prima parte - capitolo iii

Sentimenti e paure,
le conseguenze emotive

In gravidanza tutte le energie sono dedicate alla creazione della vita, ai progetti, al futuro. Ma se la vita non si realizza il processo si blocca bruscamente, in modo del tutto inatteso e il progetto, il sogno rimane incompiuto.

Piera Maghella, La perdita

Aspettare un bambino. Quale esperienza più grande, intensa, emozionante di questa: diventare madre. Custodire nel proprio grembo il mistero antico e sempre nuovo della Vita. Quello della gravidanza è un tempo privilegiato, unico, speciale. Un tempo in cui la donna si apre alla vita, al dono, al futuro. Le energie fisiche e mentali si concentrano su questo immenso, importantissimo progetto. Che la gravidanza sia stata a lungo desiderata o che sia giunta inaspettata, cogliendo la coppia di sorpresa, quando si scopre che c’è un bambino in arrivo questa nuova vita diventa il primo pensiero per la donna.


E il sogno ha inizio. Un sogno fatto di aspettative potenti e fantasie, di amore – un amore mai provato –, di gioie e di paure. Il bambino cresce nel grembo materno e cresce nella sua mente, ci si chiede se sarà un maschietto o una femminuccia, si immagina il suo viso, ci si interroga sulla madre che si diventerà.


Quando intervengono complicazioni che portano a un aborto spontaneo, questo enorme e irripetibile progetto dedicato alla creazione della vita subisce una brusca interruzione e resta incompiuto.


Se la gravidanza si interrompe, se la scintilla di vita che culliamo nel grembo e nel cuore si spegne, il sogno si infrange.


I progetti, le aspettative, le fantasie… non si realizzeranno. E il tempo della gioia si trasforma in modo improvviso e imprevisto nel tempo dello smarrimento, della delusione, del dolore.


Con la diagnosi di aborto spontaneo ha inizio un percorso difficile, fatto di sensazioni e sentimenti molto specifici. Di fronte alla perdita di un bimbo, ogni donna ha reazioni differenti e assolutamente personali; generalizzare, naturalmente, non è possibile, ma ci sono alcune situazioni che sono comuni e caratterizzano questo tipo di vissuto e, più in generale, ogni esperienza di lutto. Sì, perché, perdere un figlio, anche se in una fase iniziale della gravidanza, per i futuri genitori e in particolare per la donna è un vero e proprio lutto.


C’è un legame speciale, biologico ed emotivo, che rende madre e figlio un tutt’uno, e quella che si crea tra loro, sin dai primissimi giorni dell’attesa, è una relazione incomparabile, che coinvolge il corpo, la mente, l’affettività e la sensorialità, un’intima e profonda simbiosi.

“Perdere un bambino, scrive Claudia Ravaldi, è un evento molto doloroso e straziante, l’intensità emotiva della perdita è sempre considerevole, e non necessariamente l’entità del dolore dipende dal periodo gestazionale in cui la gravidanza si interrompe.1


Gli esperti sottolineano il fatto che il dolore della perdita non è proporzionale all’epoca dell’attesa, ma all’intensità dell’investimento emotivo che la donna stessa compie sulla gravidanza. L’innaturalità di questo evento – poiché laddove ci si aspetta la vita ci si scontra con la morte e il genitore sopravvive al figlio – rende ancora più complessa la situazione.


La psicologa Carole Méhan definisce quello perinatale un lutto particolarmente difficile da risolvere a causa del carattere improvviso della perdita che non permette l’instaurarsi di un lutto anticipato, e per l’assenza di un corpo tangibile da piangere che rende irreale la perdita e impedisce di focalizzare l’evoluzione di un lutto2.

Credo sia importante riconoscere che la perdita di un bimbo nell’attesa, anche al suo inizio, è per la donna un vero e proprio lutto. Nella nostra società dove questo evento è troppo spesso ignorato o comunque poco considerato, la comprensione e il supporto offerti alla donna sono pressoché nulli e, spesso, lei stessa quasi non si sente autorizzata a soffrire. In realtà, cinquant’anni di studi sulla psicologia del lutto ci dicono che una rete di sostegno è molto importante per elaborare e superare questa perdita.


Il primo passo, quindi, è quello di riconoscere dignità a questo dolore.

L’ELABORAZIONE DEL LUTTO

Per arrivare all’alba, non c’è altra via che la notte.

Kahlil Gibran


Il dolore per un aborto segue il processo che è proprio di ogni sofferenza, un cammino che procede a fasi ben definite tipiche dell’elaborazione del lutto. Dallo shock iniziale in cui tutto appare irreale (“Mi pare che sia un brutto sogno… vorrei svegliarmi”), si passa attraverso la consapevolezza dell’accaduto con tutto il suo carico di dolore. Questa fase può essere caratterizzata da stati depressivi transitori e sensi di colpa oppure assumere carattere di protesta, rabbia, rancore verso qualcuno o qualcosa. Il processo si conclude con l’accettazione e l’elaborazione della perdita: solo a questo punto la donna recupera la capacità di dedicarsi a nuovi progetti e attività.


Ogni tappa, ogni passaggio per quanto doloroso di questo processo, deve necessariamente essere vissuto, per arrivare a recuperare la serenità, per potersi sentire davvero meglio.


A questo proposito Claudia Ravaldi, in Piccoli Principi, suggerisce: “rispetta le difficoltà del tuo percorso, non pretendere troppo da te stesso e cerca di non minimizzare mai le tue emozioni e i tuoi vissuti, riconosci l’importanza di questo momento doloroso e non scappare via: superare il lutto significa passarci attraverso, non fuggire.”


Vediamo quali sono le tappe principali di questo percorso che dal buio della disperazione permette di riconquistare la luce della speranza.

Smarrimento, estraniamento, incredulità

Non riuscivo a capire cosa mi stava dicendo il medico.
Cosa voleva dire? Non poteva essere. Non il mio bambino. Non io.

Elisa


È stato un vero e proprio shock.

Milena


Sentivo un dolore lancinante al cuore, ma nello stesso tempo era come se tutto quello non stesse accadendo a me.

Cristina


Sono stata come in stand-by per giorni.

Alessandra


Non c’è battito, l’attesa si è interrotta.

Per quanto in teoria tutti sappiamo che l’aborto spontaneo è un evento purtroppo non raro, non si è mai davvero preparati a una notizia del genere. È un evento troppo crudele, troppo difficile da immaginare. Trattandosi di una situazione fortemente traumatica, la prima reazione è di smarrimento, confusione, stordimento.


Lo shock della diagnosi può causare una sensazione di estraniamento dalla realtà, come se stessimo guardando la scena dall’esterno. A volte si manifesta una sorta di ‘rallentamento’ fisico e mentale o, al contrario, si prova una profonda agitazione che ci impedisce di stare fermi.


Se l’aborto spontaneo si è verificato con delle perdite di sangue, in genere, la prima reazione è la paura.

Paura di perdere il bambino e paura degli eventi che seguiranno quando, ormai, l’aborto è avvenuto. “La paura per quello che sta succedendo, spiega Piera Maghella presidente del Movimento Italiano Parto Attivo, è spesso esasperata dal processo di ospedalizzazione: il luogo, gli strumenti, il linguaggio che, in questi casi, per difesa, può diventare ancora più tecnico.3


Di fronte a uno shock emotivo c’è bisogno di tempo, tempo per assorbire la notizia, per ‘rendersi conto’ di quello che sta accadendo.

Vuoto, angoscia, solitudine

Non riesco a descrivere le mie emozioni di allora: vuoto, inadeguatezza, sconforto, solitudine.

Elena


Superato lo shock e l’intorpidimento iniziale, è il momento della consapevolezza. La donna si rende definitivamente conto che la gravidanza si è interrotta, che il bambino non c’è più. Descrivere il miscuglio di potenti emozioni che si affacciano alla sua mente e pesano sul suo cuore in questa situazione è impossibile.


La frattura tra quelli che erano i sogni, le aspettative e i progetti e quella che invece si è rivelata la realtà è tanto netta da provocare una profonda sensazione di angoscia.


La morte del piccino, a qualunque epoca gestazionale avvenga, porta con sé un desolante senso di vuoto. La donna ora è sola, non c’è più il suo bambino, lui non è più con lei. Se il piccino si è spento nel suo grembo, gli operatori sanitari dovranno intervenire per strapparlo da lei, per separarli. Al dolore si aggiunge la sensazione di essere sola. La donna sente che questo dolore è soltanto suo, perché nessuno ha amato il suo piccino come lo ha amato lei.

Il dolore, scrive Piera Maghella, è un’emozione solitaria, isolante.

Non è raro che il dolore, oltre a manifestarsi con sentimenti intensi e spesso ambivalenti (desiderio di posticipare l’intervento per non separarsi dal proprio bimbo, disagio per la sua presenza nel proprio grembo, paura al pensiero dell’intervento o, al contrario, sollievo), si traduca in sensazioni fisiche, come un senso di pesantezza al petto, un vuoto allo stomaco, debolezza muscolare4.


Se l’aborto è avvenuto nel secondo trimestre e quindi la donna ha dovuto affrontare l’esperienza del travaglio e del parto, nei giorni successivi si verifica un cambiamento dell’assetto ormonale e può annunciarsi la montata lattea. Il dolore in questa situazione può essere davvero feroce: le trasformazioni dell’organismo sembrano lì a sottolineare l’assenza di quel bimbo che corpo, mente e cuore erano pronti ad accudire. “Accorgersi che il suo corpo si comporta esattamente come se il bambino fosse vivo, spiega Piera Maghella, può aggiungere una sofferenza sufficiente per avere un crollo.”5


Quando la donna ha già vissuto l’emozione e la gioia dei primi ‘sfarfallii’ e dei primi movimenti del proprio piccino, secondo vari studi, i sintomi di tipo depressivo durano almeno per i primi sei-nove mesi successivi alla perdita, “ma possono affiorare in modo inaspettato e inconscio anche nei due anni successivi.6


Naturalmente non vogliamo generalizzare: non esistono tempistiche o reazioni universali – la risposta del nostro organismo di fronte a un evento emotivamente stressante è complessa, articolata su diversi livelli biologici e psicologici e differente da individuo a individuo –, non esiste un ‘calendario’ del dolore, ma è importante che i tempi di ogni donna vengano rispettati e che lei non si senta inadeguata per le sensazioni che prova7.


Ansia e depressione, risposta fisiologica alla perdita

Numerosi studi che hanno utilizzato scale e/o questionari codificati per la diagnosi dei disturbi psichiatrici hanno dimostrato che, nel periodo successivo a un aborto spontaneo, la maggior parte delle donne presenta una sintomatologia specifica, caratterizzata da ansia e depressione. In particolare, Prettyman8 – usando la Hospital Anxiety and Depression Scale – ha osservato che a una settimana dall’aborto, il 22% delle donne presentava sintomi da depressione e il 41% sintomi da ansia.


Dopo 12 settimane la sintomatologia depressiva era calata al 6%, mentre quella ansiosa – dopo un iniziale calo, registrato alla sesta settimana nel 18% delle donne, – era ancora presente nel 32% dei casi. Questo secondo ‘picco’ di ansia potrebbe essere collegato alla reale presa di coscienza del fatto che l’attesa si è interrotta, e ai dubbi e alle incertezze relativi a una futura gravidanza.


Rabbia, frustrazione, sensi di colpa

“Perché proprio a me?” Mi sa che è una domanda per cui non ci sarà in questa vita terrena una risposta.

Ilaria

Ho iniziato a piangere e mi sentivo in colpa perché all’inizio quel bambino non lo volevo.

Cristina


L’impossibilità di cambiare la realtà, il fatto di essere costretti a subire un evento tanto doloroso senza poter far nulla sono causa di una profonda frustrazione. Si ha l’impressione di aver perso il controllo della situazione e della nostra stessa vita, ci si sente impotenti di fronte a un dolore per cui non si era preparati. Spesso queste sensazioni causano un’esplosione di emozioni molto violente: rabbia, risentimento, senso di ingiustizia. Ci si chiede perché questo dolore è toccato proprio a noi, si cerca un ‘colpevole’, si può cadere nel tranello dei sensi di colpa, addossandosi la responsabilità di quanto sta accadendo (“Se non avessi fatto quello sforzo”, “Se fossi venuta al controllo prima”), anche l’autostima può venire intaccata (“Non sono in grado di avere un bambino” o “Non merito di avere un bimbo”).


A volte, a rendere la situazione più difficile, è il riaffiorare di precedenti lutti irrisolti; altre volte, invece, per la coppia questo è il primo confronto con la morte e sorgono dubbi e incertezze relativi alla propria mortalità.


Le emozioni che caratterizzano il periodo immediatamente successivo alla perdita sono spesso mutevoli e contrastanti. Di fondo c’è il dolore, un dolore sordo, che solo a tratti allenta la sua morsa e, a seconda dei giorni e dei momenti, si possono avvicendare la tristezza, l’agitazione, la collera, e tante altre emozioni difficili da descrivere e impossibili da riassumere. A volte si è assalite dall’apatia, a volte si è preda dell’agitazione e si diventa iperattive.


In alcuni casi ci si sente a disagio di fronte alle proprie reazioni; la società tende a minimizzare la sofferenza di una perdita avvenuta prima della nascita e la donna può dubitare di sé e chiedersi se le sue reazioni sono esagerate. In realtà si tratta di sensazioni fisiologiche assolutamente normali quando ci si trova ad affrontare un evento luttuoso.


Per superare la cosiddetta fase acuta è importante non ‘trattenersi’, ma lasciare libero sfogo alle proprie sensazioni: il pianto è davvero liberatorio, non ha senso trattenere le lacrime o non esprimere eventuali emozioni negative.

Anche parlare è di grande aiuto. Scriveva William Shakespeare: “Date voce al dolore: il dolore che non parla, sussurra al cuore affranto e gli dice di spezzarsi”9, dar voce al dolore, quando ci si sente pronte per farlo, permette di alleggerirne il carico. Parliamo del nostro bambino, di quello che è accaduto, della nostra delusione.


Forse può essere d’aiuto sapere che, con il tempo, la sofferenza non sarà più così straziante. Giorno dopo giorno, il dolore si trasforma, si evolve, si prepara a diventare qualcos’altro: non più struggimento e disperazione, ma ricordo, nostalgia, accettazione.

Il rischio di fuggire dal lutto

Può accadere quando si soffre molto che si attivino dei meccanismi difensivi di fuga e negazione del dolore, che al momento sembrano offrire sollievo, ma sul lungo periodo possono ostacolare e rallentare il normale processo di elaborazione del lutto.


Ci si butta a capofitto nel lavoro, o in qualunque attività ci permetta di non pensare, e quando il ricordo di quanto accaduto riaffiora alla mente e chiede il suo spazio, questo spazio gli viene negato.


Ci si convince che è tempo di star bene, ci si mostra allegri, ci si sforza di ‘razionalizzare’ (“È stato meglio così, probabilmente era malato”), ma la sofferenza è sempre lì in agguato e non possiamo mai abbassare la guardia. Fuggire dal dolore, dai ricordi, da quello che è stato non è possibile. Negare le emozioni tristi non le farà scomparire. Non resta che viverle per poterle davvero superare.

Tra le fughe dal dolore e le scorciatoie che, anziché abbreviare il cammino, rischiano di allontanarci dalla meta, in alcuni casi ci sono anche i farmaci con effetto tranquillante e sedativo o antidepressivo; a questo proposito Claudia Ravaldi scrive: “per elaborare il lutto non servono medicine che smorzano i toni emotivi e che aumentano il distacco dai propri vissuti, perché questo può essere addirittura controproducente.”10

Ma cosa fare in quei casi in cui il lutto si complica? Se anziché diminuire d’intensità, con il trascorrere delle settimane e dei mesi il dolore resta invariato, se si comincia a soffrire di insonnia, disturbi alimentari, stati d’ansia e/o depressione, se compaiono pensieri di suicidio, è importante cercare aiuto.

In molti casi l’auto mutuo aiuto, il sostegno e la condivisione tra genitori che hanno vissuto la stessa esperienza, è risolutivo. Se, però, questo tipo di aiuto non fosse sufficiente è necessario rivolgersi a uno specialista.

L’accettazione della perdita

Quando si sta soffrendo sembra impossibile. È difficile vedere la luce e credere che un giorno, il cuore troverà sollievo. Ma succede. Succede sempre. Se si accetta di vivere il proprio dolore, se non si fugge, ma si vivono le proprie emozioni fino in fondo, il processo di elaborazione si compie e si conclude.


Fondamentale è darsi tempo. Concedersi il tempo necessario, che è diverso per ognuno, per accettare la perdita e recuperare la serenità.


Cercare di bruciare le tappe, fingere che vada tutto bene, mettersi fretta (o accettare che chi ci sta intorno ci metta fretta) per adeguarsi alle aspettative altrui o per mostrarsi forti può rallentare il processo di elaborazione.


Con il trascorrere del tempo, la situazione migliora progressivamente, il disagio si attenua e le emozioni negative, i momenti ‘no’ diventano sempre meno frequenti e più gestibili.

Il processo del lutto – scrive Claudia Ravaldi – è un processo dinamico, in cui tutti i giorni sono diversi l’uno dall’altro, e ogni periodo si caratterizza per la presenza di particolari pensieri ed emozioni.11


Finché un giorno, quasi per caso, ci si accorge che la tempesta è passata. Ci si rende conto che, dopo aver navigato in mezzo ai marosi, si è finalmente giunti in porto. La pace è tornata.


E il nostro bambino è diventato per noi un ricordo colmo di dolcezza.

VERSO LA SERENITÀ

Vola libera e felice, in un tempo senza fine, nel persempre. Di tanto in tanto noi ci incontreremo – quando ci piacerà – nel bel mezzo dell’unica festa che non può mai finire.

Richard Bach, Nessun luogo è lontano


La donna che perde un bimbo in qualunque epoca dell’attesa deve affrontare un percorso che, con i suoi tempi e i suoi modi, la porterà a elaborare la perdita. Come abbiamo visto, questo percorso è fatto anche di dolore, tanto dolore, e di momenti difficili.


Ci sono però alcuni passi, alcune situazioni, alcuni rituali che, per molte donne che hanno vissuto questa esperienza, si sono rivelati di aiuto.


Di seguito riportiamo qualche semplice spunto, tratto dalle testimonianze delle mamme e dai risultati degli studi riguardanti il lutto perinatale.

Lacrime e parole

Sentiamoci sempre liberi di piangere e sentiamoci sempre liberi di parlare del nostro dolore, del nostro bambino, di quello che abbiamo vissuto.


Non esitiamo a raccontare, se ne sentiamo il bisogno, non lasciamoci condizionare dal timore del giudizio altrui: stiamo soffrendo (ed è normale che sia così), abbiamo il diritto di esprimere questo dolore per tutto il tempo che sarà necessario per elaborare la perdita.


Parlando di quello che è accaduto riviviamo gli eventi nei dettagli (spesso ne emergono di nuovi proprio raccontando): raccontiamo la nostra storia a chi ci sta ascoltando, ma la raccontiamo ancor prima a noi stessi, e pian piano interiorizziamo l’esperienza vissuta.

Diversi studi hanno dimostrato che l’accettazione risulta meno difficile se la coppia viene incoraggiata a esprimere la propria rabbia, a piangere, a parlare delle proprie paure e fantasie12.
Non da sola

Spesso quando si perde un bimbo ci si sente molto sole. La nostra società è poco attenta nei riguardi di chi vive una perdita prenatale e questo dolore è spesso sottovalutato e ignorato. A volte anche le persone che ci sono più vicine sembrano non capire, non sono in grado di mostrare empatia. La tentazione di isolarsi è forte, ma da soli ogni fardello diventa più pesante.


Proviamo ad accettare le reazioni del partner e dei nostri familiari anche se non sono quelle che avremmo voluto, anche se sono diverse dalle nostre, e non esitiamo a dire loro quello di cui sentiamo di aver bisogno. Forse scopriremo che non siamo davvero sole nel nostro dolore. Forse ci troveremo a piangere sulla spalla di qualcuno che saprà mescolare le sue lacrime alle nostre. Sicuramente, se sapremo spiegare le nostre esigenze, per chi ci vuole bene sarà più facile trovare il modo giusto di starci vicino.

Sostegno e condivisione tra genitori

L’auto-aiuto reciproco tra persone che hanno vissuto la medesima esperienza è davvero terapeutico. Funziona! Incontrare altre madri che hanno perso un figlio nell’attesa è un’opportunità preziosa per potersi sfogare con la certezza di essere davvero compresi (cosa non affatto scontata). Non solo. Ascoltando i racconti degli altri, si scopre di non essere soli, che quello che stiamo provando è del tutto normale e che… con il tempo, tutto questo dolore passerà.


A proposito della condivisione tra donne, Carla Scarsi, giornalista e scrittrice, commenta: “Credo che la sensazione di inadeguatezza sia la tragica eredità che ogni donna riceve da un aborto e della quale non si libererà mai più. Ipnosi, psicologo, psicofarmaci, antidepressivi, altri figli… Sono tutti palliativi, utili ma non risolutivi per quel peso a volte intollerabile che ci resterà per sempre sulle spalle. Credo veramente che solo accettando questa realtà, e non cercando di combatterla (patetico quando ci chiedono di affermare: “Grazie, ora sto meglio!”), condividendo con altre donne questo peso si possa riuscire a sopportarlo. Si riesce a contenerlo dentro di noi solo sapendo che a tante altre donne è successo, che capita, che anche loro hanno provato le stesse cose”.

In un’ottica di condivisione di esperienze, anche la lettura di libri dedicati all’argomento13 e di testimonianze pubblicate on-line nei siti che trattano questi temi può essere di grande aiuto.
Scriviamo un diario

Affidare le proprie emozioni a carta e penna può essere molto utile. Scrivere quello che si è vissuto – quando ci si sente pronte per farlo –, ‘tirare fuori’, esprimere sensazioni e fissare i ricordi relativi a fatti, date e reazioni emotive, è un passo ‘forte’, intenso. Può essere doloroso, ma è davvero liberatorio.

Simboli e rituali della memoria
Ti abbiamo dato un nome: Gabriele, non a caso un nome angelico…

Alessia

Ho la sensazione che fossero due maschietti.
In famiglia li chiamiamo Matteo e Giorgio.

Silvia

Ho fatto celebrare una Santa Messa per le mie intenzioni.
Io sapevo che era per lui.

Giorgia

Parlando con mio marito ci siamo detti che probabilmente il nostro bambino era morto il 4 ottobre, il giorno di San Francesco: in quel giorno ogni anno ricordiamo quello che è accaduto, diciamo una preghiera per il bimbo che non è nato e raccontiamo quello che è successo ai suoi fratelli.

Cristina


Molte donne hanno dato un nome al proprio bambino. Anche se quando l’hanno perso era così piccino che ancora non era dato sapere se fosse maschio o femmina. In genere le madri sanno ‘chi era’ quel bambino e dargli un nome è un modo per riconoscere la sua esistenza. È un modo per rendere più reale e concreto il ricordo, per dire al mondo che lui è esistito e continua a esistere per la sua mamma e per la sua famiglia.


Anche rendere onore alla memoria di quel bimbo che non ha visto la luce e per cui non ci saranno doni e feste di benvenuto può essere d’aiuto per elaborare la perdita: celebrare un rito commemorativo, chiedere a parenti e amici di dedicargli un pensiero speciale o di accendere una candela concordando un giorno e un’ora o, ancora, effettuare una donazione a un ente di volontariato… Il genitore ha l’impressione di fare qualcosa per il proprio bambino. E, in genere, questo lo fa sentire meglio.

La dolcezza del ricordo

Ora ho due bimbi bellissimi e uno che veglia su di noi. Non l’ho mai dimenticato e lo sento parte della nostra famiglia e della nostra storia.

Samantha


Ricordo il periodo della sua eventuale nascita e penso:
“Adesso avrebbe avuto tre anni”.

Alessia


Non c’è giorno che non penso ai miei angeli.
Faranno sempre parte del mio cuore e della mia esistenza.

Titty


Sono passati molti anni, undici, e spesso mi ritrovo a pensare a quanti anni avrebbe il mio primo bimbo e cosa farebbe ora…

Anna


È passato tanto tempo, ventidue anni.
Quando penso alle mie piccole, raccolgo dei fiori dal giardino, li metto in un vaso, accendo quattro candeline e so che loro sono lì con me!

Virginia


Quando il processo di lutto si conclude, al dolore per la perdita della persona amata, si sostituisce la dolcezza del ricordo.


Può accadere che, con il succedersi delle settimane, mentre la donna pian piano si accorge di star meglio, possa temere di dimenticare. Questo timore è causa di un intenso disagio: piuttosto che dimenticare, meglio continuare a soffrire.


Ma il rischio di dimenticare, in realtà, non esiste.


Un bambino perso, non è perso per la sua mamma. Lei lo custodisce per sempre, al sicuro, nel suo cuore. Credeteci perché è proprio vero, l’ho scoperto parlando con tante, tante donne, oggi madri felici, che hanno vissuto questa esperienza cinque, dieci, vent’anni fa. Donne a cui il trascorrere del tempo non ha rubato alcun ricordo, che sanno dire quanti anni avrebbe oggi quel figlio perso, che conservano nella memoria le date legate alla sua breve esistenza terrena (il giorno della diagnosi, o il giorno del raschiamento, o del parto), che mentre dicono quanti figli hanno, sentono il loro pensiero volare là, al loro bambino speciale che non hanno potuto abbracciare, ma che c’è, fa parte di loro e della loro storia di madri.


Baby loss awareness day: la Giornata della consapevolezza

Nel mese di ottobre c’è una giornata speciale, dedicata ai bimbi non nati e alle loro famiglie. L’iniziativa Baby loss awareness days nasce negli Stati Uniti nel 1983 per opera di alcune associazioni di genitori, e da allora si è diffusa in molti Paesi. L’Italia ha aderito per la prima volta alla Giornata internazionale sulla consapevolezza della morte in gravidanza e dopo il parto nel 2007, grazie all’associazione Ciao Lapo onlus. Protagonista di questa Giornata è il dolore dei genitori, un dolore troppo spesso ignorato e minimizzato dalla società, che viene finalmente riconosciuto e celebrato. Ma il Baby loss awareness day è anche la giornata internazionale del ricordo: si ricordano tutti i piccini che non hanno visto la luce, si rende loro onore con dei gesti semplici ma significativi, come l’accensione di una candela in un orario concordato, sul davanzale della finestra. È un primo passo, ed è importante, per vincere l’indifferenza, per costruire una rete di supporto, per non lasciare soli i genitori che piangono il loro bambino non nato. Ed è un passo per dire al mondo che questi bambini ci sono, sono esistiti, e continuano a vivere nella mente e nel cuore delle loro famiglie.


Per conoscere le iniziative organizzate nelle città italiane in occasione della Giornata della consapevolezza è possibile consultare il sito www.babyloss.info


Quando l'attesa si interrompe
Quando l'attesa si interrompe
Giorgia Cozza
Riflessioni e testimonianze sulla perdita prenatale.La perdita di un bambino durante la gravidanza è sempre una tragedia, vissuta spesso da sole e senza l’adeguata vicinanza emotiva. Ma si può superare. Quando si perde un bambino non si può dimenticare lo smarrimento, la solitudine e l’angoscia che una donna prova. Un aborto spontaneo è un dolore grande, è una promessa di gioia senza fine che si infrange all’improvviso, lasciando nel cuore amarezza, delusione, incredulità. I dati clinici sono allarmanti: il 15-25% circa delle gravidanze si interrompe spontaneamente nel primo trimestre, e ogni anno in Italia circa 2 gravidanze su 100 si concludono con una morte perinatale. Perché mai è successo?Capiterà ancora?Ce la farò a diventare madre?Dovrei fare ulteriori controlli e accertamenti?Perché gli altri non capiscono questo dolore?E il futuro padre? Cosa prova un uomo che perde un figlio?Molte domande, poche risposte. Esistono centinaia di titoli su gravidanza, nascita, accudimento dei figli, ma mancava un libro che parlasse dell’aborto spontaneo, un’esperienza che, purtroppo, riguarda tante donne.Perché parlarne è un modo di riconoscerne l’importanza. Raccontare la propria storia, rivivere certi momenti per alcune donne è difficile e doloroso, mentre per altre è un’opportunità per comprendere meglio le proprie emozioni e riconciliarsi col passato. Quando l’attesa si interrompe si propone di offrire una risposta agli interrogativi più comuni quando si perde un bimbo nell’attesa o subito dopo la nascita. È difficile parlare di questo dolore, perché al dispiacere si aggiunge anche la devastante consapevolezza di non essere comprese. Uscire dal silenzio che molto spesso avvolge questi argomenti, rendendoli quasi dei tabù, può essere di grande aiuto non solo per la donna, ma anche per chi le sta accanto (partner, familiari, amici, operatori sanitari) e vorrebbe offrirle il proprio sostegno emotivo. Grazie ai contributi di numerosi esperti (ostetriche, psicologi, ginecologi, neonatologi) l’autrice Giorgia Cozza offre una chiave di lettura delle reazioni fisiche ed emotive della donna (e della coppia), riflettendo sulle tappe e sui tempi di elaborazione del lutto.Le testimonianze, intense e commoventi, di tanti genitori che hanno perso il proprio figlio vogliono essere una mano tesa verso ogni donna che sta soffrendo e ha bisogno di sapere che non è sola. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.