CAPITOLO IV

All'ombra della pappa

Paese che vai, svezzamento che trovi

Così si potrebbe dire parafrasando un vecchio proverbio: il miglio in Senegal (e nel centro Europa di un paio di secoli fa, come racconta la favola dei fratelli Grimm), l’avena in Brasile o in Irlanda, il riso in Cina come pure in Ecuador, in Sri Lanka o in Senegal, le patate in Perù, il couscous nel Maghreb e in alcune zone del sud Italia, il pane vecchio, più digeribile di quello fresco, in alcune zone dell’Albania come dell’Italia contadina di pochi decenni fa. Questa varietà ci parla dello svezzamento come di una normale fase della vita, dalla durata decisamente variabile e che ogni cultura ha risolto con i prodotti a propria disposizione. Al contrario, è tipico delle aree industrializzate, non necessariamente ricche, un approccio sanitario caratterizzato dal “ricorso a tabelle nutritive di non facile gestione”1. Se a questo aggiungiamo la magmatica informazione e l’attenzione quasi patologica che riserviamo al cibo e al nostro apparato digerente (basti per tutto pensare a quante pubblicità sono dedicate a cibi presentati come regolatori dell’attività intestinale), ecco che lo svezzamento inizia a configurarsi come un cammino irto di difficoltà e di tensioni, costeggiato da pericoli e offuscato dalla patologia.


La prima cosa che occorre quindi fare è sdrammatizzare, sbrogliare la matassa dell’inutile e apprestarsi a preparare qualche semplice pappa con il sorriso sulle labbra. Perché alla fine, pur senza negare la rivoluzione relazionale che lo svezzamento comporta né sottovalutando l’importanza della qualità del cibo di cui abbiamo parlato nel capitolo “Mangiare sano, mangiare tutti”, di questo si tratta: un cucchiaio, un poco di pappa, tanto buon umore.

La cosa più importante che si impara ascoltando voci di donne provenienti da regioni del mondo più povere della nostra, è che lo svezzamento, per lo meno nella forma in cui ormai lo intendiamo di solito, non esiste. Molto semplicemente, dopo un po’ di mela grattugiata con il cucchiaino o qualche verdura bollita (carote, zucca, patata) e ben schiacciata con la forchetta, i bambini iniziano ad assaggiare il piatto base dell’alimentazione famigliare: una pallina di riso, un boccone di polenta bianca, un po’ di couscous, un cucchiaio di crema di avena, pane bagnato nel latte o nel brodo2. Certo, perché questo sia possibile occorre che l’alimentazione di tutta la famiglia sia sana, cioè sostanzialmente povera, semplice. Come in Togo, dove, secondo quando racconta Desirée Amavi, i bambini mangiano presto quello che mangiano gli adulti: “Si inizia con piccoli assaggi, soprattutto di farina di mais bianco, uno dei cereali più diffusi e che maciniamo più finemente di quanto usiate in Italia. Questo è certamente il primo cibo della tavola dei grandi che il bambino incontra. Più avanti si immerge questo bocconcino di polenta in un sugo di verdura tolto dal fuoco prima di aggiungere gli usuali condimenti dei genitori: zenzero, peperoncino, sale e pepe”.


Nessun alimento speciale, quindi: le farine precotte, i formaggini, gli omogeneizzati (termine che entra nel nostro Zingarelli solo nel 1970), le creme arricchite di vitamine, i liofilizzati e i biscotti speciali, sono scoperta e commercio dei paesi industrializzati e di un’idea dell’infanzia, che oggi si prolunga oltre i due, tre anni, sviluppatasi insieme al boom economico, il cui primo obiettivo non è mai stato il benessere del bambino, ma quello delle aziende produttrici (di latte, di omogeneizzati, di giocattoli di plastica, di merendine…). Per rendersene conto basta sfogliare una rivista femminile dell’epoca: mamme con la messa in piega appena fatta e il candido grembiulino orlato di pizzo, infilano cucchiaini di pappa nella bocca di bambini rigorosamente biondi, rigorosamente con gli occhi azzurri, rigorosamente felici. Sono gli anni dell’estratto di carne, delle prime cucine componibili in fòrmica, dei detersivi in massa, dei seggioloni (parola nata alla fine dell’ottocento, insieme all’idea borghese dell’infanzia) in plastica lavabile. Ma chiunque abbia avuto bambini, sa che questo mondo è incompatibile con una crescita sana e libera: il glutammato, come per altro la fòrmica, fa male alla salute; i detersivi sono veleni che vanno usati con molta cautela e messi sotto chiave, soprattutto quando ci sono piccini in giro; e in quanto alla plastica, non ha prodotto l’unico esito sperabile, e cioè quello di consentire ai piccoli di toccare la pappa, di sporcare e sporcarsi.

Contrariamente a quanto suggeriva la pubblicità, mangiare a sei, otto mesi, è infatti un’esperienza che coinvolge l’intero corpo: i bambini infilano le mani nel piatto, afferrano, portano alla bocca (e occorre tempo perché la centrino), gettano, scagliano, leccano, imbrattano. Per dirla in breve: scoprono il mondo. Se per noi è certo difficile sapere quali siano le sensazioni che un cucchiaio o un cubo di legno provocano a contatto delle gengive di una piccina di cinque, sei mesi, non possiamo avere dubbi sul fatto che, dopo il seno, la conoscenza della realtà passi soprattutto attraverso la bocca, un vero e proprio organo esplorativo. Saperlo aiuta a ridurre i “no, è sporco, toglilo dalla bocca” che costeggiano la primissima infanzia inondandola di inutili conflitti e inutili ansie.


Da qualche decennio si tende a credere che anche lo svezzamento debba avvenire secondo tabelle prestabilite e tenendo l’occhio aperto sostanzialmente sul corpo – le solite regole, il solito sguardo dietetico. Eppure, come tutto ciò che riguarda la vita, anche questa fase di passaggio della vita del bambino e dei suoi genitori mette in gioco culture e individualità differenti: il bambino innanzitutto, ma anche la madre e il padre o, a seconda delle situazioni, i nonni o gli operatori del nido. Pensiamo al significato che può avere per un genitore offrire al bambino una pappa in sintonia con la propria storia, ma anche ai sentimenti coinvolti: le emozioni contrastanti che provano madre e bambino nel momento del reciproco distacco; il maggiore coinvolgimento di altre figure nella vita del bambino, figure non sempre bene accette, magari anche alla madre. O, ancora, il piacere/dispiacere che si prova a seconda dell’accoglienza che il bambino riserva alle nostre proposte alimentari, e che metteranno a dura prova la percezione di noi stessi quali genitori.


In Senegal, ci racconta Yacine Sall, a stabilire l’inizio dello svezzamento sono tutte le donne del clan familiare, talvolta anche il padre: “Per noi il contatto corporale è molto importante e con lo svezzamento questo tende a diminuire, soprattutto se coincide con una nuova gravidanza. Quando la donna smette definitivamente di allattare, il bambino non dorme più con lei ma sulla sua stuoia, e durante il giorno viene spinto verso il resto della comunità. Ecco perché si discute con le altre donne della casa: saranno loro, infatti, a doverlo consolare e a coccolare nei momenti di inevitabile tristezza”. La delicatezza del passaggio viene sottolineata da un amuleto che il marabutto (figura di prestigio religioso) prepara per l’occasione: “Si tratta di un semplice pezzo di carta su cui sono scritti versetti del Corano, richiuso più volte su se stesso. A volte viene avvolto in una piccola pelle di animale, altre semplicemente legato con un nastro, come fosse un minuscolo pacchetto che il bambino porta con sé (al polso, all’avambraccio, alla cintura)”.


Lo svezzamento è quindi un lungo periodo di transizione, di passaggio, durante il quale seno e pappa convivono. Questa è infatti la seconda importante cosa che si apprende parlando con donne provenienti da differenti aree geografiche e culturali. A fronte di una precoce introduzione di cibi solidi (a volte anche a tre, quattro mesi), le donne continuano ad allattare molto a lungo, anche oltre i 24 mesi: è il caso dello Sri lanka, dove secondo Citra e Sumetra si allatta fino a tre, quattro anni, ma anche del Senegal, del Togo, della Thailandia e del Bangladesh, il paese di origine di Anima, che ha allattato i suoi figli fino a cinque anni.


In questo periodo di convivenza fra seno e pappa, si mette in moto un duplice processo: da una parte la separazione fra madre e bambino, che si svolge senza intoppi quanto più madre e figlio hanno potuto vivere appieno il reciproco innamoramento; dall’altra il maggiore inserimento del bambino nella comunità familiare e sociale e il conseguente inizio della scoperta del mondo, una scoperta che ha bisogno di tempo, di pappe e di cucchiaini, ma anche di sguardi, parole e gesti affettuosi che lentamente vadano a sostituire lo stretto contatto che lega la mamma al suo bambino attraverso il seno. Lo svezzamento, quindi, è un’importante trasformazione relazionale che coinvolge il bambino, la madre e il resto della famiglia, come sottolinea l’etnopediatra Elena Balsamo, da anni attenta agli aspetti culturali della nascita, dell’accudimento e della cura: “La parola italiana, letteralmente: togliere il vizio del seno, non rende ragione di questa che è un’esperienza di separazione. Dopo la fase dell’attaccamento, in un modo o nell’altro avviene il momento del distacco, la fase in cui, dopo aver a lungo vissuto in simbiosi con la madre, il bambino deve separarsi da lei. Non è un’operazione facile: a volte non è pronto il bambino, a volte non è pronta la mamma, e credo abbia ragione Claudia Rainville quando dice che lo svezzamento non possa avvenire finché non c’è stato soddisfacimento del bisogno”.

Quando iniziare?

La ruota del mulino
Che gira pian pianino
Che macina la farina
Per far la polentina
La polentina è presto cotta
La mangia con la ricotta
La mangia con l’ovino
La figlia del Peppino
(filastrocca veneta)


Giulia è una bambina molto allegra, dallo sguardo vivace. Sorride pressoché a tutti, anche se ha preferenze spiccate: il papà, la nonna. Allattata al seno solo per poche settimane, ha dovuto accontentarsi di una tettarella di gomma. Dopo un paio di mesi di latte artificiale, la mamma ha deciso di prepararle un latte casalingo a base di yogurt fatto in casa e acqua di cottura di riso biologico. Il suo svezzamento inizia per caso, in una bella giornata di prima estate. Giulia è in braccio al papà, passeggiano insieme in giardino. La mamma, appoggiata al muro di casa, mangia una pesca. Passandole accanto, Giulia allunga la mano e afferratole il braccio porta la pesca alla bocca e la succhia golosa, contenta.


Marouan, sei mesi e qualche giorno, da qualche tempo trascorre il pranzo in braccio al papà, che riesce a vederlo solo nella pausa del mezzogiorno. Gioca con un piccolo cucchiaio mentre il papà mangia. È proprio lui ad offrirgli per la prima volta un assaggio di verdura: un pezzetto di carota cotta, morbida. Marouan non ha fame, ha già avuto il suo ricco pasto al seno, verso le undici, ma muove la bocca concentratissimo, come volesse capire da dove viene quel nuovo sapore dolce. Poi guarda suo padre negli occhi e si lancia in un grido di contentezza che fa ridere anche la mamma e la nonna, sedute dall’altra parte del tavolo.


Questi due esempi ci dicono quanto sia importante iniziare lo svezzamento al momento giusto, quando il bambino è pronto e accetta o cerca la novità di buon grado. Se, come abbiamo visto, svezzamento significa separazione dalla madre e scoperta del mondo, è essenziale che provi interesse per ciò che gli sta intorno e che sia pronto a distaccarsi dalla mamma, che provi piacere a muovere la bocca, a masticare. In caso contrario, inutile forzarlo. Meglio aspettare e riprovare in altro momento. I conflitti attorno al piatto, così difficili da risolvere e così tristi da vivere e da vedere, nascono spesso da imposizioni precoci, da atteggiamenti inutilmente rigidi. Il pediatra Roberto Giorgetti, per anni primario nel reparto di pediatria di Tradate (Varese), già venti anni fa consigliava ai genitori, per risparmiare difficoltà in seguito, di fare in modo che il passaggio dal seno all’alimentazione solida avvenisse in condizioni favorevoli, lontano da tensioni e variazioni. Perfino climatiche:l’eccessivo caldo, ci ricorda Lina, provoca sete e finisce che il bambino piange non tanto perché gli manca il seno ma perché ha bisogno di bere; il troppo freddo non va bene lo stesso, avverte Lyudmilla, perché il corpo della mamma ha anche la funzione di scaldare e quando il bambino è vicino alla mamma, non attaccarsi al seno è davvero difficile.


Nelle culture tradizionali, a fronte di un allattamento prolungato nel tempo (come abbiamo visto anche oltre i due anni), i primi assaggi sono piuttosto precoci (quattro, cinque mesi massimo). Più che a far crescere il bambino in fretta, però, essi servono ad alleviare la fatica della madre, dedita ad altri figli, alla casa, al lavoro. Oggi, dopo anni di forzature all’insegna della precocità, grazie al lavoro pionieristico di ostetriche e pediatri attenti al bambino e alle indicazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, difficilmente si consiglia di iniziare lo svezzamento prima dei sei mesi, epoca in cui cominciano ad essere presenti nello stomaco del bambino gli enzimi necessari alla digestione di altri alimenti oltre il latte materno. Ma al di là dell’età, di cui bisogna tenere conto a livello indicativo, esistono segnali che ci aiutano a comprendere il livello di maturazione del nostro bambino: l’inizio della dentizione (i primi denti da latte spuntano fra il 6° e il 10° mese); la capacità di stare seduti, cioè di tenere il tronco eretto; la capacità di tenere la testa dritta; l’interesse per il mondo circostante.

Quindi, ci può aiutare a decidere se è arrivato il momento della prima pappa, solo una accurata


  • osservazione

È davvero pronto? Mostra interesse per il mondo? Come si comporta quando offrite il cucchiaino? È curioso verso le novità? Ha sempre la bocca “tappata” dal ciuccio o può portare altro alla bocca? Anche a svezzamento iniziato, non bisogna dimenticare che solo continuando ad osservare le reazioni di nostro figlio, sapremo come comportarci.


  • gradualità

I proverbi ce l’hanno a morte con la fretta. Anche i bambini. È importante non sostituire più di un pasto alla settimana e introdurre un alimento nuovo alla volta, ricordandosi che nessun alimento è insostituibile e finché il bambino continua ad avere qualche poppata al seno, buona parte dei nutrienti fondamentali gli vengono ancora dal latte materno. La gradualità aiuta anche a tenere sotto controllo eventuali intolleranze o allergie.


  • pazienza

Provare e riprovare, con calma, osservando le reazioni del vostro bambino, assecondandole: non forzare il bambino è arte che s’impara. Cosa ci può sostenere? Ricordare che tutti mangiano e tutti, prima o poi, abbandonano il seno. È solo questione di tempi individuali. All’inizio i rifiuti possono essere dettati dal bisogno di ritrovare il seno; una volta compreso che non mancherà, non pochi bambini si dedicano alle pappe con grande entusiasmo.


  • intimità

È bene evitare che l’inizio dello svezzamento diventi un “caso” con parenti a raccolta. I bambini avvertono le tensioni, i cambiamenti, e apprezzano poco entrambi.

  • abitudini, fantasia

Da piccini si è decisamente abitudinari, anche rispetto all’orario o al luogo dove si mangia. Talvolta perfino al piatto, del quale si riconosce il colore, il disegno. Se una pappa piace, non è quindi il caso di sostituirla subito con una nuova. Piuttosto, sempre con gradualità, si può provare ad affiancarla con piccoli assaggi di altri alimenti3.


Queste indicazioni non fanno altro che avvicinarci a quanto suggerito dall’etnopediatra Elena Balsamo e che ha trovato conferma nei racconti di quasi tutte le donne: lo svezzamento a richiesta. La parola può sembrare foriera di guai e capricci – questa è la nostra mentalità nei confronti dei bambini. Ma di fatto si tratta solo di avere fiducia nella capacità del bambino di autoregolarsi: accostarsi al cibo quando di seno ne ha avuto abbastanza; mangiare quando ha fame; chiudere la bocca quando è sazio. È quanto ci insegna anche l’esperienza di Sumetra e Citra, due signore di circa cinquant’anni che sperano un giorno di poter tornare a Colombo, loro città natale, per aprire un piccolo chiosco sulla strada che porta al mare. A proposito dello svezzamento, ci hanno raccontato che in Sri Lanka, dove buona parte della popolazione è buddista, è uso lasciare che sia il bambino a scegliere con quale alimento iniziare a mangiare: “Intorno ai sei mesi gli diamo una prima pappa di riso molto cotto, schiacciato nella sua acqua. Di solito preferiamo il riso rosso, che ha un grano lungo, morbido. Ma prima di introdurre altri alimenti, imbandiamo la tavola con alcuni del nostri cibi, come pesce, papaya, mango, banane, cocco, e aspettiamo di scoprire quale il bambino sceglierà posandovi la mano sopra. Con quello, iniziamo”4.

La prima pappa

La maggioranza delle donne con cui ho parlato ha scelto di iniziare lo svezzamento a mezzogiorno. Altre dal pasto del pomeriggio, la cosiddetta merenda, forse perché quello che influisce di più sul buon sonno della notte. Tutte, invece, asseriscono che l’ultimo pasto da cambiare è quello serale, vuoi per la vicinanza della notte, vuoi per la stanchezza, che rende irritabile il bambino e nervosa la madre. Del resto la poppata notturna perdura a lungo, spesso ben oltre la durata dello stesso svezzamento. Più che nutrire, consola e rende meno difficile il passaggio dalla veglia al sonno, dalla luce del giorno al buio della notte.


Il primo assaggio è spesso casuale: un poco di mela (il frutto cambia a seconda della stagione) grattugiata direttamente dal frutto con il taglio del cucchiaino, uso che si ritrova in famiglie cinesi e ucraine, albanesi e anche egiziane; un boccone di verdura cotta (la carota di Marouan, per esempio). A questo assaggio seguono, a seconda della cultura e della stagione, una pappa dolce o salata. Usi che ci dicono quanto sia importante tenere presente i gusti del bambino, quando ci decidiamo ad offrirgli la prima pappa. C’è infatti chi la preferisce dolce, cioè a base di frutta, e chi invece salata, sempre che così si possano definire la zucca o la carota, gli ortaggi che solitamente vengono usati i primi tempi. Alla frutta e alla verdura si aggiunge un cereale senza glutine (miglio, riso, mais) o uno sfarinato ottenuto da tuberi come la patata (in Italia poco consigliata) o altre piante, come la tapioca, la quinoa, l’amaranto, il grano saraceno. Il cereale va comunque cotto (attenzione alle farine precotte arricchite di vitamine: optate per prodotti di qualità certa, anche se cari) o tostato, processo che, trasformando l’amido (maltizzazione), lo rende più adatto all’intestino del bambino, come del resto sapevano le nostre nonne.

Farine bruscate5

Vi occorrono farine integrali di almeno 3 cereali diversi.


Metto le farine in una padella fino a riempirla a metà; su fuoco medio le faccio rosolare, mescolando con un cucchiaio di legno finché non si scurisca senza bruciarsi. Quando è pronta, in casa aleggia un odore di noccioline tostate. La conservo in barattoli di vetro per non più di una settimana, usandola per le diverse preparazioni.

I latticini, oggi sempre offerti con cautela per la paura che si scatenino intolleranze, possono essere sostituiti da prodotti derivati dal latte di capra o pecora, solitamente più digeribili, dallo yogurt, che, seppur fatto con latte di mucca, è fermentato, cioè, in certo senso, predigerito. Ottimo anche il latte di mandorle.


Le pappe cuociono in un normale pentolino di acciaio o vetro (scartate l’alluminio e le pentole antiaderenti). Poi si schiaccia il tutto con una forchetta o con il passaverdura, onde evitare di inserire aria nella pappa, cosa che accade con il frullatore. Per offrirle al bambino, è bene avere due piatti: in uno, vicino a noi, si tiene la pappa tiepida, magari con il vecchio sistema a bagno maria che consiste nel mettere il pentolino della pappa in uno più fondo, dove c’è acqua bollente; nell’altro si mettono pochi cucchiai di pappa per volta, e si lascia che il bambino possa infilarvi le mani o un cucchiaino a sua disposizione. È importante che possa conoscere il cucchiaino, provare a prendere la pappa mentre viene imboccato.


Attenzione alla temperatura: se una pappa fredda può risultare poco gradevole, soprattutto in inverno, una scottatura lascerebbe il segno di una brutta esperienza. Ovviamente, è bene che i bambini siano coperti con un tovagliolo ampio, soprattutto quando, a svezzamento avanzato, ameranno partecipare prendendo la pappa da soli, e non solo con il cucchiaino.


Pappa di Anima

Si cuoce un cucchiaio di riso e un pezzetto di zucca in poca acqua. Non si deve scolare, ma verdura e riso devono essere quasi sfatti. Poi si schiaccia tutto con la forchetta e si lascia intiepidire.

Il brodo vegetale è un classico nello svezzamento. Sebbene lo si possa preparare con quasi tutte le verdure (tranne quelle appartenenti alla famiglia dei cavoli e delle cipolle, per i noti effetti sull’intestino), solitamente si preferiscono verdure zuccherine come la zucca, la carota o la patata.


Pappa di Lina

La prima pappa l’ho preparata con una carota, una piccola patata, qualche pisello. Ho schiacciato tutto, lasciando un poco di brodo perché non fosse troppo densa.

Anche Janraen ha svezzato i suoi quattro figli con pappe molto simili a quelle in uso in Italia, cuocendo a lungo un poco di riso in un brodo. A questa prima pappa ha poi aggiunto poco pesce stracotto. In Italia è uso arricchire la prima pappa con un cucchiaio di olio extra vergine di oliva e, a distanza di una settimana, una spolverata di parmigiano. In Cina, secondo l’esperienza di Viola e Huijuan, il primo sapore che i piccini cinesi sentono è quello del riso molto cotto (a volte si dà anche l’acqua nel biberon, per aiutare la madre che allatta), a cui, verso i cinque, sei mesi, si aggiunge il tuorlo dell’uovo, sbattuto con poca acqua e cotto a vapore con una cucchiaiata di olio di sesamo. Un uso di cui mi ha parlato anche Violeta.


Pappa dei sei mesi di Violeta

È una pappa nutriente preparata con una patata, ben cotta e schiacciata, a cui si aggiunge il tuorlo di un uovo freschissimo. Più avanti la condiamo con un formaggio simile al vostro quartirolo.

Una valida alternativa alla proteine di origine animale è rappresentata dai legumi che, secondo il parere del pediatra Luciano Proietti6, possono essere dati a partire dal settimo mese, nella misura di uno, due cucchiaini per pasto. I legumi sono ricchi di proteine vegetali adatte all’intestino del bambino.


Sempre a partire dal settimo mese, le pappe possono essere insaporite da spolverate di semi di sesamo tritati o gomasio.


Pappa di Valentina

È una pappa povera, come tutte le pappe di quando ero bambina: un semplice brodo vegetale a cui si aggiunge l’acqua di cottura dei fagioli e un paio di cucchiai di farina. Oggi usiamo il riso, ma anni fa credo fosse frumento.

La frutta è invece l’ingrediente principale di molte pappe dolci, le preferite in paesi freddi come l’Albania, la Romania e l’Ucraina.


Pappa di Lyudmylla

Mescolare nel piatto un po’ di ricotta [di pecora] e frutta grattugiata. Ci piace molto la banana, ma più facilmente troviamo la mela o la pera. Quando troppo densa, aggiungiamo un poco di latte.

A seconda dell’età del bambino, le pappe vengono addolcite con poco zucchero o con miele (non sempre tollerato dai piccini).


Pappa di Albina

Ai miei figli, che oggi hanno 11 e 14 anni e mi aspettano in Ucraina, quando avevano sei mesi ho dato una pappa di grano saraceno cotto nel latte e addolcito con poco zucchero. A volte, invece del grano saraceno usavo la farina di orzo.

Pappa di Antonia

Cuocere due, tre cucchiai di semola in 200 cc di acqua [o latte, quando il bambino lo tollera] fino ad ottenere una crema morbida, non troppo densa. Aggiungere poi, quando tiepida, un cucchiaino di miele o di zucchero.

Si può dolcificare anche con i malti (da usarsi però dopo l’anno) e con la frutta stessa che, una volta cotta, diviene più dolce. In estate, una pappa fresca e generalmente gradita, si prepara con una farina di orzo precotta (ottime quelle provenienti da coltivazioni biodinamiche).


Crema di frutta e orzo

1 frutto di stagione (pera, mela o, in estate, albicocche spellate)


1 tazzina da caffè di yogurt, 2 cucchiai di orzo cotto (in alternativa: miglio, mais, riso) o farina di cereale precotta.


Grattugiare finemente il frutto (se mela o pera ne basta la metà). Aggiungere lo yogurt e il cereale ben schiacciato con la forchetta. Grazie al malto, di cui è ricco, l’orzo ha un sapore che piace molto ai bambini.

Frutta, yogurt e un cereale sono gli ingredienti basilari anche delle prime pappe di molte donne del Maghreb, dove il sapore dolce sembra essere considerato particolarmente adatto alla primissima infanzia. Sadia ha rispettato la legge coranica e ha allattato per due anni interi tutti e tre i figli, ma abbastanza presto ha dato loro questa pappa:


Pappa di Sadia

Mescolare con cura 50 g di formaggio morbido e dolce, come la ricotta di pecora. A questa prima pappa, più avanti aggiungo della farina di riso cotta a parte.

La pappa dolce è apprezzata anche in Ecuador dove, racconta Rosario Mercedes, “prepariamo una farina con il platano, un frutto simile alla banana, molto ricco dal punto di vista nutritivo. Lo mettiamo a seccare al sole e poi li trituriamo finemente. Con questa farina cotta nel latte si prepara una pappa che arricchiamo con poco zucchero e un pizzico di cannella”. C’è anche chi lo cucina con tutta la buccia e chi lo arricchisce con farina di mais cotta, e chi gli preferisce il camote (patata dolce):


Pappa di Maria Magdalena

In Honduras cuociamo il camote nel latte finché si disfa. Schiacciamo poi la polpa ancora soda con la forchetta, fino ad ottenere una pappa molto morbida. I bambini l’apprezzano molto. A piacere, dopo qualche settimana si può spolverare con un pizzico di cannella o arricchire con frutta fresca, come mela o pera grattugiate finemente.

Nel nord del Brasile, ai confini con l’Amazzonia, la pappa più usata è invece quella di banana comprida:


Migau di Ednelza

Lavare la banana comprida, tagliarla a tocchetti e metterla a bollire per 10 minuti. Pelarla, schiacciarla e aggiungere poco latte. Si magia tiepida o anche fredda. Se si usa la banana normale, il frutto va sbollentato senza la buccia.

In Senegal, come abbiamo visto trionfa il miglio, cereale che dovremmo riscoprire perché vero e proprio toccasana per l’apparato scheletrico grazie all’elevato contenuto minerale di silicio. Oggi in molti lo considerano cibo da uccelli, ma come racconta la fiaba dei Grimm posta all’inizio di questo capitolo, era usato nell’Europa centrale. In occasione della presentazione del bambino alla comunità, al settimo giorno, i senegalesi di religione musulmana sono soliti fare una festa durante la quale i grandi mangiano il lakh, una pappa non molto diversa da quella che mangia il bambino all’inizio dello svezzamento.


Lakh di Yacine

In Senegal abbiamo una farina di miglio, qui difficile da trovare, che lavoriamo fino a ottenere dei granellini finissimi. In ogni caso, si può tritare il miglio e cuocere la farina che si ottiene con acqua, ottenendo una consistenza simile alla polenta. Si condisce con yogurt e un frutto grattugiato.

Diverso il caso del Cile dove, racconta Karina, alla frutta si aggiunge l’avena, in assoluto il cereale più apprezzato. Ha infatti un sapore dolce che lo rende adatto anche alla preparazione di pietanze dolce (si pensi al classico porridge o a gallette e biscotti.


Un altro modo per avvicinare i bambini a nuovi sapori sono i centrifugati di frutta e verdura (amatissimo dai bambini quello di mela e carota), eccellenti se preparati in casa con frutta biologica – attenzione però all’aria che contengono: non tutti i bambini la tollerano bene. Al succo si può poi aggiungere un cereale già cotto, ottenendo così una pappa cruda ricca di vitamine e di sali minerali.


Pappa alla frutta di Clara7

200 g di carote, 200 g di frutta di stagione ben matura. La frutta deve essere sbucciata, nelle bucce ci sono ormai più anticrittogamici che vitamine; la centrifugo insieme alle carote, raschiate e lavate. Con il liquido ottenuto sciolgo la farina. Per tenerezza, aggiungo talvolta un po’ di miele.

Quanta pappa dare?

Molte donne hanno sorriso quando ho posto questa domanda. Sembrava loro stupida. Ma quando si è al primo figlio e si è vissuto senza aver mai visto un bambino, come ormai accade a molte donne italiane e non, nessuna domanda lo è davvero. Non è facile fidarsi del buon senso e smettere di dare da mangiare semplicemente quando il bambino chiude la bocca o volta la testa dall’altra parte.


Dopo i primi assaggi, una pappa può arrivare a pesare anche 200 g; intorno ai nove mesi, 350 g. Si tratta di cifre indicative che non debbono distogliere dall’obiettivo primario: osservare nostro figlio cercando di capire se ha ancora fame, se la pappa proposta è stata accettata, se è il caso di introdurre nuovi alimenti. Preparatevi comunque a mangiare molte delle pappe amorevolmente cucinate perché i rifiuti sono all’ordine del giorno e non è il caso di scoraggiarsi (ma neanche di incaponirsi). Piuttosto, meglio soprassedere e, trascorsi alcuni giorni, riprovare, con la stessa pappa o, se si ha l’impressione che non sia piaciuta, con una diversa. È probabile che pur accettando di aprire la bocca e mangiando un poco, il bambino si precipiti poi ad afferrare il vecchio e amato capezzolo, come a volersi tranquillizzare che nulla è cambiato, che la fonte della vita è ancora lì, colma per lui. Niente di grave. Non accadrà per sempre, come dimostra l’esperienza di tutte le donne (e di tutti i figli…).

Qualche nuovo sapore

Giorno dopo giorno, i bambini si accostano a nuovi sapori. Non c’è però da temere la monotonia. Come abbiamo già detto, i bambini sono piuttosto abitudinari e come amano ascoltare mille volte la stessa storia, rifare la medesima passeggiata o il solito gioco, così sono a tavola. Ritrovare un sapore amato è una piacevole fonte di sicurezza. Ciò non significa che le proposte non possano diversificarsi via via.

I crostini di Valentina

A nord di Scutari, da dove vengo io, lo svezzamento dura poco. Dopo qualche pappa, i bambini si abituano a nuovi sapori mangiando crostini di pane che intingono nel piatto dei grandi – un passato di verdura, una minestra di fagioli, il sugo di cottura della carne.

Era un uso consigliato già dalle nostre nonne8, che dà al bambino la gloriosa sensazione di mangiare quel che mangiano gli altri membri della famiglia. Le ricette che proponiamo qui di seguito tengono conto proprio di questo criterio portante del libro: far sì che l’arrivo di un bambino sia per tutta la famiglia occasione di cambiamento e cercare di mangiare insieme il prima possibile, facendo del pranzo un momento di importante scambio della vita familiare. Creme e passati, per esempio, oltre a essere ottimi per i piccini, sono un buon inizio pasto anche per i fratelli più grandi e per i genitori. Basta aggiungere una girata di pepe, un poco di condimento. È il caso, per esempio, di questa

Crema di zucchine e avena

2 zucchine novelle, mezza carota, mezza cipolla, 1 pezzetto di sedano


2 cucchiai di avena (o riso o altro cereale a scelta), parmigiano.


Lavare le verdure e cuocerle in pochissima acqua. A cottura avvenuta (circa 20 minuti) passarle allo staccio insieme all’acqua di cottura e, per il bambino piccolo, all’avena ben cotta. Servire tiepida con un giro di olio e il parmigiano.


Per i grandi: aggiungete 50 cc di panna fresca, sale e pepe, foglie di menta tritata e gustatela con crostini di pane dorati in poco olio. Li apprezzerà anche il bambino appena in grado di masticare un poco.

Passati come questi, di semplicissima preparazione, possono variare anche in funzione del colore degli ortaggi, che può condizionare non poco i bambini. Chi non ama il verde, apprezzerà magari l’arancione e il rosso di queste ricette.

Crema di zucca

1 carota, 1 fetta di zucca, 1 presa di maggiorana, 1 cucchiaio di parmigiano, 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva, 2 cucchiai di cereale cotto e passato (riso, avena, miglio, orzo) o una farina di cereale precotta.


Lessate le verdure in poca acqua e passatele allo staccio insieme al cereale. Quando tiepide, condite con parmigiano e olio. Anche questa crema può essere arricchita di crostini non appena il bambino ha piacere di masticare.

Crema rossa di mais

2 pomodori maturi, 4 cucchiai di farina di mais precotta, 1 foglia di alloro, 1 cipolla piccola, 1 pizzico di zucchero, 1 chiodo di garofano, 2 cucchiai di parmigiano, 1 cucchiaio di olio extravergine.


Lessate tutte le verdure e le spezie. Quando cotte, passate allo staccio e rimettete sul fuoco. Se la crema è già troppo densa, diluite con due o tre cucchiaiate di acqua e poi versate a pioggia la farina di mais. Fate cuocere a fuoco basso per una decina di minuti e lasciate freddare. Condite con parmigiano e olio extravergine di oliva.

Ai bambini che amano le verdure dolci, dovrebbero piacere, nonostante la tinta verde, questi passati:

Crema di piselli

50 g di piselli freschi, 1 cipolla, 30 g di riso semintegrale, 1 pizzico semi di finocchio, 2 cucchiai di parmigiano, 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva.


Lessare tutte le verdure, i semi di finocchio e il riso per quasi un’ora. Passare tutto allo staccio e servire tiepido con un cucchiaio di olio e parmigiano. Appena il bambino apprezza nuove consistenze, il riso può essere cotto a parte e aggiunto. È una crema che diventa gustosa anche per i grandi se vi si aggiungono 1 noce di burro, 1 cucchiaino di curry e sale e pepe q.b.

Passato di Teresa

1 camote (patata dolce), un pugno di spinaci, 1 carota, 1 piccola patata.


Lessare le verdure in poca acqua e poi passarle allo staccio. È una pappa dolciastra, che ai bambini piace parecchio. Si può arricchire con un paio di cucchiaini di formaggio, meglio se di capra.


In molti paesi è uso aggiungere alle pappe dei bambini anche una noce di burro. Si fa in Thailandia, dove si prepara una zuppa a base di spinaci e carne di collo, ma anche in Marocco.

Burro di Nezha

Latte intero (occorre comprarlo direttamente dal fattore)


Lavatrice


Lasciar depositare il latte per tre giorni. Prendere poi solo la parte grassa e versarla in una bottiglia di plastica. Inserirla ben chiusa nella lavatrice al momento della centrifuga. A centrifuga avvenuta, tagliare la bottiglia, gettare il siero e tenere il burro.

Presto (qui proponiamo due ricette, una ucraina e una cinese) alla verdura e al cereale si aggiunge il brodo di carne e allora la zuppa del bambino inizia a somigliare molto a quella dei grandi.

Zuppetta di Lyudmylla

Far cuocere molto a lungo una carota, una patata, un pezzetto di gallina, poco sale. Passare tutto allo staccio e dare al bambino appena tiepida.

Zuppetta di Viola

Preparare un brodo di pollo con un poco di carne e verdura a piacere. Togliere dalla pentola due mestoli di brodo e metterli poi in un altro pentolino. Appena torna a bollire, aprirvi un uovo e sbatterlo bene con la forchetta.

La prossima è una ricetta che ricorda una minestra italiana ancora in testa nei menù dei ristoranti romani, molto nutriente e solitamente apprezzata dai piccini: la stracciatella. Raccontava mia nonna Adele Petri, che Ada Boni, sua amica di giovinezza, non inseriva mai nei suoi libri di cucina ricette che non avesse provato personalmente. È probabile sia vero: il suo famoso Talismano della Felicità non delude mai, neanche quando consiglia come preparare una semplice stracciatella pasquale.

Stracciatella di Ada Boni

Vi occorrono del buon brodo, 1 tuorlo di uovo a testa, succo di limone, maggiorana fresca, parmigiano grattugiato e fettine di pane abbrustolito. Sbattete le uova con il limone in una casseruola dove, poco prima di andare in tavola, versate il brodo bollente. Mettete poi la casseruola sul fuoco e fate addensare un poco. Condite poi con la maggiorana tritata. Versate la zuppa in ciotole dove avete già messo il pane e, se piace, il formaggio grattugiato.

Agli eternamente innamorati del sapore dolce consigliamo invece di provare queste due ricette, una peruviana, l’altra senegalese.

Crema di Teresa all’arancia

Spremere due arance e mettere il succo in un pentolino con due, tre cucchiai di maizena e poco zucchero. Sbattere bene con la frusta e lasciar addensare sul fuoco. Appena pronta, spegnere e spolverare di cannella. I bambini la gustano anche tiepida.

Crema di Simone

È facilissima da fare, ai bambini piace. Si prende del caprino e lo si mescola con poco succo di arancia e una mela grattugiata. Si può spalmare sul pane o mangiare con il cucchiaino.

Dalle creme agli gnocchi

Se in famiglia si mangia poco condito e semplice, lo svezzamento risulta più facile: i bambini possono infatti accostarsi senza timori ai piatti dei grandi, a tutto vantaggio di chi deve preparare pappe, pranzi e cene.

Gnocchi di nonna Grazia

Questi gnocchi sono una tradizione di casa. Anche se sono romana di nascita, ho imparato a cucinarli dopo sposata. Ne andavano matti i miei figli, oggi ne vanno matti i miei nipoti. Soprattutto gli ultimi: Dario e Samuel. Insieme sono capaci di far sparire un’intera teglia. Vi occorrono


1 litro di latte, 250 g di semolino, 1 uovo, 50 g di burro, parmigiano


sale q.b.


Scaldare il latte con un cucchiaino di sale. Appena sta per bollire versare a pioggia il semolino e mescolare con cura perché non si formino i grumi. Cuocere, sempre mescolando, alcuni minuti. Spegnere il fuoco, aggiungere il burro e il parmigiano e, appena l’impasto è tiepido, l’uovo. Mescolare energicamente e versare sulla spianatoia, lisciando. Una volta freddo, tagliare l’impasto a cerchi (usando il bicchiere) o, con un coltello a piccoli rombi. Disporre gli gnocchi in una teglia imburrata, spolverarli ancora di parmigiano. Infornare per circa 20 minuti, fino a doratura.


Questa ricetta di gnocchi alla romana, una volta entrata nella cucina di famiglia vi rimane stabilmente e dall’anno in poi i bambini possono partecipare alla loro preparazione intagliando la semola con un bicchiere o con le classiche formine da biscotti, che danno così gnocchi di semolino di diverse forme.

Il mais è invece l’ingrediente di questa ricetta togolose:

Ablò di Desirèe

250 g di farina di mais bianco (o semolino), 1 litro di acqua, mezzo panetto di lievito di birra, sale q.b., qualche cucchiaio di zucchero.


Scaldare l’acqua con un pizzico di sale e lo zucchero. Togliere dal fuoco e versare il mais mescolando energicamente perché non faccia grumi. Aggiungere il lievito e lasciare riposare per almeno un’ora e trenta minuti. Trascorso questo tempo, mescolare nuovamente e deporre l’impasto in formine oleate. Metterle poi in una teglia, coperte, e farle cuocere a bagno maria (anche in forno) per 15 minuti. Una volta pronte, rovesciarle su un piatto di portata. Si mangiano con un semplice sugo di pomodoro o con il sugo di arachidi.

Gli gnocchi si possono preparare con le farine di tutti i cereali:

Gnocchi di avena e riso

250 g di farina di aveva e riso, mezzo litro di latte, mezzo litro di brodo di verdura, 1 cucchiaino scarsissimo di sale, 3 cucchiai di parmigiano, olio per ungere la teglia.


Scaldate in una pentola il latte e il brodo. Aggiungete poi il sale e la farina a pioggia, mescolando rapidamente con una frusta perché non si creino grumi. Lasciate cuocere per almeno 15 minuti – la farina tende via via a staccarsi dal bordo della pentola. Versate poi il composto sul piano di cucina e fatelo freddare. Infine, con un bicchiere (bagnatene spesso i bordi di modo che la farina non attacchi) tagliate dei cerchi e posateli in una teglia unta. Spolverate di parmigiano, infornate fino a doratura.

Più semplice, e apprezzatissima, è questa ricetta albanese:

Djath i bardhe di Valentina

Djath i bardhe è il nome del formaggio molle che mia mamma usava per preparare delle polpettine speciali, di cui ricordo ancora il sapore, a base di pane vecchio. Qui in Italia si può usare ricotta o, ancora meglio, il quartirolo, il formaggio che più somiglia a quello della mia infanzia. La ricetta è semplice: si tratta semplicemente di mescolare il formaggio con della mollica bagnata in poco latte e ben strizzata, e farne poi delle palline.


Per i grandi, al formaggio e alla mollica si possono aggiungere spezie (curry, paprika, cumino) o erbe aromatiche (ottimo il trito di erba cipollina e origano fresco), ottenendo così un delizioso stuzzichino. Ugualmente, le polpettine si possono far scivolare in un trito di erbe o nella polvere di una spezia, ottenendo palline di differenti colori.

Gnocchi di riso e cavolfiore

250 g di riso integrale stracotto, 1 cavolfiore, 100 g di fontina, 50 g di parmigiano, pangrattato, burro per ungere.


Lessate il cavolfiore. Scolatelo e quando freddo schiacciatelo ben bene con la forchetta, ottenendo una purea che mescolerete al riso stracotto e alla fontina grattugiata e al parmigiano. Controllate il sale. Con l’impasto, formate delle palline. Passatele nel pangrattato e infornatele su teglia imburrata per circa 25 minuti.


Quando i bambini crescono, ogni tanto gli gnocchi si possono passare nell’uovo e nel pangrattato e friggere: il formaggio filerà, i bambini ne andranno matti.


Oltre agli gnocchi, molto amati sono gli sformati e i budini, dolci e salati: tutti piatti che vanno bene per piccini e per grandi.

Sformatini di orzo

300 g di orzo, 300 g di verdura a scelta (carote, zucca, zucchine…)


100 g parmigiano, 50 g pangrattato, olio, sale, burro per ungere.


Lessate in poca acqua leggermente salata le verdure e l’orzo insieme finché tutte risultino quasi sfatte e l’orzo stracotto (l’acqua deve essere completamente assorbita). Passate il tutto allo staccio, condite con parmigiano e poco olio. Imburrate ora gli stampini (8) da budino, unti e spolverati di pangrattato, ponete in ognuno parte del composto e infornate per 20 minuti. Rovesciate gli stampini sul piatto. Gli sformatini sono buoni anche per i grandi e perfino nelle occasioni speciali: basta arricchirli di qualche spezia (ottimo il kummel) e irrorarli con una salsa di formaggio fuso (per esempio a base di latte, fontina e un cucchiaino di farina).

Serniche di Antonia

200 g di ricotta, 2 cucchiai di zucchero, poco lievito di birra, 1 uovo, 3 cucchiai di semolino, mezzo cucchiaino di sale.


Mescolare tutti gli ingredienti e lasciare lievitare per 30 minuti. Poi prendere cucchiaiate dell’impasto e farle cuocere su una padella leggermente unta.

Budino di pane

Ecco un modo eccellente di riutilizzate il pane vecchio offrendo al contempo un piatto ricco, adatto soprattutto dall’anno in poi.


300 g di pane raffermo, mezzo litro di latte, 1 pugno di uva sultanina, 1 frutto di stagione (mela, pera), 1 uovo, 1 scorza di limone grattugiata, 4 cucchiai di zucchero. Lasciate ammorbidire il pane nel latte, poi strizzatelo e mescolatevi insieme l’uvetta, la mela grattugiata, la buccia del limone, l’uovo, lo zucchero. Impastate bene tutti gli ingredienti e mettetli in uno stampo da budino imburrato. Fate cuocere in forno, a bagno maria, per circa un’ora.

Arroz con leche di Rosario Mercedes

Da noi l’arroz con leche (riso e latte) è un piatto comunissimo. La mia ricetta vuole la cannella e il garofano, ma altri lo preferiscono più semplice, senza nessun aroma. Vi occorrono:


1 pugno di riso, 2 bicchieri di latte (circa), 1 bicchiere di zucchero, 1 pizzico di cannella, 1 chiodo di garofano, stampini da creme caramel.


Mettere a bagno per tutta la notte un pugno di riso. Il giorno dopo scolarlo e cuocerlo con il doppio del latte, cannella e un chiodo di garofano. Nel frattempo, caramellate un bicchiere di zucchero. Versarne un poco sul fondo unto degli stampini da creme caramel e poi mettere il riso ben cotto. Lasciar freddare.


L’arroz con leche è tipico di tutti i paesi dell’America Latina (che derivi dal riso e latte delle provincie bergamasche e venete, da cui partivano i nostri migranti anni fa?) e ognuno lo cucina alla sua maniera, come a Napoli il ragù. Ednelza (Brasile), aggiunge al latte fresco il latte condensato; Teresa (Perù) l’uvetta passa. Con un impasto simile, in Toscana si fanno le frittelle di riso. Riso e latte, infine, è stato il tipico pasto delle sere invernali di molti bambini del nord Italia fino agli anni cinquanta, e ancora oggi i bambini lo amano nella versione dolce e in quella salata, con poco sale e parmigiano.

Riso e latte di Dario

Questo è tutt’oggi il piatto preferito di Dario, che lo chiede sempre e ogni tanto lo ottiene. Per una famiglia di quattro persone, si prepara facendo cuocere in un litro di latte 5 pugni di riso. Si aggiunge verso la fine sale quanto basta e una noce di burro. Risulta piuttosto denso e cremoso. In estate, si cuoce in meno latte (circa 750 cc) e si aggiunge il resto a freddo, direttamente a tavola.

Seno addio…

Entro l’anno i bambini arrivano a mangiare quasi tutto. Sono la dentizione, variabile da bambino a bambino, e i gusti a decretare gli alimenti più indicati. Ugualmente libero il momento in cui la mamma decide di smettere di dare il seno: come abbiamo visto, c’è chi continua fino a tre anni e mezzo e chi fino a cinque, e non per questo i bambini risultano viziati. Tutt’altro. Sembra quasi che un lungo contatto con il seno predisponga ad una maggiore autonomia.


Togliere definitivamente il seno non è per tutti semplice. Quando ha deciso di staccare definitivamente la figlia, Rachida si è tinta i seni con l’henne. Dopo due tentativi, e due saporacci, entrambi i figli hanno smesso di cercare. Rosario Mercedes ricorda che in Ecuador con lo stesso scopo si usa l’aloe. Ma l’idea migliore ci è stata suggerita da Vasilisca. Quando la figlia aveva tre anni e mezzo, l’ha mandata in Romania col padre per un mese. “Al ritorno, il seno l’aveva quasi dimenticato. Solo di rado capita che venga vicino e cerchi di sbottonarmi la camicetta”.

Quando ho mangiato bene
mi informo sul destino degli altri
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Un mondo di pappe
Un mondo di pappe
Sara Honegger
I saperi delle mamme nell’alimentazione del bambino da 0 a 6 anni.Una carrellata sulle conoscenze trasmesse da madre in figlia riguardo lo svezzamento e l’alimentazione dei bambini. Con moltissime ricette etniche. Il passaggio da un’alimentazione lattea a una che comprende cibi solidi è una tappa fondamentale nello sviluppo naturale del bambino. Sempre più spesso, però, lo svezzamento viene vissuto da molti genitori con ansia e frustrazione, mentre, in realtà, dovrebbe essere un piacere che nasce dall’esplorazione e dalla scoperta del bambino delle sue nuove competenze e capacità che gli permettono di entrare in relazione con il mondo esterno. Un mondo di pappe non ha la presunzione di dire ai genitori “come si fa”, ma promuove, sostiene e rafforza le loro competenze e quelle dei loro bambini in un processo di facilitazione e non di imposizione, facendoci conoscere e apprezzare cibi, sapori e momenti di condivisione.Mai come nei primi mesi di vita di nostro figlio saremo altrettanto attenti alla qualità degli alimenti che compriamo. Questa attenzione può diventare il primo gradino di un modo ecologico di porsi nei confronti del mondo, nonché il primo passo verso un percorso educativo attento all’altro e alla ricchezza offertaci dalle tante diversità. Questa è la convinzione che ha sostenuto Sara Honegger nel suo viaggio a tutto tondo nell’alimentazione infantile. Dal latte della mamma alla tavola di famiglia, dai primi approcci alle pappe alla cucina vissuta come entusiasmante laboratorio, questo libro ci accompagna in un fantastico viaggio fra ricette, consigli e ricordi di mamme provenienti da diverse parti del mondo. Un viaggio interculturale, compiuto senza mai dimenticare i princìpi di un’alimentazione attenta alla salute, nostra, ma anche degli altri e della Terra che abitiamo. Un testo di grande aiuto non soltanto ai genitori, ma anche agli educatori degli asili nido e a tutti i pediatri attenti a promuovere la salute dei loro piccoli pazienti.