capitolo vii

Soluzioni: come garantire
la continuità dell'accudimento

Dopo aver letto i capitoli precedenti, il genitore che lavora si sentirà comprensibilmete irritato, turbato e in colpa, specie quello i cui figli hanno già dovuto subire separazioni e perdite attribuibili alle frequenti sostituzioni delle figure di accudimento. Sarà tuttavia motivo di sollievo riconoscere i problemi passati e garantire ai figli un ambiente più sicuro e affidabile per il futuro. I bambini, comunque, sono dotati di una sorprendente capacità di recupero, che consente loro di superare gli eventuali deficit dell’attaccamento vissuti nella primissima infanzia attraverso relazioni “riparative”, sia con i genitori sia con altri adulti; e, nel caso, grazie alla psicoterapia. Tale prospettiva ottimistica viene descritta da Bowlby nei suoi commenti sul futuro emotivo dei bambini privati della possibilità di formare legami di attaccamento nei primi sei mesi di vita: Bowlby sostiene che il danno emotivo sofferto da questi bambini – e le relative conseguenze – risultano minori se essi ricevono cure adeguate dopo i primi sei mesi di vita1.

Questo capitolo si rivolge a due categorie di genitori:

  • genitori in attesa e neogenitori economicamente in grado di garantire un accudimento costante scegliendo di fungere da principali figure di riferimento nei primi anni di vita dei propri figli;

  • genitori che hanno scelto di lavorare (a tempo pieno o part-time) e di affidare i propri figli – da 0 a 2 anni – a sostituti materni.

La maggioranza delle madri e dei padri di bimbi sotto i due anni di vita si trova a dover far fronte ai seguenti conflitti:

  • impegni lavorativi contro obblighi e doveri familiari;

  • ottenimento di beni materiali e successi professionali contro tempo da dedicare alla famiglia e ai figli;

  • acquisto di una casa di proprietà contro affitto di un appartamento;

  • adozione di uno stile di vita che preveda l’immediato soddisfacimento di esigenze quali le vacanze o una macchina nuova contro la scelta di rimandare l’ottenimento delle stesse gratificazioni.

Nel prendere in considerazione le seguenti soluzioni a questi conflitti, teniamo bene a mente due dei principali fattori legati all’accudimento dei piccoli sotto i due anni da parte di sostituti materni. Il primo è che, quando la principale figura di riferimento non è il genitore, le sostituzioni frequenti – a volte pressoché mensili – sono la regola e non l’eccezione. Il secondo è che queste sostituzioni sono sempre più causa di disturbi emotivi nel bambino piccolo.


Prima di decidere se affidare il proprio figlio a un sostituto, se occuparsene personalmente, o se ricorrere a entrambe le soluzioni, è bene che i genitori tengano a mente le seguenti considerazioni:

  1. la disponibilità e l’ammontare delle risorse economiche familiari;

  2. l’orario giornaliero e settimanale che dovrà essere coperto dal sostituto materno;

  3. la disponibilità di parenti, amici e vicini a contribuire all’accudimento del figlio;

  4. la flessibilità degli impegni lavorativi: capita spesso che l’attività svolta dal padre gli consenta di essere a casa per molte più ore della madre. In quel caso e in quel lasso di tempo, il papà potrà rappresentare la figura di riferimento principale.


Ciò detto, passiamo ora a considerare diversi suggerimenti pratici attraverso cui garantire ai propri figli un accudimento qualitativamente valido, amorevole e costante. In prima istanza valuteremo la scelta del genitore “a tempo pieno”, per poi analizzare l’opzione dei sostituti materni.

Guida pratica al buon accudimento di un figlio

Quanto conta la disponibilità economica?

I genitori spesso dimenticano di possedere risorse che, volendo, permetterebbero a uno di loro di stare a casa con i figli piccoli (per il limitato periodo di tempo di cui si è già parlato). Queste risorse comprendono: libretti di risparmio, azioni e titoli obbligazionari, fondi fiduciari o altro a cui poter attingere.


Sono diversi i genitori che si mostrano restii a “intaccare” il proprio patrimonio per l’accudimento di un figlio. Scopo di questo libro tuttavia è convincere questi padri e queste madri dell’importanza della loro presenza nei primi anni di vita dei loro piccini, anche a costo di dar fondo a tutte le proprie finanze. Naturalmente si tratta di una questione di priorità. Che cos’è più importante: conservare il patrimonio per eventuali necessità future o impiegarlo adesso per stare a casa con il proprio bambino e costruire con lui un legame più solido?


Non si tratta di una decisione facile: c’è di che angosciarsi tra i pro e i contro dell’utilizzo dei fondi che si preferirebbe conservare per i cosiddetti tempi duri, né risultano d’aiuto gli immancabili consigli e le indubbie pressioni – da parte di amici e parenti – a mantenere il patrimonio intatto e disponibile. Risulta quindi difficile per i genitori riconoscere l’importanza dei primi mesi di vita di un figlio, e la necessità di evitare i rischi del “carosello delle tate” (come spiegato nel capitolo IV).

Richiedere un prestito per prolungare la maternità

A nessuno piace richiedere un prestito, ma quasi tutti noi vi facciamo ricorso per svariate ragioni: dall’acquisto di un’automobile, di una casa, o di un elettrodomestico nuovo, al pagamento della retta universitaria. Partendo dal presupposto che il benessere del proprio bambino è un motivo altrettanto importante, perché non considerare l’eventualità di richiedere un prestito a integrazione delle entrate familiari, onde consentire al genitore di offrire ai figli il necessario?


In una cultura creditizia come la nostra, sono numerose le soluzioni a cui ricorrere per ottenere un prestito. Eccone alcune:

  • Richiesta di finanziamento presso banche e istituti di credito cooperativo. In genere si tratta di prestiti a rate concessi quando l’Istituto ha la quasi totale certezza del rimborso garantita dal reddito (o capitale) del genitore richiedente. Partendo dal presupposto che un figlio è importante almeno quanto l’automobile o il frigorifero, allora perché non richiedere un finanziamento onde poter consentire a uno dei genitori di restare a casa per un paio d’anni o, nell’impossibilità, almeno uno? Ogni mese di accudimento costante dato in dono al proprio piccolo sotto i due anni conta. Oltre al tradizionale prestito bancario, molti dipendenti godono della possibilità di rivolgersi a istituti di credito cooperativo affiliati alla società a cui appartengono, per l’ottenimento di prestiti concessi alle stesse condizioni di quelli bancari, ma con l’unica eccezione che i dipendenti depositari presso tali istituti sono considerati clienti preferenziali e godono quindi di una posizione privilegiata. Nel corso della mia ricerca ho avuto modo di confrontarmi con diversi banchieri, in buona parte sensibili all’idea di concedere un mutuo rateale allo scopo – francamente atipico – di permettere a un genitore di stare a casa per prendersi cura del proprio bambino. Non sarà quindi difficile convincerli, dal momento che la loro principale premura è una sola: il prestito verrà rimborsato?

  • Mutui ipotecari. Se i futuri genitori sono proprietari di una casa hanno la possibilità di ipotecarla. Negli anni Novanta le banche americane erano ben felici di concedere denaro in prestito a fronte di una garanzia rappresentata dall’immobile posseduto dalla famiglia richiedente. Ho discusso con diversi bancari dell’idea di ricorrere a un mutuo ipotecario per garantirsi la possibilità di stare con il proprio figlio. Ognuno di loro si è mostrato entusiasta: 25.000 dollari [circa 18.500 Euro, N.d.T.] o più sono più che sufficienti a garantire un accudimento “a tempo pieno”.

  • Prestiti (o “elargizioni”) da parte di nonni e altri parenti. Nonni, bisnonni e altri parenti, che in passato hanno scelto di restare a casa con i propri figli, possono rappresentare un’ottima fonte di prestito. È sorprendente la comprensione dimostrata dai membri delle generazioni precedenti rispetto all’idea di restare a casa ad occuparsi del proprio piccino; anzi, di solito ci si aspetta che i parenti stretti si augurino le migliori condizioni emotive ed intellettive per il nuovo nato. Per tradizione molti di loro provvedono al pagamento delle spese universitarie o ad altri investimenti, oppure decidono di lasciare del denaro in eredità. All’inizio potrebbe risultare difficile convincerli del ruolo fondamentale di un accudimento costante e qualitativamente valido già dai primi anni di vita del bambino; in tal senso risulterà utile ricorrere ad approcci personalizzati: prima di tutto, i futuri genitori spiegheranno al parente in questione quanto siano determinanti i primi anni di vita di un bambino, l’importanza della presenza di un genitore, e le difficoltà derivanti dal ricorso a sostituti materni; magari invitandolo alla lettura di testi specifici sull’argomento. Se tutto va bene tali informazioni, insieme all’entusiasmo del genitore, saranno una motivazione sufficiente per convincere il parente a concedere il prestito.

Nel corso delle mie ricerche per la stesura del libro, e nei colloqui con le famiglie ho scoperto che la principale fonte di prestiti è costituita dai nonni. Se si chiede loro un prestito piuttosto che un regalo, tenderanno a mostrarsi sorprendentemente disponibili, specie se essi stessi hanno optato per l’accudimento a tempo pieno dei propri figli. I nonni saranno altresì lieti di sapere che i loro soldi permetteranno al nipotino di godere del vantaggio di una base sicura nella vita.

Risparmiare in vista dell’arrivo di un bebè

Questo approccio richiede una programmazione anticipata, e potrebbe quindi presentare qualche difficoltà nel caso di gravidanze accidentali. Tuttavia nel momento in cui una coppia desidera avere un bambino perché non iniziare a mettere da parte qualcosa prima dell’arrivo o del concepimento del bebè? Si risparmia per l’aquisto di una casa o dell’automobile e per le vacanze, oppure in vista delle future spese universitarie; non sarebbe più sensato mettere da parte una somma di denaro che garantirsca a un figlio una solida base emotiva? Senza questo sostegno, il raggiungimento delle sue reali potenzialità pedagogiche risulterebbe gravemente compromesso. Come ho già fatto notare, le fondamenta dell’educazione si pongono nei primi anni di vita, quando il bambino costruisce (o non riesce a costruire) le basi della fiducia nella persona che si prende cura di lui. Tale fiducia investirà, in seguito, gli insegnanti e le altre relazioni. Solo se sarà riuscito a sviluppare il senso di fiducia, il piccolo potrà avere successo nella vita. Sembra pertanto piuttosto ragionevole investire del denaro in ciò che più conta: i primi anni di vita del proprio figlio.


Per ironia della sorte, sono molti i genitori che negli Stati Uniti, e con l’aiuto e la complicità delle compagnie di assicurazione, osservano la consuetudine dell’apertura di un “fondo per le spese universitarie” del figlio, spesso molto prima della sua nascita. Certo ogni sforzo volto a garantire la migliore istruzione per la propria prole è degno d’encomio, tuttavia reputo il ricorso a tali forme di finanziamento tristemente inopportuno oltre che intempestivo: il “fondo universitario” è di scarsa utilità per un ragazzo con una storia di attaccamento precocemente caotica, con gravi difficoltà di relazione con gli insegnanti e con un vissuto di abbandono scolastico durante l’adolescenza.


So bene che i miei consigli daranno adito ad aspre critiche da più parti, non solo dell’industria finanziaria ma anche di chi, da secoli, si schiera a sostegno di un’usanza che sancisce la quasi sacralità dell’istruzione universitaria. Per il neo-genitore, fiero e inorgoglito, una bella polizza universitaria incartata e infiocchettata per il pargolo è, senza dubbio, più allettante dell’equivalente somma in denaro offerta alla mamma per prolungare la maternità e assicurare al piccolo una maggiore sicurezza emotiva. Ma se il principio guida di un genitore è “ciò che è meglio per il bambino”, ecco che la risposta è chiara!

Ridurre le spese

Sappiamo bene quanto sia allettante un tenore di vita più elevato, con tutti i lussi e gli agi che ne derivano. Tuttavia, per quanto possa risultare difficile, sarebbe bene che i genitori prendessero in considerazione l’eventualità di rimandare, per un paio d’anni soltanto, le spese più gravose quali, ad esempio, l’acquisto della casa o della macchina nuova, o ancora una vacanza di lusso. È dura non stare al passo con il resto del mondo, tuttavia il compromesso “vale la candela”, benché i suoi frutti verranno raccolti negli anni.


Bill e Joan sono entrambi quadri in una grande compagnia assicurativa. All’incirca nel periodo in cui Joan rimane incinta del loro primo figlio, Bill riceve una promozione, con un sostanziale aumento di stipendio. Nel frattempo, i loro amici si sono trasferiti in un quartiere residenziale, quindi anche Bill e Joan avvertono la pressione sociale di muoversi verso un contesto più altolocato, lasciando il loro modesto appartamento.


Joan però non vede l’ora di dedicarsi a tempo pieno al mestiere di mamma, e sua madre e il marito la sostengono in questa decisione. Per fortuna, i due futuri genitori sono concordi su questo argomento come molte coppie del ceto medio. Altri, invece, preferirebbero salire i gradini della scala sociale per raggiungere uno stile di vita più dispendioso, lo stesso al quale forse ambivano i loro stessi genitori. Ma il mantenimento di un simile tenore di vita richiede di norma due stipendi. Bill e Joan fanno la scelta più difficile: resteranno, almeno per il momento, nel loro modesto appartamento, per consentire a Joan di restare a casa a occuparsi del bimbo in arrivo.


Ci sono molti “Bill e Joan” che avvertono, istintivamente, l’importanza della presenza del genitore accanto ai figli; ma gran parte di queste coppie non possono contare sul sostegno e sull’incoraggiamento necessari al perseguimento del proprio istinto materno – e paterno. Per di più molti genitori sembrano ignorare che, nel caso in cui uno dei coniugi decidesse di restare a casa, il denaro non destinato al pagamento di un sostituto materno potrebbe in parte colmare l’eventuale divario economico. Senza dimenticare l’eliminazione di spese quali i costi di trasferimento in ufficio, così come quelli relativi all’abbigliamento, ai pasti fuori casa e alle altre incombenze.


Sia nel caso del genitore single dalle finanze limitate, sia in quello della famiglia tradizionale che a malapena arriva a fine mese, o di quella, al contrario, benestante, la somma che dovrebbe essere corrisposta a una baby-sitter potrebbe coprire altre spese. Ogni mese in più che le risorse finanziarie di una famiglia concedono a uno dei genitori per poter garantire al proprio piccino un accudimento amorevole a tempo pieno ha un valore inestimabile.

Rimandare il più possibile il rientro al lavoro

Ogni mese in più dedicato alla costruzione del legame madre (o padre)- bambino è a tutto vantaggio del piccolo stesso. Sei mesi sono meglio di tre; un anno è meglio di sei mesi; 18 mesi ancor più preziosi di 12. Quindi concedetevi una maternità il più possibile prolungata. Molte madri ritornano al lavoro per poi scoprire che l’affidamento del proprio figlio a un asilo nido è così complicato e ansiogeno da preferire, nel giro di qualche mese, il ritorno al ruolo di mamma a tempo pieno.

Lavorare da casa

Grazie alla massiccia diffusione dei personal computer e di internet sia nelle aziende che nell’industria, si è reso possibile per molti genitori lavorare da casa. Sono numerose le attività praticabili a domicilio, con o senza l’ausilio di un computer: telemarketing, attività di consulenza, lezioni private, redazione di testi e accudimento di bambini. I genitori motivati troveranno numerose pubblicazioni che illustrano le diverse opportunità di impiego a domicilio, sia permanente che occasionale.


Maxine lavora come contabile e ha la possibilità di portare a casa i documenti dall’ufficio, in modo da svolgere gran parte della propria attività durante il sonnellino pomeridiano del figlio. In questo modo è in grado di verificare il lavoro svolto dalla baby-sitter assunta per occuparsi del bambino mentre lei è in ufficio o lavora a casa.

Lavorare part-time

Se le condizioni economiche della famiglia lo permettono, il lavoro part-time consentirà a un genitore di dedicare più tempo al figlio. Se, per esempio, una madre riesce a lavorare due o tre giorni la settimana invece che cinque, o quattro ore al giorno invece che otto, il legame genitore-bambino risulterà rafforzato, e le conseguenze del “carosello delle tate” meno traumatiche. Molti consulenti e liberi professionisti hanno modo di gestire il proprio orario di lavoro, riuscendo pertanto a occuparsi personalmente dei figli per gran parte della giornata, per poi svolgere la propria attività durante le loro ore di sonno.


Alcuni enti sono favorevoli a contratti di lavoro ripartito (job sharing) e all’adozione dell’orario flessibile: artisti, architetti e artigiani hanno la possibilità di svolgere la propria attività presso uno studio/laboratorio a domicilio senza doversi allontanare per oltre 40 ore settimanali dal proprio figlio. Anche segretarie, trascrittori, medici o ragionieri/contabili possono optare per il lavoro part-time. Se è questa la scelta compiuta dal genitore, la ricerca e il mantenimento di una baby-sitter risulteranno meno difficoltosi, così come meno pesanti per il piccolo saranno gli inevitabili cambiamenti legati all’introduzione di un sostituto materno. Ecco un esempio:


Dopo la nascita di sua figlia Laura, Jennifer riprende il suo lavoro di insegnante al college. Fa lezione tre pomeriggi la settimana, quindi assume una giovane mamma che, in quelle ore, si prenda cura della bambina. Purtroppo a causa di problemi insorti con il marito, la baby-sitter si trova nell’impossibilità di continuare a seguire Laura. Dal momento però che Jennifer, con una lontananza da casa di sole 12 ore settimanali, è rimasta la principale figura di riferimento della figlia, il legame tra di loro rimane saldo nonostante l’allontanamento della baby-sitter.

I nidi aziendali

Un piccolo ma crescente numero di datori di lavoro ha scelto di istituire asili nido presso l’ufficio o l’azienda, avendo preso coscienza che questa soluzione contribuiva ad alleggerire le preoccupazioni dei genitori, riducendone l’assenteismo e incrementandone la produttività: saranno sempre di più i datori di lavoro che, in futuro, adotteranno questa strategia. I genitori che hanno la fortuna di lavorare presso queste aziende potranno vedere i propri figli durante le ore di lavoro, rinnovando il contatto fisico tanto importante e consolatorio per il piccolo. Inoltre, nonostante il notevole ricambio del personale impiegato nei nidi aziendali, la presenza più assidua del genitore sarà motivo di maggior benessere per il bambino.

Lavoro e carriera in “stand-by

Se è vero che questa scelta richiede una pianificazione anticipata, è altrettanto vero che si tratta di un’opzione realizzabile da qualsiasi futuro genitore che ne abbia la capacità e la volontà. Si programmano carriere con anni di anticipo: da quella dell’ingegnere a quella dello psicologo, da quella di avvocato o magistrato a quella di infermiere professionale; quindi seguono anni di studio per il raggiungimento di questo obiettivo. Una volta giunti alla laurea o al diploma di laurea, superato l’esame da avvocato o ottenuto un titolo specifico, sarà più ragionevole prendersi del tempo, perché già in possesso delle necessarie credenziali professionali: sarà possibile rientrare al lavoro quando risulterà più vantaggioso per la famiglia. Nella prospettiva di avere dei figli, i futuri genitori dovrebbero programmare la propria carriera tenendo conto di un paio d’anni di pausa dedicati completamente al figlio dopo il raggiungimento dei suddetti obiettivi. Non sono molti i datori di lavoro che accolgono tale posizione di buon grado, ma i bisogni legati ai primi, delicati anni del vostro bambino sono più importanti.


La maggior parte dei professionisti potrebbe lasciare temporaneamente la propria attività (oppure svolgerla part-time o da casa), per garantire un accudimento costante al proprio figlio per circa due anni, e quindi riprendere la professione. Nel caso in cui l’azienda non abbia la possibilità o la volontà di riassumere il genitore, si valuterà l’eventualità di trovare un nuovo posto di lavoro nello stesso settore.

Il metodo del “genitore a turno”

Il metodo del “genitore a turno” verrà descritto più avanti in questo stesso capitolo in relazione al ricorso a sostituti materni. Con tale definizione si intende un sistema in cui un genitore single lavora in squadra con un altro genitore single: curando i figli di entrambi mentre uno dei due è al lavoro (si tratta di una soluzione attuabile solo nel caso in cui i genitori interessati svolgano lavori con orari diversi).


Lo stesso tipo di organizzazione è adottabile all’interno di famiglie mononucleari, in cui, ad esempio, il padre lavora dalle 7 alle 15, mentre la madre segue turni pomeridiani e notturni: una volta rientrato a casa, sarà il papà a occuparsi del figlio. Sono molti i mestieri che consentono questo tipo di soluzione: ospedali, compagnie telefoniche, aziende di vendita per corrispondenza, servizi di fornitura di luce e gas offrono tutti impieghi con turni scaglionati nell’arco delle 24 ore. Spesso sono i padri musicisti, scrittori, attori e professori universitari a stabilire i propri orari lavorativi in modo tale da riuscire a prendersi cura dei figli durante l’assenza della madre, occupata dalle 9 alle 17. Tuttavia, come la maggior parte dei metodi descritti finora, anche questo richiede impegno e capacità di adattamento: i genitori animati da forte determinazione riusciranno nell’intento, specie se consapevoli del fatto che non durerà per sempre.


La richiesta di un’aspettativa(eventi fortunati e disponibilità economiche permettendo)


Nella vita può capitare di essere baciati da fortune finanziarie inaspettate: un cospicuo aumento, un’eredità, se non addirittura una vincita alla lotteria! Il fatto che un genitore lavori non esclude automaticamente e irrevocabilmente l’eventualità di decidere, dopo un significativo mutamento della propria situazione finanziaria, di tornare a occuparsi a tempo pieno dei figli. Disponibilità economica permettendo, la madre – o il padre – lavoratore può valutare di riassumere il ruolo di figura di riferimento principale, specie se la continuità dell’accudimento da parte di sostituti materni non è sempre stata raggiunta. Nel corso delle mie ricerche ho avuto modo di notare che non sono molti i genitori a considerare quest’eventualità. Forse sarebbe il caso di farlo!

Figure sostitutive dei genitori

La tata “normale”

È comprensibile che molti genitori, costretti a ritornare al lavoro, debbano andare alla ricerca di qualcuno a cui affidare il figlio. Quando si rende necessaria la presenza di un sostituto a tempo pieno, il neogenitore benestante opta per la più classica delle soluzioni, ovvero l’assunzione di una tata a domicilio. È fondamentale rivolgersi a una persona allegra, intelligente e affettuosa per una collaborazione continuativa, si presume, e si spera, di almeno un paio d’anni.


Ecco una serie di suggerimenti da seguire per evitare il frequente avvicendamento di diverse baby-sitter a tempo pieno durante i primi anni di vita del bambino:

  • Proporre una tariffa oraria superiore a quella “in vigore” nella propria area di residenza. Ricordandovi che il custode di un giardino zoologico percepisce un compenso orario in media superiore a quello di chi si occupa di bambini, alla futura baby-sitter di vostro figlio proponete una tariffa maggiore alla tariffa base o a quella vigente nella vostra area di residenza.


    È incredibile quanti professionisti corrispondano una paga base a coloro che si prendono cura dei loro figli. Pochi di questi genitori farebbero altrettanto con i propri impiegati, e nello scegliere quale auto comprare, o la casa in cui vivere, in genere non si risolvono per quella più economica. Se ci si decidesse a offrire alla propria baby-sitter una paga appena un poco superiore alla tariffa in vigore, sarebbe più facile assicurare al proprio piccino un accudimento costante: lo scopo è quello di ridurre il rischio che la vostra nuova tata si cerchi un’occupazione meglio retribuita. Naturalmente si tratta di suggerimenti che presuppongono la disponibilità economica necessaria a garantire un trattamento così “privilegiato”. Un ulteriore incentivo a conservare il posto di lavoro può essere l’offerta di vantaggi “extra” quali un’assicurazione sanitaria, l’uso dell’automobile, un alloggio più confortevole.

  • Oltre allo stipendio accordato, prevedete il pagamento di un “bonus” da corrispondere al termine di un periodo previamente concordato. Supponiamo ad esempio che abbiate stipulato un semplice contratto scritto nel quale le offrite un totale di 800 euro mensili per il primo anno e di 900 per il secondo (è una buona tattica psicologica prevedere un aumento per il secondo anno). Nell’accordo si potrebbe altresì stabilire che al termine del primo anno verrà percepito un bonus di 1.000 Euro, e così pure al termine del secondo. Per la tata si tratta di un chiaro incentivo economico a rimanere per almeno due anni.


    Per quanto difficile risulti trovare una baby-sitter disposta a restare per un periodo prolungato, spesso è ancor più difficoltoso reperirne una
    quantomeno accettabile. Dopo tutto, è irrilevante che una tata accetti di fermarsi per due anni se totalmente priva dei necessari requisiti professionali e incapace di inserirsi all’interno della famiglia. Ha, per esempio, la competenza per garantire un adeguato accudimento? È sufficientemente responsabile da agire in modo appropriato nelle situazioni di emergenza e da proteggere il bambino? È in grado di leggere correttamente, abbastanza da capire semplici istruzioni scritte e comunicare ai genitori questioni che riguardino il bambino? La salute del bebè può dipendere dalla capacità della tata di riferire sintomi, seguire le istruzioni per la somministrazione di medicinali, inviare richieste d’aiuto per telefono. Questa persona è in grado di usare gli elettrodomestici in totale sicurezza? Si mostra allegra, affettuosa e sensibile nei confronti del piccolo?

Baby-sitter straniere, e quindi appartenenti a un contesto linguistico e culturale diverso, potrebbero inconsapevolmente ostacolare nel bimbo da loro curato lo sviluppo del senso di appartenenza alla sua famiglia e alla sua cultura. In un articolo pubblicato nel 1994 su “Zero to Three”, gli autori Chang e Pulido, citando J.Ronald Lally, sostengono che: “I bambini dalla nascita ai due anni di vita sono nel pieno dello sviluppo della loro identità più profonda, tramite l’acquisizione delle prime preferenze e convinzioni. Lo sviluppo di tale identità si svolge in gran parte attraverso l’assimilazione delle opinioni degli adulti che si occupano di loro. Nel caso in cui tali opinioni risultassero negative e in contrapposizione con i valori della famiglia e della comunità, le conseguenze sul senso di appartenenza del bambino potrebbero essere devastanti2.
È pertanto necessario assicurarsi che i valori e la condotta del sostituto siano sostanzialmente concordi con quelli adottati dai genitori in merito agli ambiti più diversi: dalla disciplina ai metodi alimentari, dall’educazione sfinterica alla masturbazione. Il ricorso a sostituti materni appartenenti a culture diverse potrebbe comportare problematiche che non andrebbero prese sottogamba.
Ulteriori considerazioni sulla scelta della tata

Ben più importanti della lingua e del background culturale risultano i complessi fattori della personalità della tata in esame. Sarebbe bene che i genitori conducessero qualche personale indagine sul conto dei candidati, senza fidarsi con leggerezza delle agenzie di collocamento o delle referenze presentate. Prima di prendere qualsiasi decisione sarebbe auspicabile parlare – di persona o per telefono – con i precedenti datori di lavoro della tata: una candidata che si rifiuti di fornire nomi e numeri di telefono dovrebbe già mettervi in allarme. Nel caso di precedenti esperienze all’estero, si tenga presente che una famiglia in grado di permettersi una tata sarà quasi certamente in possesso di un apparecchio telefonico. Potrebbe presentarsi l’ostacolo di dover trovare un interprete per riuscire a comunicare con il precedente datore di lavoro, se questi parla una lingua diversa. In assenza di numeri di telefono e altre referenze, astenersi dall’assumere la candidata in esame.

Ragazze straniere alla pari

In genere si tratta di giovani baby-sitter straniere che vengono ospitate a domicilio per occuparsi dei bambini, in genere per un anno. Nonostante l’ottima reputazione delle agenzie internazionali per l’impiego che si occupano del loro reclutamento, la selezione spesso risulta superficiale e ingannevole. Un articolo – apparso su “Time” nel 1994 – dal titolo Looking for Mary Poppins [“Mary Poppins cercasi”, N.d.T.], forniva dati assai inquietanti per tutti quei genitori in cerca di una ragazza alla pari: le agenzie di reclutamento venivano accusate di “processi di selezione inaccurati e scarso supporto nella risoluzione dei problemi”. Tra le storie citate a mo’ di avvertimento quella di una giovane olandese comparsa davanti alla Corte della Virginia con l’accusa di aver ucciso a scossoni un neonato di otto settimane3. Veniva inoltre citato uno studio riportato dal “Cleveland Plain Dealer”, in cui si documentavano “300 casi di disagio legati all’assunzione di ragazze alla pari”. Questo non significa che andrebbe completamente evitato il ricorso alle ragazze alla pari; al contrario, l’articolo apparso su “Time” faceva altresì sapere come molte famiglie avessero beneficiato dell’aiuto di queste giovani. Diverse agenzie di reclutamento di ragazze alla pari sono comunque risultate colpevoli di negligenza nel controllo delle referenze e di mancato supporto per la risoluzione dei problemi denunciati. Molte delle ragazze citate nell’articolo non erano neppure rimaste in famiglia per il periodo concordato di un anno: è questa un’ulteriore buona ragione per non assumerle; meglio rivolgersi a una tata a domicilio per l’intero periodo di due anni, onde evitare al bambino la sofferenza emotiva provocata dall’abbandono della baby-sitter alla pari.

Come selezionare un’aspirante baby-sitter

Se i genitori decidono di assumere un sostituto – una ragazza alla pari o una figura diversa – le due aree principali su cui indagare, oltre alla volontà del candidato a rimanere per i primi anni di vita del bambino, sono per prima cosa la salute fisica, e successivamente la stabilità emotiva e la capacità di prendersi cura del piccolo. Ricordate: la persona scelta avrà la totale responsabilità di un essere indifeso, dipendente e incapace di comunicare; mentre voi sarete al lavoro la vita di vostro figlio sarà letteralmente nelle mani di questa persona.


Veniamo dunque all’aspetto forse più difficile della selezione di una tata: quali domande porle per valutarne i requisiti? E quale decisione finale prendere? Assumere o no colei che si prenderà cura del vostro bambino? Si tratta di un passo di estrema importanza nella vita del vostro piccino.

Accertarsi delle condizioni fisiche della candidata

È necessario verificare che la candidata non sia affetta da malattie trasmissibili o che possano all’improvviso renderla inabile al lavoro. Sarà bene, per esempio, scartare candidate malate di epatite, tubercolosi, AIDS o altre malattie infettive, non solo perché alcune di queste patologie implicano l’eventualità che la persona in questione si senta male nei mesi e negli anni successivi, ma anche per il rischio di contagio per il bambino e per gli altri membri sani della famiglia, con ulteriori difficoltà e preoccupazioni.


Nel caso di candidate di una certa età o in condizioni di salute non ottimali, i genitori dovrebbero semplicemente ricorrere alla propria capacità di giudizio per evitare rischi inutili, senza però scartare candidate potenzialmente affidabili e altrimenti qualificate.


In un’ottica di valutazione che miri ad accertare lo stato di salute delle candidate, suggerirei ai genitori di richiedere alle aspiranti baby-sitter di sottoporsi a visita medica. Dovranno essere i genitori stessi a scegliere il medico a proprie spese, comunicandogli le aree di interesse del controllo da effettuare, e richiedendo alle candidate stesse una dichiarazione scritta in cui si autorizzi il medico a informare direttamente i genitori degli esiti dell’esame.


Un esempio di grave inidoneità fisica ci viene fornito dalla vicenda del “nostro” Timmy, di cui abbiamo parlato nel capitolo I; ricorderete che Betty, una delle sue baby-sitter, deve lasciare d’improvviso il piccolo, provocandogli gravi disagi emotivi. La ragione dell’abbandono di Betty è il riacutizzarsi di un’artrite reumatoide che dura da tempo, e che le impedisce di tenere in braccio, seguire, infine gestire il bimbo. Se la mamma di Timmy avesse indagato sulle condizioni di salute di Betty, non l’avrebbe certo assunta.

Accertarsi dell’idoneità al ruolo di baby-sitter

Il punto in assoluto più difficile da valutare nel processo di selezione è la stabilità emotiva del candidato e la sua capacità di prendersi cura del bambino. Sarà quindi opportuno esaminare alcuni aspetti della sua storia personale e della sua esperienza. Con la massima diplomazia, delicatezza e sensibilità, bisognerà porre le domande che elencherò a breve, rendendomi tuttavia conto che molte di queste toccano argomenti delicati e che risulterà quindi difficile ottenere tutte le informazioni necessarie. I genitori potrebbero sentirsi troppo invadenti, oppure in ansia e in imbarazzo, ma per il bene dei propri figli è importante riuscire a ottenere tutte le risposte richieste. L’assunzione di una tata a tempo pieno è una questione assai complessa. Quando si è fuori casa per oltre 40 ore settimanali, sono ben rare le occasioni – e ben poco il tempo – per osservare e controllare quel che accade veramente. E vostro figlio non ve lo può riferire!


1. Stato civile: la candidata è sposata, divorziata, vedova o nubile?

La risposta a questa domanda può porre un interessante dilemma. Per esempio supponiamo che l’aspirante tata dichiari di essere felicemente sposata. Paradossalmente potrebbe rivelarsi abbastanza competente e affidabile come baby-sitter “esterna”, ma non come “interna”. La lontananza dal coniuge per un’intera settimana, infatti, non sarebbe di grande auspicio per un impegno a lungo termine. Al contrario, una single potrebbe preferire una posizione da “interna”, dedicandosi interamente alla famiglia. In genere non sarebbe saggio neppure assumere chi abbia vissuto di recente il dolore che accompagna un divorzio o una vedovanza.


In assenza di un coniuge, è importante accertarsi dell’eventualità che l’aspirante tata voglia usufruire di libere uscite o, comunque, condurre una normale vita di relazione. Se dovesse essere assunta come interna, sarebbe bene chiederle di un’eventuale disponibilità serale durante la settimana.


2. La candidata ha figli? Di che età?

Una tata con figli piccoli potrebbe sentirsi in colpa a lasciarli per occuparsi dei figli di qualcun altro. Se si ammalano, sarebbe comprensibilmente restia a lasciarli da soli, con conseguenti problemi di assenteismo. In aggiunta, il suo – eventuale – risentimento potrebbe interferire con la capacità di occuparsi in modo affettuoso e amorevole dei vostri bambini. Si correrebbe, infine, un maggior rischio di abbandono. Ricordate Agata, una delle baby-sitter di Timmy (nel capitolo I), il cui figlio aveva subìto un intervento chirurgico che richiedeva la sua presenza 24 ore su 24? Tenendo a mente questi elementi, si dimostra più saggio scegliere una baby-sitter con figli grandi, già fuori casa, o almeno in parte indipendenti.


3. Chi si è occupato dei suoi figli quando erano piccoli?

Il fatto che la tata abbia deciso di stare a casa a occuparsi di persona dei propri figli dalla nascita fino ai primi anni di vita può significare una particolare dedizione al lavoro di genitore, oltre a essere indice di competenza su tutti gli aspetti della cura di un bambino – le mansioni che richiede e le relative modalità di svolgimento. Se la candidata non ha mai avuto figli, quando e dove avrà mai imparato a prendersi cura di un bimbo piccolo? Ecco un altro punto su cui indagare: l’aspirante tata ha mai avuto esperienza nella gestione di fanciulli di età inferiore a due anni? Ha già lavorato presso una famiglia?


4. Come è stata trattata dai propri genitori?

Se la candidata è stata amata e accudita con affetto dai propri genitori, è più probabile che si riveli una tata tenera e amorevole nei confronti del vostro bambino. Se invece ha subìto maltrattatamenti e violenze – emotive, psicologiche o sessuali – c’è il rischio che non mostri né amore, né affetto. Come già sottolineato, nel diventare genitori o nella gestione dei piccoli, molti di noi tendono a riprodurre le esperienze vissute nel proprio passato.


5. Qual è stato il periodo più difficile della sua infanzia?

Una domanda come questa di solito implica una risposta sincera, che potrebbe altresì rivelare l’assenza di momenti di effettiva infelicità – magari solo lievi difficoltà legate ad alcuni insegnanti di scuola o alle angherie subite dai fratelli maggiori. Se, al contrario, venissero riferiti maltrattamenti fisici o sessuali subiti da un parente o da un vicino, o confessata l’eccessiva rigidità e durezza dei genitori, dubitate della qualità dell’accudimento eventualmente offerto, in quanto esiste il reale rischio che lei stessa ripeta il copione della sua infanzia. Le statistiche evidenziano come i molestatori di bambini spesso siano stati, a loro volta, vittime di molestie nell’infanzia.


6. La candidata ha mai sofferto di depressione o di altri gravi disturbi psichici?

Ci stiamo inoltrando in un’area a rischio. È difficile porre domande così personali e altrettanto difficile ricevere risposte precise. Tuttavia, anche nell’eventualità di non ottenere informazioni dettagliate, sarà bene fare almeno un tentativo. Altrimenti, nei colloqui con i precedenti datori di lavoro, sarà più facile affrontare la questione: potrà, per esempio, emergere che la candidata si mostrava talvolta lunatica e irritabile, talaltra chiusa o arrabbiata. Il genitore può esser certo che gli stessi sbalzi d’umore e i medesimi atteggiamenti si ripeteranno facilmente.


Nonostante si tratti di disturbi superabili grazie alla terapia, in alcuni pazienti la depressione resta un fenomeno ricorrente. È consigliabile evitare una candidata con questo tipo di problemi. Dopo tutto, l’obiettivo è ottenere qualità e continuità nell’accudimento del proprio piccino per i suoi primi due anni di vita. Non sarebbe logico assumere chi è potenzialmente soggetto a ricorrenti disturbi psichici, poiché si tratta di disagi che rischiano di spezzare la continuità dell’accudimento. Per di più, l’aspirante baby-sitter potrebbe non essere sensibile a sufficienza, affettuosa e tranquillizzante con il bambino nei momenti di squilibrio emotivo imputabili alla depressione o ad altri disturbi psichici.


7. Chi si è occupato della candidata nei suoi primi due anni di vita? Nei primi capitoli (specialmente nel quarto) sono stati messi in evidenza alcuni dei problemi che possono insorgere quando, da molto piccoli, si è sottoposti a frequenti sostituzioni delle figure di riferimento. Sebbene i più non ricordino granché di quanto è successo loro nei primi due anni di vita, varrebbe la pena indagare su questo periodo della loro esistenza. Ad esempio molti sanno per certo che la madre è rimasta a casa ad occuparsi di loro. Si tratta di un dato importante, che può dare un’idea delle basi su cui è cresciuta la persona che vorreste si prendesse cura del vostro bambino. Se, al contrario, la candidata riferisse di essere stata spesso sballottata da un parente all’altro durante la primissima infanzia, dovreste fare attenzione.


Questa baby-sitter potrebbe non essere in grado di impegnarsi davvero con il vostro bambino o di prendersene cura con continuità.


8. Chi l’ha trattata meglio e chi peggio nel corso della sua vita?

Ancora una volta, risposte a domande come questa possono rappresentare utili indicazioni rispetto alle esperienze positive e negative vissute dalla candidata, che abbiano influito sulla sua capacità di prendersi cura di vostro figlio. Se le esperienze felici superano di gran lunga quelle traumatiche, c’è motivo di ritenere che quella in esame sarà una tata allegra e gioiosa, un prezioso elemento in più nella vostra famiglia che contribuirà al benessere comune.


9. Ci sono stati problemi pregressi di alcol o droga ?

Sono migliaia – forse milioni – gli ex-alcolisti che hanno superato la dipendenza grazie alla terapia. Se, per esempio, la candidata ammette di aver avuto problemi con l’alcol, ma che “non beve da cinque anni”, i genitori dovranno soppesare questa dichiarazione in rapporto ad altri elementi e ad altre candidate: è risaputo, infatti, che gli alcolisti incontrano enormi difficoltà nello smettere di bere e che una larga percentuale di loro ricade nella dipendenza. È vero altresì che potreste aver ragione di pensare che la candidata sia sincera, onesta e degna di considerazione.


10. Ci sono farmaci che la candidata assume regolarmente ? Alcuni farmaci provocano sonnolenza, minore capacità reattiva o irritabilità e nervosismo. Le pillole dimagranti, ad esempio, in alcuni soggetti possono causare irritabilità. Chi assume farmaci per l’ipertensione a volte denuncia sonnolenza e letargia – condizione di certo non auspicabile in una baby-sitter che debba star dietro alla prorompenza di un bimbetto di un anno per impedire che si faccia del male. Potrebbe risultare più semplice chiederle quali farmaci assume regolarmente per poi indagare sulle patologie o sui disturbi legati a tali trattamenti.

11. Qual è l’approccio adottato nei confronti di questioni quali gettare il cibo per terra, succhiare il dito, battere la testa, o ancora il rifiuto di fare il sonnellino, la masturbazione e l’uso del succhiotto ?

In effetti si tratta di problemi di difficile gestione anche per il più coscienzioso dei genitori. Tuttavia è importante sapere se l’aspirante tata adotterebbe misure punitive o disciplinari nel caso in cui, per esempio, un bimbo di 18 mesi rifiutasse di fare il sonnellino.


D’altro canto, una candidata di maggior esperienza potrebbe dire: “Ogni genitore gestisce questi inconvenienti in modo diverso, quindi è importante che io mi attenga alle sue disposizioni per garantire un accudimento coerente”. Sta ai genitori decidere se la sostituta dovrà o no seguire le loro direttive. Tuttavia, se entrambi lavorano a tempo pieno, la supervisione dell’operato di una tata risulta difficile. Come suggerisce T.Berry Brazelton: “Fate un salto a casa durante il giorno senza preavviso, così da controllare che cosa stia succedendo. Abbiate sempre una ragione da addurre, per evitare che la baby-sitter si senta controllata. È importante che siate a conoscenza del tipo di accudimento ricevuto dal vostro bambino”.4 Può esserci un’enorme differenza tra quanto descritto a parole dall’aspirante tata e quanto messo in pratica.

Soluzioni alternative

È veramente una sfida accogliere un’estranea nella propria casa e farla sentire a proprio agio, tranquilla e motivata, al fine di garantire a un figlio un ambiente sereno e rassicurante. I bebè tendono a prediligere questo tipo di relazione individuale con un sostituto. Tuttavia, nel caso in cui non sia possibile realizzare tale condizione, si potrà optare per numerose soluzioni diverse che si sono rivelate idonee alle necessità di alcune famiglie. Eccone alcuni esempi:

Genitori-single “a domicilio”

Si tratta di una soluzione che prevede la combinazione tra accudimento da parte dei genitori e il ricorso a un sostituto materno. Un genitore single decide di vivere con un’altra famiglia con un bimbo piccolo, ricevendo vitto e alloggio in cambio della propria disponibilità a prendersi cura dei figli di entrambi. In questo modo sarà in grado di occuparsi in prima persona del proprio figlio e nello stesso tempo di garantire un accudimento costante all’altro bambino. Le soluzioni possono variare da caso a caso; sarà possibile prevedere uno stipendio minimo, o consentire al genitore single di svolgere un’attività part-time a domicilio.

“Comuni” e cooperative familiari

Esiste la possibilità di costituire “comuni” e cooperative familiari, in cui due o tre famiglie decidono di abitare in alloggi adiacenti di un edificio di grandi dimensioni (o in abitazioni o appartamenti vicini) e di occuparsi a turno dei bambini. Ammesso che i vari genitori riescano a gestirsi senza conflitti, si tratta di soluzioni che possono garantire la continuità desiderata nonostante le numerose figure di riferimento, dal momento che i bambini sono accuditi da persone con cui stanno a stretto contatto quotidianamente. I genitori che scelgono questo tipo di soluzione (per il breve periodo già indicato) avranno il reciproco interesse di farla funzionare.

Unione delle risorse economiche in fondi comuni

Unendo in un fondo comune le loro risorse finanziarie, due o tre famiglie possono assumere una o più baby-sitter a tempo pieno. Attraverso una accurata selezione saranno in grado di individuare una o due tate, oppure una tata e un’assistente, che si impegneranno per il periodo auspicato, garantendo la stabilità desiderata. È una soluzione che, sulle prime, potrebbe dare l’impressione di richiedere notevoli risorse finanziarie; in realtà, la condivisione dei costi la rende accessibile anche alle famiglie più modeste, che riescono persino a corrispondere al sostituto materno uno stipendio superiore alla media.

Nonni e altri parenti e amici motivati

Di solito i nonni sono felici di contribuire all’accudimento dei nipotini, e nonostante le eccezioni, molti di loro sono assai motivati a creare e a sviluppare un saldo legame coi piccoli. Fattori quali lo stato di salute, lo stile di vita, l’entusiasmo e il luogo di residenza sono naturalmente determinanti per la loro disponibilità. Sarà comunque bene che i genitori prendano in considerazione l’utilizzo dei nonni (o di altri parenti) volenterosi come sostituti sia a tempo pieno che part-time. Alcuni parenti sembrano apprezzare istintivamente la necessità di un accudimento costante, accogliendo di buon grado la richiesta di aiuto. Ulteriore vantaggio è che i nonni rappresentano una risorsa che implica uno scarso o nullo obbligo finanziario. Anche quelli che non hanno il desiderio, le possibilità economiche o la salute necessaria ad occuparsi dei nipotini possono comunque essere utili nel supervisionare e valutare di quando in quando l’operato del sostituto materno a pagamento.


Durante la mia carriera di psicoterapeuta, sono rimasta colpita dall’amore e dalla devozione dei nonni per i loro nipoti. È vero che occuparsi dei bambini richiede tempo e attenzione; per una persona anziana, è un compito molto faticoso ma spesso così ricco di soddisfazioni che i nonni lo accettano volentieri e, a volte, arrivano a richiederlo espressamente. Si potrebbe pensare di preservare le energie dei nonni ricorrendo a una baby-sitter che operi sotto la loro supervisione. Se il genitore deve uscire la mattina presto per andare al lavoro, la tata potrà occuparsi dei bambini fino all’arrivo dei nonni, intorno alle 10,30 (o un po’ più tardi).


Nelle famiglie che possono permetterselo, la tata può rimanere tutto il giorno in compresenza con i nonni che la controllano e nello stesso tempo interagiscono con i nipotini. Sono numerose le ragioni per le quali i nonni possono rappresentare la fonte di accudimento sostitutivo più promettente (in qualità di supervisori di un sostituto materno o come sostituti essi stessi), non solo per i nipoti più piccini (sotto i due anni di età), ma anche per quelli più grandi:

  • Ogni nipote è per il nonno la rappresentazione della propria immortalità, poiché in lui vede e sente somiglianze e legami fisici e psicologici. “Mary, a due anni, ha il sorriso di sua nonna”, “Johnny ha due spalle larghe proprio come quelle dello zio calciatore”, “Suzy è un tipo accomodante, mi ricorda il nonno”.

  • I nonni possono offrire ai nipotini la saggezza, il tempo e l’affetto che forse non hanno potuto dare ai propri figli a causa delle pressioni della vita quotidiana. Grazie alla maggor disponibilità di tempo e a un intuito migliore, sanno compensare e integrare il ruolo dei genitori in modo nuovo. Il legame tra nonni e nipotini diventa, così, davvero speciale.

  • È altresì vero che quando i nonni vanno in pensione hanno più tempo e spesso anche maggiori risorse economiche per dedicarsi ad occupazioni quali andare a prendere il nipote all’asilo o a scuola, condividerne gli interessi e gli hobby, o partecipare ad alcune sue attività quotidiane. Inoltre, i nonni possono mettere a disposizione una seconda casa dove il bambino si senta al sicuro e a proprio agio, e dove abbia occasione di vivere un ambiente nuovo con attività e strumenti diversi.

Nel considerare l’eventualità di un trasferimento lontano dai nonni, i genitori devono tener presente l’impatto emotivo di tale decisione sul bambino, oltre ai risvolti pratici sul fronte dell’accudimento del figlio. Anche i nonni dovrebbero riflettere prima di ritirarsi in una casa di riposo a centinaia di chilometri dai loro nipoti, con cui hanno stabilito legami molto profondi. Tali trasferimenti possono determinare perdite incommensurabili per entrambe le generazioni! Perché in fatto di legami di attaccamento, un nonno non è diverso da qualunque altro sostituto. Durante i due o tre anni in cui un bimbo viene accudito dai nonni, in genere sviluppa un forte legame di attaccamento: se accade che i genitori decidano di trasferirsi lontano da queste figure, il piccolo vivrà una reale esperienza di perdita. Ciò può essere vero sia nel caso in cui i nonni prestino assistenza cinque giorni la settimana, sia che la loro presenza di limiti a due giorni, un solo giorno o addirittura solo la sera o nei fine settimana. Qualunque sia l’intensità del coinvolgimento, il distacco può causare una grave sofferenza nel bambino, proprio come per qualsiasi altra perdita.


Gli americani oggi sono un popolo itinerante, che vede i i giovani genitori spostarsi di frequente – se non addirittura d’abitudine – da una città all’altra per necessità aziendali o per un nuovo posto di lavoro. Nonni e genitori cambiano spesso città per una serie di ragioni diverse: maggiori opportunità economiche, aria più respirabile, strade più sicure, clima più caldo e soleggiato, condizioni abitative più favorevoli, un ambiente nuovo. Le case di riposo situate in luoghi come la Florida, il North Carolina, l’Arizona e la California attraggono gli anziani per il clima e i servizi ricreativi. Tuttavia, alla base di un trasferimento non figurano né i bambini, né le loro esigenze. Ciò vale non solo per i nonni ma anche per altri parenti – e gli amici più cari–, che potrebbero fornire una valida rete di sostegno per le giovani famiglie. Parenti e amici che vivono abbastanza vicini ai neogenitori, infatti, sarebbero disponibili ad occuparsi del bambino o a contribuire al reperimento di un sostituto. I genitori trasferitisi in città lontane avranno con ogni probabilità pochi amici, parenti o altre risorse su cui contare. Dovrebbero quindi pensarci due volte prima di accettare un lavoro che, implicando un trasferimento, li separerebbe dalla famiglia o da altri adulti importanti.


John e Sarah si trasferiscono dal Midwest a Los Angeles a causa del lavoro di John. Un mese dopo nasce Aaron, il loro primo figlio. Sarah non ha parenti in città e non ha avuto il tempo di costruirsi delle nuove amicizie. Sua madre la raggiunge per aiutarla, ma rimane solo due settimane perché deve tornare ai suoi impegni: Sarah non solo si sente sopraffatta dalle nuove responsabilità di madre, ma è anche doppiamente stressata a causa della mancanza di una eventuale rete di sostegno costituita dalla famiglia e dagli amici.


L’assenza di una rete di sostegno torna ad essere sottovalutata nel momento in cui John e Sarah avvertono l’esigenza di un’entrata supplementare, per cui Sarah prende a lavorare fuori casa. Nella sua città di origine avrebbe potuto affidare Aaron alle cure della madre e degli altri componenti della famiglia, senza dimenticare l’eventuale disponibilità degli amici. Il trasferimento a Los Angeles si dimostra particolarmente pesante proprio nel momento in cui Sarah si mette alla ricerca di una tata competente per Aaron.


Si rivolge ai servizi per l’infanzia del suo quartiere che assicurano un trattamento “di qualità”, rimanendo tuttavia sbigottita da quanto constatato – un gran numero di piccoli utenti e un rapporto bambino/educatore troppo elevato. I servizi presi in esami si rivelano, nella migliore delle ipotesi, luoghi di custodia senza traccia di calore e sensibilità.


Aaron avrebbe avuto l’opportunità di sviluppare una base emotiva sicura se John e Sarah avessero rimandato il trasferimento a Los Angeles al suo secondo compleanno, e Sarah avrebbe gestito meglio il cambiamento, trovando altresì un sostituto materno adeguato.


Naturalmente ciò avrebbe comportato la rinuncia, da parte di John, a un’opportunità economicamente interessante; una decisione che, in quel momento, rappresentava un grosso ostacolo per la realizzazione di un rapido successo economico, oltre che un rallentamento dell’ascesa professionale all’interno dell’azienda. Tale compromesso però avrebbe dato i suoi frutti negli anni a venire, sia per John e Sarah, sia per Aaron.


La riduzione dei tempi di spostamento verso il luogo di lavoro come soluzione per essere genitori più presenti


Molti genitori impiegano davvero un’infinità di tempo per andare e tornare dal lavoro. In alcune città sviluppatesi in maniera disordinata, circondate da quartieri residenziali periferici altrettanto disordinati, si arriva a perdere più di due ore in macchina, in treno o in pullman per raggiungere l’ufficio. Altri genitori, con mansioni di maggior responsabilità, si spostano di frequente in altre città per riunioni o convegni che possono durare diversi giorni. Tutto ciò li allontana dai figli per troppo tempo, mentre ogni ora dedicata loro è un’ora in più per realizzare un legame di attaccamento sicuro.


Una possibile soluzione per garantire una maggiore disponibilità potrebbe essere quella di ridurre i tempi di spostamento trovando un impiego più vicino a casa. Se però un’offerta di lavoro si rivela tanto attraente da essere tentati di accettarla nonostante comporti molte ore settimanali di viaggio, si potrebbe ricorrere a una soluzione facilmente apprezzabile da un figlio: traslocare più vicino al nuovo posto di lavoro.


Ciò potrebbe implicare la rinuncia alle amenità della provincia rurale o di periferia, ma il compromesso si rivelerebbe vantaggioso per il vostro piccino. Come abbiamo detto in precedenza, un bimbo sotto i due anni ha, almeno in quel periodo critico della sua vita, più bisogno di mamma e papà che di un paesaggio allietato dal cinguettio degli uccelli e da prati in fiore.


Per di più, i bambini traggono vantaggio dalla presenza di genitori non completamente esauriti dalla vita del pendolare. La fatica di un viaggio di 80-90 minuti nel traffico congestionato e impazzito di strade e autostrade caotiche può trasformare un genitore amorevole e premuroso in un individuo irritabile e insensibile.

Asili nido “tradizionali”

Nel 1990 il 12% dei 5 milioni di bambini sotto i tre anni frequentava il nido, pubblico o familiare5. C’è una grande varietà all’interno di questi servizi, sia per quanto riguarda la qualità che la continuità dell’accudimento offerto. Come sottolineato nel capitolo IV, un recente studio condotto dall’Università della California rivela che l’avvicendamento degli educatori che prestano servizio presso gli asili nido, ivi compresi quelli considerati migliori, supera il 40% annuo6. Vi è ragione di credere che il dato aumenti all’interno delle strutture “medie”, in cui non c’è nemmeno la certezza che i piccoli vengano seguiti – quotidianamente o settimanalmente – dallo stesso educatore. Ciò impedisce in maniera grave il processo di attaccamento: anche nel miglior asilo nido un bimbo rischia, nell’arco della giornata, di avere a che fare con sei o più educatori diversi!


Come illustrato nel capitolo IV, il Rapporto pubblicato dall’Università del Colorado è assai critico nei confronti della maggior parte degli istituti per la prima infanzia, denunciando come: “malgrado l’importanza di un accudimento qualitativamente valido, solo un nido su sette garantisce un livello qualitativo tale da consentire il benessere del bambino e il processo di apprendimento7. I genitori dovrebbero essere altresì consapevoli che frequentare i nidi può esporre i piccoli ad altri problemi non sempre evidenti, quali ad esempio un rischio più elevato di contrarre malattie dovuto al costante contatto con tanti bimbi, ed educatori diversi.

Altro motivo d’ansia riguardo a tali strutture è il numero di bambini per sezione, che rende la supervisione e l’osservazione di ciascuno di loro più difficile da applicare rispetto a un ambiente domestico. I piccoli potrebbero essere esposti a maggiore stress o all’eventuale prepotenza di certi compagni.


Per contro, negli asili nido migliori – specie quelli universitari o aziendali – la supervisione e la formazione degli educatori è di standard più elevato.


È importante che i genitori si rendano conto del fatto che la qualità dell’accudimento dipende in primo luogo dal rapporto numerico educatori/ bambini, dalla formazione degli operatori e dall’esperienza degli amministratori. La preparazione dello staff dovrebbe includere corsi di specializzazione sulla prima infanzia, pedagogia e psicologia dello sviluppo. Gli educatori dovrebbero essere meglio retribuiti così da ridurne il ricambio, richiamando, al contrario, personale più qualificato. Per di più si tratta, di solito, di servizi accreditati, e quindi tenuti ad assicurare ai genitori almeno gli standard minimi di assistenza e formazione del personale. Il che non avviene automaticamente nei numerosi centri non accreditati. I genitori dovrebbero riflettere con attenzione prima di affidare i propri piccini a questi ultimi, che spesso non garantiscono neppure gli standard minimi previsti.

Detto ciò, e dopo aver compreso la difficoltà nel reperimento di servizi per l’infanzia idonei, è bene precisare che centri a misura di bambino esistono; si tenga comunque presente che la ricerca dovrà essere effettuata sul 14% dei nidi che garantiscono un servizio competente e adeguato allo sviluppo dei piccoli ospiti, poiché è ormai assodato che nella maggior parte delle strutture ciò non avviene8. Il 14% di cui sopra è stato calcolato sulla base di una nota scala di valutazione. Per rientrare nei parametri di idoneità, ed essere definito “ottimale”, un asilo nido deve raggiungere un punteggio di “5” e soddisfare i seguenti requisiti:

  • I parametri di salute e sicurezza sono pienamente rispettati;

  • gli educatori si mostrano affettuosi, attenti e premurosi nei confronti dei bambini;

  • l’apprendimento avviene attraverso l’utilizzo di strumenti diversificati e attività divertenti e interessanti. Il punteggio massimo di “7,” che equivale all’“eccellenza”, prevede che:

  • i bambini vengano incoraggiati a essere indipendenti;

  • l’educatore si basi sulle esigenze di apprendimento di ogni singolo elemento;

  • gli adulti abbiano relazioni personali e profonde con ciascun bambino. Purtroppo, l’86% dei 401 centri presi in esame non ha soddisfatto nessuno dei criteri elencati9.

I ricercatori hanno inoltre espresso serie preoccupazioni in merito ai risultati delle ricerche condotte sui centri per i bambini di età inferiore ai due anni, la cui qualità risulta significativamente inferiore a quella degli istituti frequentati dai bambini più grandi. Solo l’8% raggiunge un livello qualitativo alto. Il 92% ha ottenuto un punteggio tra l’insufficiente e il mediocre. Di questi il 40% viene definito di qualità scadente – con un punteggio inferiore a 3 –, il che significa che la salute e il benessere dei bambini con meno di due anni, tanto piccoli e vulnerabili, è sostanzialmente a rischio per tutto il periodo trascorso all’interno di certe strutture. I nidi di qualità scadente sono caratterizzati dalla mancanza dei requisiti sanitari previsti per il cambio del pannolino e per i pasti. A questo si aggiunge l’assenza di relazioni affettuose e solidali con gli educatori: è raro che i piccoli ospiti vengano presi in braccio e coccolati; altrettanto raro è che venga loro rivolta la parola. Scarso l’utilizzo di giocattoli o di altri materiali che incoraggino lo sviluppo fisico, sociale ed emotivo del bimbo10. Pertanto, è bene che i genitori svolgano attenti controlli, e che visitino i nidi prima di iscrivervi i figli, specie se impossibilitati a ricorrere alle altre soluzioni descritte nel presente capitolo.


Purtroppo, quando ci si reca presso un nido è più facile osservarne la struttura, le attrezzature, il rapporto educatori/bambini, che valutarne la qualità oggettiva dell’accudimento; più difficile è assistere a quanto avviene al momento dei pasti, del cambio del pannolino e della nanna. Ciò è vero specialmente se il genitore, nel corso della visita presso la struttura, viene accompagnato dal direttore o da altro personale. Spesso, preso dall’ansia che il figlio non venga accettato, è restio a porre domande scomode o a richiedere un ulteriore giro di osservazione. I nidi che godono di una buona reputazione, o i centri universitari, hanno spesso lunghe liste d’attesa che rendono l’ammissione assai difficile. È forse alla luce di queste considerazioni che lo studio dell’Università del Colorado riguardo la valutazione dei nidi conclude che i genitori: “sopravvalutano in modo sproporzionato la qualità del servizio offerto ai loro figli11. Il loro desiderio è “avere la coscienza a posto” riguardo la struttura a cui affidano il proprio bambino, senza dubbi assillanti.


Detto questo, è senz’altro auspicabile che il genitore, nella valutazione di un asilo nido (e di qualsiasi altra struttura), chieda il permesso di starsene un po’ defilato a guardare che succede, come suggerisce il dottor Benjamin Spock12. Non è necessario essere grandi esperti per capire se l’accudimento prestato sia o meno sensibile ai bisogni dei piccoli, attento e affettuoso. Se possibile tale valutazione dovrebbe durare almeno un’ora se non di più: cinque o dieci minuti non bastano.

Asili nido familiari

Nel 1990, l’11,2% dei 5 milioni di bambini americani al di sotto dei tre anni affidati a servizi per l’infanzia frequentavano asili nido “familiari”13. Si tratta di abitazioni private, spesso prive di autorizzazione, dove quattro o cinque bambini vengono accuditi da una o due persone la cui qualifica è difficile da valutare. È assai arduo prevedere la qualità e la continuità del servizio svolto in certe strutture. Purtroppo, nei nidi familiari autorizzati, i controlli in loco sono rarissimi: uno ogni tre (o più) anni – come avviene in California, Connecticut, Iowa, Stato di New York, Pennsylvania e Texas14. La formazione e la supervisione del personale ivi impiegato sono spesso scarse. Ancora una volta, i genitori dovrebbero indagare con diligenza la realtà di questi servizi. Ho notato che esistono differenze sostanziali da struttura a struttura, sia in termini di ambiente sia negli strumenti di gioco utilizzati e nella formazione del personale. Ultimo appunto: i piccoli accolti presso i nidi pubblici e familiari sono sottoposti al quotidiano strappo dal proprio ambiente domestico, spesso molto presto al mattino e fino alle cinque o alle sei di sera, se non più tardi.

Criteri per la selezione di un nido tradizionale o familiare

La selezione di un nido normale o familiare ha la medesima importanza della scelta di una tata. Si è tentati di pensare che il personale amministrativo e direttivo di queste strutture, soprattutto di quelle ritenute migliori – quali i centri universitari –, proceda a un’attenta valutazione degli educatori assunti. In realtà le ricerche rivelano che le indagini condotte mirano quasi sempre a scartare solo i canditati palesemente non qualificati, ma il processo di scrematura è così soggettivo che è consigliabile un ulteriore controllo da parte del genitore stesso.


Ecco alcune domande da fare prima di iscrivere vostro figlio presso una struttura diversa da casa vostra.

1. Qual è il rapporto numerico educatori/bambini? Siate precisi nel modo di porre la domanda. Per esempio: “Alle 10 (o a un qualunque altro orario particolare) quanti bambini sono seguiti dallo stesso educatore?” Il rapporto massimo raccomandato, in accordo con le indicazioni del dottor Spock, è di non più di tre bambini sotto l’anno di età per educatore15. Il motivo è che le necessità espresse dai bimbi molto piccoli devono essere soddisfatte con assoluta prontezza: la loro capacità di posticipare il soddisfacimento di un bisogno è estremamente ridotta, e il minimo ritardo genererebbe ansia, oltre a interferire con lo sviluppo del legame con l’adulto. Ricordate che quanto più a lungo e più disperatamente si lascia piangere un bimbo in difficoltà, tanto più difficile sarà per lui sviluppare la sensazione positiva che il mondo è un bel posto dove vivere, e sentire di essere un essere importante e amato.

2. Con quale frequenza avviene il ricambio tra gli educatori? Sono molti i bambini che passano dalle 8 alle 12 ore al giorno in un nido. Durante questo lasso di tempo quante sono le persone ad interagire con loro? Maggiore è il numero di individui con cui relazionarsi, tanto più difficile sarà per loro stabilire il necessario attaccamento su una base sicura e sviluppare una relazione di fiducia. Questo è vero specie nei bambini sotto i due anni, che hanno un assoluto bisogno di prevedibilità.


È importante quindi informarsi su quanti educatori si siano avvicendati nel corso degli ultimi due anni. Alcuni di loro sono studenti che lasciano l’incarico dopo un semestre, una volta raggiunti alcuni obiettivi accademici o lavorativi; altri scelgono questo tipo di esperienza per migliorarsi sul fronte professionale e retributivo. Come già detto, l’avvicendamento annuo del personale impiegato nei nidi universitari è superiore al 40%, ma si tratta di dati che non tengono conto dei turni giornalieri di una struttura “standard”16. In una giornata tipo, per esempio, gli orari degli operatori sono scaglionati, tra pause caffè, pause pranzo e cambi di turno. Ne consegue che, nell’arco delle 8-10 ore di permanenza al nido, un bambino molto piccolo arrivi ad essere accudito da sei o più persone diverse: è difficile sviluppare un buon attaccamento quando il tempo passato con la stessa persona è così scarso, diversamente dalla relazione uno a uno tra genitore e bambino, in cui la madre o il padre dispone di gran parte della settimana per stare insieme al proprio figlio.

Un metodo diplomatico per ottenere informazioni sulla rotazione del personale è chiedere: “Quante persone si occuperanno di mio figlio? Ci sarà un’educatrice di riferimento che rimarrà con lui per tutto il giorno?”


Un’ulteriore difficoltà riguardo l’attaccamento agli educatori si presenta allorché il bambino, troppo grande per restare nella sezione dei lattanti, deve passare a quella successiva. A quel punto, ancora una volta, saranno nuovi educatori a prendersi cura del bimbo, che ha cominciato a camminare e ad andare all’esplorazione del mondo.


Ironia della sorte, anche presso le migliori strutture è molto difficile che il bambino di età inferiore ai due anni sviluppi un attaccamento sicuro con gli educatori, nonostante l’ottimo rapporto numerico educatore/bambino. Come abbiamo affermato all’inizio di questo libro, occorrono tempo e la prevedibilità di centinaia e centinaia di interazioni prima che si possa stabilire un attaccamento sicuro con una persona. Per assurdo, e spesso senza darci peso, la stessa struttura, dotata di personale qualificato, attrezzature adeguate e un basso rapporto numerico educatore/bambino, risulta essere il contesto giusto per i bambini dai due ai quattro anni, che vi maturano esperienze sociali ed educative ricche ed appaganti. Per gli ospiti più piccini può rivelarsi vero il contrario, poiché il loro principale obiettivo di sviluppo è la creazione di una relazione basata sulla fiducia e sulla prevedibilità. Risultato assai difficile da raggiungere con la rotazione di più educatori, per quanto vigili e preparati. Naturalmente preparazione e vigilanza sono imprescindibili per una gestione ottimale delle necessità fisiche dei piccoli ospiti, oltre che per la prevenzione di problemi di ordine sanitario. È altresì vero che un nido che gode di una buona supervisione favorirà un’interazione più immediata con il vostro bambino.

3. Quali sono le modalità di selezione del personale impiegato? Anche per l’assunzione degli operatori del nido valgono le stesse regole prese in esame per la scelta di una tata. Tuttavia ulteriore elemento da valutare – da parte della struttura, ma anche del genitore – è, ovviamente, il percorso formativo, i titoli di studio (eventualmente) conseguiti e le qualifiche generali del personale assunto per lo svolgimento di una mansione così delicata. In genere, un genitore scopre che il personale più qualificato e preparato opera nelle strutture ospitate all’interno dei principali centri universitari o in grossi contesti aziendali, piuttosto che negli asili nido privati. Inoltre i centri universitari risultano, in genere, più esigenti e selettivi nel processo di scrematura, così come nella supervisione del personale assunto.


È chiaro che nella valutazione di un nido non sarebbe possibile porre quesiti come quelli suggeriti, all’inizio del capitolo, per la scelta della tata: sarebbero domande sicuramente irritanti (per non dire altro) per il direttore di un asilo nido universitario.

4. Quali sono i criteri d’ammissione al nido? Potrebbe essere interesse del genitore sapere se la struttura in esame prevede l’ammissione di bambini autistici, affetti da ritardo mentale o da disturbi dell’emotività, o ancora portatori di handicap: in caso affermativo, vi è personale specializzato nella gestione di questi casi particolari? La presenza di soggetti particolarmente aggressivi potrebbe oltremodo spaventare un bimbo di uno o due anni che si è dovuto separare dai genitori e che si sente poco protetto dagli educatori; la furia esplosiva di un bambino arrabbiato rischia di sopraffare un essere ancora così piccolo. Anche se la rabbia o l’aggressione non è diretta a lui, assistere al comportamento disturbato in un compagno può essere estremamente destabilizzante.


È quindi molto importante sapere se l’ammissione al nido prevede la raccolta di specifiche informazioni circa la storia familiare e personale del bambino. Sarebbe bene che i genitori prendessero visione dei moduli di iscrizione e valutassero gli eventuali colloqui d’ammissione o incontri conoscitivi: ciò li aiuterebbe a decidere se la struttura in esame è in grado di valutare e soddisfare i bisogni specifici di ogni bambino.


Un sabato David e Susan iscrivono il piccolo John, di 15 mesi, all’asilo nido. All’incontro intervengono il direttore e un’educatrice, ma i due genitori non hanno modo di osservare i compagni di sezione di John, che hanno un’età compresa tra 1 e 2 anni e mezzo. La struttura sembra pulita, luminosa; le attrezzature e i giocattoli adeguati all’età dei bambini. Purtroppo due dei sei compagni di John sono molto aggressivi. Uno di loro spesso morde, specie se pretende il giocattolo usato da un altro bimbo. Anche se John non viene mai attaccato direttamente, i pianti e le urla della vittima di turno lo atterriscono a tal punto da rendere l’inserimento al nido assai difficile.


Certo sarebbe stato utile, prima dell’iscrizione, osservare il comportamento dei suoi compagni di sezione.

5. Quali sono le norme sanitarie adottate? Se un bambino ha la tosse o la febbre, quali sono le eventuali misure adottate per impedire la propagazione della malattia ai compagni? Esiste una stanza o un angolo particolari ove isolare il piccolo malato? Al momento del cambio del pannolino, quali misure igieniche vengono adottate? Quali sono i sistemi utilizzati per evitare che lo scambio di biberon, succhiotti e giocattoli faciliti la trasmissione dell’infezione? Qual è la procedura in caso di emergenza? Se il bambino cade, si fa male o si ammala, c’è un medico o un pronto soccorso nelle vicinanze? Il genitore viene subito avvisato? È bene accertarsi dell’esistenza e dell’idoneità di uno specifico protocollo (di natura scritta o orale) sanitario e in materia di sicurezza.
Nidi e rischi per la salute

Sono stati condotti numerosi studi sull’argomento. “È oramai accertato che gli asili nido siano terreno fertile per la diffusione di malattie infettive. Il semplice atto di separare un neonato dalla madre può abbassarne le difese immunitarie e renderlo più vulnerabile agli agenti infettivi17. In uno studio condotto nel 1989 sono stati messi a confronto il tasso infettivo, il ricorso alle cure mediche e i costi delle stesse nei bambini che stanno a casa e in quelli che frequentano il nido. La ricerca mette in evidenza che i piccoli accuditi presso gli asili nido, sia pubblici che familiari, sono maggiormente a rischio di infezioni, rivelando altresì con grande chiarezza che tali strutture risultano molto pericolose: “il rischio di ospedalizzazione per i bambini ospitati presso questi istituti è tre volte più alto”. Infine, il costo delle cure mediche prestate ai piccoli ospiti degli asili nido è da due a tre volte superiore a quello relativo ai bimbi accuditi a casa18.


La frequenza del nido espone a un rischio maggiore di sviluppo di bronchiti e polmoniti, così come di infezioni gastrointestinali19. Ancora peggiore è l’effetto a catena che si verifica con la contrazione della malattia: essa si propaga non solo a coloro che lavorano all’interno della struttura, ma invade anche le loro case e quelle dei piccoli malati. Tali epidemie, lungi dall’essere casi isolati, si verificano con cadenza regolare20.


Oltre alle malattie menzionate, i bambini che frequentano l’asilo nido sono più esposti al rischio di infezioni della pelle e altre malattie batteriche invasive come la meningite, che può essere letale o causare gravi danni permanenti21. Un’ulteriore indagine inquietante rivela che “i bambini affidati al nido hanno un rischio dal 50 al 100% superiore di contrarre (alcune) patologie letali e menomanti per ogni anno trascorso presso la struttura22. Un bambino ammalato non è solo causa d’ansia e preoccupazione per un genitore premuroso, ma la stessa malattia in genere comporta anche dei costi aggiuntivi: uno dei genitori spesso è costretto a restare a casa a occuparsi del figlio ammalato, rinunciando così a parte dello stipendio. Capiterà pure che la mamma, il papà o un altro fratellino, tra un colpo di tosse e uno sternuto, finisca col prendersi il raffreddore, ritardando il rientro al lavoro e andando incontro a ulteriori spese per visite mediche, ricoveri ospedalieri e medicine per l’intera famiglia. Sarebbe bene valutare tutti i rischi che si celano dietro la frequenza di un nido d’infanzia prima di procedere all’iscrizione del proprio figlio.

6. I genitori hanno il diritto di fare visite “a sorpresa”? Sarebbe un’ottima occasione per ottenere informazioni utili a verificare, con una certa attendibilità, quanto accade all’interno del servizio. Per esempio in alcuni nidi chi si reca in visita ha modo di valutare quante siano le persone che accudiscono un bambino e che cosa stiano facendo i piccoli. Altri servizi, con una organizzazione forse più complessa, non danno la possibilità di osservare se non accompagnati – da un operatore – presso un’apposita area. Non vi è alcuna possibilità di verifica a meno che il genitore non abbia modo di osservare di preciso come si svolge la gestione dei piccoli e il tipo di interazioni con gli educatori. Nell’ipotesi che al genitore sia consentito intrufolarsi e controllare, questi dovrebbe prendere nota dell’intensità e della frequenza del pianto, e valutare l’atmosfera generale. Potrebbe riferire se l’ambiente è tranquillo e silenzioso, se i bambini vengono fatti giocare, nutriti e curati al meglio. Un’atmosfera come questa sarebbe di certo rassicurante. Se, al contrario, durante i cinque-dieci minuti di visita il genitore nota che alcuni bambini vengono lasciati piangere sconsolati dovrebbe preoccuparsi seriamente, a dispetto di qualsiasi eventuale “spiegazione”. È consigliabile svolgere questo tipo di indagine prima di decidere di iscrivere il proprio figlio al nido. I requisiti formali per ottenere l’autorizzazione sono minimi, in alcuni casi inesistenti. Prima della effettiva iscrizione, quindi, converrebbe trascorrere almeno l’intera mattinata o un pomeriggio a osservare, con calma e in silenzio, come gli educatori si prendono cura dei bambini. Il dottor Spock suggerisce di visitare il nido “diverse volte” per “alcune ore”, così da essere in grado di “rendersi conto della qualità dell’accudimento23. Nel caso in cui la struttura non consenta al genitore di fare una visita senza preavviso una volta che il bambino è stato iscritto, né gli permetta di trascorrere una mattina o un pomeriggio a osservare il funzionamento del nido, sarà opportuno prendere in considerazione altri servizi.

7. Quali sono gli strumenti e i giochi messi a disposizione? Giocattoli, libri, colori, creta, sabbia, acqua, costruzioni e altri strumenti utili allo sviluppo dovrebbero essere messi a disposizione dei piccoli ospiti, specie quelli di età inferiore a due anni. Alcuni istituti evitano l’utilizzo di certi materiali – di solito colori o creta – perché sporcano: il loro impiego implicherebbe una maggiore supervisione e una pulizia più accurata. Tuttavia, essendo tali materiali tanto importanti per i bambini piccoli, i genitori dovrebbero rivolgersi a strutture che ne consentano l’utilizzo, ed escludere quelle che mettono la pulizia e l’ordine al di sopra del bisogno di esprimere la naturale creatività insita in ogni bimbo.


Per i fanciulli di uno-due anni e per quelli in età prescolare dovrebbero essere sempre disponibili giochi quali costruzioni, puzzles, strumenti musicali, travestimenti e strumenti domestici (una piccola scopa, piatti di plastica, ecc.), così da rendere le ore trascorse lontano da casa ricche e stimolanti. È inoltre bene chiedere con quale frequenza settimanale i bimbi vengano messi davanti al televisore. Sono ormai parecchi gli asili nido in cui è previsto un momento in cui i bimbi stanno seduti a guardare la televisione, invece di dedicarsi alle (preferibili) attività di gioco sotto la supervisione dell’adulto. Non sempre i genitori sono informati dei programmi che vengono proposti ai loro figli.


Riguardo ai giochi da esterno, i genitori dovrebbero verificare che le altalene siano sicure: sarebbero preferibili le altalene con il seggiolino chiuso, che offrono una protezione anteriore e posteriore. Bisognerebbe altresì verificare che ci sia abbastanza spazio per le altalene stesse, onde evitare eventuali scontri. Alla base delle strutture per arrampicarsi sono presenti superfici di protezione, come materassi, erba, terra battuta?

8. I genitori possono partecipare all’inserimento del figlio? A prescindere dal sostituto – tata, baby-sitter, educatrici di nidi pubblici o familiari –, i genitori devono fare quanto loro possibile per osservare il bambino nell’ambiente in cui ci si prende cura di lui, ma anche prendersi il tempo necessario per essere fisicamente presenti durante il periodo di inserimento, che può durare da qualche giorno a una o più settimane.


Durante questo periodo il genitore, insieme al sostituto, interagirà con il figlio, favorirendo lo sviluppo di un buon legame tra il bambino e il sostituto grazie al senso di sicurezza garantito dalla presenza del genitore.


La reazione alla separazione dalla figura di riferimento nota e l’adattamento a un nuovo ambiente e al personale del nido varia da bambino a bambino. Molti piccoli vivono il passaggio in modo meno traumatico se viene consentito loro di portarsi il biberon, il succhiotto, un peluche o la coperta preferita, che fungono da oggetto transizionale al momento del sonnellino o nei frangenti di maggior nervosismo. Se non espressamente suggerito dal personale della struttura, sarà una libera iniziativa del genitore.


Se, al contrario, non è prevista la partecipazione di mamma o papà, che, anzi, vengono invitati a lasciare il piccolo di punto in bianco, sarà bene rivolgersi a un’altra struttura. Quando il nostro Timmy viene lasciato presso un nido familiare senza alcuna spiegazione o preparazione, l’esperienza si rivela per lui molto traumatica. Le separazioni sono difficili a ogni età, ma ancor più per un bimbo che non sa ancora parlare poiché non c’è modo di prepararlo al cambiamento.


Molti genitori potrebbero essere riluttanti a porre alcune delle domande suggerite, per il timore che vengano interpretate come una critica mossa implicitamente all’istituto preso in esame. Di certo alcuni operatori di nidi pubblici e familiari si mostreranno altrettanto restii a rispondere, ma per il bene del vostro bambino sarà vostro compito far luce sui vari aspetti analizzati. Una struttura competente avrà tutto l’interesse a rispondervi in modo esauriente. In caso contrario prendetelo come un campanello d’allarme.

Fare la scelta migliore

Alcune delle soluzioni proposte vi sembreranno accettabili, altre invece inutili o inattuabili. Comunque sia sono state tutte applicate con successo da alcuni genitori. Se, ad esempio, il ricorso a un sostituto materno si limita a quattro ore al giorno per cinque giorni la settimana, la necessaria continuità dell’accudimento non risulterà compromessa, poiché il bimbo rimane fisicamente sotto la tutela dei genitori per gran parte della giornata. Quand’anche dovessero verificarsi frequenti sostituzioni delle figure di accudimento nell’arco delle 20 ore settimanali, l’impatto emotivo sarebbe minore rispetto a quello subìto da un bambino parcheggiato presso un asilo nido per oltre 40 ore settimanali. Nella valutazione delle diverse alternative proposte, i genitori dovranno tenere presente la combinazione tra accudimento genitoriale o sostitutivo che più si adatti alle proprie necessità.

Sempre con lui
Sempre con lui
Isabelle Fox
I vantaggi di essere un genitore a tempo pieno.Quanto è importante stare con il proprio figlio almeno durante i primi due anni di età? Una forte presa di coscienza da parte di una psicologa evolutiva. Sempre con lui è dedicato ai milioni di bimbi piccoli che al giorno d’oggi sono privati del necessario e sano accudimento, per colpa dell’eccessivo impegno lavorativo di entrambi i genitori e della conseguente sostituzione delle principali figure di riferimento. L’autrice Isabelle Fox approfondisce questo fenomeno sociale, offrendo spunti di riflessione e illustrando concetti di vitale importanza per il benessere psicologico dei bambini. Un libro particolarmente ricco di soluzioni e suggerimenti pratici che, compatibilmente con i vincoli familiari e gli impegni lavorativi di mamma e papà, permetteranno di offrire ai bambini la migliore possibilità di sentirsi accuditi, compresi e amati. Conosci l’autore Isabelle Fox è psicoterapeuta da più di 40 anni, con specializzazione in psicologia evolutiva e relazioni genitori-figli. Per 10 anni ha prestato servizio come consulente per la salute mentale per Operation Head Start.