignità e di un gusto nell’agire, che – come Montessori aveva già visto nei piccoli, anche lì poverissimi, di via dei Marsi – dai bambini saliva ai loro genitori.


Piace anche l’accenno all’aspetto economico, a dispetto, per così dire, di quanti ancora sono convinti della non realizzabilità di una scuola fondata sull’autoeducazione del bambino, a causa – si dice – del suo costo elevato. Del resto le Case dei Bambini e le scuole elementari nell’Agro Romano costituivano un’esperienza sociale di grandissimo rilievo, avviata ben prima dell’affermazione politica di Mussolini e da lui malamente continuata.

Dalla “Relazione”, anni 1913-1928

(p. 22: a destra, di fianco al testo, si legge: “Applicazione del Metodo Montessori”)


“Gli Asili del Comitato delle Scuole per i contadini104 sono in gran parte ‘Case dei Bambini’ improntate al Metodo Montessori, come ad esso Metodo si inspirano i procedimenti didattici in uso nelle scuole rurali dello stesso Comitato. E se tale Metodo non è applicato in tutte le 25 sezioni di Asili rurali, lo si deve al fatto che mancano ancora Insegnanti esperte nel Metodo stesso. Su 25 di esse, 14 sono state preparate in corsi speciali, da queste frequentati, per la maggior parte, a spese del Comitato.


Il rendimento didattico ed educativo di queste 14 sezioni è superiore a quello delle altre, senza che per ciò la spesa ne sia maggioche il compianto Barone Leopoldo Franchetti – fondatore degli Asili marsicani, fu apostolo del Metodo Montessori, in Italia), resta ammirato dalla grazia spontanea, dalla gioconda attività, dalle abitudini di ordine, precisione, pulizia e buon senso di quei bambini, figli tutti di poverissima gente rurale, contadini, boscaioli, pastori; e come senza castighi corporali o mortificanti abitudini, essi siano operosi e tranquilli, quanto deve e può comportare la loro tenera età; e come, senza fatica, in via del tutto naturale e spontanea, essi acquistino conoscenze (p. 23) e abitudini di vita pratica e abilità tecniche riguardo al leggere, lo scrivere, il numerare, il disegnare, facilitando così grandemente il compito programmatico della scuola elementare specie nei primi due anni del corso inferiore”.


(Da qui, a destra, di fianco al testo, si legge: “L’Asilo rurale, base del movimento di ruralizzazione”)

“Questa intima fusione, del rispetto alla personalità del bambino e dell’azione scolastica, rivolta al fine educativo e pratico, da cui risulta una perfetta unità di funzione, dall’insegnamento materno a quello elementare secondo il metodo accennato per cui è regola fondamentale che il bambino prima, il fanciullo poi viva con gioia nel lavoro la sua vita scolastica è sembrato, da principio, in contrasto con la disciplina rigida e meccanica dominante finora tra le pareti della scuola, disciplina che conduce comunque a qualche risultato, ma che s’addice più all’allevamento che all’educazione.


E le popolazioni rurali, più vicine alle pratiche dell’allevamento animale che non a quelle dell’educazione umana hanno provato come uno sconcerto vedendo i loro piccoli, liberi nei movimenti e nella scelta delle occupazioni, disegnare prima di tracciare segni alfabetici e numeri, parlare con grazia ed espressione solo quando l’argomento li interessava, affermare insomma una loro personalità, più che obbedire automaticamente a comandi e a imposizioni.


Però questo loro disappunto è stato momentaneo; dopo tre o quattro anni di una educazione materna, cosi umanamente, cosi italianamente intesa, esse han visto che i loro bambini non erano animaletti bene ammaestrati, ma esseri volitivi in possesso di abilità e di abitudini salutari di pulizia, di ordine, che imponevano un certo rispetto: quel rispetto che soddisfa il fanciullo, quanto l’adulto più che non si creda!”.


(Ancora una nota a fianco: “Il ‘rispetto al bambino’, fondamento del sistema educativo”)


“Il bimbo di 5 o 6 anni viene acquistando coscienza di sé, vien formando il suo carattere, ha le sue esigenze, sa volere e agire sapendo misurare le sue forze e dopo due o tre anni da che una “Casa di bambini” funziona siffattamente, non si sentono più genitori deridere o lamentare le esigenze di pulizia della Maestra e dell’alunno e consegnare questo a quella consigliando o imponendo pene corporali in caso di vivacità o di disattenzione o di disobbedienza.


Anche allo spirito del contadino, il bambino appare allora come un essere a cui per debito e diritto di sangue non si debba solo il cibo e il tetto e l’affetto cieco e più ancora il castigo, ma anzitutto il rispetto che esigono le cose più serie e sacre della vita.


Questa nuova comprensione dello spirito del fanciullo costituisce forse il più gran passo sulla via della civiltà che il contadino possa (p. 24) compiere, perché, senza estraniarlo dalla sua vita, dal suo mondo, gli fa trovare nelle stesse pareti domestiche una ragione di elevazione morale.


E così l’opera di queste Case dei bambini rurali si collega e si compone con tutte le altre provvidenze, per cui il Governo nazionale ha bandito la santa crociata per la ruralizzazione della nostra gente e per la tutela dell’infanzia; essa ne è anzi una delle realizzazioni fondamentali (…)”.

Montessori: perché no?
Montessori: perché no?
Grazia Honegger Fresco
Una pedagogia per la crescita.Che cosa ne è oggi della proposta di Maria Montessori in Italia e nel mondo? Un testo fondamentale, corretto, ampliato e riproposto a distanza di anni, per chiunque si interessi alla vita e alle opere di Maria Montessori. Montessori: perché no? è un testo fondamentale per chiunque si interessi alla vita e alle opere della celebre pedagogista. Sull’onda del recente rinnovato interesse per la figura e il pensiero di Maria Montessori, il testo, già edito da Franco Angeli in 7 edizioni ed esaurito da anni, è stato curato da Grazia Honegger Fresco, corretto e ampliato con uno scritto della stessa Montessori relativo all’Educazione Cosmica e uno sull’apprendimento della nostra lingua per adulti migranti. Il bambino che ha sentito fortemente l’amore all’ambiente e agli esseri viventi, che ha trovato gioia ed entusiasmo nel lavoro, ci fa sperare che l’umanità possa svilupparsi in un senso nuovo. La nostra speranza per la pace futura non risiede negli insegnamenti che l’adulto può dare al bambino, ma nello sviluppo normale dell’uomo nuovo.Maria Montessori Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.