sesta parte

Montessori e il bambino con difficoltà

Che cosa è rimasto o, meglio, come ha progredito la ricerca iniziale di Maria Montessori con i bambini “frenastenici” ricoverati nel manicomio di Santa Maria della Pietà a Roma?


Quali obiezioni sia alle scuole “speciali” da noi superate, ma ancora diffuse in tante regioni del mondo – sia all’inserimento forzato del “diverso” con la “sua” maestra di sostegno in classi composte solo di “uguali” e di “normali”?


Dal Nido alla Scuola Elementare o Media, Montessori esalta l’originale apporto individuale come ricchezza irrinunciabile per la collettività e quindi la diversità come un bene primario. Al tempo stesso, si basa sui ritmi individuali e sul senso di responsabilità anziché sulla resa dei conti e quindi dà spazio a ciascuno per procedere come può, quando può, sentendosi comunque valorizzato e amato.


Vedremo in questa parte alcune significative esperienze, che dilatano ulteriormente la prassi Montessori, già molto variegata.

Il bambino “diverso”: una sfida pedagogica

Un po’ di storia

È stato a lungo rimproverato a Maria Montessori il fatto di aver “trasferito” nel suo lavoro con i bambini sani quanto aveva sperimentato in anni precedenti con i bambini “idioti”. Li aveva visti passare il tempo per terra, nella polvere, giocando con minuzzoli di pane, negli stessi spazi in cui erano ricoverati i malati adulti. Li aveva sentiti definire irrecuperabili, ma lei era una donna che amava le sfide. Ancora nell’Antropologia pedagogica descrive il bambino povero come un essere

inferiore nella statura, nel cranio, nel peso, nelle forze muscolari e intellettuali; e le malformazioni collegate ai difetti di crescenza lo relegano in una inferiorità estetica: cioè l’ambiente, il modo di vivere, la nutrizione possono modificare anche la bellezza. (…) La stessa bellezza del corpo è un privilegio di classe (…). Anche nella scuola il bambino povero è un paria. Meno bello e gentile, non richiama sopra di sé quella simpatia che il maestro facilmente concede alla grazia cortese dei fanciulli felici; meno intelligente e privo di aiuto da parte di parenti forse analfabeti, non riscuote quegli incoraggiamenti che la lode e l’alta votazione tanto prodigano ai fanciulli forti, che non avrebbero bisogno di essere incoraggiati. Così gli oppressi della società sono pure gli oppressi della scuola (p. 15).


È un brano che rivela come pochi altri il forte sentimento di giustizia e insieme la sensibilità alle condizioni reali di tanti bambini che l’animava per cercare soluzioni opportune.


I bambini di S. Maria della Pietà erano paria tra i paria e lei decise di occuparsene a fondo, sollecitata anche – come abbiamo visto – dal lavoro che portava avanti con i colleghi dell’Università.

Il racconto delle sue esperienze iniziali è a tratti commovente:

Circa dodici anni fa122 essendo dottore assistente alla Clinica Psichiatrica nell’Università di Roma, ebbi occasione di frequentare il manicomio per lo studio dei malati da scegliersi a scopi di didattica clinica e in tal modo mi interessai ai bambini idioti ricoverati nel manicomio stesso. (…).

Fu così che venni a conoscere il metodo speciale di educazione per questi infelici bambini ideato da Edouard Séguin e in genere a penetrare l’idea, allora nascente anche tra i medici pratici, dell’efficacia delle “cure pedagogiche” per varie forme morbose come la sordità, la paralisi, l’idiozia, il rachitismo ecc. (…).

A differenza dei miei colleghi ebbi l’intuizione che la questione dei deficienti fosse prevalentemente pedagogica e mentre molti parlavano nei congressi medici del metodo medico-pedagogico (…) io ne feci argomento di educazione morale al congresso Pedagogico di Torino nel 1898; e credo di avere toccato una corda vibrante poiché l’idea, passata dai medici ai maestri elementari, si diffuse in un baleno come questione viva, interessante la scuola.

Ebbi infatti dall’illustre Ministro dell’Istruzione, e mio Maestro Guido Baccelli, l’incarico di tenere alle maestre di Roma un corso di conferenze sull’educazione dei bambini frenastenici, corso che poi si trasformò nella Scuola Magistrale Ortofrenica, che diressi ancora per altri due anni.


La Montessori racconta poi come avesse annessa alla scuola una classe123 in cui accoglieva bambini giudicati ineducabili nelle scuole elementari per insufficienza mentale (…).

Dopo essere stata a Londra e a Parigi a studiare praticamente l’educazione dei deficienti, mi misi a insegnare io stessa ai bambini e a dirigere l’opera delle educatrici. Più che una maestra elementare, senza turni di sorta, io ero presente o insegnavo direttamente ai bambini dalle otto del mattino alle sette di sera senza interruzione124. (…). Fin da quando nel 1898-1900 mi dedicai all’istruzione dei fanciulli deficienti, credetti di intuire che quei metodi non avevano nulla di speciale (…), contenevano solo principi di educazione più razionale di quelli in uso: tanto che perfino una mentalità inferiore poteva esserne ingrandita e svolta.

E conclude:

Questi due anni di pratica sono il mio primo e vero titolo in fatto di pedagogia.

(…) A poco a poco acquistai il convincimento che metodi consimili applicati ai fanciulli normali avrebbero svolto la loro personalità in modo meraviglioso, sorprendente.

Riesaminare l’opera di Séguin?

A proposito di bambini con difficoltà, vale la pena di spendere qualche parola su Séguin, i cui testi insieme a quelli di Itard furono per la Montessori scoperta importante e decisiva. Quando si parla di loro, di solito ci si sofferma un po’ di più su Itard per l’eccezionalità della sua esperienza con Victor, il bambino-lupo, mentre su Séguin si sorvola.


Eppure esiste, tradotto, L’idiota, del 1846, cui vale la pena di dare uno sguardo, anche per ritrovare alcuni legami con le metodologie adottate in seguito da Montessori. Quello che colpisce leggendolo è intanto l’impegno analitico di Séguin, la sua cura nell’esaminare uno a uno i passaggi per far giungere il bambino a una determinata conquista – si tratti di vestirsi o di imparare le lettere – e quei passaggi valorizzare come tappe incoraggianti per non far insorgere barriere.


In tutto il testo, anche se egli usa spesso il termine “poveri idioti”, si respira un senso di paziente attesa, di attenzione per la loro affettività, di grande rispetto, espresso promuovendo sempre le capacità attive e tenendo presente ogni funzione corporea. Ad esempio Séguin si preoccupa dell’abbigliamento: vuole che sia di facile uso, per non dover fare la morale o punire (p. 376) se si vogliono sviluppare “abitudini di decenza” (p. 377); dà consigli sull’alimentazione scendendo nei particolari su come insegnare a mangiare da soli senza forzare (p. 387).


Mette in rilievo l’educazione dei “centri sensori” e li considera (cap. XXXIX) uno a uno, a partire dal tatto, sempre in modo molto concreto, ponendo al centro la ricerca di modi per comunicare con il bambino e farsi da lui intendere.


Nella sua Introduzione all’opera, Bollea fa notare come Séguin avesse per Itard, suo maestro, grandissima stima e anche se il proprio lavoro è stato poi tutto diverso, come dice egli stesso, il suo esempio l’ha guidato a preparare mezzi concreti con i quali consentire esperienze e apprendimenti più solidi.


Si vedano ad esempio le forme di cartone colorate per l’appaiamento dei colori (p. 317) o i regoli in scala (5 cm di differenza l’uno dall’altro) per scoprire le dimensioni (p. 318) o ancora l’alfabetario con le lettere mobili, come egli le chiama, che permettono la composizione senza timore di sbagliare, perché la correzione non lascia traccia (p. 336). Dà precisi consigli su come costruire il casellario delle lettere per favorire l’attenzione del bambino.


Il tutto ogni tanto inframezzato da considerazioni politiche o da qualche invettiva. (Era dovuto emigrare negli Stati Uniti a causa degli attacchi da lui rivolti al governo di allora!).


Séguin dice di rendersi ben conto che l’educazione “fisiologica” delle funzioni, così come l’avevano presentata prima di lui Rabelais, Montaigne, Rousseau, era manchevole: non può essere solo intellettuale – egli dice – (p. 522), ma richiede un costante sostegno ambientale e oggetti da maneggiare.


Del resto già Itard per il suo allievo Victor aveva elaborato forme geometriche da spostare e da sovrapporre; parole mobili o scritte da appaiare a oggetti oppure ad azioni.


Su questi aspetti concreti, pochi anni più tardi, si fermò l’attenzione della Montessori, il cui grande merito non fu semplicemente quello di perfezionare o di inventare materiali nuovi, ma di capire che tutti i bambini hanno bisogno di essere attivi, in prima persona, e non solo di ascoltare e di tracciare segni. (La libertà di muoversi favorisce la libertà di pensare, ha scritto Ferrière, il pedagogista suo contemporaneo che meglio ne ha capito osservazioni e proposte).

La mano, organo dell’intelligenza

Fin dalle sue prime esperienze la Montessori cominciò dunque a denunciare lo “spreco d’infanzia”, l’ignoranza sistematica delle energie infantili, mortificate dalla noia, dal pregiudizio, certo rendendosi conto che, se il danno è grave per i soggetti sani, diventa gravissimo per i bambini afflitti da impedimenti di natura sensoriale o motoria, più lenti, in difficoltà di comprensione e di relazione, destinati comunque ad avere un basso livello di autostima, a sentirsi costantemente incapaci.


Non tutti fra loro ne sono consapevoli, ma quel che in ogni caso percepiscono bene, è l’affetto incoraggiante di chi rispetta ogni loro tentativo indipendente.

Quanto spesso invece un handicap è aggravato dall’eccesso di aiuto, dalla disistima scontata, dagli esercizi forzati privi di qualsiasi motivazione che sono stati e sono ancora i punti-forza della cosiddetta rieducazione.

Il solo parlare di “recupero” nega l’aiuto corretto che deve cominciare alla nascita o al più presto possibile per mettere in valore le potenzialità nascoste di ogni bambino, qualunque sia la sua situazione di partenza. Ciò che la conquistò in Séguin fu il materiale che, quando andò a Parigi, non vide completo in nessun istituto, mentre

era un mezzo meraviglioso, eccellente, in mano a chi sapeva usarlo, ma per se stesso passava inosservato accanto ai deficienti… Compresi perché era venuto uno scoraggiamento negli educatori e un abbandono del metodo (del Séguin)… Bisogna saper chiamare entro l’anima del fanciullo l’uomo che vi sta assopito … Ha sulla preparazione dei maestri di deficienti un concetto affatto originale: sembrano consigli dati a una persona che si accinga a fare il seduttore. Vorrebbe ch’essi fossero belli, affascinanti nella voce e che prendessero ogni più minuziosa cura di sé per farsi pieni di attrattive. Una specie di chiave segreta che è l’azione sullo spirito (…). Io ne trassi effetti sorprendenti (…)125.


Non a caso la modalità Montessori, che procede in tale direzione, si è dimostrata vincente in tante esperienze di educazione “speciale” in uso fino agli anni Sessanta circa. Ci sono state alcune piccole scuole esemplari a Roma come quella tenuta, fin dagli anni ’30, da Maria Fancello in via Carini, al quartiere Gianicolense o il Centro Studi, aperto da Maria Antonietta Boscherini al Quartiere Salario, già ricordato, sotto la guida di Adele Costa Gnocchi. Anche nell’Istituto “Configliacchi” di Padova per bambini ciechi vennero realizzate esperienze significative, condotte da una suora che si era diplomata nel ’52 con Giuliana Sorge.

Altro esempio assai interessante è stato in Francia la grande scuola pubblica “speciale” di Fontenay-sous-Bois presso Parigi, diretta per molti anni con grande amore e passione educativa da Marie Louise Pasquier, poi presidente dell’Associazione Montessori di Francia126 . Fu un lavoro al quale si preparò lungamente, a partire dal corso internazionale Montessori di Perugia nel 1950.

La sua straordinaria fiducia nei bambini “diversi”, dal lentissimo ritmo di sviluppo o affetti da disturbi psichici, la condusse a offrire loro i consueti strumenti montessoriani e, contro la prassi corrente, l’aiuto indiretto in un ambiente accuratamente preparato – la scuola di Fontenay è tuttora molto interessante da visitare, anche sotto il profilo strutturale, pensato e realizzato dalla Pasquier con uno staff di prim’ordine – grazie alla ricchezza della “vita pratica” e dei materiali, alla ripetizione spontanea, alla concentrazione, all’autonomo controllo dell’errore.


In circa trent’anni di esperienze la scuola di Fontenay ha richiesto anche un notevole impegno di formazione degli educatori e una particolare sensibilizzazione dei medici e dei terapeuti.


Come in una spirale aperta verso l’esterno, ha detto una volta Marìe Louise Pasquier, le conseguenze sono state prodigiose, per la crescita non solo delle capacità intellettive, ma anche degli scambi sociali e della vita interiore di bambini così deprivati e degli adulti che se ne occupavano. È stato un lavoro fedele, senza schemi rigidi, fondato sull’osservazione e sulla capacità di entrare in rapporto con gli altri.


Dunque “speciali” scuole Montessori, caratterizzate dalla costante attenzione alla crescita autonoma della persona. Intanto in Italia, dopo la legge 180 che chiudeva i manicomi, si profilava una forte spinta all’integrazione, per cui esperienze del genere potevano considerarsi superate. (Diverso il percorso in altre nazioni europee).


È anche vero che nel vasto numero delle nostre classi statali si è trattato molto spesso di una pseudo-integrazione, nel senso che il bambino restava isolato tra gli altri e rispetto alla maestra di classe, con la “sua” maestra “di sostegno”, per lo più inesperta (di prima nomina) e a tempo ridotto.

Un “inserimento”127 a due, inevitabile in classi caratterizzate da passività di bambini in ascolto e da lezioni ed esercizi soprattutto teorici o di scrittura e di lettura.


L’effetto positivo si è invece constatato nelle Case dei Bambini e nelle Scuole Elementari Montessori come nelle scuole attive128 : un sempre maggior numero di esse ha cominciato ad accogliere bambini con problemi di varia natura, all’insegna del diritto alla diversità, oltre che per età e per sSoprattutto si è capito che ogni tipo di handicap pone problemi di adattamento dell’ambiente, dei materiali e della comunità a quel bambino, sia egli Down o psicotico, sordo o semplicemente guardato come un alieno, perché parla una lingua non comprensibile o appartiene a un’altra religione. Non deve essere mai il bambino a doversi adattare al contesto educativo, ma il contrario.


Questo principio, basato sull’accoglienza e sull’assenza di pre-giudizio per qualsiasi individuo, ci sembra il più importante perfezionamento del cammino proposto da Maria Montessori.


L’esperienza che segue dimostra fino a che punto possa essere realizzata questa crescita nella diversità.

Montessori: perché no?
Montessori: perché no?
Grazia Honegger Fresco
Una pedagogia per la crescita.Che cosa ne è oggi della proposta di Maria Montessori in Italia e nel mondo? Un testo fondamentale, corretto, ampliato e riproposto a distanza di anni, per chiunque si interessi alla vita e alle opere di Maria Montessori. Montessori: perché no? è un testo fondamentale per chiunque si interessi alla vita e alle opere della celebre pedagogista. Sull’onda del recente rinnovato interesse per la figura e il pensiero di Maria Montessori, il testo, già edito da Franco Angeli in 7 edizioni ed esaurito da anni, è stato curato da Grazia Honegger Fresco, corretto e ampliato con uno scritto della stessa Montessori relativo all’Educazione Cosmica e uno sull’apprendimento della nostra lingua per adulti migranti. Il bambino che ha sentito fortemente l’amore all’ambiente e agli esseri viventi, che ha trovato gioia ed entusiasmo nel lavoro, ci fa sperare che l’umanità possa svilupparsi in un senso nuovo. La nostra speranza per la pace futura non risiede negli insegnamenti che l’adulto può dare al bambino, ma nello sviluppo normale dell’uomo nuovo.Maria Montessori Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.