Alcune esperienze

A. La scuola di Starnberg in Germania

di Jürgen Negenborn115


Questa scuola si trova a circa a 70 km da Monaco. Si tratta di una grande struttura composta da:


  • due sezioni dai tre ai sei anni con 24 bambini ciascuna;
  • cinque sezioni di scuola elementare che riuniscono bambini dai 6 ai 10 anni (100 bambini in totale);
  • la scuola media con circa 50 ragazzi dagli 11 ai 15 anni.

La scuola di Starnberg116 è di particolare interesse anche per la sua organizzazione che coinvolge a tutti i livelli insegnanti e genitori con modalità assai creative e partecipative; in ogni caso qui la citiamo in riferimento alle classi secondarie. A differenza di quanto è avvenuto per le sezioni infantili ed elementari, il governo bavarese non ha dato il permesso di mescolare le età, quindi le classi sono state organizzate a partire da tale compromesso di base.

Non sappiamo ancora – raccontò Jürgen Negenborn al Congresso di Roma, 1996 – se dipenda da questo inconveniente il fatto da noi osservato che molti ragazzi hanno difficoltà a lavorare in modo cognitivo tutte le mattine e per ogni giorno della settimana.


Per questo abbiamo introdotto a metà settimana la giornata di attività pratiche, nella quale ogni allievo lascia la classe di appartenenza per entrare di sua scelta in un gruppo formatosi intorno a una determinata attività: può scegliere tra almeno otto attività diverse: fotografia, cucito, vendite (il cibo è preparato a scuola e venduto ai compagni), ceramica, danza, arti figurative, computer, video. Ci sono anche attività all’esterno: visitare ad esempio un’officina meccanica, un asilo nido, un mercato di verdure. I ragazzi dell’ultimo anno possono anche svolgere periodi quindicinali di apprendistato in vari situazioni lavorative. Spesso loro stessi se le procurano e le propongono alla scuola.


Questa duplice esperienza – giornata pratica e tirocinio esterno – ha anche il vantaggio di aiutare in seguito gli studenti nella scelta del proprio lavoro.


L’insieme della scuola è caratterizzato da una forte continuità nei legami e nelle esperienze, pur trovando ad ogni livello il “cibo” giusto.


La scuola ha sperimentato l’importanza che un gruppo di bambini o ragazzi sia seguito per vari anni dagli stessi insegnanti. Quindi ogni docente insegna più materie, conosce a fondo ogni bambino o ragazzo, evitando al massimo le rotazioni. D’altro canto i professori, coinvolgendo anche i genitori, sanno che al termine della scuola elementare è in atto un rivolgimento che porta anche un forte cambiamento nelle relazioni: il gruppo deve re-identificarsi. Quindi dobbiamo essere molto vigili nel riconsiderarlo come “un periodo nuovo”, se come scuola vogliamo continuare a occuparci delle relazioni tra individui tanto diversi e tenere conto dei processi ciclici dello sviluppo. Occorre una enorme flessibilità. Caos e armonia, entusiasmo e noia letargica, franchezza e isolamento: sono soltanto alcuni esempi degli estremi davanti ai quali ogni insegnante di adolescenti si trova. Tale flusso di sentimenti richiede una grande capacità di distanziamento: saper prendere emotivamente le distanze, senza fuggire davanti ai problemi. Resistere, partecipare, appoggiare le esigenze concrete nelle discussioni che spesso assumono carattere molto personale.


A nessun livello nella Scuola si usa il sistema dei voti. Si redigono invece osservazioni scritte circa i progressi nell’apprendimento e il comportamento sociale di ogni bambino o ragazzo. Si tengono colloqui, anche di gruppo, per dare agli allievi più grandi un parere circa il loro percorso e ogni sei mesi una “lettera personale” del maestro ai genitori indica i punti forti e quelli deboli, insieme alle opportunità per il semestre successivo.


Anche i genitori scrivono all’insegnante: così facendo si mette da parte il confronto diretto, ottenendo una maggiore collaborazione. Si evitano giudizi negativi permanenti sui soggetti più fragili, ma si cerca di raggiungere, un passo alla volta, obiettivi precisi. I docenti rinunziano ai soliti mezzi disciplinari, considerati distruttivi; gli allievi dal canto loro, si concentrano sulle proprie capacità e sugli interessi personali che condividono con altri, con forte impegno, senza preoccuparsi dei giudizi. Quanto ai genitori, sono bene informati e sanno dare fiducia ai figli.

Il progetto Erdkinder

Nel 1939 con il titolo “The Erdkinder – A scheme for a reform of secondary education” (Un progetto di riforma per l’educazione secondaria) Maria Montessori pubblicò ad Amsterdam117 uno studio assai interessante in lingua inglese relativo “alla riforma dell’educazione durante e dopo l’adolescenza”. Il titolo: The Erdkinder; l’articolo è inglese, il nome, tedesco.


Nel 1957 ne uscì in Italia la traduzione integrale, con il titolo The Erdkinder – i Fanciulli della terra118 – preceduta dall’introduzione di Mario M. Montessori Sr., la stessa della pubblicazione inglese.


Nel 1954 però lo stesso studio era già apparso in francese, tradotto da Georgette J.J. Bernard, come appendice al già citato De l’enfant à l’adolescent. Quando verrà pubblicato in Italia, la traduzione – dal francese – del libro edito da Garzanti (1970), risulterà assai meno felice di quella apparsa sulla rivista italiana.


Si tratta dunque di un testo passato per più mani, sia pure fedeli. D’altra parte la Montessori che parlava preferibilmente in italiano – di rado anche in francese e che scrisse di propria mano un solo libro (il primo del 1909), mentre tutti gli altri sono stati tratti da trascrizioni stenografiche di sue conferenze – dovette spesso fare i conti con questi passaggi di lingua.


Tutto questo per cercare di interpretare in termini attuali l’esatto significato del vocabolo Erdkinder. Il vocabolo tedesco corrisponde esattamente a quello inglese: land-children, del testo del ’39, mentre Georgette J.J. Bernard, che con Maria Montessori lavorò in stretto contatto, usa l’espressione les enfants à la terre, affettivamente e intellettualmente legati alla terra. Ma nelle tre lingue Kinder/Children/Enfants hanno il duplice significato di “bambini” e di “figli”:


Quindi il senso può essere duplice: 1) “i fanciulli campestri”, decisamente desueto o “i ragazzi alla terra / che si dedicano ad essa”119 ; 2) riprendendo in parte il titolo del ’57, i figli della terra o della Terra, di contenuto simbolico che include il senso di un attaccamento concreto e lavorativo ad essa.


Secondo Ilie Sulea Firu120 , il termine Erdkinder venne suggerito alla Montessori dal berlinese Herbert Axter, nel ’39 segretario generale dell’AMI, in riferimento ai “nuovi” adolescenti che avrebbero dovuto completare la loro formazione e istruzione non più a spese dei genitori, come lei sosteneva, ma già guadagnandosi la vita nella società attiva, producendo, integrandosi via via nel concreto del tessuto sociale attraverso il lavoro, creatore di beni materiali e culturali.

In particolare la Montessori vedeva il lavoro agricolo come un’introduzione alla natura, ma anche come accesso a una serie illimitata di studi scientifici e storici (…), un’iniziazione al meccanismo fondamentale della produzione e degli scambi sul quale poggia la base economica della società umana (p. 131). Nel suo progetto, brevemente sintetizzato nel volume sopra ricordato, auspicava una scuola di concretezza per gli adolescenti perché, senza abbandonare il piacere speculativo e il gusto di arti raffinate, come di tecniche artigianali strettamente connesse con la storia umana, riteneva essenziale che conoscessero in prima persona il senso del lavoro, il suo peso, con i successi e le sconfitte che gli sono propri.


La generosità e gli entusiasmi tipici di questa età non devono spegnersi nell’attesa di un’esperienza lavorativa che rischia di arrivare troppo tardi; meglio impiegarli nel dono volontario del proprio tempo, nell’invenzione e nella costruzione del benessere del gruppo, nel senso ultimo del denaro e del potere di acquisto. Ma lo scopo formativo è in realtà ben più alto: aiutiamoli intellettualmente, mediante gli studi, a comprendere il lavoro dell’uomo nella società, per sviluppare in loro quella comprensione umana e quella solidarietà che tanto mancano ai nostri giorni.


Secondo M. Antonietta Paolini, il progetto aveva cominciato a delinearsi fin dagli anni ’20, ma prese corpo dal ’36 al ’39, gli anni della scuola di Laren. Tutto allora era pronto per cominciare, ha testimoniato anche Mario Montessori Jr., ma il progetto si arenò negli anni tragici che seguirono.


Le scuole secondarie Montessori, di fronte alle difficoltà pratiche di un progetto così ampio, pur di grande interesse e ricco di proposte innovative (rispetto ai licei o agli istituti professionali impostati sul voto, sul cambio di materia ad ogni ora, sulla divisione tra i giovani, in un’età in cui il lavoro di gruppo assume la massima valenza formativa) in generale hanno mantenuto la struttura tipica delle scuole di ambiente cittadino: il “compromesso urbano”, come lo ha chiamato David Kahn, in riferimento alla sezione adolescenti della scuola da lui fondata, nella quale l’aspetto lavorativo veniva realizzato – almeno fino agli anni ’80 – con l’organizzazione di una tipografia, attiva anche per l’esterno.


D’altro canto, rispetto all’autentico progetto Erkinder, volendo assicurare ai ragazzi esperienze in cui scoprire di persona il mondo lavorativo, economico, culturale degli adulti, è inevitabile qualche compromesso, dovuto a situazioni logistiche o a mezzi finanziari scarsi o anche all’inquietudine di genitori che temono l’incertezza di una scuola totalmente nuova, le sorprese e il rischio di una preparazione diversa.


In ogni caso è un pensare all’adolescente in positivo – ha sottolineato Camillo Grazzini in un suo scritto – mentre altre istituzioni guardano principalmente alla repressione o alla prevenzione, più che a una profonda quanto dilatata risposta ai bisogni veri di questo piano di sviluppo.

B. Gli Erdkinder in California: alla scoperta dell’adolescente in una farm-school americana

di Ursula Thrush121


La mia esperienza con Montessori ebbe inizio nel 1967 al CISM di Bergamo, durante il corso AMI diretto da Eleonora Honegger Caprotti che ci dette una visione entusiasmante di un progetto di scuola secondaria, ideato da Maria Montessori, ma fino ad allora mai realizzato. Ricordo la signora Eleonora come una persona che stava sempre con i bambini nella scuola da lei fondata. Lavorava con loro per accendere i loro entusiasmi.

Non so se abbia avuto dalle organizzazioni Montessori il riconoscimento che meritava, ma non c’è da meravigliarsi: molte delle persone “ufficiali” hanno perso l’abitudine di stare, come faceva lei, con i bambini e non li conoscono. Lei univa alla loro conoscenza quotidiana notevoli capacità direttive e didattiche nei confronti degli adultTornata in California, conservai in me negli anni che seguirono – e durante i quali sperimentai il lavoro Montessori con i bambini dai tre ai dodici anni – l’impressione straordinaria di un progetto di scuola che avrebbe potuto corrispondere in pieno alle esigenze degli adolescenti e dar loro gioia, piacere di imparare, come avveniva per i piccoli nella Casa dei Bambini.


Alla fine riuscii a realizzarla: una vera farm-school, una scuola con fattoria annessa.


L’esperienza purtroppo si è conclusa una decina d’anni dopo, sia per una serie di fastidiose questioni con la proprietaria del ranch da noi affittato, sia per difficoltà economiche, dovute anche allo scarso sostegno delle altre scuole Montessori della zona, piuttosto numerose, che nel timore di perdere i loro allievi più piccoli, non incoraggiavano i genitori a condurre da noi gli adolescenti.


Sono comunque sempre grata a Eleonora perché è grazie a lei che ho realizzato un’impresa così entusiasmante e ho sperimentato tutto questo.

Un progetto per gli Erdkinder, i figli della Terra

Secondo Maria Montessori i ragazzi tra i dodici e i diciotto anni sono dominati da esigenze sociali ed etiche del tutto nuove.


Cercano di affermare la propria identità, ma al tempo stesso indagano disperatamente sul significato della vita e sono alla ricerca di nuovi modelli adulti, attendibili dal loro punto di vista.


Sono generosi, affamati di bellezza e di amicizia. Chiedono rispetto, dignità; aborriscono essere messi in ridicolo, umiliati o non essere presi sul serio.


Maria Montessori li paragonava ai paguri in cerca di guscio: vulnerabili dal punto di vista emotivo, come lo sono in altro modo i neonati. Per questa loro fragilità la loro curiosità intellettuale è messa in crisi: sono pieni di dubbi, di esitazioni, di emozioni violente e di insicurezze. Per loro lei raccomandava scuole in campagna, non isolate, situate presso una fattoria, ambiente ideale per stimolare la testa, il cuore e le mani e per sperimentare in modo diretto l’interdipendenza del vivere e le interrelazioni tra gli esseri umani come tra questi e l’ambiente.


Secondo tale progetto, nella fattoria gestita dagli stessi studenti con l’aiuto di adulti esperti, si sarebbero dovuti piantare ortaggi, alberi da frutta e allevare animali. Ogni prodotto della fattoria, dell’orto o del frutteto si sarebbe dovuto vendere in esterno.


Gli studenti, responsabili del guadagno ottenuto, lo avrebbero reinvestito nella fattoria, incrementando in modo diretto l’economia, il commercio, la gestione.


Nel progetto Maria Montessori includeva sia una bottega per la compravendita dei prodotti della fattoria o di manufatti artigianali fatti sul luogo, sia un piccolo alloggio per familiari, amici, insegnanti in visita, gestito anch’esso dagli studenti.


Le attività della fattoria dovevano procedere parallelamente e in stretto rapporto con un corso di studi preparatorio all’università, con enfasi sulle matematiche, le scienze e su prospettive storiche e transculturali.


Tutte queste attività avrebbero permesso ai ragazzi di sperimentare concretamente l’interdipendenza della nostra vita attuale, concetto già esplorato in modo diverso nella scuola elementare, a proposito della natura e della storia umana.


Secondo Montessori, l’integrazione tra sapere intellettuale e la grande varietà di esperienze offerte da un tale approccio globale – olistico, diremmo oggi – nei confronti dell’ambiente, era il mezzo migliore per promuovere la valorizzazione della personalità adolescente e lo sviluppo della stima di sé, basato sulla consapevolezza del proprio compito vitale da assolvere.

Il sogno comincia a realizzarsi

Da parte mia ero convinta che una tale scuola avrebbe realmente risolto i non pochi problemi degli adolescenti e delle scuole attuali. Per vari anni sognai di realizzarla. Con rammarico i ragazzini che avevano frequentato la scuola da noi, dovevano lasciarci per continuare gli studi in scuole di impostazione profondamente diversa.


Finalmente nel 1977 ebbi l’opportunità di affittare un ranch a Pilarcito Creek Road sulla Highway nella cittadina di Half Moon Bay. Mi feci coraggio: finalmente potevamo iniziare un Erdkinder.


Il luogo non poteva essere migliore: una vasta campagna, quieta ma non isolata, facente parte di un’area di preservazione ambientale della costa californiana; quindici ettari di morbide colline, di prati; una piccola fattoria, un maneggio; acqua in abbondanza. Lo chiamammo per questo “il ranch delle tre sorgenti”. Inoltre era a circa 20 km a sud di San Francisco: questo avrebbe significato frequenti e importanti contatti culturali di vario genere con la grande città.


Gli edifici, un po’ rovinati, richiedevano riparazioni: proprio il genere di lavoro pratico che, secondo Montessori, appassiona i ragazzi. Verificammo che era vero. I loro occhi si accesero quando videro gli utensili, le attrezzature e le vernici che avrebbero dovuto usare per riparare i locali in vista degli animali in arrivo. Bisognava anche preparare la zona-campeggio per la prossima estate.


Naturalmente vennero guidati da adulti esperti. In queste circostanze è quanto mai importante che il corpo insegnante sia composto da persone colte, affidabili, entusiaste, ricche di sense of humor, soprattutto aperte e oneste verso gli studenti, per saperli iniziare al vasto campo di conoscenze correlate con le attività della farm.


Tra gli adulti del ranch c’era Mouzart, un vero “umanista”. Insegnò loro come guidare un piccolo trattore. Quando cominciarono ad arrivare i primi animali da nutrire e da pulire a dovere, insegnò loro come tenere le stalle, strigliare i cavalli, mungere le capre.


Lentamente la fattoria prese forma. Acquistammo anche asini, pecore, tacchini, polli, fagiani, conigli e piccioni, senza contare gatti e cani. Piantammo alberi da frutta e organizzammo l’orto.


Un gruppo di studenti trovò una quarta sorgente e sviluppò un sistema completo di irrigazione. Fu un’esperienza concreta dalla quale impararono molto più che se avessero letto vari libri sull’argomento.


Ovviamente i ragazzi erano entusiasti di queste esperienze. Le loro energie erano arricchite dal sentimento di essere parte integrante di un processo creativo che in poche settimane sarebbe diventato la loro scuola. Constatavamo che il loro contributo era reale e autentico.


Alla fine fummo in grado di aprire i cancelli al campeggio estivo diurno che sarebbe durato due mesi. Era il luglio del ’77, con ventidue ragazzi dai sei ai quattordici anni che si gettarono nelle attività della fattoria come anatre nell’acqua.


Qui giocò un ruolo cruciale un altro adulto, Jean Sanders, abilissima in ogni attività manuale e artistica. Era chiamata dagli allievi “Mrs. Wolley” perché sapeva tutto sulla lana (wool), a partire dalla tosatura delle pecore. Insegnava come cardare, filare, tingere la lana con piante colte nei nostri boschi e infine come tesserla per farne cinture, sacche, bluse, scialli e fodere di cuscini. Non solo: sapeva indicare le piante selvatiche commestibili; suggeriva dove trovare la creta nei campi, come costruire il forno per la terracotta, come preparare candele o marmellate.


Via via i ragazzi impararono a fare il burro, lo yogurt e il formaggio. I prodotti animali e vegetali erano in parte usati nella fattoria e in parte venduti fuori, nella piccola città vicina, il che significava contatti con i possibili acquirenti, esperienze di compravendita, tenuta di libri contabili, corrispondenza e così via. Quando i ragazzi raccolsero circa 45 chili di more e ne fecero tanta marmellata da venderne, capirono in modo inequivocabile la differenza tra costi e guadagni.


In principio tutto il ricavato venne reinvestito in semi e in mangime; più tardi permise di destinare modeste somme di denaro agli studenti stessi. In tal modo il lavoro nella fattoria permetteva loro di verificare l’intero ciclo produttivo e la responsabilità nei confronti degli animali. Inoltre la fattoria funzionava come un ecosistema, per il quale i ragazzi studiavano migliorie come il riscaldamento solare per l’acqua, il progetto e la costruzione di conigliere o di serre, la preparazione di uno stagno per animali e piante d’acqua dolce e, non ultimo, lo smaltimento dei rifiuti.


La teoria di Maria Montessori funzionava dunque anche con i ragazzi grandi. La gioia e il gusto di questi gruppi di adolescenti – maschi e femmine – per il fatto di essere coinvolti in attività a contatto con la natura, costituirono una realtà trascinante anche per noi adulti.

E gli studi?

Nell’autunno del ’77 cominciammo il primo anno scolastico della Maria Montessori Farm-School Erdkinder. L’esperienza della scuola estiva ci aveva dato l’opportunità di sperimentare il ritmo della fattoria per adattarlo e integrarlo con le materie scolastiche.


Avevamo basato l’intero programma scolastico sulla teoria evolutiva: dall’ampia visione della formazione della Terra allo sviluppo della vita su di essa in tutte le forme viventi, lo studente poteva affrontare aspetti particolari che lo interessavano, sempre tenendo presente la relazione tra la parte e il tutto.


Attraverso esperimenti di fisica e di chimica, completati da grafici, lo studente raggiungeva un’approfondita conoscenza dei fenomeni relativi al sistema solare o a quelli terrestri, esaminato il ruolo dell’aria e dell’acqua sul nostro pianeta.


Quanto alla botanica e alla zoologia, erano basate sulla “striscia della vita” che illustra graficamente i passaggi evolutivi dalle prime forme vegetali e animali fino all’essere umano. I ragazzi potevano approfondire diversi settori e conoscere a fondo le classificazioni e il loro significato.


L’antropologia e le scienze sociali erano anch’esse legate al concetto evolutivo della storia delle civiltà, dall’uomo cacciatore e raccoglitore all’invenzione dei primi utensili e così via, scoprendo i vari problemi di sopravvivenza, che del resto i ragazzi sperimentavano in prima persona nelle vicende quotidiane della farm.


La costruzione di semplici arnesi, di telai, di strumenti musicali primitivi, del forno per la cottura dei cibi forniva loro le esperienze chiave, rispondenti a quei bisogni fondamentali della specie umana che nel tempo e presso i popoli più diversi hanno trovato altrettante risposte. Basti pensare all’evoluzione parallela di gruppi umani lontanissimi tra loro, che hanno saputo utilizzare le risorse ambientali sviluppando analoghi valori morali: è la storia dei popoli del mondo fino ai giorni nostri ed è una delle basi più importanti per l’educazione alla pace.


Di conseguenza il programma proponeva ricerche storiche su basi comparative, con approfondimenti di interesse personale.


Ovviamente lo studio della storia dei popoli da un lato e dei fondamentali bisogni della specie umana dall’altro conduce a indagini sui sistemi sociali e sull’economia, correlate alla conoscenza della geografia fisica e delle risorse naturali dell’ambiente.


La lotta per il potere, l’influenza delle religioni, delle ideologie politiche e della tecnologia diventano scoperte rilevanti per lo studente, se rinforzate dalla vita pratica in una piccola comunità e da incontri concreti con la più vasta collettività circostante. Ampio posto avevano poi l’approfondimento del linguaggio e della letteratura angloamericana, anche a confronto con altre lingue e lo studio delle matematiche, geometria e algebra in particolare. Infine le attività manuali, non intese come pura esercitazione, ma – avendo a disposizione una buona varietà di arnesi – strettamente connesse a quanto era oggetto di studio, come pure al piacere di costruire qualcosa per sé, per altri o per partecipare a un progetto collettivo. Era il settore guidato da “Mrs Wolley”.


Tra gli insegnanti presenti fin dagli inizi ricordo ancora Allan Saviskas e Maity Coleman, A. Takahashi per le arti marziali giapponesi, mentre Steve Robinson sovrintendeva ai lavori della fattoria.

Una giornata nella farm-school

Le attività scolastiche erano basate su un orario che prevedeva una diversa materia ogni giorno, criterio che favoriva la concentrazione e l’espansione della ricerca personale:

  • lunedì: scienze matematiche (aritmetica, geometria, algebra);
  • martedì: linguaggio e lingue (grammatica, analisi logica, studio di stili, confronti linguistici, studio di classici);
  • mercoledì: geografia e antropologia; geografia fisica, economica; scambi/ commercio; aspetti transculturali;
  • giovedì: visite, viaggi, e/o lavoro personale;
  • venerdì: fisica, scienze naturali, musica.

Gli studenti lavoravano a gruppi di dieci e si alternavano durante il giorno nelle tre aree-base di lavoro comune: attività manuali; lavoro in esterno (per gli animali e per le piante); attività strettamente scolastiche.


La rotazione avveniva ogni due settimane per dare continuità alle esperienze.


Le visite in esterno erano realizzate in base ai progetti di studio e spaziavano in ambienti diversi come: il teatro, il grande museo, manifestazioni e situazioni di interesse civile di cui la vicina San Francisco era molto ricca, come pure luoghi di interesse biologico e geografico.


Una giornata tipo si svolgeva come segue:

  • 9-9,30 pulizia e alimentazione degli animali;
  • 9,30-12 attività secondo la materia del giorno (che poteva svolgersi sia all’interno che all’esterno);
  • 12-13 pranzo;
  • 13,30-14,30 sport (incluse le arti marziali);
  • 14,30-15,30 riordino e pulizie, cui seguiva un tempo libero personale.

È da sottolineare che nella farm-school, dedicata alla scoperta dell’adolescente e quindi in continua ricerca, le classi erano aperte e informali, nel senso che i ragazzi non venivano obbligati a seguire le lezioni se non erano interessati. Potevano scegliere altre attività o materie, ma non era loro consentito di disturbare il lavoro di chicchessìa.


Poteva accadere che un docente avviasse un programma anche con un solo ragazzo, ma ben presto – se la proposta era significativa – si formava un gruppo appassionato, animato da profondo interesse.


È evidente che non tutti i lavori della fattoria o della scuola erano piacevoli. Alcuni erano anche faticosi, ma, gradevoli o no, andavano comunque svolti e con cura.


I ragazzi più maturi si rendevano conto di ciò che andavano imparando nella gestione diretta di ogni aspetto della vita collettiva. I meno maturi potevano a volte lamentarsi o cercare di venir meno ai propri impegni. Tuttavia la coerenza interna alla vita della farm-school, la solidarietà degli adulti e dei ragazzi li aiutava a sentirsi partecipi. Molto importanti erano comunque le discussioni settimanali – come le avevamo sperimentate da studenti, nel corso di Bergamo con Eleonora Honegger – e che qui usavamo per organizzare le rotazioni, per verificare il lavoro svolto e da svolgere.

Una continua ricerca

Nel corso degli anni il programma scolastico ebbe una sua evoluzione, via via che approfondivamo la comprensione dei bisogni di questa età. Per questo cambiammo e aggiustammo i programmi varie volte: un modo di procedere per prove ed errori cui gli studenti parteciparono attivamente.


Dovemmo anche cambiare il curriculum originario e il modo di valutare il passaggio alle classi più avanzate, pur restando fedeli al nostro principio di non umiliare i ragazzi con giudizi calati dall’alto. A chiederci questo furono gli studenti non provenienti da scuole Montessori (che fummo costretti a prendere numerosi per sopperire alle spese). Volevano sapere quale fosse la loro posizione scolastica; chiedevano di essere valutati. Un modo, per noi inusuale, di cercare sicurezza.


Dovemmo quindi assumere docenti esperti nelle più consuete materie scolastiche. Alcuni di loro, pur eccellenti, non sempre apprezzavano l’impostazione Montessori e l’esercizio della libertà. Abituati a lavorare in astratto, non erano interessati a collegare le proprie discipline con il lavoro nella farm o, più in generale, con la vita quotidiana.


Malgrado questi compromessi, i risultati continuarono ad essere eccellenti e i nostri ragazzi si diplomarono sempre con successo.


Prepararono splendide “strisce del tempo” sulle varie discipline; scrissero saggi, commedie e poemi; organizzarono discussioni, letture, spettacoli e mostre scientifiche. Coltivarono cereali di varie parti del mondo. Costruirono pollai in relazione a calcoli aritmetici e geometrici. Registrarono i prodotti della farm sui computer. Impararono la manutenzione e le riparazioni delle macchine agricole. Intrapresero viaggi in luoghi di interesse storico o scientifico.


Il tutto era creativo, affascinante e al tempo stesso assai formativo per tutti.


Dopo i primi due anni i genitori vollero affidarci i figli a tempo pieno per cinque giorni la settimana. Nella fattoria non c’erano stanze. Così affittammo una casa ad Half Moon Bay dove alloggiammo i ragazzi, con la supervisione di adulti qualificati che fungevano da genitori.


L’organizzazione però era sotto la responsabilità diretta degli studenti che stabilivano la quota per l’alloggio, provvedendo a tutto – acquistare i prodotti al mercato, cucinare, fare le pulizie, in aggiunta alle incombenze già descritte – e accettando eventualmente ospiti in visita alla farm, ovviamente paganti.


Fu un’esperienza concreta di previsioni e di economia domestica delle più formative. Questa soluzione residenziale offrì anche altri vantaggi: i ragazzi cominciarono a partecipare alla vita della comunità di Half Moon Bay in ogni suo settore, esperienza rara per adolescenti provenienti dalla grande, anonima città.


Cominciarono a sentirsi parte di una collettività più ampia, della quale tuttavia riuscivano a cogliere e a padroneggiare tutti gli aspetti. Dopo sette anni eravamo riusciti a stabilire un buon equilibrio tra lavoro e studio.


Avevamo capito che l’idea di Maria Montessori circa l’Erdkinder può essere realizzata con successo soprattutto se gli adulti sono in sintonia tra loro e con l’ambiente, se sono aperti e sicuri, disposti a condividere, a partecipare, a mescolarsi ai ragazzi, permettendo loro di conoscere i grandi come sono, senza artifici.


Questo, combinato con le molte imprevedibili sfide che un ambiente come una fattoria offre e con lo stimolo intellettuale dato dai vari temi di studio, induceva i ragazzi a considerare con serietà se stessi e gli altri e a sentirsi incoraggiati a entrare nella vita adulta.


Solo esperienze reali, attive, concrete danno all’adolescente un genuino rispetto di sé e del proprio valore. Egli si sente arricchito dalla coerenza tra agire e pensare, più che da apprendimenti libreschi e quindi affronta il futuro responsabilmente, sentendo di poter dare un contributo personale alla comunità.

Libertà dentro una struttura

Una parola infine va detta circa il clima di libertà che ha segnato questa esperienza, secondo la ben nota filosofia montessoriana. In generale le scuole per adolescenti si caratterizzano per un’atmosfera di passività, di restrizioni e di obbedienze gratuite. D’altra parte una permissività incontrollata sarebbe ugualmente distruttiva, un nuovo tradimento verso i ragazzi che cercano sicurezze insieme all’ascolto e al rispetto.


La funzione della scuola secondaria dovrebbe essere quella di aiutare l’adolescente nel passaggio realistico all’età adulta con ciò che essa comporta: la libertà delle scelte entro i limiti reali e molto concreti posti da difficoltà economiche, esigenze emotive, religiose, psicologiche, situazioni politiche …


La scuola deve essere una palestra in tal senso, ma non può realizzarsi se si limita a offrire esperienze libresche, lontane dalla vita reale dei ragazzi.

Montessori: perché no?
Montessori: perché no?
Grazia Honegger Fresco
Una pedagogia per la crescita.Che cosa ne è oggi della proposta di Maria Montessori in Italia e nel mondo? Un testo fondamentale, corretto, ampliato e riproposto a distanza di anni, per chiunque si interessi alla vita e alle opere di Maria Montessori. Montessori: perché no? è un testo fondamentale per chiunque si interessi alla vita e alle opere della celebre pedagogista. Sull’onda del recente rinnovato interesse per la figura e il pensiero di Maria Montessori, il testo, già edito da Franco Angeli in 7 edizioni ed esaurito da anni, è stato curato da Grazia Honegger Fresco, corretto e ampliato con uno scritto della stessa Montessori relativo all’Educazione Cosmica e uno sull’apprendimento della nostra lingua per adulti migranti. Il bambino che ha sentito fortemente l’amore all’ambiente e agli esseri viventi, che ha trovato gioia ed entusiasmo nel lavoro, ci fa sperare che l’umanità possa svilupparsi in un senso nuovo. La nostra speranza per la pace futura non risiede negli insegnamenti che l’adulto può dare al bambino, ma nello sviluppo normale dell’uomo nuovo.Maria Montessori Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.