Sporco e pulito dal punto di vista del bambino e dell’adulto
“Attento a non sporcarti!” dicono gli adulti. L’educazione al vasino e alla pulizia sono un terreno fertile di nuove regole, di nuove imposizioni e per questo un campo aperto a continue trasgressioni, come se tutto ciò che sporca o imbratta attirasse il piccolo come una calamita. In realtà per il bambino lo sporco, prima di diventare un divieto, è un piacere, un aspetto che si dimentica completamente da adulti, tanto forte è stata la proibizione nell’ambito familiare e culturale: il ribrezzo per gli escrementi non è affatto un sentimento innato, ma il bambino inizia a manifestarlo verso i due anni di età per via delle pressioni culturali. Per un bambino di quell’età giocare e sporcarsi sono la stessa cosa: la terra esercita su di lui un’attrazione irresistibile, vorrebbe manipolare la sabbia e l’acqua per poter scoprire e conoscere questi elementi naturali; se lo si lasciasse fare, spinto da un’insaziabile curiosità, giocherebbe anche con la sua cacca, ma i genitori mettono subito un veto a questo tipo di manifestazioni.
Il modo in cui noi stessi trattiamo le feci è assai ambiguo e contraddittorio, e lo sono anche i messaggi che trasmettiamo al bambino; se le tocca, ci gioca, o le esibisce nei momenti meno opportuni, sono qualcosa di cattivo, di sporco. E il divieto che gli imponiamo non è solo di carattere igienico, ma contiene già un profondo significato morale. Tuttavia, se da un lato priviamo le feci di qualsiasi accezione positiva, dall’altro esortiamo con insistenza il bambino a produrle; e questo perché dal punto di vista fisiologico la regolarità delle feci, la loro consistenza e il loro colore sono un segnale di salute e acquistano un valore importante. Quindi da una parte le feci generano ribrezzo negli adulti poiché vengono trattate come qualcosa di sporco (e questo il bambino lo percepisce anche dal tatto dell’adulto che lo cambia e lo lava per ripulirlo), dall’altro vengono intese come un dono che il bambino fa all’adulto, in quanto riflettono il suo stato di salute e il fatto di essere stato bravo o meno a farle nel posto giusto. Inoltre i bambini provano un senso di possesso per ciò che esce dal loro corpo, mentre gli adulti ne provano disgusto1. Si tratta di un oggetto contraddittorio in quanto nelle stesso tempo appare buono e cattivo, adeguato e inadeguato, degno di attenzione e di interesse e ripugnante: per un verso qualcosa da donare, da esibire e da ammirare e dall’altro un corpo da non toccare, da respingere da sé, da nascondere. È inevitabile quindi che il piacere che il bambino provava all’inizio nell’espellere le feci, in seguito non sia più così spontaneo e naturale, ma si connoti di negatività (è sporco, puzza e così via). A questo punto può capitare che il piccolo non riesca più a capire che cosa si voglia da lui, e questo può interferire con il ritmo spontaneo, fisiologico dell’impulso sfinterico, rischiando di alterarne la regolarità.
Per queste ragioni nell’educazione al controllo sfinterico è richiesta una buona dose di tatto, molta dolcezza e sensibilità, in modo da intuire il ritmo fisiologico del bambino e metterlo sul vasino quando prova lo stimolo, senza anticipare, né posticipare troppo questo momento. Non occorre insistere o rimproverarlo in caso di stitichezza, obbligandolo a stare sul vasino, e neppure sgridarlo e farlo sentire in colpa in caso di incontinenza2.