CAPITOLO VIII

Dalla nascita in poi:
pratiche sanitarie e aspettative socio-culturali

Interventi medici: pro e contro

Maggiori conoscenze scientifiche e maggiori possibilità di indagini diagnostiche hanno contribuito a far diventare meno rischiosi eventi come la gravidanza e il parto, rendendo possibili l’individuazione precoce delle situazioni a rischio, e i conseguenti interventi medici in salvaguardia della salute di mamma e bambino1. Come spesso accade, però, quello che era stato concepito come un aiuto da parte della tecnologia in casi particolari e specifici, è progressivamente diventato una consuetudine, per motivi complessi che esulano dai limiti di questo studio2. Ci riferiamo al ricorso massiccio e indiscriminato a pratiche quali le indagini diagnostiche durante la gravidanza, come ad esempio l’amniocentesi e le ecografie ostetriche3, e a quelle come l’induzione del parto, l’analgesia durante il parto, le episiotomie, il ricorso al parto cesareo, l’impedimento al primo contatto fra madre e neonato, tanto per citare le più importanti.


Addirittura, contro ogni evidenza scientifica, molte madri hanno la percezione che un parto medicalizzato sia più sicuro per la loro salute e per quella del nascituro. Questo è dimostrato dalla quantità esigua di strutture che offrono un’assistenza al parto che promuove la fisiologia, e anche dal basso numero dei parti in casa nel nostro Paese (secondo il Cedap 2008, l’88,4% dei parti è avvenuto in punti nascita pubblici, l’11,4% in istituti privati e solo 0,2% altrove).


In realtà ognuna delle succitate procedure comporta una serie di conseguenze sulla partoriente e sul neonato, che nel migliore dei casi si traducono in esperienze di parto più dolorose e traumatiche del necessario, accompagnate da una più lenta ripresa nel dopo parto, e immancabilmente da un inizio ritardato e/o problematico dell’allattamento.


Si pensi poi all’impatto psicologico di interventi che, lungi dall’aumentare la fiducia della madre nelle proprie capacità, la inducono sempre di più a vivere come patologiche delle situazioni in realtà del tutto fisiologiche, e quindi a considerare normale il ricorso ai farmaci o all’intervento operativo durante il parto. L’effetto è del tipo “gatto che si morde la coda”, con l’aumento del ricorso ai farmaci e agli interventi da un lato e dall’altro le mamme che diventano sempre meno assertive: sono convinte di non essere capaci di partorire e si affidano totalmente a un tipo di assistenza medicalizzata, pensando di fare così il bene loro e del bambino.


Queste implicazioni non andrebbero sottovalutate, anzi bisognerebbe tenerne conto ogni volta, effettuando caso per caso un bilancio dei costi e dei benefici dell’intervento. Ma soprattutto occorrerebbe tenere bene a mente che, come afferma la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni intervento medico porta con sé anche inevitabili effetti collaterali e pertanto andrebbe praticato solo se strettamente necessario. Questo è ancora più vero quando l’intervento in questione va a turbare un evento appartenente alla sfera istintiva ed emozionale come il parto, ove l’ambiente circostante può influenzare in modo impressionante il normale rilascio di ormoni, necessari affinché tutto avvenga secondo la fisiologia4.


Solo un approccio di questo tipo può garantire un’assistenza sanitaria davvero qualificata e basata sull’evidenza scientifica, oltre che a mio avviso moralmente sostenibile.

Influenza sull’allattamento del tipo di assistenza ricevuta durante il parto5

L’allattamento, con tutto il suo potere calmante, è il primo gesto che aiuta la madre e il bambino a ritrovarsi e a ricongiungersi dopo il fisiologico distacco del parto. Il suo potere riconciliante e curativo è enorme sempre, in particolar modo per tutte quelle coppie madre-bambino (e sono molte) per i quali il parto ha rappresentato un trauma al di là delle aspettative. In questi casi allattare è ancora più importante: rappresenta infatti il modo più efficace per elaborare e superare i brutti ricordi legati ai momenti difficili che si sono vissuti.


D’altra parte, in tutti questi casi ci sarebbe bisogno di un aiuto competente extra, e infatti in pratica si verifica che spesso le madri con una esperienza di parto diverso da quello fisiologico hanno maggiori difficoltà ad avviare l’allattamento. Questo è di facile comprensione, se si pensa alla tempesta ormonale che accompagna il travaglio fisiologico per culminare nel momento del primo contatto madre-bambino. Andare a turbare il normale svolgimento del travaglio e il primo contatto non può non avere conseguenze sulla facilità con cui la diade inizia l’allattamento; queste sono tanto più frequenti e pesanti nei casi in cui la madre non si sente particolarmente motivata all’allattamento, se manca il rooming-in, e se il personale non è qualificato a offrire una assistenza adeguata per l’allattamento, condizioni che in Italia si verificano ancora relativamente spesso. Infatti la stragrande maggioranza delle madri che partoriscono nel nostro Paese subisce almeno uno dei tanti interventi che possono influenzare in modo negativo il parto e l’avvio dell’allattamento, dei quali qui di seguito offriamo una panoramica.


  • Parto indotto e parto pilotato

Per la madre, l’induzione comporta contrazioni più dolorose, maggiore rischio di ricevere analgesia, rischio raddoppiato di cesareo (questo si rende a volte necessario perché l’induzione non sempre funziona a dovere e dopo ore di contrazioni dolorose ma inutili le madri vengono quindi sottoposte a taglio cesareo). Per il neonato il travaglio risulta più stressante a causa delle contrazioni forti e ravvicinate, e non sempre efficaci come quelle naturali. Si hanno quindi maggiori possibilità di problemi respiratori e/o relativi a diminuita capacità di suzione al seno, dovuti a immaturità o ad eventuali ulteriori interventi subiti in seguito all’induzione. Il tasso massimo di induzioni raccomandato dall’OMS è del 10%, mentre quello praticato in Italia nel 2008 è pari al 17%, il che equivale a dire che delle 64.571 donne che hanno avuto un parto indotto nel 2008, almeno 4520 (il 7%) hanno subìto inutilmente questa pratica e le conseguenze negative ad essa associate.


Infusioni di ossitocina sintetica vengono sovente praticate alla madre durante il travaglio allo scopo di accelerarlo, e non vengono magari neppure registrate come pratica sanitaria. Questo spesso viene fatto senza tenere conto che: a) è fisiologico che durante il travaglio vi siano temporanei rallentamenti o pause; b) il travaglio potrebbe bloccarsi ogni volta che la donna non si sente a proprio agio o viene disturbata, come avviene con le visite vaginali frequenti, il monitoraggio del battito cardiaco fetale o altri interventi medici e non, oltre che ogni volta che vengono meno condizioni di intimità.


L’ossitocina sintetica d’altra parte può essa stessa interferire con il normale svolgimento del travaglio, oltre a provocare contrazioni più forti e dolorose, ma non sempre più efficaci. L’ormone sintetico va a sostituirsi a quello naturale, che non viene più prodotto, ma non ha gli stessi effetti nel favorire il processo di attaccamento fra madre e neonato subito dopo il parto.

Il testo recita: La dottoressa sta battendo delicatamente con un cucchiaio il guscio dell’uovo, per aiutarlo a rompersi. Così, il piccolo pinguino uscirà più facilmente.

Eppure, la dottoressa pinguina dovrebbe sapere che l’OMS sconsiglia la pratica dell’amnioressi!

  • Visite vaginali durante il travaglio

Nonostante che l’OMS suggerisca visite non più frequenti di ogni quattro ore, tranne in casi specifici di patologia, nella maggior parte delle strutture italiane le visite vengono fatte ogni ora o due, spesso addirittura da persone diverse (come ad esempio tirocinanti e studentesse in ostetricia). Oltre a disturbare la madre e rendere il travaglio più doloroso, e magari più lungo, le visite frequenti sono collegate a un aumento dell’intervento di amnioressi, la rottura artificiale delle acque (intervento anche questo che secondo l’OMS va evitato perché inutile e potenzialmente dannoso) e a più frequenti infusioni di ossitocina, oltre che a monitoraggio continuo del battito cardiaco.


  • Monitoraggio elettronico del battito cardiaco fetale

La registrazione del battito cardiaco fetale viene praticata allo scopo di intervenire per tempo in caso di all’alterazione del battito cardiaco, in quanto una mancanza prolungata di ossigenazione può avere esiti molto gravi, fra cui la paralisi cerebrale neonatale. Tuttavia molti anni di studi indicano che il monitoraggio continuo non ha incidenza sui tassi di paralisi cerebrale, né tantomeno sulla mortalità perinatale; viceversa, gli studi hanno evidenziato che l’EFM è collegato a un aumento di tagli cesarei e di interventi operativi come uso della ventosa6. Pertanto, secondo le raccomandazioni, l’EFM dovrebbe essere praticato soltanto in caso di parti rischiosi, mentre in tutti gli altri l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’auscultazione intermittente senza registrazione.


Oggi invece in Italia molte partorienti subiscono il monitoraggio continuo a più riprese durante il travaglio, con modalità che variano a seconda degli ospedali. Questo significa che spesso le madri sono sottoposte a questa pratica senza che questa sia utile o indicata, ma tuttavia ne patiscono gli effetti collaterali che sono, ripetiamo, aumento di rischio di taglio cesareo e di parto operativo. Va considerato che questa pratica comporta sempre un’interferenza che può disturbare la normale progressione del travaglio, anche per il suo impatto psicologico, trasformando di fatto una donna sana in una paziente, attaccata a un macchinario. Oggi molti reparti maternità dispongono di monitor che consentono alla madre di muoversi, il che non vuol dire che non siano fastidiosi, beninteso. Sono però ancora parecchie le strutture che usano i monitor fissi, che costringono così la partoriente a stare immobile in posizioni che non favoriscono il travaglio, aumentando tutti i rischi di cui sopra.


A volte si sente dire che la registrazione del battito cardiaco serve per tutelare il sanitario a posteriori, in caso di eventuali successive denunce; tuttavia, l’interpretazione a posteriori dei tracciati cardiotocografici, specialmente se è noto l’esito neonatale, non viene considerata affidabile7.


  • Posizione durante il parto

Quello della posizione durante il travaglio e la fase espulsiva è uno di quegli argomenti su cui ormai non c’è più niente da dire, ma solo da fare: gli studi che indicano come inutili e potenzialmente dannose pratiche come l’impedimento al libero movimento durante il travaglio e l’obbligo della posizione supina per il parto sono numerosi, probanti, consolidati e… datati (se ne parla da oltre 30 anni). Lo dice prima di tutto il buon senso e lo confermano le osservazioni sulle modalità di parto nelle varie culture: le donne hanno sempre partorito accovacciate, carponi, o in piedi; partorire supine è come remare controcorrente. Le stesse raccomandazioni OMS ribadiscono l’importanza del movimento libero durante il travaglio e delle posizioni verticali durante il parto. Questi accorgimenti, oltre a migliorare l’efficacia delle contrazioni, rendono il dolore più sopportabile e la nascita più facile. Tuttavia, nel mondo occidentale è ancora diffusa la pratica di far partorire le donne supine, e l’Italia non fa eccezione. Eppure lo sanno tutti oramai che la posizione supina nuoce alla ossigenazione del feto e aumenta la durata del travaglio, e quindi la possibilità di sofferenza fetale, di episiotomia e parto operativo. Possibili effetti sull’allattamento sono, per la madre, un ritardo nell’arrivo della montata lattea dovuta al travaglio e al parto più difficoltoso, per il bambino eventuali problemi di attacco e suzione al seno.

Le bambine vengono educate fin da piccole su come è normale partorire…
…e, due pagine dopo, viene loro mostrato come si allattano i neonati!

  • Mangiare o bere

Il travaglio è un lavoro che fa consumare energie, e la donna dovrebbe essere libera di bere e di mangiare cibi nutrienti se lo desidera. Eppure a volte le madri, oltre ad essere impedite nel movimento, sono soggette a divieti riguardanti il mangiare o il bere, sebbene anche digiuno e forzata astensione dal bere siano di ostacolo al facile svolgimento del travaglio. Negli ospedali si supplisce al normale bisogno di bere e mangiare con infusioni endovena di soluzioni glucosate, ma tale pratica non è priva di effetti collaterali, ad esempio un eccessivo calo di peso del bambino dopo la nascita, per il fatto che nasce “gonfiato” artificialmente dai liquidi iniettati alla madre. I neonati che perdono molto peso sono a maggior rischio di ricevere poi aggiunte di latte artificiale. Oggi si vedono anche sempre più casi di edema del seno, una condizione per la quale il seno diventa duro proprio come se la mamma avesse l’ingorgo, solo che si verifica prima dell’arrivo della montata lattea. Oltre ad essere fastidioso per la madre, un seno duro e poco elastico potrebbe impedire al bambino di attaccarsi in modo corretto, e di assumere il prezioso colostro. Per questo, è importante che il personale sanitario impari a riconoscere e trattare questa condizione, ma per la salute e la gioia di mamme e bambini sarebbe ancora meglio che si limitassero le infusioni a quei casi in cui sono veramente necessarie, lasciando in tutti gli altri le madri libere di mangiare e bere.


A proposito di pratiche inutili e dannose, ricordiamo che in alcuni ospedali sono ancora in uso interventi fastidiosi e umilianti come rasatura del pube e clistere di routine alle partorienti.


  • La manovra di Kristeller

Consiste nello spingere con forza sulla pancia della partoriente durante le contrazioni, ed è significativo il fatto che di solito a praticarla sia l’operatore sanitario più grosso e muscoloso. È in uso in Italia e altri Paesi europei (come Francia, Grecia e Turchia) mentre altrove non viene più praticata; in Inghilterra è addirittura vietata per legge, visti gli esiti negativi ad essa associati. Nel nostro Paese fra il 30 e il 70% delle partorienti subisce questa manovra, a seconda dei luoghi. È una manovra violenta e traumatica, provoca dolore e a volte fratture alle costole e lacerazioni importanti, danni fisici e spesso anche psicologici le cui conseguenze durano ben oltre il periodo del dopo-parto. Questa manovra brutale può essere pericolosa per il bambino, provocando talvolta alterazioni del battito cardiaco con conseguente necessità di ricorrere al cesareo d’urgenza.


  • Episiotomia

Questa pratica è comunissima in Italia, anche perché collegata alla posizione supina del parto. Nel 2000 la subivano in media il 70% delle donne che hanno partorito in modo spontaneo. Alle partorienti viene detto che serve per ridurre le lacerazioni, ma di fatto l’OMS la considera utile soltanto in casi specifici, stimati intorno al 20%. L’episiotomia di routine infatti non è priva di rischi ed è collegata all’aumento di lacerazioni di terzo e quarto grado delle pareti vaginali e delle disfunzioni del muscolo sfintere anale. L’episiotomia può rendere l’avvio dell’allattamento problematico, per via del dolore a stare sedute e della difficoltà a trovare una posizione comoda; il dolore può addirittura provocare l’inibizione del riflesso ossitocinico di emissione del latte. In questo caso, si può ricorrere a tecniche di rilassamento (per favorire il riflesso ossitocinico) e a farmaci analgesici contro il dolore. Ovviamente, un aiuto competente per l’allattamento può rivelarsi prezioso. Non da ultimo, le donne che hanno subìto l’episiotomia a volte impiegano diversi mesi prima di riuscire ad avere rapporti sessuali non dolorosi e possono più frequentemente andare incontro a perdite urinarie.

Il colostro è un vero e proprio immunizzante, il suo contenuto in proteine è infatti 2,3g/l, sensibilmente maggiore al latte cosiddetto maturo. La maggior parte di queste proteine è costituita da anticorpi, lattoferrina, fattori di crescita che aiutano la mucosa intestinale del bambino a maturare, diventando meno permeabile ai batteri. Il colostro, come il latte, favorisce anche l’eliminazione del meconio e lo sviluppo dei villi intestinali, aiutando il neonato ad adattarsi al nuovo ambiente extrauterino e all’alimentazione parenterale.

  • L’analgesia epidurale

Per la riduzione del dolore durante il travaglio di parto, l’OMS ha riconosciuto l’efficacia di varie tecniche quali un’assistenza personalizzata alla madre, il fatto di non costringerla ad assumere posizioni scomode o comunque pilotate, il preservarne l’intimità evitando rumori e visite eccessive e la creazione di un ambiente raccolto e piacevole. Questi interventi, oltre a essere privi di conseguenze per la salute, favoriscono l’autostima della donna e sono privi di effetti collaterali, pur essendo efficaci sia nel ridurre il dolore sia nel rendere più facile e veloce il travaglio.


Eppure oggi l’anestesia epidurale viene presentata come un mezzo moderno e normale di superare il problema del dolore nel modo più semplice: eliminandolo con un farmaco. Ma a quale prezzo?


È noto che il ricorso all’epidurale fa aumentare statisticamente il numero di parti operativi, le episiotomie, le infusioni di ossitocina sintetica. Ha inoltre effetti sull’adattamento neonatale, poiché rende il neonato più sonnolento nel dopo-parto e meno abile nella suzione al seno. Ne scrive il dottor Rapisardi, neonatologo: “Come tutti gli interventi medici può avere specifiche indicazioni ma può avere effetti collaterali indesiderati e interferire con i meccanismi fisiologici. Dalle evidenze sappiamo in sintesi che l’analgesia epidurale comporta un prolungamento dei tempi del travaglio, una maggiore necessità di uso di ossitocina, un maggior rischio di parti strumentali ma non di cesarei né effetti negativi sul feto o sull’outcome perinatale e neonatale valutati in termini di ossigenazione fetale, indice di apgar, equilibrio acido-base, incidenza di patologie che richiedono il ricovero in Patologia Neonatale8”, ma prosegue “l’analgesia altera la dinamica neuroendocrina (e psicoaffettiva e relazionale) e quindi non può che ridurre, in condizioni di fisiologia, l’iniziativa, la proposività del neonato e costituire un qualcosa che è come se abbassasse l’intensità emotiva dei primi scambi relazionali. Sono effetti ancora troppo spesso misconosciuti o sottovalutati dagli operatori sanitari e di cui le madri spesso non vengono correttamente informate”9.


Alcuni studi mostrano effetti dell’epidurale sull’allattamento e altri no, forse perché l’influenza di questa pratica sull’allattamento è data da una serie di fattori estremamente variabili, relativi sia al tipo sia alla quantità del cocktail di farmaci usati, e inoltre alla motivazione e alle informazioni delle madri, e al tipo di assistenza ricevuta dopo il parto. Alcuni studi però mostrano effetti sulla creazione del legame madre-bambino che durano addirittura mesi; d’altra parte è noto che in alcuni casi sono necessarie settimane affinché il neonato elimini il farmaco10.


Spesso le mamme chiedono l’epidurale perché non vengono informate degli effetti collaterali oppure perché, a causa del tipo di assistenza, il travaglio risulta talmente disturbato che non riescono a sopportarlo oltre. Il fatto è che l’epidurale ormai è un servizio offerto dalla maggior parte dei reparti maternità, ed è facile lasciarsi attirare da una tentazione così forte come quella di non sentire dolore durante una delle esperienze della vita in cui questo può essere intenso oltre ogni aspettativa. Forse, se tutte le donne ricevessero un’assistenza che tutelasse il bisogno di un ambiente intimo e raccolto, di tempo, di essere accompagnate con rispetto, di potersi muovere e mangiare – se venisse cioè offerta a tutte la possibilità di conoscere e sperimentare le tecniche naturali di riduzione del dolore – allora sarebbero molte di meno quelle interessate a ricevere l’epidurale. Per favorire il processo di scelta informata bisognerebbe però che l’analgesia fosse considerata non tanto una possibilità in più a costo zero, quanto un intervento medico con pro e contro.

  • Taglio Cesareo

Tutti sanno che in Italia si fanno troppi cesarei; in effetti è impressionante sapere che lo subiscono il 37,8% delle partorienti (dati 2008, in leggera crescita rispetto agli anni precedenti), specie a fronte del fatto che l’OMS ritiene giustificato, per la salute di mamme e bambini, un tasso di cesarei del 10-15%. Nel 2008, ci sono stati 544.718 nati (fonte CEDAP), e 204.908 donne hanno subìto un cesareo, di cui probabilmente quasi due terzi senza indicazioni cliniche serie! Parte dei cesarei avviene probabilmente per motivi di convenienza economica, difatti, secondo il CEDAP, i cesarei sono in percentuale molto più numerosi nelle strutture private.

In Italia il tasso di parti cesarei è oltre il doppio di quello ritenuto accettabile dall’OMS. Si registrano grandi differenze fra ospedali pubblici e privati, come si vede dalla tabella. I cesarei sono più numerosi nei piccoli ospedali e nel sud del Paese: il record lo detiene la Campania con il 59,8%, seguita da Sicilia (53,1) e Puglia (48,4). Le regioni con tassi più bassi di cesarei sono: Friuli Venezia Giulia e Toscana (23%), Val d’Aosta, Trentino, e Lombardia (dal 25 al 28%).


Benché l’operazione del cesareo sia oggi relativamente sicura rispetto al passato, si tratta comunque di un intervento chirurgico addominale maggiore che, come minimo, rende più difficile la ripresa dopo il parto, e provoca necessariamente una maggiore separazione fra madre e bambino. Forse non tutti sanno che il cesareo aumenta il rischio di mortalità materna di quattro volte.


Per quanto riguarda l’allattamento, questo spesso inizia con maggiori difficoltà dovute a vari fattori:

MADRE

Il dolore nei giorni successivi all’intervento può comprensibilmente distogliere le madri dalle cure al neonato e dall’allattamento, oltre a rendere più difficile l’adattamento a una presa comoda del bambino e a una posizione confortevole per allattarlo. Alle volte possono verificarsi complicazioni successive all’intervento che richiedono il ricovero, come nel caso delle infezioni.


Il colostro e il latte delle madri che hanno partorito con cesareo senza aver travagliato contengono meno β-endorfine, gli ormoni del piacere che favoriscono la dipendenza reciproca madre-neonato, oltre ad avere effetto anti-dolorifico.


La madre che partorisce col cesareo non può contare sul rilascio di ossitocina naturale al momento del parto, che favorisce la creazione del legame e l’inizio dell’allattamento. Spesso quindi la montata lattea tarda ad arrivare: proprio per questo sarebbe ancora più importante che il bambino potesse succhiare spesso nei primi giorni, mentre di solito ciò è ancora più difficile da mettere in pratica.

Bebè

Il neonato venuto al mondo attraverso un cesareo non riceve tutti quegli stimoli ormonali che ne facilitano l’adattamento, con conseguenze a vari livelli, di entità maggiore in caso di cesareo d’elezione, cioè quando non vi è stato travaglio:


- i bambini nati da cesareo hanno più spesso problemi respiratori;


- hanno temperatura e livelli glicemici mediamente inferiori;


- sia a causa del mancato travaglio sia a causa degli effetti dovuti all’anestesia che ha ricevuto la madre, i nati da cesareo sono meno attivi nel primo contatto con la madre, e quindi anche nelle loro competenze psico-motorie fra cui quelle relative all’allattamento. Capita quindi relativamente spesso che il neonato nato da cesareo sia meno interessato al seno materno, o troppo debole per succhiare in modo efficace;


- l’estrazione dalla pancia della mamma può provocare più spesso rispetto al parto spontaneo dei problemi di disallineamento delle ossa del cranio, che potrebbero influire sulla capacità di succhiare al seno e rendere necessario l’intervento di un osteopata.


- va infine aggiunto che in assenza di travaglio, il sistema immunitario non riceve i normali stimoli che lo attivano; inoltre, il non passare attraverso la vagina materna ritarda e altera la colonizzazione batterica delle mucose del neonato, fra cui quelle intestinali. Questo potrebbe comportare eventuali conseguenze per la salute del bambino anche a lungo termine, pertanto sarebbe ancora più importante favorire il contatto pelle-a-pelle dopo l’intervento e nei giorni successivi, insieme al nutrimento biologico.


Tuttavia, la separazione subito dopo la nascita di mamma e bebè in caso di cesareo avviene ancora più spesso, ed è un’altra causa di difficoltà nell’avvio dell’allattamento (vedi paragrafo successivo). Proprio in questi casi, quindi, diventa prioritario consentire alla coppia madre-bambino la possibilità di avere un contatto fisico pelle-a-pelle il prima possibile, e di stare vicini. Soprattutto, quello che può fare la differenza è un aiuto pratico competente per l’allattamento, cosa che in molti punti nascita possiamo dire che tuttora per vari motivi non avviene.


Nei giorni successivi al parto, esistono farmaci antidolorifici perfettamente compatibili con l’allattamento che la mamma può chiedere e assumere per rendere la gestione delle poppate meno difficoltosa.

“Effetto domino”

Si pensi a quando si mettono in fila le tesserine del domino, e dando un colpetto alla prima si fa cadere tutta la fila, Ebbene, il problema delle pratiche mediche descritte fin qui è che, andando a turbare un processo fisiologico delicato come il travaglio di parto, molte volte si crea un effetto analogo al domino o, per usare le parole della Smith e della Kroeger un effetto “a cascata”: un primo intervento ne provoca poi tutta una serie, con conseguenze che si sommano tra loro e che culminano spesso con il turbare il momento del primo contatto madre-bambino. Secondo queste autrici, ogni intervento che possa influenzare lo stato emozionale della madre, influirà anche sulla qualità del primo contatto che avrà con il suo bambino.

Secondo Linda J. Smith e Mary Kroeger, autrici del libro Impact of Birthing Practice on Breastfeeding (Jones and Bartlett Publishers, 2010) affinché l’allattamento possa iniziare con facilità occorre: a) che il neonato desideri attaccarsi al seno e sia capace di succhiare, b) che la madre desideri tenere il bambino fra le braccia e lasciarlo succhiare per tutto il tempo che vuole e c) che l’ambiente circostante sostenga la madre in modo che si senta libera di tenere con sé il neonato e di allattarlo spesso di giorno e di notte. Le autrici documentano molto chiaramente e con una ricca bibliografia scientifica come le pratiche di assistenza al parto oggi più diffuse sembrano congegnate apposta affinché nessuna di queste tre circostanze si verifichi!

Il contatto pelle-a-pelle fra la mamma e il neonato e la prima poppata

Sono ormai evidenti e numerose le prove di quanto sia deleterio separare mamma e bambino immediatamente dopo il parto (salvo ovviamente in caso di intervento salvavita necessario per la madre o il neonato). In parallelo, via via che gli studi vengono pubblicati, si fanno sempre nuove e strabilianti scoperte sulle intricate relazioni che si stabiliscono fra la coppia madre-neonato durante quei minuti che seguono la nascita, se il bebè viene asciugato, avvolto in un telo tiepido e lasciato insieme alla madre, pelle-apelle, per almeno un’ora o più, secondo le circostanze e il desiderio della madre. Addirittura da anni viene descritta la pratica del Breast Crawl11, ovvero l’arrampicata sul seno, che testimonia l’abilità del neonato nel trovare da solo il seno materno e attaccarvisi, subito dopo il parto, se messo nudo sulla pancia della madre. Spesso le madri, istintivamente, toccano il bambino, lo prendono in braccio e lo aiutano ad attaccarsi al seno… comunque, favorire il contatto fra mamma e bebè alla nascita, senza disturbare, è una pratica a costo praticamente zero che però comporta benefici non misurabili in termini di salute e benessere, e possiamo definirla un diritto di ogni coppia madre-bambino.


Riportiamo qui i principali effetti dimostrati del contatto pelle-a-pelle subito dopo il parto:

  • Migliore salute per il neonato: il neonato esce sterile dall’utero materno e viene immediatamente colonizzato da miliardi di micro-organismi. Il passaggio attraverso il canale del parto e il contatto pelle-a-pelle con la madre implica che questi micro-organismi siano quelli che fanno parte dell’ambiente materno. Questo è particolarmente importante per il sistema immunitario del lattante e per il tratto digerente gastro-intestinale, e funziona come protezione dalle infezioni. La suzione al seno fa sì che il lattante assuma subito il prezioso colostro, con tutti i suoi fattori protettivi dalle infezioni e stimolanti del sistema immunitario. La suzione favorisce anche l’eliminazione del meconio, prevenendo l’ittero.
  • Migliore adattamento fisiologico: il contatto con il corpo materno dopo la nascita aiuta il neonato nell’adattamento fisiologico al nuovo ambiente. Il petto materno funziona da vero e proprio termostato, e i neonati posti a contatto con la madre mostrano temperature corporee maggiori di quelli vestiti e posti nelle culle termiche, come anche un tasso più alto di glucosio nel sangue. Questi effetti sulla temperatura sono visibili addirittura il giorno dopo! I bambini messi a contatto con la madre piangono di meno, e hanno livelli di stress ridotti: tutti fattori che fanno consumare energie al neonato influendo sui parametri metabolici.
  • Minore rischio di emorragia per la mamma: Quando il neonato è a contatto con la madre, e succhia al suo seno o lecca il capezzolo, la madre produce alti picchi di ossitocina, che aiutano l’utero a contrarsi e ad espellere così la placenta.
  • Odore: I neonati hanno un olfatto particolarmente sviluppato, che è ancora più acuto durante i primi 20-30 minuti dopo il parto. Si ipotizza che la percezione dell’odore materno potrebbe rivestire un ruolo importante nel facilitarne l’adattamento all’ambiente extrauterino e la creazione del legame. Gli studi mostrano infatti che i neonati tenuti a contatto con le loro madri per almeno 50 minuti subito dopo il parto sono più abili, nei giorni successivi, nel riconoscere l’odore del latte della propria madre. Dal momento che il riconoscimento individuale è un prerequisito necessario per lo stabilirsi di ogni relazione sociale esclusiva, come quella madre-figlio, il ruolo giocato dall’olfatto nell’apprendere a riconoscere la madre subito dopo il parto potrebbe favorire questo processo.
  • Legame madre-bambino (bonding) favorito: è dimostrato che le madri che hanno avuto un contatto pelle-a-pelle con i loro neonati scelgono più spesso il rooming-in (cioè la sistemazione che prevede mamma e bambino insieme 24 ore su 24). Inoltre, le madri che hanno avuto la possibilità di tenere il neonato a contatto dopo il parto, e di averlo vicino nei giorni successivi, partecipando attivamente alle sue cure, mostrano statisticamente (sottolineiamo statisticamente) comportamenti più affettuosi nei suoi confronti, con differenze che si vedono anche molti mesi dopo12. Non è strano, se si pensa a quanto intensi emotivamente sono i momenti che seguono la nascita, e a quali tempeste ormonali la natura ha previsto accompagnare questi momenti.
  • Minori probabilità di difficoltà con l’allattamento. Molte ricerche hanno provato infatti che, in condizioni fisiologiche, il bebé alla nascita ha un riflesso di suzione molto forte, e che assecondarlo facilita l’apprendimento di una corretta tecnica di allattamento.
  • Qualità e durata allattamento: vi sono ormai diverse evidenze che collegano il contatto pelle-a-pelle dopo il parto con una maggiore durata dell’allattamento, e con una sua migliore qualità. Questo effetto sembra verificarsi soltanto se la durata del contatto pelle-a-pelle è superiore a circa 50 minuti. Alcuni autori ipotizzano un ruolo della risposta ormonale a breve termine suscitata nella madre dal contatto precoce: ci si chiede dunque se sia possibile che un’attivazione elevata del sistema ormonale materno nell’immediato post-parto possa avere sulla madre effetti fisiologici e psicologici duraturi, che si manifesterebbero con una migliore qualità e maggiore durata dell’allattamento.

Eppure… sono ancora relativamente scarsi gli ospedali che in Italia favoriscono questa pratica dal rapporto costi-benefici favorevole sotto tutti i punti di vista, e dove se ne parla alle future mamme che frequentano i corsi di preparazione al parto. Spesso si sente parlare di contatto pelle-a-pelle come una di una pratica alternativa e gli viene data una valenza puramente emotiva e un po’ naïve o peggio, non degna di Paesi industrializzati. Ancora più spesso, questo contatto viene disturbato da pratiche che la stessa Organizzazione Mondiale della Salute suggerisce di rimandare, quali il taglio del cordone, la somministrazione di vitamine, l’aspirazione delle vie aeree (che andrebbe fatta solo se necessaria e in modo delicato), la pesata e la visita. Ben poche madri vengono informate del fatto che il taglio del cordone se effettuato prima di tre minuti può privare il neonato del 30% o più di sangue, con la conseguenza che nei mesi successivi avrà scorte di ferro inferiori alla norma. Riguardo all’accanimento con cui nella maggior parte dei reparti maternità si continua a separare le madri dai neonati, turbando il delicatissimo momento del primo contatto, il pediatra John Kennel, afferma “C’è una tendenza umana nell’accettare ciecamente come normali o ideali le pratiche che fanno parte della nostra cultura nazionale, regionale o etnica, o della cultura medica in cui ci siamo formati o lavoriamo. Convincere la gente ad abbandonare queste pratiche, anche se si offre loro la prova degli effetti negativi ad esse connessi, può rappresentare una dura sfida.”13 L’importanza che viene data a questa pratica si vede anche dal fatto che non vi è raccolta di dati su questo aspetto all’interno del Cedap.

La dottoressa pinguina, subito dopo aver estratto la sorellina di Pingu dall’uovo da lei stessa rotto, la visita e la pulisce… interferendo così col primo contatto fra la neonata e la madre. Non ci meravigliamo poi se dopo qualche minuto appena… Si veda a pag. 112.

Il diritto a una assistenza basata sulle evidenze scientifiche

Alla luce dell’importanza che si dà oggi all’allattamento per la salute, sembra strano che queste pratiche di assistenza al parto potenzialmente dannose siano state adottate come routine, e rimangano in vigore anche quando migliorare l’assistenza richiederebbe davvero pochi sforzi, come ad esempio il lasciare la mamma libera di muoversi, mangiare, bere e travagliare in un ambiente accogliente ed intimo.


Se si crede che ogni paziente abbia il diritto a ricevere le migliori cure possibili, basate sulle evidenze scientifiche più recenti e soprattutto documentate (quello che si chiama EBM, dalla parola inglese evidence based medicine14), tanto più dovrebbe essere fuori discussione questo diritto per la partoriente e per il suo bambino, mentre abbiamo visto che non è così, o almeno non lo è dappertutto.


Attuando protocolli di assistenza alla nascita che non prevedono il rispetto delle indicazioni OMS, anziché investire in salute o in prevenzione, si incrementa il ricorso a interventi medici che possono risultare pericolosi, promuovendo l’uso di farmaci (quando invece da più parti ci viene detto che ne consumiamo troppi) e riducendo sempre più la partoriente a una passiva paziente e il parto a un evento medico. Questo approccio sottrae alla madre il ruolo di protagonista sana di un evento naturale, e delega la gestione del travaglio agli “specialisti” e alle macchine di cui ormai non riescono più a fare a meno.


Eppure, già nel 1989 l’OMS, nel documento Allattamento al seno, protezione incoraggiamento e sostegno, affermava che “Il modo in cui una donna vive il travaglio e il parto influenza la sua motivazione all’allattamento al seno e la facilità con cui lo intraprende. La comprensione delle sue esigenze da parte del personale sanitario, incluso il rispetto per la sua dignità e intimità, contribuiscono a farla sentire a proprio agio. Per ridurre al minimo i disagi provocati dal travaglio, la donna dovrebbe potersi muovere, assumere la posizione più comoda e avere vicino un familiare o una persona di fiducia che la accompagni e la conforti. Questi semplici accorgimenti possono ridurre la durata del travaglio e la necessità di ossitocina, sedativi, analgesici e anestetici”15. L’OMS ha poi pubblicato nel 1985 le Raccomandazioni per una tecnologia appropriata per la nascita e nel Rapporto 1996, in cui tali raccomandazioni sono state rivedute, riafferma che “Il fine di una moderna medicina perinatale è quello di ottenere una madre e un bimbo in perfetta salute con il livello di cure più basso compatibile con la sicurezza: in una gravidanza fisiologica bisogna trovare una buona giustificazione prima di mettere in atto qualsiasi intervento ostetrico.”16

L’empowerment della mamma

L’assistenza migliore alla donna gravida, alla partoriente e alla puerpera è quella che viene offerta fornendo le informazioni giuste e complete in modo discreto, dando importanza all’ascolto dei sentimenti e dei bisogni che essa manifesta e soprattutto incoraggiandola a prendere le decisioni, quando possibile, conferendole così autonomia e lasciando a lei stessa la responsabilità finale nella cura di sé e del bambino. Tutto questo si chiama “empowerment”, ed è il contrario di quanto abbiamo prima descritto, cioè della mamma oggetto passivo di consigli e non più padrona né capace di prendere le decisioni. Perché si afferma questo? Perché l’empowerment consente di ottenere, con i minori costi per il sistema sanitario e sociale, le massime ricadute per la coppia madre-bambino in termini di salute e sviluppo di un sano rapporto, molto più che non la delega a esperti delle decisioni inerenti al parto o alla cura e nutrizione del bambino. Tutto ciò è documentato, e negli anni aumentano sempre di più le evidenze a favore di questo tipo di approccio; pur tuttavia nella pratica quello a cui si assiste è una medicalizzazione sempre maggiore di gravidanza e parto.


Questo fenomeno rispecchia in parte l’affermazione, in relazione a un evento come il parto, di uno strano concetto di sicurezza, secondo cui tutto è lecito pur di eliminare ogni possibile rischio derivante da un mancato intervento. Però non si considerano i rischi derivanti da un intervento inutile, o forse a questi non viene dato peso, e questo è un atteggiamento comune nei sanitari e forse ancora di più nella gente comune. Si sono un po’ perse di vista priorità quali il godimento di una esperienza positiva, la salvaguardia maggiore possibile della naturalità di un evento per certi versi ancora misterioso e sacro, e la considerazione del neonato a tutti gli effetti come una persona con istinti, capacità, aspettative ed esigenze; mentre in parallelo si è persa la fiducia nel fatto che la donna è in grado di partorire e che la stragrande maggioranza dei parti, se non disturbati, è a norma.


Oggi molti sanitari sono poi costretti a praticare un modello di cure volto a cautelarsi da possibili denunce legali, più che a minimizzare gli interventi medici potenzialmente dannosi.


Paura da una parte, paura dall’altra, ecco che anche in questo caso si torna al meccanismo di “gatto che si morde la coda”.


Secondo l’approccio che favorisce l’empowerment, il ruolo di protagonista delle proprie scelte e del parto spetta alla madre, mentre la figura dell’operatore sanitario rimane in disparte, e tuttavia le sue competenze professionali ne risultano valorizzate e acquistano ancora maggior significato: non si tratta più di prendere decisioni e fornire consigli a qualcuno ma di creare ogni volta, in maniera personalizzata, un’interazione reciproca fatta soprattutto di ascolto e sostegno offrendo, nel contempo, informazioni corrette, il più possibile chiare e aggiornate, senza la pretesa di influenzare le scelte di chi siede di fronte, e nel rispetto delle sue decisioni.


Questo processo è soprattutto culturale e richiede per la sua attuazione un grande sforzo certo da parte degli operatori sanitari, ma anche e soprattutto dalle madri stesse, da troppo tempo abituate a delegare persino decisioni che non hanno a che fare con questioni mediche e a sopportare le routine ospedaliere come un male necessario. Teniamo inoltre conto che le puerpere, durante la degenza nei reparti maternità, spesso sono incapaci di reagire a pratiche e terapie che subiscono contro la loro volontà, in quanto stanno vivendo un momento speciale in cui sono particolarmente fragili. Le neo-madri si sentono inesperte e in posizione di inferiorità rispetto al personale ospedaliero, non fosse altro che per il fatto che loro stanno lì in camicia da notte, magari senza neppure potersi muovere agevolmente a causa della pancia, di un recente cesareo o di procedure mediche in atto, mentre gli operatori sono a un livello di altezza superiore, indossano un camice e talvolta, non per cattiva volontà quanto per stanchezza o assuefazione alla routine quotidiana, hanno modi di fare invadenti, sbrigativi e poco rispettosi dell’eccezionalità dell’evento che ogni nascita rappresenta. Sarebbe da ricordare a queste persone che quello che per loro costituisce la routine, per ogni mamma è un evento unico, che potrà ripetersi al massimo tre o quattro volte nella sua vita…

Quando il bambino è nato

La maggior parte degli ospedali italiani non pratica ancora il roomingin, ovvero la condivisione della stanza di madre e neonati 24 ore su 24, oppure lo pratica in maniera parziale. Questo malgrado siano innumerevoli le evidenze a favore di questa pratica, di cui sono documentate le positive ricadute sull’allattamento e sulla capacità della madre di prendersi cura del bambino. Secondo gli studi dell’ostetrica inglese Suzanne Colson, l’adattamento neonatale è favorito dal biological nurturing, o nutrimento biologico, ovvero dallo stare prono sopra il corpo della madre semisdraiata per diverse ore al giorno: per mangiare, per riposare o durante la veglia. Questa posizione consentirebbe al neonato una completa e migliore attivazione degli istinti primari che gli consentono di cercare il seno, attaccarsi e poppare in modo efficace, oltre che come stimolo al suo sistema gastro-intestinale, respiratorio, cardiaco e neurologico17.


La separazione provoca un ritmo di poppate distanziate, con maggiore rischio di ittero e soprattutto favorisce la somministrazione al neonato di biberon di soluzioni glucosate o latte artificiale, proprio nei giorni in cui il seno materno produce a gocce il preziosissimo colostro.


Da anni è noto che le aggiunte, siano esse di acqua zuccherata o latte artificiale, espongono il neonato a maggiori rischi di infezione, di allergie e di intolleranze. Un neonato che succhia al biberon potrà poi confondersi quando si attacca al seno, non solo per le dimensioni e la rigidità della tettarella, ma anche perché il meccanismo di suzione è molto diverso. Anche pochi grammi di aggiunta lo faranno sentire sazio, a discapito dell’assunzione del colostro.


In pratica, offrendo a un neonato aggiunte di latte artificiale o soluzione glucosata:


- si sostituisce un cibo prezioso e su misura con un’alternativa nettamente inferiore dal punto di vista nutritivo, allergizzante e priva di fattori protettivi, nonché potenzialmente contaminata se si tratta di latte in polvere.


- Si interferisce con il delicato meccanismo di domanda-offerta e si confonde il neonato nella delicata fase in cui sta imparando a succhiare dal seno.


- Se questo non fosse sufficiente, le aggiunte precoci somministrate dal personale ospedaliero mandano alla mamma l’implicito messaggio che il suo latte deve essere integrato, non favorendo certo la sua autostima.


- Oggi sappiamo anche che le aggiunte durante la prima settimana di vita costituiscono una sorta di iperalimentazione, rendendo i neonati a maggiore rischio di diventare sovrappeso da grandi, con tutte le conseguenze per la salute che questo comporta18.


Un’altra curiosa abitudine di molti reparti maternità è quella di consegnare alle dimissioni una cartella con i dati relativi al bambino e alcune indicazioni sulla sua alimentazione. In molti casi queste cartelle contengono indicazioni sulla superiorità dell’allattamento, salvo poi prevedere la prescrizione di latte artificiale, di cui viene debitamente specificata la marca, giusto in caso il latte materno fosse scarso o mancante.


Una simile prescrizione implica di per sé l’equivalenza di questi diversi tipi di alimentazione, e in questo senso non contribuisce a fornire informazioni complete alla mamma. A volte le cartelle forniscono istruzioni per l’allattamento, ma non sempre queste sono corrette, e quasi mai indicano alla madre come assicurarsi che il bambino stia prendendo abbastanza latte.


Oggi, la legge italiana vieta che nelle lettere di dimissione ci siano spazi appositi per la prescrizione di latte artificiale generalizzata a tutte le mamme, mentre andrebbe data solo a quelle che ne hanno effettivo bisogno19. Tuttavia anche in questo caso la pratica dimostra che è difficile abbandonare usanze consolidate, e lo diventa ancora di più quando ci sono di mezzo forti interessi economici, come nel caso dell’alimentazione della prima infanzia.

Cambiare i reparti maternità: l’iniziativa “Ospedale Amico dei bambini”

Nel 1991, gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’UNICEF si sono riuniti a Firenze, presso l’Istituto degli Innocenti e durante l’incontro, che si è svolto in due giornate, hanno redatto un importante documento, la Dichiarazione degli Innocenti, nella quale erano indicati “10 passi” che ogni struttura sanitaria avrebbe dovuto attuare per promuovere in modo concreto l’allattamento al seno. L’anno successivo, allo scopo di incoraggiare un grande numero di strutture sanitarie ad applicare i “10 passi”, l’UNICEF ha lanciato la Baby Friendly Hospital Initiative (BFHI) o Iniziativa Ospedale Amico dei Bambini. Questa prevede che tutti i reparti maternità che si impegnano a rispettare ognuno dei 10 passi e a non accettare forniture gratuite o a basso prezzo di latte artificiale, possano ottenere il riconoscimento di Ospedale Amico dei Bambini. Una commissione di esperti, coordinata dalla stessa UNICEF, affianca le strutture durante il processo che porterà progressivamente a rispettare tutti i passi e provvede alle opportune valutazioni che, se superate in modo positivo, danno accesso al riconoscimento. Attualmente sono più di 19.000 gli ospedali Amici dei Bambini nel mondo, oltre 20 nel nostro Paese (per informazioni, rivolgersi al Comitato Italiano per l’Unicef). Oggi una ricca bibliografia documenta come applicare i 10 passi porta ricadute positive in termini di soddisfazione materna e aumento dei tassi di allattamento. I 10 passi sono stati aggiornati e revisionati nel 2009, e sono:

  1. Definire un protocollo scritto per l’allattamento al seno da far conoscere a tutto il personale sanitario.
  2. Preparare tutto il personale sanitario per attuare compiutamente questo protocollo.
  3. Informare tutte le donne in gravidanza dei vantaggi e dei metodi di realizzazione dell’allattamento al seno.
  4. Mettere i neonati a contatto pelle-a-pelle con la madre immediatamente dopo la nascita per almeno un’ora, ed incoraggiare la madre a capire quando il neonato è pronto per poppare, offrendo aiuto se necessario.
  5. Mostrare alle madri come allattare e come mantenere la secrezione lattea anche nel caso in cui siano separate dai neonati.
  6. Non somministrare ai neonati alimenti o liquidi diversi dal latte materno, tranne che su precisa prescrizione medica.
  7. Sistemare il neonato nella stessa stanza della madre (rooming-in), in modo che trascorrano insieme ventiquattr’ore su ventiquattro durante la permanenza in ospedale.
  8. Incoraggiare l’allattamento al seno a richiesta tutte le volte che il neonato sollecita nutrimento.
  9. Non dare tettarelle artificiali o succhiotti ai neonati durante il periodo dell’allattamento.
  10. Promuovere la collaborazione tra gli operatori della struttura, il territorio, i gruppi di sostegno e la comunità locale per creare reti di sostegno a cui indirizzare le madri alla dimissione dall’ospedale.

Oggi l’iniziativa comprende nella sua edizione aggiornata una parte riguardante l’assistenza al parto, che prevede i seguenti punti a cui si dovrebbero attenere gli ospedali, diventando così amici delle madri oltre che dei bambini):

  • incoraggiare la donna a identificare una persona di sua scelta che le garantisca un supporto continuo fisico e emozionale durante il travaglio e il parto se lo desidera;
  • permettere alla donna di bere e mangiare cibi leggeri durante il travaglio se lo desidera;
  • incoraggiare la donna a utilizzare metodi non farmacologici per il controllo del dolore a meno che analgesici o anestetici non siano necessari a causa di complicazioni, nel rispetto delle preferenze personali della donna;
  • incoraggiare la donna a camminare e muoversi durante il travaglio se lo desidera e a assumere la posizione che preferisce per partorire, a meno che non ci siano restrizioni specifiche dovute a complicazioni che in questo caso devono essere spiegate alla donna;
  • assistere la donna senza ricorrere a atti invasivi quali la rottura delle membrane, episiotomia, accelerazione o induzione del travaglio, parto strumentale o taglio cesareo, a meno che non siano necessari a causa di complicazioni che in questo caso devono essere spiegate alla donna20.

Tutte le mamme hanno il latte - 2a edizione
Tutte le mamme hanno il latte - 2a edizione
Paola Negri
Quello Quello che tutti dovrebbero sapere su allattamento e alimentazione artificiale.Allattamento e alimentazione artificiale: quali sono i motivi che portano oggi moltissime madri a ricorrere al latte artificiale? Il latte materno ha da sempre costituito il nutrimento per la specie umana, sostenendola da tempi remoti.Allora perché nel ventesimo secolo si è assistito a una drammatica diminuzione dell’allattamento al seno, a favore del latte artificiale?Quali implicazioni sta avendo questo cambiamento di stile di vita sulla salute psico-fisica e sullo sviluppo dei bambini?È proprio vero che allattare è una questione di fortuna, o sono altri i motivi che portano molte mamme a ritenere di non avere latte a sufficienza, o che il loro latte non sia adeguato?Paola Negri, consulente professionale IBCLC ed educatrice perinatale, in Tutte le mamme hanno il latte vuole dare una risposta a queste domande, spiegando in modo chiaro ed esauriente i motivi che portano oggi moltissime madri a ricorrere al latte artificiale.Non si tratta di un testo rivolto esclusivamente a genitori e futuri genitori, ma anche a educatori, medici, operatori sanitari e a tutti coloro che hanno a che fare con mamme e bambini piccoli. Conosci l’autore Paola Negri si occupa di allattamento da oltre 15 anni; è stata consulente volontaria per La Leche League Italia e successivamente è diventata consulente professionale IBCLC ed Educatrice Perinatale, lavorando con donne in attesa e madri, e nella formazione specifica a gruppi di auto-aiuto e operatori sanitari. Opera da anni in associazioni come MAMI e IBFAN Italia (di cui è presidente) in attività di sostegno, promozione e protezione dell’allattamento.Si occupa inoltre di decrescita e di alimentazione, per cui ha scritto diverse pubblicazioni.