prima parte - capitolo iv

Il partner, gli amici,
gli operatori sanitari

Il processo di lutto è un percorso in cui ognuno si muove con i suoi tempi e non deve essere disturbato.

Piera Maghella

La perdita di un bambino è un evento che colpisce la donna, ma coinvolge anche chi la circonda, il partner prima di tutto, ed eventuali fratellini, i nonni, gli amici.


Ognuno a modo suo, coloro che fanno parte della cerchia familiare si trovano ad affrontare una situazione dolorosa per cui non erano preparati. C’è la loro tristezza e c’è la tristezza della donna a cui si vorrebbe porre rimedio. Il desiderio di consolare e di aiutare spesso, però, si scontra con una personale difficoltà nel rapportarsi con la morte, con l’incapacità di comprendere fino in fondo il dolore della madre, con un modello culturale che davanti alla morte e alla sofferenza tende a privilegiare la fuga.


La perdita di un bimbo è una prova per tutta la famiglia: può essere l’occasione per gettare ponti o per costruire muri. Sicuramente non è facile. Non è facile perché ognuno reagisce alla perdita in modo diverso e all’interno della coppia stessa possono crearsi delle forti incomprensioni.


Non è facile per gli altri, i parenti, gli amici, i conoscenti che, seppur animati da buone intenzioni, non sempre riescono a offrire un sostegno adeguato ai genitori.


Ma soprattutto, non è facile per la donna. Il suo carico di sofferenza è (secondo me) il più pesante e, troppo spesso, sente di essere sola a portarlo.


Nelle pagine che seguono proviamo ad analizzare le dinamiche che si creano quando la famiglia si trova ad affrontare la perdita di un bimbo prima della nascita.

Una società ‘impreparata’, spaventata dalla morte

Mio figlio era morto e io non potevo piangerlo, perché chi, come me, ha un angelo in cielo non viene compresa.

Alessia

Capivo che nessuno avrebbe potuto condividere il mio dramma, a tutti sembrava un incidente di poco conto, facilmente rimediabile, bastava tentare ancora e sarei di nuovo rimasta incinta.

Rossana

Non esiste un rituale sociale del lutto per un bimbo non nato1.


La morte di un bimbo prima della nascita, una gravidanza che sfocia nel dolore e nella perdita anziché nella gioia e nel coronamento della vita, è qualcosa per cui non siamo umanamente e culturalmente preparati, qualcosa che ci colpisce e ci fa sentire a disagio, poiché non sappiamo come rapportarci con la famiglia che ha vissuto questa perdita.


La reazione più comune è quella che, di regola, contraddistingue la nostra società di fronte alla morte: nascondiamo il dolore, ci imponiamo di non pensarci, lo evitiamo.


Questo atteggiamento, sottolinea Claudia Ravaldi, è molto pericoloso perché accentua la vulnerabilità e il senso di solitudine che le persone in lutto tendono a provare, contribuendo al loro isolamento.”2


Nel caso dell’aborto spontaneo, la tendenza a ignorare e minimizzare il dolore risulta ancor più amplificata, dato che è opinione comune che si tratti di una perdita facilmente superabile: per la nostra società la perdita di un figlio non nato non rappresenta un vero e proprio lutto.


Il risultato di questo atteggiamento è la solitudine dei genitori, la loro stessa difficoltà nell’accettare e gestire il dolore, la sensazione di non essere compresi, né tanto meno sostenuti.

Insieme è meglio
La mia esperienza personale con l’angoscia mi ha insegnato che affrontarla e viverla è la via verso la guarigione. Ma non posso farlo da me. Ho bisogno di qualcuno che si unisca a me, che mi assicuri che oltre l’angoscia c’è la pace, oltre la morte la vita e oltre la paura l’amore.

Henri J.M. Nouwen, Sentirsi Amati


Numerosi studi hanno dimostrato che una rete di supporto, la vicinanza e il sostegno di quanti circondano la donna sono fondamentali per superare l’esperienza della perdita e recuperare la serenità. Il suggerimento per chi sta soffrendo è quello di non arrendersi, di non rinunciare a spiegare al mondo che un bimbo non nato è un figlio a tutti gli effetti e che la sua perdita lascia un grande vuoto; e per chi viene a contatto con questo dolore il monito è di non fuggire, di fermarsi a riflettere, di riconoscere questo dolore.


Perché da soli, tutto diventa più difficile.

Il difficile ruolo del partner

Ricordo come se fosse ieri le parole di mio fratello:
“Tutti a consolare lei, ma a me, non pensa nessuno?”
In effetti è vero, spesso ci si preoccupa di consolare le mamme, ma non i papà.

Ale

È inutile negarlo, io ero dispiaciuto sì, ma non soffrivo come lei.
E non sapevo proprio come aiutarla.

Stefano

Cosa prova un uomo quando la gravidanza si interrompe? Come reagisce al dolore suo e della compagna?


In uno studio del 19963 (uno dei rari studi in cui è stata presa in considerazione la reazione maschile di fronte a un aborto spontaneo) sono stati analizzati i risultati dei questionari di valutazione dell’ansia, della depressione, della tristezza e della sofferenza fisica proposti a coppie che avevano perso un bimbo nell’attesa: si è scoperto così che gli uomini manifestavano gli stessi sintomi della compagna, ma raggiungendo livelli meno elevati e riportandosi alla normalità in tempi più rapidi4.

Perdere un bimbo nell’attesa è sicuramente una delusione per il futuro padre che vede infrangersi il suo progetto di paternità, e l’intensità del suo disagio emotivo è legata sia all’epoca di gestazione in cui avviene la perdita sia all’investimento emotivo legato a questa gravidanza.


La profonda differenza tra le reazioni della coppia è però innegabile, così come diverso è il rapporto tra i due genitori e il bambino che cresce nel pancione.


Il legame tra madre e figlio è unico, esclusivo, assolutamente singolare: la simbiosi dei nove mesi riguarda la sfera fisica, ma anche quella emotiva e psicologica. Mamma e bimbo comunicano con un linguaggio segreto noto solo a loro, un linguaggio fatto di fantasie, carezze, aspettative, parole, emozioni.


Spesso si dice che la donna diventa madre nel momento in cui scopre di essere in attesa. Il processo di paternità è necessariamente più lungo e laborioso. Per raggiungere la piena consapevolezza di quello che sta accadendo, del fatto che c’è ‘davvero’ un bambino, l’uomo ha bisogno di più tempo: in genere sono d’aiuto le ecografie che rendono l’immagine del bimbo più ‘reale’, vedere la pancia che cresce e infine poter sentire (seppur dall’esterno) i movimenti del bambino.


Quando l’attesa si interrompe in un’epoca molto precoce, il coinvolgimento emotivo dell’uomo e la sua sofferenza per la perdita sono, nella maggior parte dei casi, necessariamente meno intensi, meno viscerali, rispetto alle sensazioni provate dalla donna.


Con questo non si vuole sminuire il dolore del padre, non sarebbe giusto, non avrebbe senso. Il dolore non è maschio o femmina, si soffre e basta. Ci sono uomini che hanno atteso a lungo, con la compagna, che la scintilla della vita coronasse il loro amore e avendo desiderato fortemente un figlio, soffrono moltissimo nel vedere frustrate le proprie speranze e aspettative.


Al dispiacere del futuro padre per quanto accaduto si somma il disagio nei confronti della donna, il senso di impotenza causato dal fatto di vederla soffrire (fisicamente ed emotivamente), la consapevolezza di non riuscire a comprendere fino in fondo il suo dolore e la paura di non saperla aiutare.


A ciò si aggiunge la totale mancanza di sostegno da parte della società. Se, infatti, spesso il supporto e l’empatia verso la donna già scarseggiano, per i sentimenti dell’uomo, nella maggior parte dei casi, non c’è alcuna considerazione.

Interferenze culturali

Quando un uomo perde un bambino di rado ha la possibilità di esprimere il proprio dolore, piangendo e sfogandosi con quanti lo circondano. Non è questo infatti che la società si aspetta da lui. Non è questo che l’uomo stesso si aspetta di poter fare5. Nelle reazioni al lutto pesa un retaggio culturale di secoli che all’uomo assegna un ruolo ben determinato: quello della persona ‘forte’, che non piange, che supera la perdita senza troppi traumi e che sostiene la compagna. A questo proposito Claudia Ravaldi in Piccoli Principi scrive:

La grande differenza nelle reazioni e nelle modalità di esprimere le emozioni tra madri e padri dipende soprattutto dal ruolo delle tradizioni culturali e sociali: siamo purtroppo abituati a ritenere in modo del tutto improprio e ingiustificato, che gli uomini non debbano manifestare la sofferenza sia fisica che emotiva. (...) Come se un uomo non provasse le emozioni che biologicamente il cervello umano codifica e recepisce.
Reazioni al dolore, la risposta maschile

I pochi studi che hanno preso in considerazione la risposta maschile a una perdita in gravidanza hanno individuato quelle che sono le reazioni più frequenti tra i futuri padri: la maggior parte degli uomini adotta un atteggiamento di chiusura, evitando di esprimere la propria tristezza e negandola, spesso, anche a se stesso.


Comune è inoltre la tendenza a intensificare il proprio impegno sul fronte professionale: buttandosi nel lavoro o in altre attività extrafamiliari (sport, hobby, ecc.), l’uomo può, a un tempo, non pensare a quanto è accaduto e ‘evitare’ il dolore della donna che spesso gli causa un profondo disagio.


Purtroppo però mettere da parte l’argomento, rifugiarsi nel silenzio o nell’iperattività, allontanarsi dalla compagna, sono tutti ‘palliativi’ che non favoriscono l’elaborazione e l’accettazione della perdita e, con il trascorrere del tempo, possono minare l’armonia del rapporto di coppia.

Insieme nella tempesta

I bimbi speciali a volte uniscono a volte separano.
“Mia moglie ha perso un bimbo”.
“Abbiamo perso un bimbo”.
“Ho perso un bimbo”.
Modi diversi di dire o modi diversi di sentire? Chissà.
Sta di fatto che nessuno userebbe la prima espressione riferendosi a un figlio nato. Non posso farci nulla, quando sento un papà dire:
“Mia moglie ha perso un figlio” mi sento come se mi avessero dato un pugno nello stomaco.

Anna

Il nostro matrimonio è stato messo a dura prova perché la prima reazione è stata quella di isolarci l’uno dall’altra. Mio marito voleva che io reagissi più in fretta. Io non accettavo che lui non riuscisse a starmi vicino come mi aspettavo. Poi piano piano siamo riusciti ad andare oltre e ora possiamo dire che tutto questo ha avuto un senso per noi e per la nostra unione.

Milena

Continuiamo a rimanere soli perché questo, per ora, ci ha riservato il destino. Mano nella mano ci stringiamo e non c’è più parola che regga, non occorre più un discorso tra noi. I nostri sguardi, colmi di tristezza, parlano ormai da soli.

Micaela

Perdere un figlio nell’attesa è un lutto per i futuri genitori. Un lutto che, inevitabilmente, l’uomo e la donna affrontano con modalità di reazione e tempi differenti. Perché il dolore è qualcosa di assolutamente personale che ognuno vive a modo suo e perché i condizionamenti culturali tendono a esacerbare la differenza tra vissuti maschili e femminili.


Sin dalla diagnosi la coppia, pur condividendo la stessa perdita, si trova ad affrontare esperienze diverse: la sofferenza fisica, l’eventuale ospedalizzazione e la necessità di subire un intervento o di affrontare un parto indotto... tutte queste prove, pesanti, toccano alla donna. La sofferenza fisica è naturalmente soltanto sua. Il futuro padre si trova sin dall’inizio nel ruolo non facile di spettatore impotente: deve subire la perdita del figlio, evento contro natura al quale purtroppo non può opporsi, così come non può far nulla per evitare alla compagna queste esperienze.


Ruoli diversi, situazioni diverse, reazioni emotive diverse.

E il rischio, forte, di allontanarsi.

L’uomo forse vorrebbe, ma non sa, non sa come stare vicino alla donna, come alleviare la sua tristezza e, consapevole di questa sua incapacità, fugge.


La donna ha la sensazione di non essere compresa e si sente sola, immensamente sola con il suo dolore. Perciò si isola.


Perché l’incomprensione non innalzi dei muri che poi si riveleranno difficili da abbattere, non resta che sforzarsi di mantenere aperte le porte della comunicazione. Non rinunciare al dialogo, continuare a cercare l’altro, anche se si ha l’impressione di non essere compresi o di non capire.


E non esitare a spiegare ciò che si prova, senza nascondere la tristezza, senza cercare di mostrarsi forti a tutti i costi (non serve all’uomo che reprime i suoi sentimenti, non serve alla donna che lo vede estraneo e lontano): condividiamo le lacrime; se lo portiamo insieme il carico del dolore si fa meno pesante.


I futuri genitori che perdono un figlio nell’attesa sono come navi nella tempesta, la violenza dei flutti può travolgerli e portarli lontano separandoli, ma se si tengono forte, se si aggrappano l’uno all’altra, avranno una forza maggiore da opporre agli eventi e avranno più possibilità di raggiungere presto la quiete del porto.

Per non lasciarla sola

Stare nel dolore, dare voce al proprio e accogliere quello altrui è difficile. Per gli uomini forse lo è in modo particolare poiché, come abbiamo visto, la reazione maschile più comune di fronte a un evento stressante è quella di rivolgere la mente e le energie altrove, impegnandosi di più nel lavoro e in altre attività extradomestiche6, così che la donna non avverte un sostegno da parte del partner, non lo sente coinvolto e partecipe del suo dolore7.

Talora a bloccare l’uomo è il timore di non sapere cosa dire, di non trovare le parole giuste, di non capire bene ciò che prova la compagna. Ma quello che serve a una donna che soffre non sono le parole giuste (che non esistono in questi casi!), ma è la vicinanza del proprio compagno. La sua presenza, fisica ma anche emotiva, è fondamentale.


Il suggerimento per gli uomini è di ‘esserci’ e di essere disponibili ad accogliere il dolore della donna e i tempi e i modi di questo dolore: nel silenzio, quando lei non è pronta a dar voce a ciò che prova, con l’ascolto quando lei ha bisogno di raccontare. Non stanchiamoci mai di ascoltare chi ci parla del suo dolore. Non diciamo: “Me lo hai già raccontato” o “È ora di pensare ad altro”. Ascoltiamo e basta. Senza giudicare, senza consigliare. Se la donna si sente accolta, se sente che il partner le è vicino e le vuole bene, recupererà più facilmente la serenità e la voglia di guardare al futuro. Insieme.

Per non lasciarlo solo

Quando è capitato a me, ho creduto che il dolore per quel bimbo perso fosse mio e soltanto mio.

Mi sono sentita sola e, credo, un po’ arrabbiata.


Spesso si ha l’impressione di non essere comprese, e forse è vero, un uomo non potrà mai capire del tutto, ma ciò non significa che non valga la pena confrontarsi: non stanchiamoci di raccontare, non stanchiamoci di spiegare quello che proviamo e quello di cui sentiamo il bisogno (se l’esigenza è di averlo vicino o di averlo vicino in modo diverso, non esitiamo a dirlo!).


E non dimentichiamo che, davanti a noi, c’è una persona che a modo suo sta soffrendo e sta vivendo una situazione difficile.

Parenti e amici, quale aiuto?

Mi piacerebbe che anche chi mi circonda si ricordasse di lui.
Che rimanesse un po’ nel cuore dei nostri parenti.

Giorgia


Cosa si aspetta da quanti la circondano una donna che ha vissuto l’esperienza di un aborto spontaneo o di una morte perinatale? Aiutarla nel suo percorso di elaborazione e accettazione della perdita è possibile? In quale modo?

Stare vicino a chi soffre non è mai semplice e la tentazione di evitare il discorso è forte. Si preferisce non parlare alla donna di quello che è accaduto, si teme di rattristarla affrontando l’argomento8. In realtà il pensiero della donna, soprattutto quando la perdita è avvenuta da poco, è concentrato proprio sul bimbo perso e parlare di lui e di ciò che prova le sarebbe di grande aiuto.

Alle volte si evita il discorso per timore di dire la cosa sbagliata. In effetti è vero, capita spesso che certe frasi dette per consolare ottengano l’effetto contrario. Ed è vero che la donna non ha bisogno di grandi discorsi, non ha bisogno di ascoltare qualcosa, ma di essere ascoltata.


La soluzione è più semplice di quanto si potrebbe pensare: offriamo a chi soffre una spalla su cui piangere, offriamo il nostro ascolto partecipe e mai giudicante. È sufficiente dire che ci dispiace. Ci dispiace per il bimbo che non c’è più e ci dispiace per il dolore dei suoi genitori che già lo amavano e lo desideravano. Bastano poche parole per dimostrarsi ‘vicini’ con il cuore.

Le frasi di ‘non consolazione’

C’è qualcosa che può fare molto male a una donna che ha vissuto un aborto spontaneo e sta soffrendo per il bimbo che ha perso: sono le frasi di “non consolazione” che in queste situazioni abbondano da parte di quanti la circondano9.


“Per fortuna eri incinta solo di tre mesi”, “Avrai altri bambini”, “È la natura, significa che era malato”, “Meglio adesso che più avanti”, ecc. ecc. La lista è lunga, ma il filo conduttore è unico: con il desiderio di consolare, si minimizza il dolore, si razionalizza. In realtà tutte queste cose la donna le sa già, sa che potrà avere altri figli (e comunque un figlio già nato o che nascerà non sostituisce quello perso, ogni bimbo è a sé), sa che l’aborto è un evento in qualche modo naturale, sa che al mondo ci sono disgrazie e dolori anche più grandi, ma tutto questo - nel momento in cui sta soffrendo - non le è affatto d’aiuto! Quando stai male non vuoi sentirti dire che il tuo dolore non è poi così grande, che c’è di peggio, che in fondo sei stata fortunata!

Queste frasi sortiscono vari effetti: il primo è di certo quello di far sentire la donna incompresa. Le danno l’impressione che chi sta intorno a lei non l’abbia capita e non giudichi importante la sua perdita. Questo può essere causa di tristezza e/o di rabbia. Oppure, la donna può sentirsi inadeguata, può sentirsi giudicata, perché soffre ‘troppo’ o ‘troppo a lungo’, può credere che le sue reazioni non siano normali e decidere di nasconderle ed evitare di parlarne.

Un silenzio fatto di ascolto e partecipazione
Sapevo che la sola cosa che potessi fare era di esserti vicino, stare con te e incoraggiarti in qualche modo a non fuggire dal tuo dolore, ma a confidare che avevi la forza di viverlo. Adesso, dopo molti anni, tu sai che veramente potevi vivere il tuo dolore e diventare più forte con lui.

Henri J.M. Nouwen, Sentirsi Amati


Il silenzio e l’ascolto empatico valgono più di mille parole: non sentiamoci in dovere di consolare a ogni costo, non è necessario e non è neppure possibile.


Riportiamo a questo proposito la testimonianza di Albertina, una mamma che racconta: La moglie di mio cugino, una ragazza dolcissima, che adora i bambini, ancora non è riuscita nel suo sogno di averne uno tutto per sé. Era incinta, per la seconda volta, era felicissima e davvero quando si dice che una donna che aspetta un bambino diventa più bella, lei era radiosa!


Una settimana dopo ho saputo che anche questa volta non ce l’aveva fatta (la prima era una gravidanza extrauterina), che quel sorriso raggiante si era spento di nuovo fra le lacrime. Io sono particolarmente imbranata con le parole e preferisco il silenzio. Quando ci siamo riviste per la prima volta dopo la sua perdita c’è stato un lungo sguardo. Poi ho aperto le braccia e l’ho stretta forte forte e quando ha iniziato a piangere ho pianto anch’io con lei. Saremo state così forse un quarto d’ora. Senza parlare, io ho sentito che lei aveva bisogno di quello in quel momento. Poi, era settembre, una bella giornata, ci siamo sedute fuori sotto il portico a guardare il sole che scendeva piano. Quando mi ha riaccompagnato alla macchina mi ha ringraziato. E io: “Di cosa?”


“Di non aver parlato, di non aver cercato parole che non ci sono e che non servono”.


Il lutto ha i suoi tempi, la donna ha un percorso da affrontare e compiere per arrivare ad accettare la perdita e sentirsi pronta a pensare al futuro e dedicarsi a nuovi progetti.


Se potrà contare sull’ascolto e la comprensione di chi le è vicino, se saprà di poter parlare del suo bambino perso ogni volta che ne sente il desiderio, questo percorso sarà più facile.

Come parlarne ai fratellini?

Abbiamo già parlato delle difficoltà che la nostra società incontra nel rapportarsi con la morte. Una difficoltà che influenza profondamente l’atteggiamento degli adulti nei riguardi dei bambini: c’è la tendenza a voler proteggere i piccoli dalla sofferenza e dalla perdita, non parlandone o fornendo loro spiegazioni non veritiere.


Queste modalità, però, non sono utili nell’immediato e possono rivelarsi dannose nel lungo periodo: nascondiamo il dolore e la morte ai bambini, ma non possiamo eliminarli realmente dalla loro vita (possiamo nasconderli, ma ci sono) e così i piccoli crescono senza gli strumenti per affrontare la perdita, completamente impreparati.


Quando ci sono dei fratellini in famiglia, il suggerimento unanime degli esperti è di spiegare loro con parole semplici e chiare, adatte all’età, cosa è avvenuto. Nascondere gli eventi o non parlarne, non protegge i bambini dal dolore, ma può causare loro ansie e incertezze. I bimbi, infatti, ‘sentono’ le emozioni dei genitori e sono prontissimi ad accorgersi se qualcosa non va. La tensione e la tristezza degli adulti possono provocare nei piccoli confusione, paura, addirittura sensi di colpa.

Se invece mamma e papà ammettono di essere tristi e ne spiegano con semplicità il motivo, i bambini riescono a conservare la serenità. Ricordiamo che la paura della morte è propria degli adulti, non dei piccoli, che hanno una visione molto più semplice e diretta della vita. “Per loro l’evento è più naturale e accettabile, spiega Piera Maghella, non necessariamente associano la morte con la sofferenza come fanno gli adulti.10


Per un bimbo è sicuramente più inquietante intuire che qualcosa è accaduto, percepire qualche frase mentre gli adulti parlano, vedere la mamma triste o nervosa e non sapere perché, non avendo così la possibilità di dare un volto all’ombra che incombe sulla serenità familiare.


Il suggerimento di spiegare cosa è accaduto vale anche nei casi in cui la gravidanza non fosse stata annunciata, e a questo proposito T. Berry Brazelton, professore di pediatria all’Harvard Medical School e Joshua Sparrow, primario di psichiatria al Children’s Hospital di Boston, spiegano: “…è probabile che i bambini, qualunque età essi abbiano, si siano accorti che la mamma era incinta. Anche se non è stato detto loro esplicitamente, i bambini, pur molto piccoli, riescono ad avvertire che sta accadendo qualcosa di importante e di diverso.11


Infine, affrontare l’argomento con sincerità è necessario anche per evitare che i bambini possano sentirsi responsabili della perdita del fratellino. Infatti, spiega la psicologa Carole Méhan, “durante la gravidanza essi possono aver manifestato una certa gelosia e anche una certa aggressività verso colui o colei che stava per arrivare. I bambini potrebbero quindi credere che questi loro pensieri negativi siano stati in qualche maniera all’origine della perdita del fratellino.12


Nell’accogliere la notizia che il fratellino non arriverà, un bambino può provare tristezza e curiosità a un tempo, ma attenzione: “…in agguato dietro l’identificazione con il dolore dei genitori è l’interrogativo: “È stata colpa mia?” – spiegano Brazelton e Sparrow – È qualcosa che ho fatto io a non far venire più il bambino? Che si sia avverato il mio desiderio che non arrivasse nessun fratellino?13

Solo affrontando l’argomento si potrà liberare il bimbo da eventuali sensi di colpa, dargli modo di spiegare ciò che prova e permettergli di esprimere dubbi e interrogativi.


Non solo. I piccoli osservano le nostre reazioni e le interiorizzano. Se si cerca di nascondere i propri stati d’animo e si evita l’argomento, l’insegnamento implicito che si trasmette è quello di tacere il dolore, di tenerlo per sé. Condividendo la propria tristezza, il genitore offre al bambino l’opportunità di imparare a parlare, a sua volta, dei propri sentimenti e autorizza l’adulto che diventerà a dar voce al dolore e alle emozioni.

Parole semplici e sincere
Io ho spiegato alla mia bambina che a volte i bimbi arrivano nella pancia della mamma, ci stanno per un po’ e poi volano via.

Silvia


Ogni famiglia dovrà decidere come spiegare la perdita ai propri bambini, in base al proprio credo e alla propria visione della vita (i credenti faranno riferimento a un luogo in cui ritrovarsi dopo la morte, i non credenti spiegheranno che il bimbo perso è nel cuore dei suoi cari, ognuno troverà le immagini che sente proprie). È importante che ogni membro della cerchia famigliare che affronta l’argomento utilizzi le stesse spiegazioni per non confondere i piccoli.


I termini e le informazioni dovranno essere a misura di bambino, calibrati sulla sua età e sulla sua capacità di comprendere.


Attenzione alle espressioni che potrebbero essere equivocate: spesso gli adulti faticano a usare la parola morte, ma dire a un bimbo, ad esempio, che “il fratellino dorme” può causare confusione e paure.


Siamo pronti ad accogliere eventuali domande e a ripetere senza stancarci le nostre spiegazioni: può capitare che il bimbo abbia bisogno di riascoltare più volte le parole dei genitori per capire bene cosa è accaduto e per essere rassicurato.

Infine, se il bambino è più grandicello, è possibile che si trattenga dall’esprimere eventuali dubbi o domande, per timore di rattristare i genitori. In questo caso, spiegano Brazelton e Sparrow: “fate sapere a vostro figlio che potrà farvi qualunque domanda anche se forse non saprete dargli una risposta e che non c’è nulla di male se piangete, che vi sentite tristi ma anche che riuscirete a riprendervi.”14

Un aiuto dalle fiabe

Quando ho perso il mio terzo bimbo, Mattia e Nicola avevano rispettivamente quattro e due anni. Sapevo di voler condividere questo evento con loro ma, dico la verità, mi trovavo in grande difficoltà. Faticavo a trovare le parole. Mi sembrava molto difficile per loro, così piccoli, riuscire a capire. Soprattutto perché non sapevano che una gravidanza si può interrompere, che si può “perdere” un bambino. Così ho preparato il terreno con una favola. La mamma del folletto Bo - il piccolo protagonista dei nostri racconti serali di quel periodo - era in attesa di un fratellino che però non era nato, dal pancione era andato nel paradiso dei folletti. Affidarmi a un racconto inventato per affrontare l’argomento per me era stato di grande aiuto, mi aveva permesso di parlarne con una certa serenità. Il passo successivo era stato quello di spiegargli di noi, del nostro bambino perso. Per noi il tramite era stato una famiglia di folletti, ma i protagonisti della storia possono essere cuccioli e mamme animali, creature incantate, qualunque personaggio delle fiabe o inventato da mamma e papà.


Quando i piccoli aiutano i grandi
«Sapete che anche voi avete un fratellino in cielo?»
Mattia mi ha guardato sorpreso, gli occhi pieni di lacrime. «Ma poi Dio ce lo rimanda?» mi chiede tutto d’un fiato. E dopo un attimo di riflessione: «E come si chiama?» Questa domanda, era la più bella che mi potesse fare. Già come si chiamava? Finalmente qualcuno che parlava di questo bimbo con concretezza, riconoscendone l’esistenza, non so spiegare cosa ho provato... So soltanto che mi aveva fatto bene al cuore. Come si chiamava il fratellino? E già, non ce l’aveva un nome. Poteva scegliere Mattia e lui senza esitazione ha deciso per Alex.
Da allora, per un bel po’, ogni sera Mattia e Nicola hanno salutato Alex, il fratellino in cielo, prima di addormentarsi. E da allora, ho iniziato a sentirmi meglio. La sofferenza, pian piano, non era più così straziante.

Giorgia Cozza, Alex. Piccola storia di un bimbo mai nato


Quando si condivide con i bambini un fatto doloroso, non è raro che la loro reazione, la loro capacità di accettare la perdita e ricordare il fratellino non nato parlandone con concretezza e affetto, siano di aiuto per i genitori stessi.

La visione semplice e diretta che i piccoli hanno della vita può risultare rasserenante – e illuminante! – anche per gli adulti.

Il supporto degli operatori sanitari

Gli operatori sanitari. Ginecologi, ostetriche, infermiere. Sono queste le figure che la donna ha al suo fianco, sin dall’inizio, in tutti i momenti ‘forti’ di questa esperienza. Compete a loro, in genere al ginecologo, dare la notizia alla coppia, confermare i loro sospetti o, se non c’è stato alcun sintomo, avvisare la donna che l’attesa si è interrotta. Tocca a loro esprimere la terribile sentenza: “Non c’è battito, l’attesa si è interrotta”, sono loro a dover pronunciare le parole che mettono fine al sogno di maternità della donna e sono loro ad accoglierla in reparto, ad assisterla durante l’intervento di raschiamento o durante il parto.


Non si può quindi negare o minimizzare l’importanza degli operatori sanitari in questa situazione. E nei racconti delle donne queste figure sono sempre presenti, nel bene e nel male: in alcuni casi sono ricordati con profonda gratitudine per la gentilezza e l’umanità dimostrate, in altri casi sono ricordati come un ulteriore motivo di sofferenza, poiché la loro indifferenza e la loro freddezza hanno fatto sentire la donna ancora più sola nel proprio dolore.


A fronte di un ruolo tanto importante c’è però, in molti casi, una mancanza di preparazione, che rende difficile per l’operatore rapportarsi con la coppia e sostenerla emotivamente: con ciò non si vuole accusare gli operatori, ma l’impostazione socio-culturale che li porta ad affrontare queste situazioni senza un’adeguata formazione e senza poter contare loro stessi su alcuna forma di supporto emotivo (la morte di un bimbo prima della nascita è un evento doloroso anche per gli operatori!).

Non esiste un supporto da parte della società e non esistendo atteggiamenti o procedure codificati non è previsto alcun supporto da parte del personale sanitario alla donna che si sente sempre più isolata.15


La conseguenza, testimoniata da numerosi studi, è, purtroppo, una diffusa insoddisfazione nei confronti dell’assistenza ricevuta in ospedale. I risultati di uno studio del 198916 parlano di un 26% di donne insoddisfatte per la mancanza di priorità riservatale durante il trattamento medico-chirurgico e di un 35% di donne insoddisfatte delle informazioni ricevute. La sensazione, ascoltando i racconti delle donne, è che, attualmente, la situazione assistenziale non sia migliorata.

Gestione di tempi e luoghi dell’assistenza

Quando una donna deve subire un intervento di revisione della cavità uterina o partorire un bimbo che ha perso la vita, ha bisogno di avere accanto persone che si mostrino attente e partecipi, non professionisti distaccati e sbrigativi.


– Supporto psicologico. Molte donne hanno sofferto per la mancanza di empatia degli operatori e per l’assenza di un benché minimo supporto emotivo: da vari studi emerge il desiderio comune di poter parlare con uno psicologo o uno psicoterapeuta in occasione del ricovero ed eventualmente nei giorni successivi.

In molti Paesi, scrive Claudia Ravaldi, è previsto

un servizio di assistenza psicologica per le famiglie e per i membri dello staff ospedaliero, in modo da elaborare i vissuti di perdita sia nei genitori che negli operatori coinvolti.17

I luoghi del ricovero. Per quanto riguarda la sistemazione logistica della donna che deve subire un raschiamento, tutte le donne che sono state ricoverate in un reparto di ostetricia hanno dichiarato di aver sofferto per la vicinanza con le neomamme e i loro piccini appena nati.


I tempi ospedalieri. Altra nota dolente è il tempo. Il tempo che lo staff mette a disposizione della coppia per rispondere a dubbi e interrogativi, offrire spiegazioni e incoraggiamento è, nella maggior parte dei casi, molto limitato: la donna ha spesso l’impressione di essere un numero, una paziente tra tanti, non ha la possibilità di esprimere le sue paure, si sente sola. Anche i termini con cui in ospedale ci si riferisce al suo bambino e alla sua esperienza – materiale abortivo, prodotto del concepimento, aborto ritenuto – possono ferire profondamente la donna.


Spesso l’uso di queste definizioni tecniche fa parte di un atteggiamento difensivo (all’insegna del distacco e dell’evitamento) dell’operatore stesso, che cerca di prendere le distanze da quella che è, anche per lui, una situazione emotivamente critica.


Spunti molto interessanti a proposito di come dovrebbe essere organizzata l’assistenza, si trovano in un articolo di Facchinetti e Tirelli del 200218:

Un’assistenza moderna, se da un lato deve organizzare l’aspetto chirurgico nel modo più sicuro e semplice possibile, riducendo al massimo i tempi della degenza e l’invasività degli interventi, dall’altro non può non curare aspetti come la privacy e il supporto psicologico. La risposta a tali esigenze non si esaurisce nella messa in rete di operatori sanitari professionali come psicologi e/o operatori sociali, ma deve necessariamente passare attraverso un approfondimento culturale, il cui fine è quello di insegnare al ginecologo «l’approccio psicosomatico», la presa in carico cioè non solo delle esigenze medico-chirurgiche, ma anche degli aspetti e delle ricadute emozionali del suo agire. Il raggiungimento di questo obiettivo richiede però anche la riorganizzazione del lavoro sia a livello ospedaliero che ambulatoriale: sicuramente maggiore deve essere il tempo da dedicare all’ascolto e all’orientamento delle esigenze della coppia.

Confronto e condivisione tra operatori

Gestire la routine ospedaliera collegata a un aborto spontaneo o a una morte perinatale, stare vicini alla coppia, offrire loro un sostegno adeguato: tutto questo richiede una grande capacità di accoglienza. Stare nel dolore, affrontare l’esperienza della perdita e della morte, laddove ci si aspettava la vita e il suo coronamento, è qualcosa per cui difficilmente si è preparati19.


Anche per gli operatori sanitari possono essere utili il confronto e la condivisione, magari con altri colleghi che stanno seguendo la coppia o che si sono già trovati a gestire situazioni simili.


In generale, può essere d’aiuto approfondire questi argomenti, leggendo dei testi che parlano di sostegno e vicinanza ai genitori che hanno perso un figlio nell’attesa o subito dopo la nascita20.


Supporto psicologico e follow-up

Gli studi che l’hanno confermato sono numerosi: le donne apprezzerebbero l’organizzazione di un follow-up clinico da parte dell’ospedale e degli specialisti che le hanno seguite in occasione dell’aborto spontaneo e questo le aiuterebbe a superare l’esperienza vissuta.


Un semplice colloquio a qualche settimana dall’evento – per esprimere le proprie sensazioni e i propri dubbi e ripercorrere quanto accaduto – ha un valore terapeutico e favorisce un miglior adattamento psicologico. In particolare, uno studio del 199221 ha valutato i livelli di depressione in un gruppo di donne che, a due settimane dalla perdita, erano state contattate dagli operatori sanitari per un colloquio telefonico: queste donne stavano meglio rispetto a quelle che non avevano ricevuto la telefonata, i livelli di depressione erano più bassi a sei settimane e a sei mesi dall’evento.


Quando l'attesa si interrompe
Quando l'attesa si interrompe
Giorgia Cozza
Riflessioni e testimonianze sulla perdita prenatale.La perdita di un bambino durante la gravidanza è sempre una tragedia, vissuta spesso da sole e senza l’adeguata vicinanza emotiva. Ma si può superare. Quando si perde un bambino non si può dimenticare lo smarrimento, la solitudine e l’angoscia che una donna prova. Un aborto spontaneo è un dolore grande, è una promessa di gioia senza fine che si infrange all’improvviso, lasciando nel cuore amarezza, delusione, incredulità. I dati clinici sono allarmanti: il 15-25% circa delle gravidanze si interrompe spontaneamente nel primo trimestre, e ogni anno in Italia circa 2 gravidanze su 100 si concludono con una morte perinatale. Perché mai è successo?Capiterà ancora?Ce la farò a diventare madre?Dovrei fare ulteriori controlli e accertamenti?Perché gli altri non capiscono questo dolore?E il futuro padre? Cosa prova un uomo che perde un figlio?Molte domande, poche risposte. Esistono centinaia di titoli su gravidanza, nascita, accudimento dei figli, ma mancava un libro che parlasse dell’aborto spontaneo, un’esperienza che, purtroppo, riguarda tante donne.Perché parlarne è un modo di riconoscerne l’importanza. Raccontare la propria storia, rivivere certi momenti per alcune donne è difficile e doloroso, mentre per altre è un’opportunità per comprendere meglio le proprie emozioni e riconciliarsi col passato. Quando l’attesa si interrompe si propone di offrire una risposta agli interrogativi più comuni quando si perde un bimbo nell’attesa o subito dopo la nascita. È difficile parlare di questo dolore, perché al dispiacere si aggiunge anche la devastante consapevolezza di non essere comprese. Uscire dal silenzio che molto spesso avvolge questi argomenti, rendendoli quasi dei tabù, può essere di grande aiuto non solo per la donna, ma anche per chi le sta accanto (partner, familiari, amici, operatori sanitari) e vorrebbe offrirle il proprio sostegno emotivo. Grazie ai contributi di numerosi esperti (ostetriche, psicologi, ginecologi, neonatologi) l’autrice Giorgia Cozza offre una chiave di lettura delle reazioni fisiche ed emotive della donna (e della coppia), riflettendo sulle tappe e sui tempi di elaborazione del lutto.Le testimonianze, intense e commoventi, di tanti genitori che hanno perso il proprio figlio vogliono essere una mano tesa verso ogni donna che sta soffrendo e ha bisogno di sapere che non è sola. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.