Riesaminare l’opera di Séguin?
A proposito di bambini con difficoltà, vale la pena di spendere qualche parola su Séguin, i cui testi insieme a quelli di Itard furono per la Montessori scoperta importante e decisiva. Quando si parla di loro, di solito ci si sofferma un po’ di più su Itard per l’eccezionalità della sua esperienza con Victor, il bambino-lupo, mentre su Séguin si sorvola.
Eppure esiste, tradotto, L’idiota, del 1846, cui vale la pena di dare uno sguardo, anche per ritrovare alcuni legami con le metodologie adottate in seguito da Montessori. Quello che colpisce leggendolo è intanto l’impegno analitico di Séguin, la sua cura nell’esaminare uno a uno i passaggi per far giungere il bambino a una determinata conquista – si tratti di vestirsi o di imparare le lettere – e quei passaggi valorizzare come tappe incoraggianti per non far insorgere barriere.
In tutto il testo, anche se egli usa spesso il termine “poveri idioti”, si respira un senso di paziente attesa, di attenzione per la loro affettività, di grande rispetto, espresso promuovendo sempre le capacità attive e tenendo presente ogni funzione corporea. Ad esempio Séguin si preoccupa dell’abbigliamento: vuole che sia di facile uso, per non dover fare la morale o punire (p. 376) se si vogliono sviluppare “abitudini di decenza” (p. 377); dà consigli sull’alimentazione scendendo nei particolari su come insegnare a mangiare da soli senza forzare (p. 387).
Mette in rilievo l’educazione dei “centri sensori” e li considera (cap. XXXIX) uno a uno, a partire dal tatto, sempre in modo molto concreto, ponendo al centro la ricerca di modi per comunicare con il bambino e farsi da lui intendere.
Nella sua Introduzione all’opera, Bollea fa notare come Séguin avesse per Itard, suo maestro, grandissima stima e anche se il proprio lavoro è stato poi tutto diverso, come dice egli stesso, il suo esempio l’ha guidato a preparare mezzi concreti con i quali consentire esperienze e apprendimenti più solidi.
Si vedano ad esempio le forme di cartone colorate per l’appaiamento dei colori (p. 317) o i regoli in scala (5 cm di differenza l’uno dall’altro) per scoprire le dimensioni (p. 318) o ancora l’alfabetario con le lettere mobili, come egli le chiama, che permettono la composizione senza timore di sbagliare, perché la correzione non lascia traccia (p. 336). Dà precisi consigli su come costruire il casellario delle lettere per favorire l’attenzione del bambino.
Il tutto ogni tanto inframezzato da considerazioni politiche o da qualche invettiva. (Era dovuto emigrare negli Stati Uniti a causa degli attacchi da lui rivolti al governo di allora!).
Séguin dice di rendersi ben conto che l’educazione “fisiologica” delle funzioni, così come l’avevano presentata prima di lui Rabelais, Montaigne, Rousseau, era manchevole: non può essere solo intellettuale – egli dice – (p. 522), ma richiede un costante sostegno ambientale e oggetti da maneggiare.
Del resto già Itard per il suo allievo Victor aveva elaborato forme geometriche da spostare e da sovrapporre; parole mobili o scritte da appaiare a oggetti oppure ad azioni.
Su questi aspetti concreti, pochi anni più tardi, si fermò l’attenzione della Montessori, il cui grande merito non fu semplicemente quello di perfezionare o di inventare materiali nuovi, ma di capire che tutti i bambini hanno bisogno di essere attivi, in prima persona, e non solo di ascoltare e di tracciare segni. (La libertà di muoversi favorisce la libertà di pensare, ha scritto Ferrière, il pedagogista suo contemporaneo che meglio ne ha capito osservazioni e proposte).