Informazioni ottenute con gli ultrasuoni
In gravidanza si ricorre agli ultrasuoni per due ragioni principali: per indagare su un eventuale disturbo in una fase qualsiasi della gestazione, oppure per l’ecografia di routine tra la diciottesima e la ventesima settimana.
In caso di sanguinamenti nelle fasi precoci della gravidanza, ad esempio, gli ultrasuoni prevedranno se l’aborto è inevitabile. Più in là nell’attesa vi si ricorrerà se il feto non cresce, o se si sospetta che il bimbo sia podalico o che si aspettino gemelli. In queste circostanze i dati raccolti grazie agli ultrasuoni possono essere di grande utilità per le scelte che la madre e chi le presta assistenza sono chiamati a operare. Tuttavia il ricorso alla diagnosi a ultrasuoni di routine, nota anche come morfologica o ecografia standard, risulta più controverso, poiché coinvolge tutte le donne gravide, che presentino o no complicazioni, con la speranza di migliorare gli esiti di alcune madri e dei loro bambini.
La diagnosi prenatale a ultrasuoni di routine è volta al controllo delle dimensioni e dell’integrità del bambino. La cadenza dell’esame (tra la diciottesima e la ventesima settimana) viene scelta per motivi pratici: essa fornisce una data presunta del parto ragionevolmente precisa, oltre alla ragionevole possibilità di individuare gran parte delle anomalie identificabili tramite ecografia.
La data presunta del parto, valutata rispetto alle dimensioni, è definibile con maggior precisione nelle primissime fasi della gravidanza, quando le variazioni delle dimensioni dei feti sono minime. La data presunta del parto (DPP) calcolata, ad esempio, con ecografia alla settima-ottava settimana comprenderà uno scarto di tre, quattro giorni16. Tra la diciottesima e la ventesima settimana la precisione avrà uno scarto di una settimana in più o in meno, mentre alcuni studi hanno suggerito che una visita precoce, o il calcolo in base al ciclo mestruale, possono avere la medesima precisione della diagnosi a ultrasuoni di routine17,18. Si tenga presente che un’ecografia successiva non è in grado di fornire una data presunta del parto precisa a causa delle forti variazioni delle dimensioni: dopo la ventottesima settimana, ad esempio, tale accuratezza si aggira solo intorno alle tre-quattro settimane in più o in meno19.
Tra la diciottesima e la ventesima settimana il feto è abbastanza grande per individuare gran parte delle anomalie diagnosticabili tramite ultrasuoni. Essi però non sono infallibili: la diagnosi a ultrasuoni individua tra il 35 e l’80 per cento di quell’uno su cinquanta bambini affetti da gravi anomalie alla nascita.20,21,22,23 Le strutture più ampie, così come gli ecografisti con maggior esperienza, detengono tendenzialmente le percentuali più alte di individuazione; tuttavia neppure i centri più importanti non riconosceranno il 40 per cento delle anomalie, la maggior parte delle quali difficili o impossibili da diagnosticare.24,25,26 I difetti a carico del cuore e del rene, ad esempio, sono pressoché non individuabili con una diagnosi di routine, così come i marker della sindrome di Down; diverse altre principali cause di disabilità intellettiva, quali paralisi cerebrale e autismo, sono impossibili da diagnosticare tramite ecografia in gravidanza.
Quando viene registrata un’anomalia esiste altresì la ridotta eventualità che si tratti di un falso positivo, ossia che la diagnosi ottenuta con gli ultrasuoni sia sbagliata e che il feto risulti meno colpito, o che sia del tutto sano. Da un’indagine britannica emerse che per uno su duecento bambini abortiti per presunte gravi anomalie, la diagnosi postmortem risultava meno grave di quanto previsto dagli ultrasuoni, e l’interruzione, forse, ingiustificata. Secondo questa indagine il 2,4 per cento dei feti che avevano ricevuto diagnosi di gravi anomalie, ma che non erano stati abortiti, presentava condizioni la cui gravità era stata valutata nettamente in eccesso o in difetto27. Altri due studi hanno evidenziato falsi positivi in circa il 10 per cento dei bambini con diagnosi di gravi anomalie strutturali28,29, rendendo necessaria, in una situazione del genere, un’ulteriore ecografia (effettuata di preferenza da un diverso operatore). Ci sono pure condizioni che si sono risolte spontaneamente30.
Oltre ai falsi positivi esistono anche casi incerti, in cui gli esiti ecografici non si possono interpretare con facilità, e il futuro del feto resta ignoto. In uno studio su donne ad alto rischio quasi il 10 per cento delle ecografie risultava incerto31. Tale situazione può procurare enorme ansia nella donna e in famiglia, una preoccupazione che rischia di non attenuarsi con la nascita di un bimbo normale: secondo lo stesso studio le donne che avevano ricevuto diagnosi incerte continuavano a essere ansiose dopo tre mesi dalla nascita dei figli.
Tra queste incertezze figurano i cosiddetti “soft marker”: elementi che non ingenerano disturbi ma che, a volte, sono ricollegabili a diagnosi più serie, tipo la sindrome di Down. Tra essi le cisti del plesso corioideo all’interno del cervello; intestino iperecogeno e focus cardiaco; femore corto, omero corto; pielectasia renale. Circa l’un per cento dei feti presenta, ad esempio, una ciste del plesso corioideo, ma solo uno su 150 di questi bambini sarà affetto da anomalie cromosomiche quali la sindrome di Down32. Dal momento che la diagnosi di soft marker può dare ansia, e che la stragrande maggioranza dei bambini che presentano tali marker risulta normale, sono diversi gli esperti che suggeriscono di mostrare tali indicatori solo alle pazienti ad elevato rischio di anomalie33.
Nei casi sospetti di anomalie cromosomiche il dubbio si può risolvere attraverso ulteriori esami quali l’amniocentesi. In questo caso l’attesa del ritiro dell’esito potrebbe protrarsi fino a due settimane, durante le quali la madre si trova a dover decidere se interrompere la gravidanza nel caso di anomalia accertata. Anche la procedura dell’amniocentesi comporta un ulteriore rischio di abortività. Alcune delle mamme che ricevono notizie rassicuranti hanno vissuto tale procedura come un’interferenza nella relazione con il proprio bambino34.
Oltre a calcolare la data presunta del parto e a individuare le anomalie più gravi, la diagnosi a ultrasuoni di routine è in grado di individuare una placenta previa (placenta bassa) e la presenza di più di un feto a uno stadio precoce della gravidanza. Tuttavia quasi la totalità delle gestanti in cui sia stata rilevata placenta previa grazie a un’ecografia precoce si preoccuperà inutilmente: dagli studi è emerso che, nell’80-100 per cento delle donne, la placenta, in realtà, si sposterà senza causare disturbi.35,36,37,38 Alcuni ricercatori suggeriscono persino che una placenta previa diagnosticata grazie a un’ecografia precoce non richieda ulteriori esami ecografici39. Inoltre non ci sono prove che l’individuazione di placenta previa tramite diagnosi a ultrasuoni di routine comporti meno rischi che l’individuazione in corso di travaglio40. Né sono stati rilevati esiti migliori nelle gravidanze multiple: la stragrande maggioranza delle gestazioni gemellari saranno riconosciute prima del travaglio, anche senza diagnosi a ultrasuoni di routine, e senza differenze di esito per la madre e per il bambino41.
Più di recente si è ricorsi agli ultrasuoni per riconoscere marker specifici quali la lunghezza della cervice materna (che alcuni studi ricollegano al travaglio precoce) e la quantità di liquido amniotico (LA) a fine gravidanza, i cui scarsi livelli sono considerati marker di rischio. Rischio che tuttavia risulterà sopravvalutato dalla stima del volume di LA: in uno studio, ad esempio, tre su quattro bambini oltre il termine (il 72 per cento) a basso indice di LA non incontrarono maggiori problemi durante il travaglio e il parto, e solo l’11 per cento ebbe bisogno di cure particolari dopo la nascita42. Si noti come la scarsità di liquido amniotico (oligoidramnios) possa essere riflesso della disidratazione materna, correggibile semplicemente bevendo di più; il che, forse, contribuirà anche a ridurre i rischi del travaglio e del parto43.
È stato provato che una cervice corta (inferiore a 25 millimetri), come rilevato dall’ecografia di metà gravidanza, è un utile indicatore di parto prematuro soltanto nelle donne ad alto rischio (per esempio con parto prematuro pregresso), e richiede una valutazione accurata da parte di ecografisti esperti e preparati.44,45,46
Nel suo “Practice Bulletin 2004” l’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) raccomanda di sottoporsi a ecografia solo per ragioni specifiche, tra cui date presunte del parto e valutazioni fetali incerte, aggiungendo che si tratta di un esame diagnostico economicamente vantaggioso solo se eseguito da specialisti che operino in centri di prim’ordine47. Da uno studio britannico risultava che gli ultrasuoni si dimostravano vantaggiosi in un’ottica di spesa sanitaria solo qualora la maggioranza dei bambini con diagnosi ecografica di anomalie veniva abortita48.
In Canada le linee guida consigliano di sottoporre le gestanti a ecografia di routine a metà gravidanza, sottolineando la necessità di garantire l’informazione su rischi e benefici per ottenere un consenso informato49.