CAPITOLO IX

Fino a due anni e oltre,
secondo i desideri di mamma e lattante

A casa con il bambino

Se la mamma riesce a iniziare bene, uscendo dal reparto maternità con allattamento esclusivo e senza valigette contenenti omaggi come tisane per bebè, succhiotti e simili, o senza alcuna prescrizione di latte artificiale, certamente questo è un grande vantaggio e una parziale garanzia alla prevenzione di tanti potenziali problemi. Questa stessa mamma potrebbe trovarsi però ad affrontare una serie di ostacoli come quelli di cui abbiamo parlato all’inizio del capitolo: parenti o amiche che la rimproverano se allatta con frequenza, che non approvano il fatto che il bambino sia tenuto in braccio, o che mettono di continuo in dubbio che il bambino possa crescere bene “solo” con il suo latte, specialmente in caso di poppate frequenti e sonnellini brevi! Potrebbe ricevere consigli tanto indesiderati quanto frustranti su cosa dovrebbe o non dovrebbe mangiare, per assicurarsi una buona produzione di latte e soprattutto per non produrre latte di sapore cattivo…


In realtà oggi sappiamo che la quantità di latte prodotto è indipendente dalla dieta materna, e che la mamma che allatta può e anzi dovrebbe mangiare di tutto. In particolare, non è necessario escludere alimenti quali aglio e cipolle, cavoli, asparagi e carciofi, legumi (tanto per citare quelli più spesso vietati). A volte le madri vengono consigliate di bere litri e litri di acqua o tisane, mentre questo in realtà non è utile al fine di assicurare una buona produzione di latte! È invece sufficiente bere al bisogno, quando si ha sete.


Se poi una mamma che si reca dal pediatra è sicura di trovare informazioni circa il corretto dosaggio e la somministrazione di latte artificiale, è però un po’ meno probabile che ottenga indicazioni corrette su come superare banali problemi di allattamento, si tratti di ingorgo o di mastite, di capezzoli dolenti o infezioni da candida, o di scarsa crescita del bambino. Definendo “banali” questi problemi non si vuole sminuire il disagio delle mamme che li vivono in prima persona (e che spesso non li trovano affatto banali!), ma sottolineare come per un operatore sanitario con competenze in allattamento dovrebbe essere facile sia effettuare la diagnosi sia suggerire la cura, dal momento che si tratta di problemi molto diffusi. Ricordiamo che la maggior parte delle difficoltà in allattamento sono assolutamente risolvibili, se vengono affrontate in maniera appropriata.


Quindi può accadere che quando una mamma entra nell’ambulatorio del pediatra si senta spinta a ricorrere all’aggiunta di latte artificiale. Uno studio americano del 19991 ha coinvolto 1600 pediatri appartenenti alla prestigiosa Accademia Americana di Pediatria (AAP) chiedendo loro di rispondere a un questionario con domande sulla promozione dell’allattamento e su alcuni aspetti tecnici. A dispetto delle raccomandazioni sia dell’OMS che della stessa AAP, è emerso che soltanto il 65% dei pediatri raccomandava l’allattamento esclusivo nel primo mese di vita, e solo il 37% raccomandava che l’allattamento durasse almeno un anno! La maggior parte dei pediatri considerava inoltre l’allattamento e l’uso di latte artificiale come due metodi ugualmente accettabili per l’alimentazione di un neonato, e addirittura il 72% non conosceva l’iniziativa Ospedale Amico dei Bambini. Moltissimi incoraggiavano il ricorso al latte artificiale in presenza di situazioni ormai non più considerate veri ostacoli all’allattamento (come mastiti, capezzoli dolenti, ittero, scarsa crescita) rivelandosi del tutto incapaci di offrire alle madri una consulenza adeguata per superare queste difficoltà. Gli autori concludevano che questo campione di pediatri teoricamente era già “auto-selezionato” poiché, dal momento che il 30% degli intervistati non aveva risposto al questionario, probabilmente il restante 70% era composto da quelli più interessati all’argomento. Tuttavia le risposte date evidenziavano in questi pediatri la mancanza sia di atteggiamento positivo e motivazione, sia di conoscenze tecniche riguardanti la normale gestione dell’allattamento e il superamento dei problemi. I ricercatori concludono constatando che queste lacune si riflettono in bassi tassi di allattamento nelle mamme dei loro piccoli pazienti. Alle stesse conclusioni arriva uno studio del 2004, americano anche questo, secondo cui le opinioni dei pediatri riguardo l’importanza dell’allattamento influenzavano le decisioni delle madri dei loro assistiti, e che l’interruzione precoce dell’allattamento avveniva spesso dietro la raccomandazione da parte del pediatra di ricorrere ad aggiunte.

Chi può aiutare la mamma che allatta

Può capitare e spesso avviene che le madri, specialmente se al primo figlio, abbiano bisogno di aiuto qualificato per l’allattamento, o soltanto di poter parlare con qualcuno esperto. A volte le madri si trovano di fronte, in ospedale o in consultorio, a figure sanitarie che a parole incoraggiano l’allattamento ma poi di fatto non hanno le competenze per riconoscere e affrontare problemi pratici riguardanti patologie del seno e del capezzolo oppure la gestione dell’allattamento, con il risultato che, pur venendo incoraggiata ad allattare, la donna non riesce a superare le eventuali difficoltà pratiche: questo può essere molto frustrante!


Le figure professionali maggiormente specializzate per l’assistenza alle madri in allattamento, che si tratti di dare informazioni o aiuto pratico per affrontare un problema, sono i consulenti con diploma IBCLC2. Questa sigla indica una persona proveniente dal mondo sanitario o del volontariato che ha alle spalle un monte-ore di consulenza in allattamento e di aggiornamento qualificato sia per gli aspetti tecnici sia per quelli relativi alla comunicazione efficace; le IBCLC hanno inoltre sostenuto un esame volto a valutare le loro conoscenze e capacità; per mantenere questo titolo occorre dimostrare di seguire periodici aggiornamenti, e dopo 10 anni è necessario sostenere l’esame una seconda volta. Di regola, le IBCLC sono persone molto motivate, e la loro preparazione specifica le rende particolarmente idonee nella risoluzione delle problematiche anche più complesse e i casi particolari.


Dove non ci sono consulenti, ci si può rivolgere a personale sanitario che abbia fatto formazione specifica, che consiste almeno nel corso-base sul modello di quello di 20 ore proposto da OMS e UNICEF, requisito minimo per poter offrire una consulenza adeguata. Personale formato se ne trova in tutti i reparti maternità Amici dei Bambini BFH e in molti altri, oltrer che nei consultori.


Un grande sostegno alle madri arriva anche dai gruppi di auto-aiuto, formati da ‘mamme-consulenti’ (peer counsellor), cioè madri con un’esperienza favorevole di allattamento che, opportunamente preparate, dedicano parte del loro tempo per aiutare in modo volontario altre mamme, telefonicamente e mediante incontri di gruppo. La mamma-consulente riesce a offrire un esempio concreto oltre che a instaurare un rapporto alla pari con la mamma da cui viene contattata. Per molte donne poi è più facile apprendere le corrette tecniche di allattamento e le strategie di risoluzione dei problemi da altre madri, che magari ci sono già passate. Nel gruppo di auto-aiuto inoltre ogni donna può esprimersi liberamente sentendosi compresa, sostenuta e soprattutto accettata per quello che è, senza che nessuno la giudichi. I gruppi di auto-aiuto riempiono un vuoto che si è venuto a creare nella nostra società dal dopoguerra: ci riferiamo a quanto è facile oggi diventare madri senza aver mai visto prima altre donne allattare, con la conseguenza che gli unici modelli rimangono allora quelli delle pubblicità e delle guide alla puericoltura, magari prodotte dalle stesse ditte che vendono biberon. Per conoscere quali sono, cosa offrono e dove sono, si può consultare il sito del MAMI (Movimento Allattamento Materno Italiano), sulla cui homepage c’è l’elenco completo dei gruppi italiani a cui rivolgersi in caso di bisogno oppure semplicemente quando si ha voglia di uscire con il bambino e fare quattro chiacchiere con altre mamme. Molti di questi gruppi sono attivi anche in rete, con blog o siti internet. La prima grande associazione di mamme-consulenti, e sicuramente la più importante e diffusa nel mondo, è La Leche League, Lega per l’Allattamento Materno.


La Leche League, Lega per l’Allattamento Materno


È un’organizzazione di volontariato internazionale, assistenziale, apartitica, aconfessionale, senza scopo di lucro, fondata nel 1956, presente in 68 Paesi del mondo con circa 9000 Consulenti. Si pronuncia “la lece lig” e si abbrevia spesso nella sigla LLL.


Esiste in Italia dal 1979 e oggi è composta da circa 140 consulenti, tutte donne che hanno allattato almeno un figlio per almeno un anno e che hanno seguito un accurato tirocinio per aiutare altre donne nella gestione dell’allattamento.


La Leche League dà informazioni e sostegno alle madri che allattano, offrendo consulenze telefoniche, via e-mail e organizzando incontri di gruppo. Se occorre, La Leche League può avvalersi dell’aiuto del suo Comitato di Consulenza Scientifica, che si compone di medici, ostetriche e altri professionisti.


Per ulteriori informazioni si consulti il sito www.lllitalia.org (in cui potete trovare i recapiti delle Consulenti, o inviare direttamente un help form) o chiamare il numero unico nazionale 199 432326.

Tre mesi: il latte scarseggia?

Il latte artificiale viene considerato la logica alternativa a disposizione della mamma in tutti i casi in cui “il latte materno diventa insufficiente o l’allattamento non più possibile”, con implicito il messaggio che questa evenienza sia usuale, per non dire del tutto normale: di fatto i bambini allattati in maniera esclusiva sono la maggioranza alla nascita ma diventano con il passare dei mesi sempre meno numerosi!


Mamme e bebè che riescono ad arrivare a tre mesi di allattamento esclusivo, riuscendo a passare indenni attraverso i “disinteressati consigli” di taluni pediatri, mamme e/o suocere, amiche o semplici conoscenti (quando si tratta di allattamento, non si sa perché ma tutti si sentono in dovere di intervenire per dire alla neo-mamma quello che dovrebbe fare!), possono considerarsi, nel nostro Paese, membri di una fortunata minoranza3, e magari sarebbero tentati di “abbassare la guardia” e godersi la vita e l’allattamento senza farsi più troppi problemi… Invece, per vari motivi, il compimento del terzo mese di vita rappresenta spesso un vero e proprio scoglio per molte coppie allattanti, e non certo perché a quell’età il seno smette di produrre latte!

Allora, che succede?

  • Numero delle poppate. A questa età, se la mamma allatta a richiesta, è probabile che il suo bambino continui a fare 8-12 poppate nelle 24 ore o forse anche di più, ma è altrettanto probabile che sia diventato molto abile nel succhiare, e quindi la durata delle poppate sarà minore rispetto ai primi tempi. Tuttavia spesso le madri si aspettano, perché non hanno le giuste informazioni, che i bambini col tempo inizino a fare meno pasti, e questo rappresenta infatti il modello che viene ancora suggerito in molte guide di puericoltura. Se pure la madre che allatta a richiesta nelle prime settimane riceve approvazione, nei mesi successivi, via via che il bambino cresce, le persone iniziano a guardarla con sospetto se le poppate si mantengono ad alta frequenza, insinuando che il bambino è viziato o che il latte inizia a scarseggiare… o tutte e due le cose! È sconsolante che anche diversi pediatri, al pari delle nonne, delle amiche e delle fruttivendole (che però non sono tenute ad avere conoscenze tecniche di un certo livello sull’allattamento) ritengano che il bambino a quest’età dovrebbe poppare 5 o 6 volte nelle 24 ore e non di più, per cui esortano le mamme a portarsi su questi ritmi. Se però le mamme seguono questi consigli, magari con grande stress sia loro che del bambino, potrebbero andare incontro a una effettiva diminuzione del latte prodotto, poiché, abbiamo detto, la produzione di latte segue la legge “della domanda e dell’offerta”. Indovinate cosa consiglierà il pediatra alla visita successiva? Avete indovinato: un’aggiunta di latte artificiale!
  • Gli scatti di crescita. Essendo la crescita un processo del tutto naturale, non avviene in modo lineare ma è possibile che proceda con momenti di stasi e altri di maggiore intensità. Questo fa sì che il bambino che faceva le sue 8-10 poppate possa, a un tratto, richiederne 12-14 perché è così che riesce a informare il seno materno che c’è bisogno di aumentare la produzione. Infatti quando il bambino chiede di poppare più spesso, e viene assecondato, è proprio grazie alla maggiore stimolazione del seno che, entro qualche giorno, aumenterà la produzione di latte.

    Non dimentichiamo poi che la suzione ha sul neonato un effetto calmante; potrà capitare che in alcuni periodi il bambino sia più nervoso, ad esempio dopo una vaccinazione o durante un raffreddore, o in seguito a un periodo di maggiore stress (la mamma che si è dovuta allontanare, molte visite in casa, le feste natalizie ecc). In questi casi sarà molto probabile che il piccolo cerchi di consolarsi e calmarsi nel modo più naturale, cioè chiedendo di poppare più spesso! Queste maggiori richieste vengono spesso, a torto, interpretate come segnali che “il latte ne se ne sta andando”. Se state vivendo una situazione simile e avete dubbi, cercate di concentrarvi più sull’esperienza di allattamento in sé piuttosto che sul numero delle poppate o su quanto latte sta prendendo il bambino! Una buona idea, ogni volta che si hanno dubbi o difficoltà, è quella di contattare un gruppo di auto-aiuto o una consulente professionale in allattamento IBCLC.

  • Le Curve di Crescita. Da qualche anno l’organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato nuovi grafici di crescita per i bambini da 0 a 5 anni. Ci si era infatti accorti da alcuni studi pubblicati negli anni ’90 che quelle usate correntemente erano state costruite senza tenere conto di come venivano alimentati i bambini che avevano fatto da modello di riferimento. Questo modello era costituito da un basso numero di bambini americani, nati in un’epoca in cui negli USA quasi tutti i neonati venivano alimentati al biberon. Questo ha comportato che si usasse come modello di crescita ideale le curve ottenute dai dati relativi a un numero basso di bambini alimentati a latte artificiale! In pratica, andando a confrontare con queste curve di riferimento la curva di crescita reale dei bambini allattati, accadeva che dopo qualche mese, questa tendeva a “passare sotto” al grafico di riferimento, perché i bambini alimentati al biberon tendono a crescere più della norma dopo i primi tre mesi. Il problema è che, di conseguenza, a molte madri veniva consigliata l’aggiunta in modo inappropriato, perché i loro figli a partire dal 3° mese di vita crescevano di meno rispetto alle curve di riferimento! C’è da meravigliarsi se oggi abbiamo tassi allarmanti di bambini sovrappeso o obesi? Certamente no, anche perché oggi sappiamo che una sovra-alimentazione nei primi due anni di vita è considerata un fattore predittivo dell’obesità.

    Le nuove curve di crescita sono state costruite basandosi sull’osservazione di un alto numero di bambini provenienti da varie parti del mondo, e allattati secondo le raccomandazioni o quasi. Dovrebbero essere ormai usate da tutti i pediatri4.

  • Pubblicità, simpatici omaggi, riviste di puericultura e opuscoli “informativi”. È quando i bambini hanno tre mesi che molte mamme si vedono recapitare a casa attraenti pubblicazioni di puericoltura contenenti articoli che parlano di svezzamento e svariate pubblicità che le invitano più o meno esplicitamente a interrompere l’allattamento esclusivo fin dall’inizio del quarto mese di vita, magari usando prodotti di origine industriale “fatti apposta per il tuo bambino”.

    Spesso le madri ricevono valigette piene di opuscoli contenenti istruzioni su come iniziare l’alimentazione complementare in contraddizione con le raccomandazioni attuali. Sovente queste contengono addirittura campioni vari per i “primi assaggi”, una vera e propria tentazione a cui è difficile resistere, anche perché all’opera di convincimento partecipano le pubblicità sulle riviste e in TV, e talvolta anche alcuni pediatri che insistono affinché la madre inizi a offrire cibi solidi prima del tempo.

    La maggior parte degli opuscoli pubblicitari promuove addirittura il ricorso al cosiddetto latte di proseguimento, dando per scontato che, prima o poi, il latte materno perda le sue caratteristiche qualitative e abbia bisogno di essere integrato, oppure che diventi insufficiente. Insomma, l’idea è quella che sia naturale prima o poi passare al biberon! Queste pratiche promozionali e dis-informative costituiscono delle vere e proprie insidie per la fiducia materna, in un momento delicato come quello del terzo-quarto mese.

Allattare a richiesta nei primi mesi e oltre

Subito dopo il parto si raccomanda comunemente l’allattamento a richiesta perché è grazie a questa modalità che viene garantita una buona produzione di latte, in quanto il seno produce latte in base a quanto e come viene stimolato. Poppare a richiesta permette al bebè di ricevere la quantità di latte adeguata ai suoi bisogni, che variano di continuo, e di soddisfare quindi la fame, la sete, la voglia di un piccolo spuntino, o il semplice bisogno di succhiare per consolazione, a seconda del momento. Forse però non è stato ancora ben compreso il significato più ampio dell’allattamento a richiesta: il fatto cioè che assecondare il bambino possa davvero fare la differenza nell’accudirlo, facilitando il compito della mamma. Offrire il seno al bebè ogni volta che lo richiede (e ogni mamma diventa abilissima a decifrare i segnali del proprio figlio) permette di rispondere a bisogni differenti nel modo più semplice, veloce, a portata di mano e naturale. È dimostrato che i bambini piangono di meno e le madri sono più sicure di sé: ovvio, perché sanno che se il bebè può ciucciare quando vuole diventa più facile prendersene cura, sia in casa sia – a maggior ragione – fuori casa. È sufficiente indossare un abbigliamento comodo, come una camicia aperta davanti o due maglie sovrapposte, affinché sia facile allattare ovunque ci si trovi, senza doversi spogliare troppo. Anche quando il bambino inizia a mangiare altri cibi, dopo il sesto mese, continuare ad allattare a richiesta, esattamente come prima, facilita la vita della mamma e rende più graduale il passaggio all’alimentazione solida. I bambini allattati a richiesta non sono più viziati degli altri, anzi nella maggior parte dei casi accade proprio il contrario: risultano essere più indipendenti e sicuri di sé man mano che crescono. Nel tempo questi bambini, dal rispetto che viene dato ai loro bisogni, imparano a rispettare quelli degli altri.

Alimentazione complementare o “svezzamento”?

L’introduzione di cibi complementari al latte dovrebbe consistere nell’arricchire progressivamente la dieta del bambino, con una serie di cibi che fanno parte della dieta della famiglia, partendo da quelli più semplici e continuando ad allattare né più né meno come si è sempre fatto. Questo dovrebbe avvenire all’incirca con il compimento del sesto mese di vita del bebè, perché prima non vi sono vantaggi dal punto di vista nutritivo e uno svezzamento precoce potrebbe aumentare nel bambino il rischio di allergie ed intolleranze, come pure la sensibilità alle infezioni.


Invece nella nostra cultura è attualmente ancora molto in voga il cosiddetto “svezzamento” nel senso di “togliere un vizio”; ma quale vizio? Poppare, naturalmente! Infatti c’è ancora chi consiglia alle madri di sostituire per gradi il latte materno con altri cibi, invece di integrare la dieta lattea con i cibi solidi.


Questo momento è vissuto con grande apprensione da molte mamme, la maggior parte delle quali deve ancora una volta combattere contro i segnali che il figlio invia (sotto forma di rifiuti all’essere imboccato) per seguire le istruzioni, spesso rigide, che vengono fornite.


È molto frustrante far mangiare un bambino che non vuole, e lo è ancora di più se il bambino in questione è affamato e desidera il latte della mamma. Pensate però che per il bambino l’esperienza è ancora più avvilente!


Anche in questo caso, la logica e le raccomandazioni ufficiali vanno di pari passo e suggeriscono di continuare ad allattare come si è sempre fatto, proponendo al piccolo all’età di circa sei mesi, o quando mostra interesse, dei piccoli assaggi, con le dita o con il cucchiaino, incoraggiandolo a fare da solo. Imparare un nuovo sistema di alimentazione è un processo graduale, fatto di pazienza e ascolto e sarà il bambino che a mano a mano mangerà sempre più cibi solidi diminuendo le poppate. I cibi proposti dovrebbero essere, secondo l’OMS, preparati in casa a partire dai normali alimenti usati dalla famiglia, magari un po’ meno saporiti nella fase iniziale, e ridotti in una forma tale che il piccolino possa ingoiarli anche se ha pochi denti o ancora nessuno. Quindi il ricorso ad alimenti speciali prodotti dall’industria e venduti a cifre elevate (anche per coprire i costi di una pubblicità martellante) non è affatto necessario, né soprattutto auspicabile ai fini di una sana alimentazione.


Come per il sonno, la mentalità diffusa è quella che se non si insegna al bambino a mangiare, lui da solo non lo farà mai! Molte mamme che hanno vissuto questo processo in modo naturale e senza forzare i loro figli, sono però di parere contrario e hanno potuto verificare di persona che anche questo può essere un momento di crescita invece che di conflitti, se solo si ascolta il buon senso e si ha pazienza di rispettare i tempi di ogni bambino5. Dovremmo riflettere sul fatto che nessuno, in nessuna cultura, ha mai continuato a nutrirsi di solo latte materno. La curiosità del bambino e la sua maturazione psicomotoria lo portano a imitare gli adulti e quindi, prima o poi, anche a voler assaggiare altri cibi rispetto al latte.

Il bambino cresce… “poppa ancora?”

È sacrosanto il diritto di una mamma di interrompere in qualsiasi momento l’allattamento, se lo desidera per i motivi più svariati, ma colei che desidera continuare ad allattare oltre i tempi “usuali” dovrebbe godere di altrettanto rispetto.


Nel nostro Paese si stima che in media soltanto il 10% delle mamme allattino a 12 mesi dal parto, mentre, come si potrà facilmente immaginare, sono ancora meno quelle che lo fanno seguendo le raccomandazioni ufficiali, e cioè “fino a due anni e oltre, se mamma e bambino lo desiderano”. Di fatto, in Italia come nella maggior parte della nazioni occidentali, ad esclusione di quelli scandinavi, la madre che continua ad allattare oltre l’anno di vita incontra non pochi ostacoli, primo fra tutti la disapprovazione sociale. Commenti negativi arrivano spesso perfino da parte dei familiari più stretti e del marito, che vedono nel rapporto di allattamento un qualcosa di morboso che impedisce al bambino di acquistare indipendenza, e alla mamma di riconquistare la propria sospirata libertà. Quale suocera o marito avrebbe il coraggio di ribattere, se alle critiche mosse riguardo l’allattamento si sentissero rispondere dalla mamma “Guarda che me l’ha detto il pediatra di continuare almeno fino a due anni!”. Peccato che i pediatri sostengano di rado l’allattamento oltre l’anno di vita, mentre più spesso lo ostacolano apertamente, sulla base di loro opinioni personali. Altre dicerie che si sentono riguardo all’allattamento naturale oltre i primi mesi di vita, e allo svezzamento guidato dai desideri della mamma e del bambino, sono:


* Che il latte “ormai è acqua”.


* Che la mamma “si consuma”.


* Che il bambino “non smetterà mai”.


* Che a causa dell’allattamento il bambino mangia poco e/o male (ad esempio molti bambini allattati rifiutano il latte vaccino, e questo è considerato un pessimo risultato, mentre la maggior parte degli abitanti del pianeta cresce benissimo senza mai consumare latte di vacca).


* Che a causa dell’allattamento il bambino è troppo attaccato alla mamma.


* Che probabilmente a causa dell’allattamento il bambino incorrerà in disagi sessuali nell’adolescenza (sembra incredibile, ma si sente dire anche questo!).


* Che… potremmo continuare fino a domani, perché la fantasia non ha limiti… Portiamo solo un ultimo esempio, a riprova di tale affermazione: a una mamma che allattava la sua bambina di 15 mesi è stato vivamente suggerito di smettere da parte della dermatologa che la stava curando per un fungo all’unghia del piede il quale, secondo la specialista, sarebbe stato causato proprio dal fatto che la mamma stava “ancora” allattando!6


Di fatto, quindi, le poche fortunate che ancora allattano oltre l’anno di vita sono vulnerabili dal punto di vista dell’approvazione sociale, e spesso preferiscono nascondere questa esperienza, senza potersi nemmeno lamentare nei momenti di stanchezza. Il minimo che potrebbero sentirsi rispondere è: “Perché non la smetti allora?”


In questi casi, l’aiuto di un gruppo di sostegno per l’allattamento può essere di grande utilità. L’allattamento del bambino non più neonato è una pratica salutare, benefica e può dare molte soddisfazioni, oltre a rendere la vita molto più facile7. Inoltre, la possibilità di interrompere l’allattamento in modo naturale e quando si avverte che è giunto il momento, aumenta la soddisfazione delle mamme intorno a quest’esperienza. Un numero crescente di mamme allatta con soddisfazione a termine, ovvero finché è il bambino a decidere di smettere: questo avviene di solito dai 2 ai 4-5 anni di vita, più raramente anche oltre.

10 regole per allattare felicemente, o almeno provarci

  1. Credere nel valore dell’allattamento, e nel fatto che tutte le donne hanno il latte.
  2. Informarsi prima del parto su come funziona l’allattamento.
  3. Informarsi prima del parto sulle risorse di aiuto presenti in zona (gruppi di auto-aiuto, consulenti professionali in allattamento).
  4. Informarsi prima del parto sulle pratiche di assistenza al parto e al dopo parto nella struttura dove scelta per il parto.
  5. Scegliere una struttura dove è garantito il primo contatto pelle-a-pelle col bebè, e dove si pratica il rooming-in. Se disponibile in zona, si può scegliere un ospedale amico del bambini secondo l’Iniziativa Baby Friendly Hospital dell’UNICEF (elenco aggiornato sul sito dell’UNICEF Italia).
  6. Appena il bambino è nato, tenerlo più possibile vicino e allattare a richiesta, o almeno 8-12 volte nelle 24 ore.
  7. Se il parto è andato diversamente dal previsto, o se i bambini sono più di uno, bisogna cercare quanto prima un aiuto competente per l’allattamento.
  8. I problemi durante l’allattamento sono comuni, come anche momenti di stanchezza o dubbio. L’aiuto può venire da una rete di sostegno locale!
  9. Continuare ad allattare a richiesta per il primo anno di vita, anche e soprattutto se si riprende il lavoro fuori casa. Ciucci e biberon? Si può anche farne a meno!
  10. Allattare fuori casa non solo è comodo e rende più facile uscire con il bambino, ma in più rappresenta un momento importante per la diffusione della cultura dell’allattamento.

Tutte le mamme hanno il latte - Seconda edizione
Tutte le mamme hanno il latte - Seconda edizione
Paola Negri
Quello Quello che tutti dovrebbero sapere su allattamento e alimentazione artificiale.Allattamento e alimentazione artificiale: quali sono i motivi che portano oggi moltissime madri a ricorrere al latte artificiale? Il latte materno ha da sempre costituito il nutrimento per la specie umana, sostenendola da tempi remoti.Allora perché nel ventesimo secolo si è assistito a una drammatica diminuzione dell’allattamento al seno, a favore del latte artificiale?Quali implicazioni sta avendo questo cambiamento di stile di vita sulla salute psico-fisica e sullo sviluppo dei bambini?È proprio vero che allattare è una questione di fortuna, o sono altri i motivi che portano molte mamme a ritenere di non avere latte a sufficienza, o che il loro latte non sia adeguato?Paola Negri, consulente professionale IBCLC ed educatrice perinatale, in Tutte le mamme hanno il latte vuole dare una risposta a queste domande, spiegando in modo chiaro ed esauriente i motivi che portano oggi moltissime madri a ricorrere al latte artificiale.Non si tratta di un testo rivolto esclusivamente a genitori e futuri genitori, ma anche a educatori, medici, operatori sanitari e a tutti coloro che hanno a che fare con mamme e bambini piccoli. Conosci l’autore Paola Negri si occupa di allattamento da oltre 15 anni; è stata consulente volontaria per La Leche League Italia e successivamente è diventata consulente professionale IBCLC ed Educatrice Perinatale, lavorando con donne in attesa e madri, e nella formazione specifica a gruppi di auto-aiuto e operatori sanitari. Opera da anni in associazioni come MAMI e IBFAN Italia (di cui è presidente) in attività di sostegno, promozione e protezione dell’allattamento.Si occupa inoltre di decrescita e di alimentazione, per cui ha scritto diverse pubblicazioni.