Perché parlare ancora di svezzamento?

Il termine svezzamento ha il significato letterale di “togliere un vezzo”, ossia perdere il vizio del latte, abitudine impropriamente considerata dannosa. Il fine dello svezzamento è, in realtà, quello di condurre il bambino verso le abitudini alimentari della famiglia, facendogli sperimentare alimenti, consistenze e sapori nuovi. Rappresenta dunque il passaggio da un’alimentazione esclusivamente lattea ad un’alimentazione caratterizzata dall’introduzione di alimenti solidi, fino ad acquisire gradualmente il modello di dieta familiare.


È una tappa importante per il bambino e per i genitori, una fase di transizione che si estende fino ai 24 mesi. Deve avvenire gradualmente, rispettando le esigenze e i tempi del piccolo che continuerà comunque ad assumere il latte come alimento principale. Ecco perché il termine di “alimentazione complementare” meglio si presta a definire questa fase.


Può sembrare un momento fisiologico e naturale. Da piccoli ci siamo trovati in molti a far finta di dar da mangiare a una bambola o a un peluche, imboccandolo serenamente con il cucchiaino. Ma allora sono davvero necessarie guide e indicazioni?


Sì, l’introduzione di alimenti diversi dal latte non ha esclusivamente la funzione di soddisfare i fabbisogni nutrizionali del bambino; abbiamo spesso infatti una visione miope del ruolo dell’alimentazione, focalizzata sulla crescita in peso e altezza e sulla salute a breve termine. Le prime fasi della vita hanno, in realtà, un’influenza significativa sulla salute dell’adulto.

L’epigenetica, la scienza che studia gli effetti dell’ambiente sul nostro DNA, ci ha insegnato che ciò che mangiamo, sin dal grembo materno, interferisce con il nostro patrimonio genetico determinando modificazioni che possono manifestarsi durante l’infanzia, l’età adulta o persino nelle generazioni successive alla nostra1. La nutrizione nelle prime età della vita può così avere un impatto a lungo termine sulle cosiddette malattie non trasmissibili quali obesità, patologie cardiovascolari e diabete di tipo 22.


Ad aprire la strada a questo concetto è stata la cosiddetta “ipotesi di Barker”. Alla fine degli anni Ottanta, una ricerca epidemiologica evidenziò come i figli di donne olandesi, che soffrirono la fame durante la Seconda Guerra Mondiale a causa dell’embargo, presentavano, da adulti, un aumento dell’incidenza di diabete, obesità e ipertensione. David Barker, epidemiologo inglese, introdusse il concetto di programmazione, secondo cui il feto programma il funzionamento dei suoi organi e il suo metabolismo in relazione alle informazioni che riceve dall’ambiente. Il feto risponde a un ambiente povero di nutrienti costruendo una “macchina” che consuma poco, il cosiddetto “fenotipo risparmiatore”. Se, dopo la nascita, l’apporto di nutrienti diventa abbondante, i meccanismi di adattamento che ha sviluppato si rivelano non più appropriati al contesto; l’organismo andrà così incontro allo sviluppo di malattie che si manifesteranno in età adulta3.


Questo concetto si è molto sviluppato negli ultimi anni fino alla formulazione della teoria delle origini embrio-fetali delle patologie croniche (DOHaD theory4), a sottolineare il riconoscimento del ruolo dell’ambiente, sia pre- che post-natale, nel plasmare traiettorie di sviluppo che influenzano la salute a breve e a lungo termine5.

L’attività epigenetica è particolarmente attiva durante la gravidanza e nei famosi primi 1000 giorni (270 della gravidanza + 365 del primo anno+ 365 del secondo anno), per la massima plasticità cellulare di questo periodo. Essere plastico significa avere la capacità di evolversi e di adattarsi. Le cellule dell’organismo, nei primi 2 anni di vita, presentano la fantastica opportunità di modificarsi in risposta agli stimoli e all’ambiente; in base alle informazioni che ricevono hanno la possibilità di assumere funzioni diverse, di creare o interrompere connessioni con le cellule vicine e di cambiare struttura. È essenziale quindi sfruttare questa opportunità dei primi anni di vita: fare bene da piccoli, per stare bene da grandi.
L’alimentazione è tra i fattori ambientali in grado di influenzare l’espressione dei geni e le informazioni scritte nel nostro DNA, attivando o disattivando circuiti biochimici in grado di programmare tessuti e organi. Tra i tessuti che in questo periodo si sviluppano in misura maggiore c’è il cervello, che risulterà quindi particolarmente sensibile alle informazioni provenienti dall’ambiente e quindi anche dalle nostre scelte a tavola6.

Dal momento che le abitudini che si instaurano dalle prime età della vita persistono nelle età successive, dobbiamo iniziare correttamente già dallo svezzamento.


Ma come mangiano i bambini italiani?

“Okkio alla salute” è un sistema di sorveglianza sul sovrappeso e l’obesità nei bambini italiani delle scuole primarie e sui fattori di rischio correlati. Pur evidenziando, nell’ultima raccolta dati del 2019, un andamento in diminuzione del fenomeno e alcuni miglioramenti nelle abitudini di vita, l’indagine sottolinea come l’eccesso ponderale rappresenti, ad oggi, un problema di salute pubblica (prevalenza di sovrappeso e obesità nei bambini a 8-9 anni pari al 20,4% e 9,4%). Emerge, ad esempio, che il 20% degli intervistati consuma frutta e verdura meno di una volta al giorno, mentre solo l’8,5% ne consuma cinque o più volte, come consigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per una corretta alimentazione. Le bevande zuccherate vengono consumate quotidianamente dal 34,6% dei bambini. L’immagine che se ne ricava è quindi, a prescindere dal peso, di bambini malnutriti… sovrappeso e malnutriti.


Non si pensi alla malnutrizione unicamente nel senso di insufficienza o scarsità di cibo. Si può essere malnutriti pur mangiando a sufficienza o, addirittura, in eccesso. In seguito alla facilità di accesso alle risorse alimentari e all’adozione di modelli dietetici scorretti si assiste alla diffusione di squilibri e carenze di vitamine e minerali fondamentali per la salute o, viceversa, ad uno sbilanciamento per eccesso tra l’assunzione di energia e nutrienti e il fabbisogno, determinando una condizione di sovrappeso.

Perché è importante evitare il sovrappeso nell’infanzia? Essere bambini obesi significa spesso essere adolescenti e adulti obesi7. L’eccesso di peso espone il bambino a rischio di malattia, sia durante l’infanzia che durante le età successive. Le conseguenze a breve termine dell’obesità in età pediatrica e in adolescenza sono: ritardo dello sviluppo motorio, asma, insulino-resistenza, diabete tipo 2, steatosi epatica, ipertensione arteriosa, sindrome delle apnee ostruttive, problematiche muscolo-scheletriche, accelerazione dello sviluppo puberale, disturbi ormonali come sindrome dell’ovaio policistico, problematiche psicologiche quale bassa autostima e isolamento sociale. La persistenza di sovrappeso e obesità in età adulta determina sindrome metabolica, malattie cardiovascolari, demenza, cancro e aumentato rischio di mortalità.


L’alimentazione gioca ovviamente un ruolo preponderante nel provocare l’eccesso di peso; si rivela quindi fondamentale intervenire sugli attuali modelli alimentari, sin dalle prime età della vita e, in questo, i genitori svolgono un ruolo determinante attraverso le loro scelte. Come avremo modo di approfondire, ad esempio, un consumo eccessivo di proteine nei primi due anni di vita può essere associato a un rischio di obesità in età scolare8,9.

Ci sono pertanto molti motivi per parlare di svezzamento e per evidenziare l’importanza di un buon inizio. Pensiamo a questa fase come a un’occasione per tutta la famiglia per rivedere le abitudini alimentari, per riscoprire alimenti che fanno parte della nostra tradizione mediterranea, ma spesso dimenticati come i legumi, la frutta secca, i cereali. Le scelte alimentari della famiglia condizioneranno le preferenze e l’accettazione dei cibi del bambino. Sfruttiamole allora, affinché l’esempio favorisca lo sviluppo di sane abitudini alimentari nei nostri figli. Il benessere lo costruiamo già dall’infanzia!


Ecco perché, prima di dare indicazioni sullo svezzamento ai genitori, il pediatra dovrebbe chiedere: “Voi cosa mangiate?”

Svezzamento: un affare di famiglia
Svezzamento: un affare di famiglia
Vera Gandini
A mangiare bene si impara da piccoli.Mamma e papà, attraverso scelte consapevoli, hanno l’opportunità di condizionare le abitudini alimentari dei loro figli, abitudini che tendono a persistere da adulti.Un libro per riflettere (anche) su quello che portiamo in tavola e migliorare il modello nutrizionale di tutta la famiglia. In una fase così importante e delicata come lo svezzamento, ogni genitore si interroga sul ruolo dell’alimentazione nella crescita del proprio bambino e si propone di utilizzare la modalità migliore, ma è solo grazie a osservazione e partecipazione che il bambino ci farà capire quando è pronto a iniziare, quando avrà fame e quando sarà sazio.Mamma e papà, attraverso scelte consapevoli, hanno l’opportunità di condizionare le abitudini alimentari dei loro figli, abitudini che tendono a persistere da adulti. I bambini, infatti, ci osservano quando facciamo la spesa, quando cuciniamo, quando mangiamo, e l’esempio è, anche in questo caso, fondamentale.Lo svezzamento rappresenta quindi un’occasione per riflettere su quello che portiamo sulle nostre tavole e migliorare il modello nutrizionale di tutta la famiglia. Le scelte alimentari dei primi anni di vita non influiscono esclusivamente sulla crescita e sulla salute a breve termine, ma si riflettono sul benessere delle età successive.Il libro Svezzamento: un affare di famiglia di Vera Gandini fa suo il motto “impariamo a mangiare bene da piccoli per stare bene da grandi”. Conosci l’autore Vera Gandini è laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Pediatria. Ha conseguito il Master di secondo livello “Alimentazione ed educazione alla salute” presso l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna.Promuove la prevenzione attraverso l’alimentazione e l’educazione a stili di vita sani, orientando le famiglie verso scelte consapevoli fin dalle prime età della vita.