appendice

Testimonianze

Credo di aver coltivato fin da bambina il sogno di rimanere a casa con i miei figli. Mia madre lavorava, pertanto sono pochi i ricordi legati a lei durante la mia infanzia. Una mia prozia si occupava di me giocando, raccontandomi le sue storie, leggendomi fiabe: era lei, in fondo, la mia mamma. Per cui quando sono nati i miei figli per me fu ovvia la scelta di farli crescere con quelle attenzioni materne che io avevo conosciuto e che mi hanno sorretta nella mia vita adulta.


Che gioia essere testimone di tutti i cambiamenti che avvengono nei bambini: le grandi conquiste, le prime volte, i primi affanni…


Avere al tuo fianco un adulto amorevole che ti accompagna nella tua crescita è un privilegio prezioso. La madre che sceglie consapevolmente di crescere insieme ai suoi bambini non fa un “sacrificio”: fa qualcosa di sacro.


Elisabetta

Quando avere un figlio era per me non un progetto ma soltanto un pensiero lontano, immaginando un futuro da mamma ero convinta che avrei mandato il bambino in un asilo nido appena possibile: dovevo pensare alla mia carriera, che sembrava essere il centro della mia vita. Andavo ripetendo a me stessa che sarebbe stata la scelta migliore, non potevo di certo buttare all’aria tutte le energie profuse nello studio e tutti i sacrifici fatti per acquisire un buon livello di professionalità nel mio lavoro.


Poi, quando ho iniziato a desiderare veramente un figlio, le mie solide convinzioni hanno iniziato lentamente a vacillare… e ho cominciato a pensare che forse la scelta migliore sarebbe stata quella di affidarne la cura a una persona che stimavo tantissimo, che potesse essere un punto di riferimento per il bambino.


Ma il giorno in cui quella sottile linea sul test di gravidanza è diventata rosa, nello stesso istante in cui ho scoperto che dentro di me stava nascendo una vita, non ho avuto alcun dubbio: io sarei rimasta accanto a mio figlio dopo la sua nascita e per i suoi primi anni di vita.


Il mio bambino è arrivato nel momento in cui la mia carriera di avvocato era in piena ascesa e quando, dopo aver a lungo lottato per questo, avevo appena aperto uno studio tutto mio.


Ma quella vita che piano piano cresceva dentro di me ha cambiato radicalmente la mia visione del mondo e grazie a Fabio sono diventata una persona nuova (o forse ero già così e non lo sapevo, ed è stato mio figlio a farmi conoscere questo aspetto di me).


Sono rinata con la nascita di mio figlio. Mai ho amato così tanto la mia vita come da quando sono diventata mamma. La maternità ha reso più forte il mio attaccamento alla vita. Fabio mi ha fatto tornare bambina e, giorno dopo giorno, mi sta aiutando a riscoprire il mondo. Non sono solo io che gli faccio scoprire le cose, è soprattutto lui che le fa scoprire a me. Quelle piccole cose che gli occhi di un adulto non vedono quasi più diventano giganti agli occhi di un bambino. Quante cose mi passavano davanti e io non le vedevo! Mio figlio è una continua scoperta e insieme a lui sto imparando tantissimo. Durante le nostre lunghe passeggiate ci soffermiamo a osservare ogni cosa, lui vuole conoscere tutto. Adoro i suoi occhi che mi guardano con una immensa sete di sapere e ringrazio Dio di avere il privilegio di poter soddisfare in prima persona quella sete. La maternità ha dato una nuova dimensione al mio tempo, mi ha insegnato a vivere senza orologio e ad ascoltare solo i bisogni del mio bimbo.


Da quando Fabio è nato non l’ho mai lasciato e sono felicissima di aver fatto questa scelta. Ci alziamo insieme al mattino, facciamo colazione insieme, pranziamo insieme, ceniamo insieme, giochiamo insieme, leggiamo insieme, dormiamo insieme… Il nostro è un grandissimo scambio d’amore. Stare con mio figlio a tempo pieno è stata la scelta migliore che potessi fare non solo per lui, ma anche per me.


Continuo a esercitare un po’ di libera professione lavorando a casa quando lui dorme, specie la sera. Ogni tanto, quando devo redigere un atto in scadenza, trascorro buona parte della notte a scrivere, ma stare a casa mi permette di rassicurare mio figlio tutte le volte che ne ha bisogno A volte è stancante perché magari non dormo per notti intere o dormo solo poche ore per notte, ma la freschezza del sorriso di mio figlio cancella ogni traccia di stanchezza.


È bello per me potergli essere accanto tutte le volte in cui vuole essere coccolato o consolato. Le mie braccia sono per lui un porto sicuro. Sono stata con lui quando ha sorriso per la prima volta, quando aveva le coliche e piangeva forte, quando ha detto la prima parola, la seconda, la terza… sempre. Ero con lui quando ha imparato a gattonare… a tirarsi su… a muovere i primi passi. C’ero ogni volta che gli è spuntato un nuovo dentino, consolandolo quando provava dolore e “festeggiandolo” quando mi accorgevo che era finalmente spuntato. Ero con lui la prima volta che è stato spintonato da un altro bimbo e i suoi occhi spaventati e increduli a un tempo mi chiedevano cosa fosse successo. Sono sempre con lui quando si addormenta e sono sempre con lui quando si sveglia.


Quando Fabio ha compiuto 21 mesi ho accettato un incarico di supplente in una scuola per 3 mesi e mezzo, durante i quali mi sono dovuta allontanare da lui al mattino per qualche ora; durante la mia assenza, nel tentativo di non traumatizzarlo troppo, ho fatto in modo che lui potesse rimanere comunque a casa (in quel periodo i miei genitori si sono trasferiti da noi) tra le sue cose, i suoi giochi, i suoi libri. Non volevo che fosse costretto a svegliarsi per andare altrove, sconvolgendo ancor di più la sua esistenza. E, grazie a mille attenzioni e accorgimenti, il distacco è avvenuto nel modo più morbido possibile.


Adesso sono di nuovo a casa con mio figlio tutto il giorno, e ringrazio il Cielo per il tempo prezioso che posso trascorrere con lui. Fabio andrà alla scuola materna solo dopo che avrà compiuto 3 anni. In ogni caso per il futuro non ho intenzione di riprendere a lavorare a tempo pieno come avvocato: dovrei stare via da casa troppo tempo e mi sentirei poco presente come madre. È soprattutto per questo motivo che ho accettato quel breve incarico da supplente, per aprire la strada a nuove opportunità che mi consentano di avere più tempo per Fabio anche in seguito. A volte è dura economicamente, e mio marito e io passiamo ore a cercare di far quadrare i conti di casa ma, rinunciando a tante cose inutili, alla fine riusciamo sempre a superare i momenti di difficoltà.


Penso che un bimbo che può trascorrere i suoi primi anni di vita insieme alla mamma (o al papà a tempo pieno) cresca con maggiori sicurezze e, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, sia anche più indipendente. Quando andiamo al parco giochi e lo osservo giocare mi rendo conto della sua autonomia. Rifarei mille volte la scelta che ho fatto e sono grata a mio marito che mi ha permesso di portarla avanti sostenendomi e aiutandomi nei momenti difficili.

Stefania

Quando nacque mio figlio Alessandro, mio marito era fuori città per lavoro dalla domenica sera al venerdì. Così mi rimboccai le maniche e mi presi cura del mio cucciolo praticamente da sola. Accanto a me avevo per fortuna mia madre, ma non volevo appesantirla troppo.


Alessandro era una luce per me, una favola che mi volevo leggere appieno, che volevo studiare con tutta me stessa nel suo divenire realtà. Finché non andò alla scuola materna vissi con lui tutte le mie giornate e nottate. Talvolta i suoi risvegli notturni erano davvero pesanti, ma il fatto di potermelo tenere vicino anche al mattino, poiché non dovevo alzarmi per correre al lavoro, mi dava un grande sollievo. La mia è stata un’esperienza difficoltosa per la sua univocità di gestione ma nello stesso tempo anche gratificante e arricchente per me: molte cose ho insegnato ad Alessandro ma molte cose ho imparato da lui…

Olga

Sono una mamma che lavora part-time.

Ho trentotto anni e una figlia di trentaquattro mesi, Silvia.


Lavoro in ospedale da circa quindici anni e ho sempre fatto i tre turni. Fino a prima della maternità pensavo che i turni, soprattutto il notturno, mi dessero molto più tempo libero, anche da passare con i figli, se ne avessi avuti, sostenuta in questa convinzione dall’esempio di tante colleghe.


Ma quando vidi la fatidica righetta sul test di gravidanza, andai dalla caposala e le dissi: “sono incinta, da oggi sto a casa”, sostenuta in questo, tra l’altro, dalla direzione sanitaria, a cui ho tolto la padella dal fuoco.


Ho passato i miei nove mesi di gravidanza godendomeli ogni giorno e ho deciso, in accordo con mio marito, che sarei rimasta a casa per tutto il primo anno di vita di nostra figlia. Per vari motivi sono tornata a lavorare quando Silvia aveva undici mesi, non ultimo il fatto che rientrando prima dell’anno avrei riavuto il mio posto (e dopo undici anni nello stesso reparto ci tenevo). Nel frattempo avevo chiesto e ottenuto un part-time a ventotto ore e l’esenzione dal turno di notte fino ai tre anni di mia figlia.


Ho lavorato per un anno, facendo per lo più il primo turno e cercando di conciliare i miei turni con quelli di mio marito, in modo che uno di noi fosse sempre con Silvia.


Da quest’anno, a causa di un infortunio sul lavoro, la direzione ha deciso di spostarmi all’ambulatorio; ho accettato perché gli orari mi consentono di continuare a gestire mia figlia in collaborazione con il papà.


Ora lavoro dalle 8 alle 15, ho ancora il mio part-time a trenta ore e sono a casa nel fine settimana e nei festivi, mentre mio marito cerca di lavorare sempre il secondo turno e la notte, in modo da lasciare Silvia con i nonni solo per poche ore.


Il prossimo settembre Silvia incomincerà la materna, il papà l’accompagnerà e io l’andrò a riprendere e starò con lei.


Non vi nascondo che se potessi permettermelo ridurrei ulteriormente il mio orario di lavoro o addirittura starei a casa, ma non potendo mi accontento di passare quasi tutta la giornata con mia figlia, dedicandole completamente il sabato e la domenica.

Monica

Quando mi dissero quella parola – cesareo – mi sembrò che la buona stella che mi aveva accompagnato per tutti i nove mesi della mia gravidanza mi avesse abbandonato. Ma, nonostante il terrore di dover affrontare una anestesia che, per fortuna, fu epidurale, non appena vidi mio figlio, così grande (era quasi 4 chili e 600 grammi!), così sano, mi dimenticai di tutte le mie paure. In ospedale, per un problema di pressione bassa, non avevo la forza di tenerlo in braccio ma, una volta rientrata a casa, ripresi tutte le mie capacità e, finalmente, fui in grado di cominciare la mia splendida avventura.


Ho avuto la fortuna di poter stare a casa con Leonardo fino ai suoi quattro anni di vita. A causa del lavoro di mio marito ci siamo trasferiti prima a Verona e poi a Pordenone: da un lato talvolta mi mancava l’aiuto di una nonna che avrebbe potuto sostituirmi per qualche ora ma dall’altro questo continuo, incessante contatto con il mio bambino mi ha aiutato a creare uno splendido legame di comprensione e di fiducia. Leo ha avuto problemi di reflusso esofageo ma è passato molto tempo prima che venisse posta la diagnosi giusta, e nel frattempo passavamo nottate su nottate in bianco…


Io sentivo che c’era qualcosa che non andava ma nessun pediatra mi credeva: è stata veramente dura in certi momenti. Ero stanchissima per la mancanza di sonno ma il fatto che non dovessi andare a lavorare mi ha permesso di prendermi cura di mio figlio quando stava male come nessun altro avrebbe potuto fare.


Credo fermamente che sia importante per una mamma stare vicino al suo bambino nei primi anni di vita. La mamma accudisce il piccolo nel modo più naturale e affettuoso che possa esistere, proprio come fa la leonessa con il suo cucciolo, proteggendolo e curando le sue ferite.


Sono convinta che non solo la qualità ma anche la quantità del tempo trascorso insieme ai nostri figli sia di vitale importanza sia per loro che per noi.

Angela

La mia avventura a tempo pieno con Eleonora è ancora troppo di breve durata perché io la possa raccontare: adoro fare la mamma, mi sono licenziata a fine febbraio da un posto che avrei comunque cambiato perché lontano da casa e con orari allucinanti… (centro commerciale aperto tutte le domeniche, la sera fino alle 22 e il venerdì fino alle 23). Mio marito e io già da fidanzati eravamo d’accordo che quando avessimo avuto un figlio io sarei rimasta a casa, visto che lui è via per lavoro dal mattino alle 5 fino alla sera alle 19, e abbiamo sempre sostenuto che, avendo le possibilità economiche, è giusto che un genitore stia a casa con il bimbo.


Oggi che mia figlia ha quasi undici mesi sono felicissima di questa scelta: ogni giorno per lei è una scoperta, mi riempie le giornate e non saprei vivere senza di lei. A volte capita che il sabato io esca a fare commissioni e la lasci con il papà, ma mi manca tantissimo anche solo per un’ora!


Ricordo che quando Eleonora aveva tre mesi mia mamma è scoppiata in lacrime guardandola e mi ha detto: “pensa che i tuoi fratelli a quell’età ho dovuto lasciarli al nido: me ne pentirò per tutta la vita…”. Questo perché mio padre lavorava e lei mandava avanti un negozio, aveva me di tre anni e due gemelli. Ancora oggi soffre per quella scelta, perché nel tempo ha visto i problemi che i miei fratelli hanno avuto a causa di questa lontananza dalla mamma.


Capisco e ammiro quelle mamme che devono lavorare per far quadrare i conti, però non capisco tante mie amiche che tornano a lavorare perché a casa si annoiano, e così mandano i bimbi piccoli dai nonni o al nido. Ma come fanno ad annoiarsi? Tra la casa da tenere, la bimba da seguire e far giocare – anche solo guardarla mentre scopre il mondo –, le mie giornate sono piene: non ho tempo per annoiarmi! Se ho un po’ di tempo libero ecco che usciamo a fare un giretto al parco, in bicicletta. Sono davvero felice di poter stare a casa ad accudire la mia piccola.

Lindacarla

Quando ho scoperto di aspettare Giovanni avevo trentun’anni anni e lavoravo da cinque per un’associazione. Dopo essermi laureata, avevo trovato il lavoro che faceva per me, un part-time flessibile che mi permetteva di conciliare lavoro e casa. Lo stipendio era buono, adeguato all’orario e alle responsabilità. Immaginavo che non l’avrei mai lasciato, dato che le prospettive di carriera erano più che soddisfacenti.


Per mia scelta, ho lavorato fino a una settimana prima del parto, perché stavo bene e perché mi ero impegnata a insegnare il lavoro a un’altra persona che mi avrebbe sostituito durante il congedo obbligatorio. Avevo fantasticato molto sul fatto che sarei ritornata al lavoro dopo nove mesi, lasciando il pupo dalle nonne oppure al nido quattro ore al giorno. Insomma, la situazione era perfetta: niente ansie, tutti disponibili. Partorisco e mi cambia la vita. Non pensavo però a un’attaccamento così morboso: guai a chi lo toccava, lo prendeva in braccio, lo guardava! Poi pian piano l’ansia è passata, ma non quella di poter serenamente rientrare al lavoro. Ho deciso pertanto di prorogare fino a un anno finché, all’undicesimo mese, ho scoperto di aspettare Giuseppe…


Forse nel mio inconscio c’era la paura di prendere una decisione, e così ho deciso per forza di cose che sarei stata a casa con Giovanni durante la mia seconda gravidanza. Mi sono licenziata, sebbene non fosse necessario, per dare l’opportunità di prendere il mio posto alla ragazza che mi aveva sostituita. I problemi che poi ho avuto li tralascio perché sono strettamente legati al lavoro, ma a quel punto non mi importava più granché. La mia scelta l’avevo fatta.


Quando è nato Giuseppe sono stata talmente immersa nel ruolo di mamma a 360 gradi che non ho più pensato al mondo fuori. È stata dura con due bambini così vicini e piccoli, ma giorno dopo giorno e passo dopo passo le difficoltà si facevano superabili. Non ho mai pensato “mollo tutto per mezza giornata ed esco, mi distraggo un po’ ”. Non ci sono riuscita sebbene i momenti di sconforto ci siano stati. Non ho nessuno che mi aiuti in casa e mio marito lavora 10 ore al giorno. Però sono felice, a fine giornata sono stanca ma soddisfatta. Al lavoro, devo essere sincera, non ho più pensato, è un’idea che per ora ho accantonato, anche perché adesso ho Angela, la terza, che ha 10 mesi. Ora con tre sarebbe difficile, l’anno prossimo Giovanni andrà in prima elementare e avrà molto bisogno di me vicino, più di ora che frequenta la materna e passa il suo tempo serenamente a giocare. Ho deciso che fino ai tre anni di Angela starò a casa, poi vedrò. Ho avuto la fortuna di poter scegliere e mi sento una mamma privilegiata. Il tempo che passo e ho passato con i miei bambini mi ha tanto arricchito e profondamente cambiata. Spero che sia così anche per loro.

Alessandra

Sono mamma di due bambini: Luca di otto anni e Leonardo, di quasi due. Sono rimasta a casa con loro fin da subito: è stata una scelta che ho fatto fin da quando ho saputo della loro presenza dentro di me.


Il lavoro che ho svolto fino a luglio 2007 (assistente alla poltrona) era considerato a rischio sia per tutto il periodo della gravidanza, sia per i successivi sette mesi dopo la nascita (il periodo dell’allattamento).


Così mi sono goduta fino in fondo la mia pancia, l’ho vista crescere, ho assaporato ogni movimento dei miei cuccioli!


Con i miei bimbi a casa, ogni secondo della mia vita era per loro! Oltre ai sette mesi “obbligatori” ho deciso di prendermi anche la maternità facoltativa, e visto che facevo trenta, tanto valeva fare trentuno e usufruire anche delle ferie e dei permessi maturati in tutto questo periodo.


Ho vissuto ogni loro scoperta, ogni loro traguardo, io ero sempre presente. I primi versetti, i primi sorrisi, il primo dentino, la prima volta che hanno detto mamma, i primi passi… io ero lì!


Certo che lo stipendio con la facoltativa era solo del 30%, ma meglio fare cose di cui pentirsi che pentirsi di non averle fatte!


Ovviamente non mi sono pentita. Sono rimasta con loro, e con loro ho festeggiato i quasi diciassette mesi a casa!


Tornata al lavoro, visti gli orari terribili ho deciso di licenziarmi. Ora ho un altro tipo di lavoro, receptionist in una palestra. Lavoro parttime fino alle 15, il resto della giornata è per loro!


I nonni aiutano tantissimo, è davvero una fortuna che ci siano… I miei suoceri tengono Leo fino a quando io torno a casa dopo essere andata a prendere Luca a scuola alle 16,30. Anche i miei genitori fanno tanto, come pure la bisnonna!


Mi ritengo una mamma superfortunata. Ho potuto vivere questo periodo, quasi un anno e mezzo, come mamma full-time!

Simona

Ho ventotto anni e sono mamma di un bellissimo bimbo di dieci mesi e mezzo. Lavoro per un’impresa di pulizie ma sono a casa dall’ottobre 2006: non appena ho saputo di aspettare il mio piccolino ho smesso subito di lavorare. Ora ho ripreso il lavoro ma non ho intenzione di cambiare i progetti che sono quelli di crescere mio figlio e di stargli vicina tutti i giorni. Voglio essere sempre presente in ogni momento della sua crescita, non voglio perdermi nulla dei suoi primi anni e di tutto il resto della sua vita. Dedico a mio figlio ogni istante della giornata e continuerò a farlo.

Moira

Ho due bambini: Nicolò di otto anni e Leo di otto mesi e mezzo. La decisione di stare a casa l’abbiamo presa tre anni fa: lavoravo in un’azienda da quindici anni, mi hanno proposto il licenziamento con due anni di mobilità pagata e io l’ho vista come un’opportunità d’oro per poter recuperare un po’ del tempo perduto con mio figlio.


Finalmente potevo fare con Nicolò tutte le cose che non avevo potuto fare per anni! Il suo primo giorno di scuola, le feste di compleanno con i compagni, i compiti… Dopo circa un anno mi hanno offerto un lavoro parttime a tempo determinato per un anno: ho accettato a una condizione, e cioè che sarei uscita dall’ufficio in tempo per andare a prendere il bambino a scuola.


Alla scadenza del contratto ho deciso di non rinnovarlo, anche perché ho scoperto, dopo sette anni, di aspettare un altro bimbo… L’abbiamo proprio cercato, ci sembrava un po’ da egoisti lasciare Nicolò da solo; mio marito ha un rapporto bellissimo con i fratelli e io volevo ricreare quel clima nella nostra famiglia.


Ho trascorso una gravidanza tranquilla: avevo tempo per me, per mio figlio e per mio marito.


Ad agosto è nato Leonardo. All’inizio è stata un po’ dura, sono sincera. Non avevo potuto allattare Nicolò (avevo perso il latte dopo un mese), ma volevo farlo con Leonardo, e ci sono riuscita. Era un neonato voracissimo, mangiava ogni due ore… ma che soddisfazione!


Nicolò all’inizio ha sofferto un po’ di gelosia, io ero quasi totalmente assorbita da quel frugoletto che mangiava, piangeva, dormiva e mangiava ancora… Ho sofferto molto anche io, perché mi mancava Nico, mi sentivo in colpa perché non potevo dedicargli più tempo. Ma ora le cose si sono assestate, Leo stravede per suo fratello! Quando Nico torna da scuola, Leo, vedendolo, si mette a saltare nel seggiolone! Ogni tanto mi manca il mio lavoro, mi mancano i rapporti sociali, il confronto con i colleghi, le chiacchierate alla macchinetta del caffè. Però niente è più gratificante del sorriso dei miei bambini quando giochiamo tutti insieme sul tappeto in salone! Tornerò a lavorare quando Leo andrà alla scuola materna e Nicolò sarà alle scuole medie. Per ora mi piace fare la mamma a tempo pieno, e ho la fortuna di poterlo fare.

Laura

Sono figlia di una mamma “casalinga” per scelta e ho sempre sentito l’importanza di stare vicino ai bambini, soprattutto nei primi delicati anni della loro vita. Quando è nata la mia primogenita mi sono dedicata completamente a lei e oggi – che è adolescente – posso dire di essermela veramente goduta. L’ho allattata a lungo, portata, massaggiata, ho giocato con lei – finanche di notte quando pareva insonne –, l’ho tenuta nel letto con me e tutte le sere le raccontavo le favole e le cantavo la ninna-nanna. Ho vissuto con gioia e trepidazione tutte le sue conquiste. Poi è arrivato suo fratello, proprio quando avevo intrapreso una attività in proprio che mi entusiasmava molto. Il secondogenito ha così dovuto dividermi con questo impegnativo progetto che prendeva molto del mio tempo e della mia presenza. Lo portavo sempre con me (potevo farlo dato il tipo di attività) per cui gli ero vicina fisicamente, ma non ero “lì per lui”, ero presa da altro. Lo allattavo – e l’ho fatto anche con lui a lungo – ma magari nel mezzo di una assemblea dei soci o rispondendo al telefono. Cose che oggi non rifarei più.


Quando è nato il mio terzogenito, ho cominciato ad avere problemi di salute, non gravi per fortuna ma che mi hanno portata a concentrare tutte le mie energie su me stessa al fine di trovare una possibile soluzione. Così anche lui, nato in casa tra l’altro, è stato allattato e tenuto nel lettone ma ha vissuto i suoi primi sette anni di vita con una mamma che un giorno stava bene e quello dopo male. Ha fatto l’esperienza del cambio delle tate: io ero sempre presente ma le baby-sitter che mi davano una mano cambiavano spesso. Insomma, sicuramente per lui non è stato facile e insieme al mio latte ha assorbito anche le mie ansie e i miei sensi di colpa, perché una mamma vorrebbe essere perfetta, vorrebbe dare sempre il meglio e invece deve prima o poi convincersi che può essere solo una mamma “sufficientemente buona”. Non esiste la mamma ideale: ogni mamma dà il meglio che può in quel momento della sua vita.


Questa esperienza di sofferenza mi ha insegnato comunque molto: ora so per esempio che la presenza fisica è importante ma non è sufficiente, che si può essere lì senza esserci veramente, so che una mamma felice è la migliore garanzia di un bambino felice e che i momenti trascorsi insieme ai nostri figli in modo “totale” sono quelli che contano veramente e che restano nel tempo e nel cuore, come un vero bagaglio dell’anima.

Elena Maria

A volte sono stanca, a volte avvilita, mi pare di non riuscire a stare dietro a tutto: la casa, i bambini, il marito… A volte mi manca uno spazio tutto mio, mi mancano le relazioni con il mondo esterno, il lavoro che amo, ma poi quando guardo Sofia e Benedetto fare le capriole sul letto, quando vedo il loro sorriso mentre mi chiamano “mamma”, dimentico tutto questo e mi riempio di tenerezza. So che i primi anni sono quelli più faticosi ma che poi si vive di rendita se si è ben seminato, come mi dice sempre la mia pediatra. Per il momento cerco ogni tanto di ritagliarmi dei momenti in cui staccare un po’ la spina, in cui ricaricarmi per poter offrire anche ai miei figli una migliore qualità del tempo che dedico a loro. E soprattutto cerco di frequentare altre mamme con bambini dell’età dei miei per poter condividere esperienze e sentirmi meno sola nel mio essere mamma.

Valentina

Sono cresciuta con un padre autoritario e una mamma che per compensare la severità di mio padre era permissiva, perché credeva che se non fosse stato così noi figli non avremmo retto. A volte, pensando a che mamma sarei stata, avevo paura di seguire le orme di mio padre. Non sono mai stata d’accordo con la sua “educazione”, e mi spaventava la consapevolezza che a volte ripetiamo con i nostri figli gli stessi comportamenti che i nostri genitori hanno avuto con noi. Nonostante sia una persona “positiva” ed estremamente sensibile, avevo comunque questo timore. Quando ho scoperto di avere un “fagiolino” dentro di me… improvvisamente mi è sembrato di avere un’illuminazione. Pensavo: “ecco perché sono qui, ecco cos’è la vita”. La vita è dentro la mia vita, la mia pancia. La mia gravidanza è stata splendida. Avevo una forza dentro, in tutti i sensi! Mi piacevo fisicamente, accarezzavo sempre la mia pancia con amore e quei vestiti che prima non avrei messo perché mettevano i fianchi in evidenza, ora mi piacevano. Mi sentivo donna, mamma, viva. Il mio compagno è musicista, lavora principalmente a casa, io invece dopo aver lavorato come hostess di volo avevo iniziato a lavorare in televisione prima come annunciatrice poi come conduttrice per un programma per bambini, ma poi sono tornata all’aeroporto, dove mi hanno proposto un lavoro part-time al check-in. Certo che rispetto ai sogni che avevo prima, era un “passo indietro”, forse più per il mio ego che per la mia vita, perché in realtà è stato un grande passo avanti. La carriera non mi avrebbe dato la possibilità di vivere la vera “carriera” della mia vita, che è la mia famiglia e che non va in pensione, ma che dura tutta la vita e non solo la mia… perché passa di generazione in generazione… Dalia ora ha 23 mesi, quando lavoro sta con Marco a casa oppure qualche volta con mia madre. Se questo non fosse stato possibile sarei rimasta a casa con piacere. Economicamente si fanno i salti mortali ma abbiamo un tetto, un letto e abbiamo imparato “l’arte del riciclo”. Se già prima non eravamo dei grandi consumisti, ora lo siamo ancora meno. Ci nutriamo della gioia di nostra figlia, della nostra famiglia, e non sentiamo alcun bisogno di acquistare nulla se non il cibo e ciò che è strettamente necessario. Insomma, vista la situazione lavorativa, poteva sembrare un passaggio “dalle stelle alle stalle”; io dico invece… “nelle stalle… ma con le stelle”!


Non dimenticherò mai il mio primo giorno di lavoro. Ho iniziato con 2 ore solo una volta la settimana. Il primo giorno non riuscivo a respirare. Dovevo inserire la password nel computer ma non riuscivo a farlo. Le dita si bloccavano. Ero totalmente assente da tutto e da tutti. Ero come paralizzata. Come se mi avessero tagliata a metà. Questo per molti mesi nonostante lavorassi pochissimo. Senza Dalia non ero completa. Mi mancava letteralmente la parola, balbettavo. Poi il rientro a casa, la fusione. L’allattamento, il portarla su di me, le coccole, il dormire tutti insieme, questo mi completava, ci completava. Quando chiamavo Marco per sapere come stavano i miei due cuccioli (marito e figlia) mi usciva il latte, a volte usciva anche solo con l’arrivo di un messaggio sul cellulare. Al rientro a casa correvo su e mi scoprivo il seno per essere subito pronta. Non perché pensassi che Dalia non ce la facesse senza di me o perché temessi che avesse fame, ma per una necessità reciproca. Che emozioni, che sguardi! Con Dalia sono rinata. Mi ha fatto scoprire i veri valori della vita. Mi ha dato una pazienza che non credevo di avere. Persino la mia voce è cambiata. Parlo dolcemente, con tranquillità, assertività, e come se ci fosse l’amore e il rispetto per la vita che mi scorre nelle vene. In tutto questo il mio compagno è stato sempre presente e pronto per aiutarci; lo ringrazio per aver avuto fiducia e pazienza e per aver collaborato al cento per cento nonostante le difficoltà. Potrei scrivere all’infinito, ma se devo essere stringata posso semplicemente dire che da quando c’è Dalia la vita la guardo dalla sua altezza, circa 85 cm… e tutto sembra andare in alto, salire. È l’essenza della nostra vita!

Lillan

Avevo circa nove anni quando sentii per la prima volta chiaramente in me sia il desiderio di avere in futuro una famiglia tutta mia, con dei figli (ma solo dopo avere studiato e viaggiato in gioventù), sia la certezza che sarei stata completamente a loro disposizione: in barba al mio temperamento indipendente e dinamico, già ben presente nell’infanzia, non sarei stata una mamma lavoratrice e avrei allattato al seno il più a lungo possibile.


Mi sono sposata tardi, dopo i trent’anni; prima avevo studiato e soprattutto viaggiato; sposandomi mi sono trasferita all’estero e ho partorito per via naturale due bambini a distanza di ventitré mesi l’uno dall’altro (gravidanze fantastiche!), allattati entrambi al seno per undici mesi, e soprattutto, in accordo con l’allora mio marito, li ho sempre seguiti personalmente, sospendendo la mia attività libero professionale. Non che all’epoca un doppio stipendio non avrebbe fatto comodo; abbiamo vissuto per anni senza auto e senza televisore; nessuna cena fuori né sfizi, poche spartane vacanze, ma va detto che questi aspetti all’epoca non ci pesavano.


Oggi i ragazzi sono adolescenti. Il mio ex-marito mi ha rinfacciato spesso, dopo la separazione, di “non lavorare” (ah, la pedagogia della vita!), e anche altre figure intorno a me hanno biasimato il fatto che non disponessi in questi anni di un reddito mio.


Sono felice della scelta fatta di seguire personalmente i miei figli (anche in assenza di nonne-fisse, baby-sitter o altri aiuti) e di aver avuto la forza di rinnovare la mia determinazione a farlo anche quando i sostegni collaterali vacillavano, quando le prime crisi adolescenziali dei ragazzi mi trovavano fisicamente e moralmente (ma non spiritualmente!) sola. Ce l’abbiamo fatta. Ce la stiamo facendo.


Oggi come anni fa la mia presenza fisica, mentale, affettuosa, intelligente e vigile è ancora necessaria, ma in modo diverso: oggi posso pensare a guardarmi nuovamente intorno alla ricerca di un reddito mio, ma sono certissima di avere già un grande capitale e che anche i ragazzi ce l’hanno!


Personalmente sono convinta che i figli che dispongono di una famiglia attenta e della mamma a casa per loro siano i più intimamente felici e, probabilmente, i più autonomi e maturi. Sappiamo tutti che non si tratta di realizzazioni facili. Ma che soddisfazione, vero?

Valeria

Diplomata in traduzione letteraria, prima della nascita del mio primo figlio lavoravo come assistente personale dei due titolari di uno studio legale internazionale.


Terminata la maternità, il rientro in ufficio è stato traumatico: la fredda accoglienza, il “declassamento”, l’infinità di ore che mi costringevano lontano dal bimbo… Dopo soli tre mesi, ho deciso di comune accordo con mio marito di abbandonare una professione ormai deludente per dedicarmi interamente a Riccardo, in attesa di tempi migliori…


I tempi migliori non sono arrivati, nel senso che la cura di un bimbo – al quale, nel frattempo, abbiamo dato un fratellino – è un impegno che richiede tutte le energie fisiche e mentali. Nonostante la stanchezza, l’impegno, l’immancabile frustrazione (di aver dovuto rinunciare alla mia professionalità), tante volte la rabbia – per non parlare degli errori, dei sensi di colpa, dello sconforto – , nel tempo ho capito bene una cosa: mai e poi mai riuscirei a sacrificare i miei bambini e ad affidarne l’educazione ad altri.


Mi è diventato impensabile saperli fuori casa prima delle 7 del mattino, accompagnati a scuola da altri, seguiti nei compiti, nel gioco e in tutte le loro attività quotidiane da figure che non siano quella della loro mamma!


Benché spesso lamenti la mancanza di spazi per me, la difficoltà di conciliare le loro esigenze e le mie, ho la soddisfazione di conoscere ogni minimo tassello del puzzle della loro crescita… e questo, in realtà, è stato l’impulso a realizzare un progetto che – fino a ora – mi era sembrato quasi irrealizzabile; peggio: impensabile. Rimettermi a lavorare, facendo finalmente quello che avevo da sempre desiderato: la traduttrice free-lance, da casa!


Certo, ora che accanto a me c’è sempre mio figlio più piccolo, in attesa che anche lui inizi a frequentare l’asilo, è dura seguire bimbi, famiglia, casa e lavoro! Mettermi al computer appena Edoardo si addormenta per il sonnellino pomeridiano, o resistere al sonno quando, venuta l’ora di portare i bimi a letto, desidererei tanto chiudere gli occhi anch’io, mentre in soggiorno mi attende ancora il lavoro!


Mi dà forza il pensiero che Riccardo e Edoardo stanno crescendo, e con loro mutando anche le loro esigenze; che la fatica fatta in questo momento non resterà sempre tale; che prima o poi tornerò ad essere più autonoma e produttiva, senza però aver sacrificato i miei bambini e il tempo loro dedicato.


Anche se quello della mamma a tempo pieno non è un “lavoro” riconosciuto, troppo spesso – anzi – sottovalutato, mi auguro invece che il futuro mi dia ragione e mi ricompensi delle rinunce fatte, regalandomi due bimbi diventati adulti sereni, equilibrati, sicuri di sé e consapevoli del valore della famiglia e della “maternità full-time”!

Beatrice

Vita di famiglia

di Clara Scropetta


Sono madre di tre figli. Attualmente, il maggiore ha appena compiuto gli otto anni, la minore ne compie tre tra circa un mese. Da nove anni non lavoro più come dipendente, né mi assento dalla famiglia per svolgere un’attività professionale.


Ah, direte, una donna all’antica, che si assume a tempo pieno il ruolo di casalinga e di madre, rinunciando a se stessa. Non è esattamente così. Ora vi racconto.


Occupandomi della famiglia, me compresa, sento piuttosto di realizzarmi. Niente mi sta più a cuore, infatti, della relazione tra me, il mio compagno e i nostri figli. In tutta coerenza, dedicarvici tempo e attenzione rappresenta per me la prima scelta.

So inoltre che per la crescita di un bambino la qualità della presenza della madre, soprattutto nella prima infanzia, è molto importante1. Esistono diverse correnti in pedagogia e psicologia, ognuna delle quali propone una propria visione del processo di separazione dalla madre e di emancipazione del bambino. L’esperienza personale mi ha convinta della validità delle teorie che sono in accordo con il sentire del mio cuore, il quale mi sollecita a stare assieme ai miei figli. Se facessi altrimenti, letteralmente non potrei avere il cuore in pace.


Sempre in merito alla mia realizzazione personale, l’impegno quotidiano nelle relazioni più intime (e il conseguente processo di crescita) mi gratifica immensamente e contribuisce a migliorare l’espressione del mio potenziale personale. Non dico che sia facile. Tutt’altro! I nodi vengono al pettine, sono tanti e difficili da digerire: i condizionamenti da superare, le vecchie ferite da sanare.


Ma evitare di affrontarli non si è rivelata essere la strada giusta per me. Nonostante spesso si riveli molto scomodo, desidero ardentemente superare ciò che mi blocca in un ruolo predefinito, indotto e liberare un comportamento autentico. Desidero trasmettere i valori in cui realmente credo, che sono sepolti dentro di me e chiedono di emergere alla superficie, per smettere di essere delle belle parole e diventare vita vissuta.


C’è da aggiungere che non ho affatto affermato di fare soltanto(!) la “casalinga”. Proprio diventando madre ho potuto individuare un campo d’interesse e di lavoro che mi soddisfa appieno. Si tratta della divulgazione della cultura della nascita e dell’accudimento del bambino2. Ciò significa: studio e mi aggiorno; scrivo e traduco; animo e organizzo incontri, conferenze e seminari; offro consulenza privata e servizio di sostegno alla madre3. Tutto ciò assieme ai miei figli.

Conosco altre madri che si dedicano a un’attività di loro gradimento assieme ai figli, e – augurandomi che possano trarne ispirazione – parlo di questa realtà (sommersa) a quelle madri, avvilite, che sono invece intrappolate nel dilemma sociale: o i figli, o il lavoro.


Ma c’è dell’altro, per offuscare ulteriormente l’idea di donna all’antica che si sacrifica.


Il padre, il mio compagno, è a casa con noi e anche lui si dedica alle sue attività allo stesso modo. La nostra collaborazione si è rivelata preziosa e facilita la vita professionale di entrambi.

Intraprendere una tale direzione ha richiesto coraggio da parte nostra. Non abbiamo alcuna sicurezza, ci guadagniamo il necessario giorno per giorno. Nessun contratto ci tutela. Ci confrontiamo, volenti o nolenti, con una certa pressione sociale, particolarmente dolorosa quando arriva dalla famiglia di origine. D’altra parte, siamo padroni di noi stessi e non abbiamo giorni di ferie contati. Godiamo di una grande libertà. Possiamo pure permetterci di spendere poco, pur concedendoci molto, perché abbiamo il tempo di occuparci personalmente di ciò che ci serve. Non possediamo una casa, abbiamo un’automobile molto vecchia e in generale abbiamo un atteggiamento meno consumistico della norma, ma non lesiniamo sulla qualità – e neppure sul prezzo, se equo – quando ci dobbiamo procurare qualcosa4.


Certo, di strada da fare ne abbiamo ancora parecchia! Viviamo, interiormente ed esteriormente, in modo ancora molto contradditorio e titubante, lavorando quotidianamente per dipanare le incoerenze…


Dal mio punto di vista, poco obiettivo lo ammetto, credo proprio che la scelta della nostra famiglia sia all’avanguardia. Essa va nel senso del rallentare, della decrescita felice5, di una qualità di vita che si misura in autonomia e dignità, piuttosto che in denaro, comodità o prestazioni. Essere accanto ai miei figli è uno dei fattori quotidiani, con cui questa scelta si traduce in realtà.


Essere lì, a portarli con sé ovunque, in braccio6, ad allattarli7, ad accudirli8, a dormirci assieme9. Essere lì, per mostrar loro come vivere, come fare le cose; per ridere con loro; per rispondere alle loro domande; per arrabbiarsi e concedersi l’opportunità di rinsavirsi. Avere il tempo di occuparsi assieme di tutto quello che la vita porta… nel bene e nel male. È un vantaggio per tutti: per i figli, per la madre e per il padre, per gli altri. In questo mondo frenetico, così carente di ossitocina e di prolattina10, l’immagine concreta di una madre, assieme ai suoi figli, e di un padre, presente e solidale con loro/lei può rivelarsi un balsamo per l’anima.


Clara Scropetta, ottobre 2008

Sempre con lui
Sempre con lui
Isabelle Fox
I vantaggi di essere un genitore a tempo pieno.Quanto è importante stare con il proprio figlio almeno durante i primi due anni di età? Una forte presa di coscienza da parte di una psicologa evolutiva. Sempre con lui è dedicato ai milioni di bimbi piccoli che al giorno d’oggi sono privati del necessario e sano accudimento, per colpa dell’eccessivo impegno lavorativo di entrambi i genitori e della conseguente sostituzione delle principali figure di riferimento. L’autrice Isabelle Fox approfondisce questo fenomeno sociale, offrendo spunti di riflessione e illustrando concetti di vitale importanza per il benessere psicologico dei bambini. Un libro particolarmente ricco di soluzioni e suggerimenti pratici che, compatibilmente con i vincoli familiari e gli impegni lavorativi di mamma e papà, permetteranno di offrire ai bambini la migliore possibilità di sentirsi accuditi, compresi e amati. Conosci l’autore Isabelle Fox è psicoterapeuta da più di 40 anni, con specializzazione in psicologia evolutiva e relazioni genitori-figli. Per 10 anni ha prestato servizio come consulente per la salute mentale per Operation Head Start.