È ovvio che è la comunità degli adulti a decidere quali contenuti trasmettere al bambino o al ragazzo, ma nella scuola di tipo direttivo, fortemente centralizzata, quale è ad esempio quella italiana, se si esaminano le varie aree indicate dai programmi statali, si constata che ai più giovani si vorrebbe insegnare l’intero scibile, ancora più vasto oggi di quanto non fosse solo trenta o quaranta anni addietro.
Per “far entrare” tutto questo nella memoria infantile (e d’altra parte per “non affaticarla” troppo!), non ci si è posti il problema del come in rapporto agli interessi o alle “passioni” delle varie età e si è preferito “alleggerire”, dando di tutto un po’: tanta ecologia, biologia e geografia in forme succinte; storia con scarsa sistemazione temporale; aritmetica tuttora appresa in modo astratto e mnemonico; per l’italiano, nelle medie, una spruzzatina di Omero e una di Dante, di Tasso e di Manzoni, tutti più o meno come se fossero contemporanei …
Uno studio frammentato e puramente libresco non favorisce la comprensione di ciò che si sta facendo, cui si aggiunge la difficoltà per l’allievo di cogliere le relazioni interne ai vari filoni del sapere.
Si può fare diversamente? L’esperienza Montessori dice di sì in concreto, tramite scuole che mettono al centro del loro lavoro l’osservazione dei bisogni individuali e trattano i contenuti come mezzi di sviluppo, raggiungendo così alti livelli di apprendimento e di socializzazione. Istituzioni non più basate sulla meritocrazia. A partire da quando?
La risposta di Montessori è netta: dal principio, cioè dalla nascita, dai primi anni, secondo un percorso coerente di qualità relazionale tra adulto e bambino insieme a un’attenta riflessione sulla qualità della situazione ambientale.
È questo lo spartiacque che rivela con certezza una situazione “montessoriana”:
- l’atteggiamento non direttivo e l’intervento prudente nella parola, nel gesto;
- l’attenzione vigile e continua al luogo in cui il bambino o il ragazzo vivono e che ovviamente sarà molto diverso a seconda delle età. Queste però sono insieme in fasce ampie di almeno tre anni, con esperienze ricchissime sul piano relazionale (0-3; 3-6; 6-9; 9-12; 12-15…);
- gli oggetti sono essenziali per l’agire autonomo e per l’autoverifica.
In una scuola “vuota” – ieri fatta di banchi, sussidiario, quaderni, lavagna; oggi di giochi didattici, schede, audiovisivi – si sviluppano piuttosto l’attesa delle prescrizioni, l’insofferenza se non il rifiuto verso lo studio e un apprendimento vincente solo per i “fortunati” in quanto dotati o seguiti dai genitori. Una scuola che non riesce ad essere realmente “di tutti e per tutti”: impostata tuttora su uno sfondo idealistico, non riconosce valore sostanziale al fare; privilegia l’ascoltare e il guardare, con libri di testo di qualità mediocre. Non cura la struttura degli edifici, né il mobilio e meno di tutto gli oggetti che dovrebbero promuovere curiosità, consentire constatazioni e scoperte. Sono considerati un lusso, un costo non essenziale.
Si è spesso criticato, a volte conoscendolo solo superficialmente, il materiale di sviluppo, cioè l’apparato di oggetti proposto dalla Montessori.
Rispetto ai quattro piani diremo intanto che è in uso soprattutto tra i 3 e i 12 anni (circa), nei periodi dell’esplorazione sensoriale e degli apprendimenti di base. Prima dei 3 anni si propongono oggetti più semplici rispondenti ad altre esigenze esplorative, mentre agli adolescenti i libri da un lato, l’ambiente umano e naturale dall’altro offrono ampie possibilità di ricerca e di conoscenza.
A ogni età, secondo Montessori il fattore essenziale è comunque il clima relazionale tra adulti, bambini o ragazzi e di questi fra loro: non si lavora con gruppi preordinati di pari livello, non ci si basa a nessuna età sul confronto artificioso e sui premi, ma si sviluppa la capacità critica, affidando ai bambini o ai ragazzi stessi molteplici e concreti mezzi di autocontrollo.
A ogni età gli ambienti sono organizzati a misura fisica e psichica di chi ne fruisce e gli oggetti sono messi a totale disposizione. C’è la massima libertà di scelta delle attività, del tempo necessario a concluderle, del luogo, del compagno (o compagni) con cui lavorare, ma anche regole inderogabili: quella del riordino personale degli oggetti usati, (“miei finché li adopero, ma poi è mia responsabilità che tornino a disposizione di tutti”); dell’attesa, se un oggetto o uno strumento non sono subito disponibili; dell’impegno personale a non disturbare il lavoro di alcuno.
Ma è soprattutto l’atteggiamento degli adulti a favorire la liberazione delle potenzialità individuali.
“Sostituirsi al bambino o ragazzo con le migliori intenzioni di aiutarlo quando non è necessario è un impedimento al suo sviluppo. Egli agisce allora perché gli è permesso, per rendere conto, per ottenere approvazione, per superare altri.
Non è questo il vero significato di libertà; non è poter fare qualsiasi cosa possa piacere o per far piacere o per aderire al comando, sia pure moderato, di altri.
Libertà significa intanto saper rispondere a bisogni vitali di attività costruttiva. Se un bambino o ragazzo hanno questa possibilità, rivelano via via nuove attitudini: non fanno solo le cose per sé, ma sviluppano una speciale sensibilità per rispettare i desideri, le esigenze, i tempi degli altri.