capitolo viii

Considerazioni finali

La giovane madre giace esausta ma felice sul lettino della sala parto. Il bimbo – il suo primo figlio – riposa, quieto e in silenzio, rannicchiato sul suo corpo. Intanto il dottore si appresta a tagliare il cordone ombelicale. Il padre, con camice e mascherina, è in estatica contemplazione, nelle orecchie ancora l’eco delle magiche parole: “È una bimba bella e sana”.


In seguito, sia la madre che il padre confessano di aver avuto, in quell’istante, lo stesso pensiero: cosa dovrò fare nei mesi e negli anni a venire per essere il genitore migliore possibile per questa piccola, meravigliosa creatura? E, in quello stesso istante, decidono entrambi di fare tutto il possibile per proteggere, crescere e accompagnare nella vita la loro piccina.


Questa giovane coppia si renderà ben presto conto che la nascita di un figlio è al contempo la gioia più grande e la più grande intromissione, l’origine della rivoluzione più sconvolgente della loro esistenza. Purtroppo la maggior parte di noi è impreparata al nuovo ruolo. Solo pochi di noi hanno vissuto l’esperienza di crescere in una grande famiglia, dove si ha modo di conoscere le responsabilità della crescita di un figlio. Il tempo per imparare l’arte e il mestiere di genitore provetto, poi, è troppo scarso. La reazione pressoché universalmente confessata dalle neomamme e dai neopapà è di stupore di fronte al carico di lavoro relativo all’accudimento di un neonato e al totale stravolgimento della propria esistenza. Eppure il bebè non può essere rimandato indietro, né sostituito con un modello nuovo o, come facciamo con il lavoro, cambiato perché troppo stressante. Insomma, non si può divorziare da un figlio!


Il nuovo nato porta con sé un enorme carico di bisogni. È un essere totalmente dipendente, che non comprende il mondo esterno, e che non sa esprimersi a parole ma in maniera primitiva. Spesso i bebè vengono accolti da genitori quasi sempre impreparati al nuovo ruolo, timorosi di commettere con i loro figli gli stessi errori dei loro genitori.


Negli ultimi decenni gran parte della preparazione ufficiale al ruolo di genitore era appannaggio dei corsi di preparazione al parto, concentrati innanzitutto sulla figura della madre: dal parto al sostegno all’allattamento. Solo poche, brevi parentesi erano dedicate al neonato e alle sue esigenze, alle diverse tappe di sviluppo o all’importanza del processo di attaccamento; eppure questo tipo di preparazione all’arrivo di un bimbo ci renderebbe tutti più in grado di affrontare la novità dell’essere genitori. In tal senso il supporto di un gruppo di sostegno per neogenitori sarebbe prezioso. Di certo dovrebbe essere compito della società occuparsi della preparazione dei neogenitori. L’istituzione di corsi di accudimento e sviluppo infantile alle scuole superiori e all’università (per entrambi i sessi) potrebbe essere un primo passo verso il riconoscimento e il rispetto dei bisogni del neonato. Le lezioni dovrebbero avere, nell’ottica della preparazione dei giovani alla vita adulta, la stessa importantanza di materie quali algebra, letteratura, educazione fisica e storia.


È altresì vero che la ragione per cui il processo attraverso il quale si diventa genitori è così difficile sta nella capacità di agire in modo diverso non solo nei riguardi di ciascun bambino in quanto individuo a sé, ma anche rispetto ai continui cambiamenti legati allo sviluppo e al comportamento del piccolo. È importante che il genitore apprezzi la crescita del proprio figlio, riconoscendo ad ogni fase di sviluppo il giusto valore. L’amore per l’esplorazione tipico dei bimbi di uno-due anni ha la stessa importanza e richiede il medesimo livello di attenzione dei successivi e gravosi impegni scolastici. I genitori devono imparare il valore di uno stretto contatto fisico con il neonato – proprio come quello della discrezione allorquando il figlio, ormai adolescente, reclama la propria riservatezza.


Non solo le strutture e i programmi a sostegno dei neogenitori sono insufficienti, ma mancano altresì figure a difesa – concreta – dei diritti dei più piccoli. Qualunque altro segmento della società ha il proprio gruppo di interesse. Sindacati dei lavoratori e associazioni professionali contano sul sostegno di lobby o comitati di azione politica in difesa dei loro interessi.


Il movimento femminista conta sull’ottima dialettica dei propri rappresentanti. Le associazioni in difesa dei consumatori, gli artisti, le organizzazioni professionali – tutti hanno validi portavoce. Le associazioni animaliste sono cinque volte superiori a quelle che si occupano anche solo in modo marginale dei piccoli sotto i due anni. I nostri leader di domani – i bambini di oggi – possono contare su un esiguo numero di organismi che diano voce e sostegno ai loro interessi. Alcuni psicologi infantili perorano la necessità del rilascio, al momento della progettazione o della richiesta di approvazione di qualsiasi attività o struttura, di una certificazione di sicurezza per l’infanzia, prevedibile altresì nell’ambito della promulgazione di nuove norme o misure legislative. Naturalmente una certificazione di sicurezza per l’infanzia sembrerà alquanto superflua a fronte delle problematiche attuali; ma il benessere dei nostri figli è forse meno importante dell’altezza degli edifici, della densità demografica e della difesa delle specie in via di estinzione?


Dal momento che i fanciulli in età preverbale non hanno voce in capitolo, siamo noi che dobbiamo richiamare i politici, e gli stessi genitori, al riconoscimento e alla risoluzione delle questioni riguardanti i bisogni specifici dei più piccoli. Chi mai darà voce al dolore, alla fame e alla paura di questi esserini senza parola, senza potere né speranza? Chi mai ne consolerà il pianto quando, vittime del “carosello delle tate”, non impareranno più a sentirsi protetti e al sicuro ?

Alla domanda: “Di che cosa hanno bisogno i bambini per crescere felici e sicuri?”, Bowlby risponde: “Hanno bisogno di una figura materna che si prenda cura di loro. Non deve essere di servizio giorno e notte: se può farsi aiutare dalla nonna, dal marito o dalla sorella, tanto meglio. Ma deve essere lei la principale responsabile di suo figlio, occupandosi di lui in prima persona. E se ciò non fosse possibile, deve trovare qualcuno che la sostituisca, qualcuno che interpreti il ruolo principale per tutta l’infanzia del bambino1.

Non è mia intenzione condannare tutte le tipologie di accudimento sostitutivo (nido pubblico, familiare, tate e baby-sitter); sta di fatto, tuttavia, che andrebbe investito molto impegno, e denaro, per l’ammodernamento e l’adeguamento qualitativo delle strutture per l’infanzia. Formazione e supervisione in loco sono vitali per salvaguardare il benessere dei nostri bambini. Le aziende andrebbero incentivate all’istituzione di nidi interni per i dipendenti, e sarebbe auspicabile un miglior trattamento economico per gli educatori, che dovrebbero garantire un accudimento il più possibile costante seguendo ogni bambino per tutta la durata della prima infanzia.


Ciò nondimeno bisognerebbe sempre tener presente le reali differenze tra i bambini più piccoli (da 0 a 2 anni) e quelli appena più grandi, per i quali le istituzioni summenzionate – gli asili nido, compresi all’interno di strutture aziendali, private o universitarie – possono rappresentare un ambiente ideale in cui vivere momenti di gioco e socializzazione ricchi, stimolanti e significativi per il sano sviluppo dell’individuo. Resta comunque la preoccupazione che tali strutture, seppur idonee per i bambini dai due anni e mezzo in su, non siano il luogo più adatto a quelli con meno di due anni. Ed è comunque difficile anche per i bimbi di tre, quattro anni restare lontano dai genitori (lavoratori) per più di 50 ore a settimana. Questi ultimi, che sanno esprimersi, hanno però almeno il modo di farsi ascoltare e consolare; è possibile affrontarne le difficoltà e condividerne i disagi.


Le differenze di sviluppo vanno rispettate anche per quel che riguarda l’educazione sfinterica. La maggior parte dei bambini impara a usare il vasino o il gabinetto al termine del secondo anno, di certo durante il terzo. Aspettarsi però che il piccolo raggiunga il controllo sfinterico nei primi sei mesi di vita è assai improbabile, oltre che controindicato. Sappiamo altresì che un bimbo di due anni può essere svezzato dal seno o dal biberon, mentre quello di due o tre mesi ha ancora bisogno della suzione prevista dall’allattamento. Ci è inoltre noto come cagnolini e gattini debbano essere lasciati vicino alla mamma fino al raggiungimento di una fase cruciale dello sviluppo in cui siano finalmente in grado di sopravvivere da soli. Non ci verrebbe mai in mente di sottrarre un cagnolino, un vitellino o un puledro alla mamma per farlo allattare da un altro animale. Eppure sono molti i genitori che, nonostante il livello di istruzione e di preparazione, non si rendono conto di come allontanare un lattante dalla madre per inserirlo in una struttura per l’infanzia non solo risulti inappropriato ma rischi altresì di comprometterne lo sviluppo.


Sostituti materni quali tate, domestiche, educatori di nidi per l’infanzia pubblici e familiari sono in grado di accudire i piccoli in maniera appropriata, ma oggigiorno vengono sostituiti così di frequente da renderne l’operato assolutamente discontinuo. Di fatto, il “carosello delle tate” mina la salute emotiva dei più piccini, dal momento che la mancanza di continuità impedisce loro di sviluppare un sentimento di fiducia e un attaccamento sicuro, così essenziale per il bambino. Gli esperti in materia di accudimento infantile sono tutti concordi nel sottolineare l’importanza di un accudimento di qualità sia presso gli asili nido pubblici e familiari, sia da parte di una tata al proprio domicilio. Per accudimento di qualità si intende attenzioni costanti, stabili, continue e personalizzate, così come relazioni calorose ed empatiche tra il piccolo e chi si occupa di lui.


Sarebbe tutto assai diverso se la società potesse fare affidamento su nuclei familiari stabili in cui i bimbi, dai più piccini ai più grandicelli, ricevono la solida base emotiva di cui abbiamo tutti bisogno. Anche le madri necessitano dell’aiuto del padre o di qualcuno che le sostenga; ma la società in cui viviamo non gode della stabilità e della presenza delle famiglie estese e del vicinato che, in passato, contribuivano ad assicurare alle giovani coppie il sostegno necessario a garantire una base emotiva sicura.


Uno dei motivi che mi hanno spinto a scrivere questo libro è il crescente timore che le pressioni economiche e sociali che stanno letteralmente sopraffacendo i giovani genitori mietano vittime proprio tra i loro figli.


In questa sede ho cercato di levare una voce di incoraggiamento affinché i genitori apprezzino il valore di una scelta quale quella di investire il proprio tempo e la propria presenza nei primi anni di vita del figlio. Il mio intento è risvegliare le coscienze dei neogenitori in un momento in cui la società sembra ignorare i bisogni dei più piccoli. Ecco l’esempio di una giovane madre che ha risolto il dubbio sull’accudimento investendo sul suo piccino:


Bonny è una neomamma che si trova a doversi confrontare con un dilemma comune a molti genitori di oggi. Le è stato offerto un posto di lavoro come insegnante, che dovrebbe iniziare quando la sua bimba avrà cinque mesi; nel frattempo i familiari e gli amici la incoraggiano a trovarsi una buona sostituta che si prenda cura della piccola Laura, per poter cogliere l’occasione di miglioramento economico e di crescita professionale impliciti nella proposta ricevuta. Tuttavia, dopo diverse discussioni, Bonny prende coscienza dell’impatto sulla bimba del suo rientro al lavoro. Si rende altresì conto dell’importanza dell’esperienza di attaccamento e degli effetti irreversibili delle frequenti sostituzioni delle figure di riferimento nei primi mesi di vita di un neonato. Nonostante le pressioni degli amici, decide di seguire l’istinto che le suggerisce di occuparsi della bambina. Le sue sensazioni sono tanto forti da convincerla a rinunciare, temporaneamente, all’insegnamento per fare la mamma a tempo pieno.

Sono stati quindi il suo istinto materno e alcune considerazioni razionali e intellettuali, emerse dalle discussioni relative al suo problema, ad aiutarla a prendere questa difficile decisione e dissolvere il dubbio almeno fino a quando la figlia non diventi un po’ più grande.


È perché i bambini sono una tale fonte di gioia, stupore, allegria, meraviglia e amore che desidero incoraggiare madri e padri a vivere appieno il ruolo di genitori. Desidero altresì sottolineare che l’impegno nella crescita di un figlio ha la stessa importanza della carriera professionale per il breve periodo in cui si ha il privilegio di essere genitori.


Non vi è dubbio che la crescita di un figlio possa essere arricchita, ad ogni età, dagli stimoli, dal controllo e dall’interesse del genitore, ma la cosa più importante è essere con lui, sempre: la semplice presenza dei genitori in ogni fase di crescita gli garantirà la base sicura che lo farà sentire libero di esplorare, imparare, relazionarsi con gli altri e padroneggiare il proprio mondo, da bambino prima, e infine da adulto. Gli effetti positivi della presenza dei genitori permangono per tutta la vita.


Stare con il proprio figlio, però, non significa essere sempre un genitore ideale. A tutte le madri capita a volte di essere preoccupate, o nervose, talvolta tristi, o sciocche, talvolta arrabbiate e furenti, o infine distaccate. Ma essere sempre con il proprio bambino dà modo a quest’ultimo di imparare a conoscere il genitore senza dover provare un implicito senso di abbandono. Stare con un figlio per offrirgli un accudimento costante e disponibile nei primi anni di vita avrà effetti benefici a lungo termine non solo su di lui, ma anche sui mali che affliggono la società di oggi.


Parlando in passato con uomini e donne ormai anziani, mi sono resa conto che i loro ricordi risultavano sorprendentemente simili: molti rimpiangevano di aver dedicato poco tempo ai figli, se rapportato a quello investito nel lavoro e nella carriera professionale. Altri ricordavano con gioia i bei momenti della loro vita familiare, grati per i legami e gli attaccamenti su cui avevano investito tempo e impegno.


In realtà, era solo una la cosa davvero importante: stare con i propri figli.

I ricordi di una madre

Ecco alcune possibili riflessioni, e i ricordi di una madre:

Ero con lui nel momento emozionante della nascita: luci strane, mani che esplorano, onde di dolore, fluidi corporei imbarazzanti. Ero il centro di un sistema solare; il taglio del nostro legame biologico, immagini di una grigia entità scivolosa; un pianto improvviso, un pugno rosa, occhi aperti, capelli umidi, poi il peso di un bimbo che giace sul mio cuore.


Ero ancora con lui per calmarlo e farlo dormire, per nutrirlo al seno dolorante, a crogiolarmi nel suo appagamento, a inquietarmi della sua sofferenza, a sciogliermi ai suoi sorrisi e a imitarne i balbettii.


Con lui nel panico del primo sfogo, della prima diarrea, di una febbre improvvisa, di uno scarso aumento di peso, per poi calmarmi alle sagge parole dei più esperti.


Con lui nel calore di una coccola, nello sfinimento senza tregua, nel disordine totale di casa nostra e nel timore di non vedere la luce in fondo al tunnel.


Con lui tra salviette, pannolini, olio, borotalco e bagnetti, passeggiate su e giù, ninne-nanne, carezze e buffetti; tra canzoncine, gemiti e pianti.


Con lui per spingerlo sull’altalena, a osservarlo versare la sabbia dal secchiello, a raccogliere matite ovunque e a dire “no” se si arrampica troppo in alto.


Con lui per svuotargli il vasino, in suo aiuto mentre si aggrappa al suo orsacchiotto, per consolarlo dopo un brutto sogno e a ridere delle sue sciocchezze.


Con lui il primo giorno di scuola, ad avvertirne il panico metre mi si aggrappa ai vestiti, il coraggio e la preoccupazione, per poi percepirne la fiducia che si espande con l’espandersi del suo mondo.


Con lui a mostrargli comprensione per una delusione, un rifiuto, una perdita e una ferita; a ridere, cantare, insegnagli e spiegargli.


Con lui per sgridarlo, urlando incollerita; a sentirmi in colpa e a chiedergli scusa.


Con lui a percepire la sua nuova forza e il suo mondo di idee, capacità e competenze sempre più vasto.


Con lui per conoscere i suoi nuovi amici e alleati, a notare il suo crescente bisogno di indipendenza e riservatezza, a percepirne la rabbia e il furore.


Con lui per festeggiare, per congratularmi; a guidare, a cucinare, a condividere vacanze, compleanni e momenti di gioia.


Sempre con lui

Sempre con lui
Sempre con lui
Isabelle Fox
I vantaggi di essere un genitore a tempo pieno.Quanto è importante stare con il proprio figlio almeno durante i primi due anni di età? Una forte presa di coscienza da parte di una psicologa evolutiva. Sempre con lui è dedicato ai milioni di bimbi piccoli che al giorno d’oggi sono privati del necessario e sano accudimento, per colpa dell’eccessivo impegno lavorativo di entrambi i genitori e della conseguente sostituzione delle principali figure di riferimento. L’autrice Isabelle Fox approfondisce questo fenomeno sociale, offrendo spunti di riflessione e illustrando concetti di vitale importanza per il benessere psicologico dei bambini. Un libro particolarmente ricco di soluzioni e suggerimenti pratici che, compatibilmente con i vincoli familiari e gli impegni lavorativi di mamma e papà, permetteranno di offrire ai bambini la migliore possibilità di sentirsi accuditi, compresi e amati. Conosci l’autore Isabelle Fox è psicoterapeuta da più di 40 anni, con specializzazione in psicologia evolutiva e relazioni genitori-figli. Per 10 anni ha prestato servizio come consulente per la salute mentale per Operation Head Start.