Le quantità

Èl’appetito a regolare l’ingestione degli alimenti nel bambino che, se gli viene lasciata la possibilità di regolarsi, mangia in modo adeguato ai suoi bisogni. Compito dei genitori è offrire porzioni adeguate all’età, che sono in genere minori di quelle ritenute idonee dai familiari stessi. Consideriamo che il volume dello stomaco del bambino è quello di un pugno chiuso.


Le quantità suggerite per l’età servono a dare un limite, più al genitore che al piccolo il quale, se si ferma prima di aver terminato, non va forzato a finire la porzione. Non è importante infatti che mangi tutto, ma che possa esplorare, conoscere sapori e consistenze nuove. Dopo un periodo di rodaggio, di durata variabile a seconda del soggetto, in cui avrà sperimentato vari assaggi di cibo, il bambino spontaneamente aumenterà la quantità di cibi solidi che vorrà mangiare.


Come capire se il bambino è sazio?

Non si nasce genitori, ma si impara strada facendo. A partire dagli ultimi mesi di gravidanza e i primi mesi di vita del bambino, la partecipazione attenta e l’osservazione ci guidano e ci permettono di adattarci ai suoi bisogni e di soddisfarli.


Allo stesso modo, anche nella fase di inserimento di alimenti diversi dal latte, dobbiamo lasciarci guidare dalle sue espressioni, dai suoi gesti. È attraverso i segnali emotivi e la condivisione che si creano le basi per comunicare bisogni o soddisfazioni, per comprendere i segnali di sazietà e di fame che ci lancia il bambino. Fin dai primi giorni dopo la nascita è lui che detta i tempi e i ritmi dei pasti: lasciamoci guidare da lui! Pur essendo piccolo e incapace di parlare, è in grado di comunicare.

Mamma e bambino, in particolare, costituiscono un “sistema vivente”29. Se ci pensate, sin dai primi momenti dell’allattamento, si avvia, quasi inconsapevolmente, uno scambio comunicativo reciproco: il bambino impara a regolarsi, a stabilire dei tempi, interagendo “faccia a faccia” con la sua mamma. Attraverso questa interattività mamma e bambino entrano in sintonia. Quante volte ci è capitato di stare in silenzio e immobili per lasciare succhiare il piccolo ed evitare che ogni minimo movimento o distrazione potesse interrompere un pasto? O, al contrario, lo abbiamo stimolato parlando o toccandolo per evitare che si addormentasse e non succhiasse a sufficienza? L’esperienza ci insegna a interpretare e comprendere il nostro bambino, sicché siamo in grado di distinguere quel particolare timbro del pianto che ci dice che ha fame o quel gesto o quell’espressione che ci fa capire che non vuole più latte. La stessa situazione andrà a crearsi con il passaggio all’alimentazione solida.

Una pappa infatti non è solo l’occasione per dare da mangiare e fare crescere il nostro piccolo. Per il bambino il momento del pasto rappresenta una delle prime occasioni di relazione: tra un assaggio e l’altro si realizza uno scambio di parole e di sguardi, uno scambio affettivo. Accompagnare, ad esempio, l’apertura della bocca del bambino con un vocalizzo o un gesto (il famoso “aaaahhhhmmm”), serve a creare reciprocità e accordo: partecipiamo alla sua esperienza e lo aiutiamo ad apprezzare l’alimento che gli offriamo. Mettendoci in sintonia con lui riusciamo a percepire le sue sensazioni e i suoi stati d’animo, a comprendere i segnali di fame o sazietà e a rimandarli al nostro piccolo attraverso lo sguardo, la voce o i gesti. Lo aiutiamo così a percepire quello che sta provando. Se diciamo “stai piangendo perché hai fame!” o “adesso basta, perché sei sazio”, riconosciamo le sue sensazioni e lo aiutiamo a interpretare ciò che sperimenta. Quando si crea armonia tra segnali, richieste e risposte, si crea un ritmo che ci rende addirittura capaci di anticipare i tempi e i bisogni del nostro bambino. Se ha fame, piange, si agita, ci sorride o “tuba” mentre mangia. Crescendo, indica il cibo, afferra il cucchiaio e si eccita quando vede il piatto pronto. Se viceversa gira la testa dall’altra parte, spinge il cibo lontano, chiude la bocca o agita la testa e inizia a essere distratto dall’ambiente, ci sta dicendo che è sazio.


Il tradizionale assaggio della pappa da parte della mamma, prima di iniziare il pasto, ha il significato di incoraggiarlo. Vedere mamma e papà mangiare, serve a rafforzare l’accettazione dell’alimento.


Allo stesso modo, se accompagniamo l’offerta di cibo con espressioni o vocalizzi che trasmettono disgusto o poca fiducia, priviamo quell’offerta di positività. Sarà difficile, a questo punto, che il bambino apprezzi.


Se usiamo il cibo per calmarlo, confondiamo la percezione delle sue sensazioni e favoriamo la tendenza futura a rispondere con la richiesta di cibo ad ogni occasione di disagio o difficoltà.


Se durante il pasto la nostra preoccupazione sarà volta esclusivamente a verificare che il nostro bambino finisca tutto quello che ha nel piatto, rischiamo di non cogliere quei segnali e quelle espressioni che costituiscono la relazione di cui abbiamo parlato. C’è perfino la possibilità che il pasto diventi troppo carico di aspettative, se non un momento di scontro.


Dall’atteggiamento dei genitori nei confronti del cibo a quest’età dipenderanno infatti l’atteggiamento del bambino e il suo vissuto in relazione ai pasti nelle età successive. Questo vale non solo per la scelta degli alimenti, ma anche per quello che riguarda il comportamento alimentare. Dobbiamo mettere in atto strategie e atteggiamenti volti a instaurare e sviluppare un buon rapporto con il pasto, consapevoli di non nutrire solo il corpo, ma anche di strutturare e formare il gusto e le abitudini alimentari successive. Mettetevi nei panni del bambino: se durante il pranzo la mamma diventa cupa e preoccupata e il suo volto si irrigidisce mentre scruta con attenzione come vi comportate o il papà si trasforma in un generale che vi obbliga a finire tutto, sicuramente preferireste evitare tali momenti, girereste la testa dall’altra parte, alzereste la mano per bloccare l’arrivo del cucchiaio o non dimostrereste neppure di avere appetito, per evitare di dovervi sedere a tavola.


Se riusciamo a trasformare il pasto in un momento positivo, creeremo, alla sola vista della cucina, del seggiolone e del piattino, l’aspettativa per un momento piacevole da condividere con mamma e papà.

Il miglior indicatore della giusta quantità è il bambino stesso che, se lasciato libero, si autoregola. Tuttavia, farsi l’occhio sulla quantità della porzione da offrire è utile per chi si occupa del suo pasto per evitare di somministrare quantità eccessive e anche per evitare di vivere la frustrazione che deriva dal pensare che il bambino non mangi a sufficienza dal momento che la dose consumata non corrisponde alle nostre aspettative. Nella preparazione dei pasti di tutti i giorni, è possibile stimare facilmente la quantità da somministrare con un oggetto di uso comune in cucina come riferimento pratico. Il cucchiaio può essere uno di questi.


Ecco allora uno schema con le quantità indicative (1 cucchiaio = 10 g).

TestimonianzaAlessandro mangia poco

La mamma di Alessandro si presenta nel mio studio insieme alla nonna. Sono entrambe preoccupate perché secondo loro il bambino, che ha quasi 8 mesi, mangia poco. Vorrebbero da me consigli e suggerimenti per aiutarle a farlo mangiare di più. Assume latte materno a richiesta. Dai 6 mesi circa ha iniziato ad assaggiare un po’ di frutta, poi è stata introdotta la pappa, inizialmente solo a mezzogiorno, poi anche alla sera. La nonna sostiene che il piccolo è interessato solo al latte della mamma. Inizia a mangiare quello che ha nel piatto, ma, dopo un po’ di cucchiai, gira la testa dall’altra parte e non ne vuole più sapere. A volte però, poco dopo, cerca il seno della mamma. La nonna non si capacita del perché: se ha fame perché rifiuta la pappa e mangia il latte? Non è meglio la carne?


Raccolgo informazioni sulla storia di Alessandro: è nato a termine, con parto naturale, da gravidanza decorsa regolarmente. Sin da subito si è attaccato bene al seno materno. L’allattamento è sempre stato molto naturale: “È stato così facile! Ha fatto tutto da solo”, mi ha detto la mamma. Ora però sono nati i dubbi: come fargli apprezzare maggiormente la pappa? Non è ora che lasci un po’ il latte?


Faccio notare a mamma e nonna che i bambini vengono chiamati “lattanti” fino ai 12 mesi di vita, a sottolineare l’importanza che il latte ha per tutto il primo anno.


Mi rivolgo alla mamma: come si è lasciata guidare da Alessandro sin dai primi giorni di allattamento, così deve continuare a fare per favorire la sua capacità di adeguare l’alimentazione alle sue necessità. L’allattamento a richiesta prepara il bambino proprio a questo, ossia a mantenere la capacità di autoregolarsi e di dire basta quando è sazio (sensazione che Alessandro sta chiaramente manifestando quando gira la testa dall’altra parte). Compito dell’adulto è quello di offrire alimenti di buona qualità per favorire l’apprendimento di un’alimentazione sana. L’esperienza qualitativa è molto più importante di quella quantitativa. Grazie all’integrazione con il latte materno, che può avvenire prima, dopo o durante il pasto, il piccolo riuscirà a soddisfare le richieste nutrizionali nell’arco della giornata. I nuovi cibi saranno inizialmente rappresentati da assaggi, per poi diventare gradualmente sempre più presenti fino a costituire un pasto completo che potrà sostituire il pasto di latte.


Dal momento che il bambino assume esclusivamente latte materno, è importante offrire fonti di ferro, alternando proteine animali e vegetali. Consiglio di somministrare queste ultime alla sera, in un piatto unico con i cereali, per promuovere la formazione della serotonina e conciliare il riposo notturno. Per evitare il gonfiore addominale e il meteorismo che preoccupa la nonna, le invito a mettere i legumi a bagno in acqua fredda per 24-48 ore (nessun problema se germogliano) e cambiare spesso l’acqua. Suggerisco di aggiungere qualche goccia di limone nel piatto per favorire l’assorbimento del ferro contenuto nei vegetali.


Alla visita Alessandro appare in ottima salute. La sua crescita, valutata attraverso l’andamento della curva di peso e altezza nel tempo, è sempre stata molto regolare. Questo riscontro conferma che il piccolo sta mangiando in modo adeguato.


Quando chiedo alla mamma di spiegarmi indicativamente le quantità di cibo che propone al piccolo, le faccio notare che gli apporti di cui avrebbe bisogno alla sua età sono minori, soprattutto per quanto riguarda le proteine. Vedere che buona parte di quello che prepariamo con tanta cura e attenzione è rimasta nel piatto, talvolta è decisamente frustrante e scoraggiante, oltre ad alimentare l’idea che il bambino non si nutra a sufficienza.


Proprio prima di uscire, la nonna mi chiede quando Alessandro potrà mangiare il biscotto. “Non ne ha bisogno”, le dico e la invito a rimandare il più possibile l’introduzione di zuccheri nella dieta.

Svezzamento: un affare di famiglia
Svezzamento: un affare di famiglia
Vera Gandini
A mangiare bene si impara da piccoli.Mamma e papà, attraverso scelte consapevoli, hanno l’opportunità di condizionare le abitudini alimentari dei loro figli, abitudini che tendono a persistere da adulti.Un libro per riflettere (anche) su quello che portiamo in tavola e migliorare il modello nutrizionale di tutta la famiglia. In una fase così importante e delicata come lo svezzamento, ogni genitore si interroga sul ruolo dell’alimentazione nella crescita del proprio bambino e si propone di utilizzare la modalità migliore, ma è solo grazie a osservazione e partecipazione che il bambino ci farà capire quando è pronto a iniziare, quando avrà fame e quando sarà sazio.Mamma e papà, attraverso scelte consapevoli, hanno l’opportunità di condizionare le abitudini alimentari dei loro figli, abitudini che tendono a persistere da adulti. I bambini, infatti, ci osservano quando facciamo la spesa, quando cuciniamo, quando mangiamo, e l’esempio è, anche in questo caso, fondamentale.Lo svezzamento rappresenta quindi un’occasione per riflettere su quello che portiamo sulle nostre tavole e migliorare il modello nutrizionale di tutta la famiglia. Le scelte alimentari dei primi anni di vita non influiscono esclusivamente sulla crescita e sulla salute a breve termine, ma si riflettono sul benessere delle età successive.Il libro Svezzamento: un affare di famiglia di Vera Gandini fa suo il motto “impariamo a mangiare bene da piccoli per stare bene da grandi”. Conosci l’autore Vera Gandini è laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Pediatria. Ha conseguito il Master di secondo livello “Alimentazione ed educazione alla salute” presso l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna.Promuove la prevenzione attraverso l’alimentazione e l’educazione a stili di vita sani, orientando le famiglie verso scelte consapevoli fin dalle prime età della vita.