CAPITOLO VI

Nascita indisturbata

Il progetto di Madre Natura per garantire benessere, estasi e sicurezza

Con il massiccio incremento, negli ultimi decenni, degli interventi ostetrici, e il declino di scelte a basso impatto tecnologico quali il parto in casa o nei centri nascita, sono in molti a domandarsi: il parto naturale riuscirà a sopravvivere? Vale la pena preservarlo? In questo capitolo si sosterrà la tesi favorevole, descrivendo in termini scientifici la mirabile armonia degli ormoni deputati alla nascita “indisturbata” oltre che i molteplici e intrinseci fattori di sicurezza per la madre e il bambino. Esamineremo poi le conseguenze dei normali interventi operati durante il travaglio sui processi ormonali, e un modello che conferisce una base scientifica agli “interventi a cascata” per cui a un intervento ne fa seguito un altro, con il risultato finale di un’esperienza di parto altamente tecnologizzata e, probabilmente, spaventosa, sia per la madre, sia per il compagno e forse pure per il bambino. Infine il capitolo elenca una serie di raccomandazioni per favorire benessere, piacere e sicurezza durante il parto, utili per le mamme, i papà, le famiglie oltre che per gli assistenti al parto e i professionisti.


Il termine nascita indisturbata assunse un significato molto profondo per me allorquando misi al mondo il mio quartogenito, al buio, in solitudine, circondata solo dai miei familiari. Esso descrive bene un’esperienza tanto toccante, che mi fece aprire gli occhi sull’estasi del parto, e comprendere che il processo della nascita può essere semplicissimo se si riesce ad evitare qualsiasi interferenza. Se mettevo a confronto il mio ultimo parto con i tre precedenti, in casa, e il parto in casa con quelli ospedalieri a cui avevo assistito, mi accorgevo di quanto fosse radicata l’abitudine al disturbo e quanto il bisogno di noi operatori sanitari di “fare qualcosa” in sala parto molto spesso diventi fonte di autocompiacimento.


Mi resi altresì conto dell’estrema complessità del parto e dell’intensa suscettibilità alle influenze esterne. La similitudine tra fare l’amore e partorire mi risultò molto chiara, non solo in termini di amore e passione, ma anche perché entrambe le esperienze necessitano sostanzialmente delle medesime condizioni: sentirsi in intimità, al sicuro e inosservati. Eppure il contesto offerto alle donne in procinto di partorire è quasi diametralmente opposto: nessuna meraviglia se, oggi, mettere al mondo un figlio risulti tanto problematico per la maggioranza delle donne.

Che cosa disturba la nascita?

Come ho lasciato intendere, tutto ciò che disturbi il senso di intimità e di sicurezza della donna in travaglio recherà disturbo all’intero processo deputato alla nascita. Tale affermazione riguarda gran parte dell’ostetricia moderna, dalla quale è sorta un’intera industria che gravita intorno all’osservazione e al monitoraggio della gravidanza e del parto. Alcune delle tecnologie impiegate provocano dolore o disagio, le più implicano una certa infrazione di barriere fisiche o sociali e quasi tutte le operazioni sono svolte da personale sostanzialmente estraneo alla donna stessa. Tutti questi elementi risultano di grande disturbo per le gestanti e le partorienti tanto quanto lo sarebbero per un qualsiasi mammifero in travaglio – con cui condividiamo gran parte del cocktail ormonale in gioco durante il travaglio e il parto.


Sottoporsi a tali procedure dimostra la radicata diffidenza nel corpo della donna e nel naturale processo della gravidanza e del parto. Atteggiamento che, di per se stesso, produce un forte effetto nocebo, ovvero nocivo.


Primo fra tutti un ulteriore atteggiamento ostetrico volto a correggere il “travaglio distocico” provocato, con ogni probabilità, da tali interferenze. La conseguente distorsione dell’iter del parto – quella che potremmo definire “nascita disturbata” – è diventato quanto le donne in procinto di partorire si aspettano e forse, per una strana logica, funziona. Secondo uno schema come questo la donna è quasi del tutto certa di dover subire gli interventi previsti dal modello medico, finendo per provare gratitudine per esser stata salvata, indipendentemente dalla difficoltà o dalla traumaticità dell’esperienza vissuta.


Le interferenze di cui sopra risultano controproducenti pure per il personale infermieristico e ostetrico. Quando l’attenzione e il tempo a disposizione dell’ostetrica sono fagocitati da monitoraggi e registrazioni, essa risulterà meno in grado di “stare con” la donna – significato originario del termine ostetrica – come guardiana della nascita normale.


Quanto più il sapere e le competenze intuitive di questa figura vengono sacrificate alla tecnologia, tanto più essa avrà necessità di ricorrere a metodi invasivi per il reperimento di dati che, un tempo, le sarebbero stati rivelati dal proprio cuore e alle proprie mani. E quando una donna si perde l’estasi del parto, ciò vale anche per l’ostetrica, con ripercussioni sulle proprie soddisfazioni professionali oltre che sulle aspettative future riguardo il parto.

La nascita indisturbata

Tuttavia il nostro corpo di donne ha la propria saggezza, e l’innato meccanismo del parto di cui siamo dotate, messo a punto nel corso di oltre centomila generazioni, non è tanto semplice da soggiogare. A tale meccanismo, che io chiamerò nascita indisturbata, la natura ha impresso il timbro di accettazione non solo perché sicuro ed efficace per la stragrande maggioranze delle madri e dei bambini, ma anche perché esso porta in sé il modello ormonale che garantisce l’estasi del parto. Quando il momento della nascita non viene interferito, gli ormoni del parto sono in grado di condurci verso l’estasi – fuori (ex) dallo stato abituale (stasis) – cosicché possiamo fare ingresso nella maternità vigili e trasformate. Non si tratta soltanto di una bella sensazione: gli ormoni del dopo parto che pervadono il cervello della neomamma e del suo bambino catalizzano anche profondi mutamenti neurologici. Essi conferiscono alla madre assertività, vigore, e intuizione dei bisogni del proprio piccino1, preparando la coppia al piacere della reciproca dipendenza che garantirà l’accudimento e la protezione materni e la sopravvivenza del bebè.


La nascita indisturbata consente il rilascio più dolce del cocktail di ormoni del parto, rendendo più semplice il passaggio – psicologico, ormonale, fisiologico ed emotivo – dalla gravidanza al parto fino alla novità della maternità e dell’allattamento, per ogni donna. Quando questo cocktail non subisce interferenze risulta favorita anche la sicurezza del bebè, non soltanto nel corso del travaglio e del parto, ma pure nel delicato passaggio dall’utero al mondo esterno. Inoltre l’espressione ottimale degli ormoni della maternità, ad esempio lo strenuo senso di protezione verso il proprio piccino, assicurerà che il bimbo in crescita riceva la giusta tutela e adeguato nutrimento, il che conferma l’efficacia del meccanismo della nascita indisturbata.


Nascita indisturbata non significa necessariamente nascita in solitudine e senza sostegno. Alcuni antropologi ritengono che la femmina d’uomo abbia da sempre cercato assistenza al parto; secondo Rosenberg e Trevathan, la posizione occipito anteriore (OA, nuca rivolta alla madre) assunta unicamente dal cucciolo d’uomo al momento del parto rende la nascita non assistita più difficile che in altri mammiferi2. Ciò significa dover disporre di assistenti da noi scelti espressamente come compagni amorevoli e familiari, che abbiano fiducia nelle nostre capacità e che intervengano nella maniera più discreta e garbata possibile.


Parto indisturbato non significa parto indolore. Gli ormoni dello stress rilasciati sono simili a quelli riscontrabili in un maratoneta3, il che riflette la maestosità dell’evento, oltre a spiegarne alcune sensazioni. Come per un maratoneta, il compito della donna che partorisce non è tanto evitare il dolore – il che di solito peggiora le cose – quanto capire che quella è una prestazione estrema dell’organismo, per la quale il corpo umano è stato mirabilmente progettato. La nascita indisturbata ci dà il margine per seguire il nostro istinto e per scoprire il nostro ritmo in un’atmosfera di fiducia e di sostegno, che contribuirà altresì a ottimizzare gli ormoni del parto, aiutandoci a trasfigurare il dolore.


Il parto indisturbato non è garanzia di un parto facile. Esistono molte sovrastrutture, individuali e culturali, capaci di ostacolarci, oltre a tener presente il fatto che nella nostra cultura, per molte generazioni, la nascita ha subìto enormi interferenze.


Tuttavia qualora, durante il travaglio e il parto, si garantiscano condizioni fisiologiche – ovvero condizioni in cui la donna si senta a proprio agio, al sicuro e inosservata – si assicura l’espressione ottimale degli ormoni del parto, per la madre e per il bambino. A ciò unendo gli ineguagliabili livelli di igiene e di nutrizione del nostro tempo, le probabilità di un parto semplice e senza rischi risultano maggiori di quelle previste per quasi tutte le nostre progenitrici, dalle quali abbiamo altresì ereditato l’anatomia e la fisiologia femminili che conferiscono al parto agevolezza ed efficacia.


Proprio come le nostre cugine, le femmine della nostra specie sono progettate per partorire senza rischi nella natura e il processo preposto alla nascita dell’uomo comprende meccanismi strutturali ai mammiferi, che garantiscono, per quanto possibile, il buon esito del parto – per madre e figlio – anche in assenza di compagnia. Può persino avvenire che, in alcune donne, tale processo si renda più dolce in assenza di “sostenitori”, capaci di interferire – involontariamente – con il bisogno, tipico dei mammiferi, di intimità e sicurezza.

Gli ormoni della nascita

Il cockail di ormoni della nascita a cui faccio riferimento è straordinariamente complesso. Nonostante l’enorme quantità di ricerche condotte negli ultimi cinquant’anni, sia sull’uomo che sugli altri mammiferi, molti meccanismi fondamentali restano ignoti.


Non siamo ancora in grado di capire, ad esempio, che cosa provochi l’avvio del parto umano. Probabilmente sono molti i fattori coinvolti, tra cui quelli ormonali e lo scambio di altre informazioni tra madre e bambino che consentano a entrambi di essere pronti.


Sono chiamati in causa l’ormone estrogeno4, il progesterone5, il cortisolo6 e quello di rilascio della corticotropina (CRH)7, così come la SP-A, proteina prodotta dai polmoni del feto giunti a maturazione, che entra nel liquido amniotico, probabilmente a stimolare in modo diretto l’utero materno8.


In questo capitolo darò la precedenza alla descrizione degli ormoni ossitocina, beta-endorfine, catecolamine, epinefrina e norepinefrina (adrenalina e noradrenalina), prolattina. In quanto, rispettivamente, dell’amore, del piacere, della trascendenza, dell’eccitazione e della tenerezza materna, essi costituiscono i componenti principali di un coktail ormonale estatico predisposto dalla natura a sostegno della femmina di tutte le specie di mammiferi nell’atto di partorire.


In genere i livelli di questi ormoni tendono ad aumentare nel corso di un parto indisturbato, raggiungendo il picco al momento della nascita o appena dopo, sia nella madre sia nel il bambino, per poi calare e ristabilirsi nelle ore o nei giorni successivi. Un cocktail ottimale garantisce, a madre e figlio, benessere, piacere e sicurezza nel periodo appena descritto. Al contrario, eventuali interferenze durante il processo interferiranno pure con il delicato equilibrio ormonale, rendendo il parto più arduo e doloroso, oltre che potenzialmente più rischioso.


Tutti gli ormoni citati sono prodotti principalmente nel nucleo del cervello dei mammiferi, detto anche sistema limbico o cervello emotivo. Affinché il parto proceda in maniera più favorevole è necessario che questa parte, più primitiva, del cervello abbia la precedenza sulla neocorteccia – il cervello “nuovo” o più superficiale – sede del pensiero razionale. Questo mutamento dello stato di coscienza, definito da alcuni “viaggio su un altro pianeta” è favorito (oltre a favorire) dal rilascio degli ormoni del parto quali le beta-endorfine, e inibito da eventi che aumentino lo stato di allerta, quali luci forti, conversazioni e modalità razionali nelle relazioni.


Se considerassimo il travaglio e il parto come la forma più profonda di meditazione, garantendo alla partoriente il giusto rispetto, sostegno e l’assenza di interferenze, creeremmo il contesto fisiologico più idoneo alla nascita. Oppure è possibile tener presente le analogie tra parto e attività sessuale, che implica modelli di rilascio ormonale pressoché identici9. Durante il parto, così come quando facciamo l’amore, abbiamo bisogno di sentirci al sicuro e in intimità per riuscire ad abbassare la guardia, permettendo agli ormoni di fluire, e per raccogliere i frutti del processo – che, in entrambi i casi, prevede una dose finale di estasi ormonale.


I princìpi pragmatici ed efficaci di Madre Natura vogliono che tali ormoni siano di aiuto anche al bambino che sta nascendo, e ciò trova sempre maggiori conferme nella ricerca scientifica. L’interdipendenza ormonale contraddice la considerazione del parto naturale diffusa tra i medici – che lo intendono come valorizzazione dell’esperienza personale della madre a discapito della sicurezza del bambino – e sottolinea la dipendenza reciproca tra madre e figlio, persino all’inizio della loro separazione fisica.

Estrogeni e progesterone

Secondo le conoscenze attuali i promotori del processo, cioè gli steroidi sessuali estrogeno e progesterone (i quali si distinguono in tre diverse categorie), sono coinvolti nella preparazione delle giuste condizioni, tra cui l’attivazione, l’inibizione e la riorganizzazione degli altri sistemi ormonali. In gravidanza la placenta produce una quantità di progesterone da dieci a diciotto volte superiore ai livelli consueti, mentre la produzione di estriolo, estrogeno predominante durante la gestazione, aumenta di oltre mille volte10, con un picco simile a quello di inizio travaglio.


Si ritiene che questi ormoni svolgano un ruolo chiave, e assai complesso, nell’innesco del travaglio, modificando forse i propri livelli e/o percentuali, oppure agendo localmente (azione paracrina) sull’utero della gestante11.


Gli estrogeni poi incrementano il numero di recettori ossitocinici in utero12 e delle giunzioni comunicanti (connessioni tra cellule muscolari)13 a fine gravidanza, “collegando” di fatto l’utero per le contrazioni coordinate del travaglio. Estrogeno e progesterone attivano insieme i circuiti narcoanalgesici del cervello e del midollo spinale in preparazione al parto14.

Ossitocina

L’ossitocina è stata definita ormone dell’amore15 in quanto collegata all’attività sessuale, all’orgasmo, al parto e all’allattamento. Per di più essa viene prodotta in contesti sociali quali quello della condivisione dei pasti16, il che la rende ormone dell’altruismo o, come suggerisce Michel Odent, dell’“oblio di sé”17.


L’ossitocina è altresì l’uterotonico (ormone produttore di contrazioni) più potente, il cui rilascio è responsabile delle contrazioni del travaglio e del parto in tutti i mammiferi18.


Essa viene prodotta dall’ipotalamo, situato profondamente nel mesencefalo, immagazzinata nell’ipofisi posteriore e rilasciata a impulsi nel sangue. Gli impulsi si susseguono ogni tre-cinque minuti all’inizio del travaglio, facendosi più frequenti con il suo avanzare. I livelli di ossitocina sono di difficile misurazione nell’uomo in ragione dello schema di rilascio a impulsi e anche perché, durante la gravidanza, la placenta produce un particolare enzima, l’ossitocinasi, che la metabolizza. L’attività dell’ossitocinasi aumenta ancor di più durante il travaglio19, il che è determinante affinché il livelli di ossitocina calino in maniera netta tra un impulso e l’altro, esponendo così l’utero materno all’ormone solo periodicamente, e mantenendolo sensibile ai suoi influssi. La vita media dell’ossitocina (il tempo richiesto per ridurne i livelli ematici del 50 per cento) è stata calcolata con vari risultati: tre minuti e mezzo20, dieci-dodici minuti21, e quindici minuti22.


Il numero di recettori ossitocinici dell’utero di una gestante registra un netto aumento a fine gravidanza, rendendola più sensibile all’ormone. Come vedremo i livelli in circolo non aumenteranno se non a fine travaglio23. I ricettori sono più concentrati nel fundus (la parte superiore dell’utero)24, così da contribuire a un efficace coordinamento delle contrazioni durante il travaglio.


L’ossitocina è ritenuta la prima responsabile dell’avvio delle contrazioni ritmiche dell’utero, sebbene non l’unico sistema ormonale ivi coinvolto: i ratti nei quali sia stato disattivato il gene dell’ossitocina restano in grado di partorire, ma non di allattare, i propri cuccioli25. Si è ipotizzato che le prostaglandine, prodotte localmente in utero, assumano funzioni uterotoniche a travaglio avanzato26. Si è inoltre dimostrato che, nei ratti e nei topi, l’ossitocina ha effetto analgesico27.


Anche l’ipofisi del bambino rilascia importanti quantità di ossitocina nel corso del travaglio, ed esistono prove per cui questo ormone sarebbe ritrasportato, attraverso la placenta, nel sangue materno28,29. Essa viene prodotta anche dalla placenta e dalle membrane fetali, oltre a essere presente nel liquido amniotico30. Per questa ragione alcuni ricercatori hanno ventilato che l’ossitocina fetale stimolerebbe in modo diretto i muscoli uterini della madre, il che avrebbe rilevanza nel processo del travaglio31.


L’ossitocina catalizza le forti contrazioni uterine finali, che aiutano la madre a far nascere il proprio bambino presto e facilmente. A quel punto, durante la discesa, la testa del feto stimola i recettori per la dilatazione della parte inferiore della vagina, che innescano il rilascio di ossitocina da parte dell’ipofisi materna. Il rilascio di ossitocina provoca contrazioni maggiori che favoriscono ulteriormente la discesa del feto, producendo una maggiore stimolazione dei recettori della dilatazione e quindi un rilascio ancor più abbondante dell’ormone da parte dell’ipofisi32. Questo “ciclo di risposte positive” è anche noto come riflesso di Ferguson. Quando il travaglio si svolge in gran parte senza interferenze, l’effetto risulterebbe, come vedremo più tardi, amplificato dall’epinefrina/norepinefrina, responsabili di un meccanismo ancor più potente detto riflesso di eiezione del feto (REF)33.


Dopo la nascita, i livelli ancora alti di ossitocina, mantenuti tali dagli ulteriori impulsi prodotti dal bambino che tocca, lambisce e strofina il seno della madre34, contribuiscono a mantenere l’utero contratto, proteggendola da emorragie postpartum. Anche il contatto visivo e pelle a pelle tra madre e figlio aiuta a ottimizzare il rilascio di ossitocina35. I livelli ematici dell’ormone raggiungono l’apice dopo circa trenta minuti dal parto, per scendere verso il termine della prima ora36. Nel cervello, dove attiva l’istinto materno, l’ossitocina manterrà livelli elevati per un tempo sostanzialmente maggiore37.


Anche nel neonato il picco di ossitocina si verifica intorno alla mezz’ora dopo il parto38 in modo che, nel corso della prima ora, sia la madre sia il bambino risultino pervasi da livelli elevatissimi di ormone dell’amore. Nei neonati, essi permangono tali per almeno i quattro giorni successivi alla nascita39, e si riscontra la presenza di ossitocina anche nel latte materno40.


Essa è coinvolta nel sistema olfattivo, di cui è noto il ruolo essenziale nei mammiferi al momento della nascita. Durante il travaglio la stimolazione dell’olfatto aumenta il rilascio di ossitocina; dopo il parto si ritiene che l’odorato sia determinante per lo sviluppo del comportamento materno41,42. Uno studio rivelò, ad esempio, come le scimmie che partorivano con un cesareo rifiutassero i cuccioli a meno che essi non venissero umettati con secrezioni vaginali della madre43. I neonati sono attratti dall’odore del liquido amniotico (che ha effetto calmante44) e del capezzolo45, che lo aiutano a individuare, dopo la nascita, il seno materno e ad attaccarsi (anche la norepinefrina è coinvolta nell’olfatto del dopo parto: vedi la discussione che segue). Il gran numero di geni umani coinvolti nell’olfatto – dall’1 al 2 per cento del totale46 – suggerisce che, nella nostra specie, esso è determinante per il legame madre-figlio.


Oltre a raggiungere livelli di picco dopo il parto, l’ossitocina viene secreta in gran quantità durante la gravidanza, durante la quale favorisce l’assorbimento dei nutrienti e il risparmio delle energie inducendo la mamma a dormire di più47. La documentatissima soppressione dell’asse ipotalamoipofisi-surrene (HPA) dello stress in gravidanza e allattamento – che rende la donna gravida o che allatta più tranquilla, più resistente allo stress e più ottimista – sarebbe imputabile, almeno in parte, all’ossitocina48.


Gli studi sugli animali hanno dimostrato che gli effetti dell’ossitocina, somministrata a soggetti in cattività, si estendono anche ai compagni di gabbia non trattati49,50. Sembra probabile esistere una trasmissione olfattiva o feromonica (attraverso sostanze secrete dal corpo) che coinvolge l’ossitocina. Tale trasmissione spiegherebbe altresì le emozioni positive provate da chi presta assistenza a una donna che mette al mondo suo figlio con livelli di ossitocina all’apice.


Durante l’allattamento, essa interviene nel riflesso di eiezione, o di discesa, del latte, e viene rilasciata secondo impulsi che seguono la suzione del bambino. Nei mesi, o anni, di lattazione, l’ormone continua ad agire in modo da mantenere la donna tranquilla e ben nutrita, favorendo l’efficienza del sistema digestivo. La svedese Kerstin Uvnas-Moberg, esperta di ossitocina, definisce questo fenomeno “condizione antistress assai efficiente a prevenzione di numerosi disturbi futuri”. Secondo i suoi studi le madri che allattavano per oltre sette settimane risultavano, quando i figli avevano sei mesi, più calme di quelle che non avevano affatto allattato51.


Anche nel comportamento di aggressione-difesa delle femmine che allattano è stata riconosciuta la responsabilità del sistema ossitocinico52, oltre al noto coinvolgimento dei meccanismi oppiacei53.


Altri studi indicano che l’ossitocina sarebbe altresì coinvolta nella conoscenza, nella tolleranza e nell’adattamento e di recente i ricercatori hanno scoperto che essa agisce anche da ormone cardiovascolare, con effetti quali il rallentamento del battito cardiaco e la riduzione della pressione sanguigna54.


Uvnas-Moberg descrive una “risposta di rilassamento e di crescita” al rilascio di ossitocina, che ne riflette la capacità di attivare il sistema nervoso parasimpatico, coinvolto nella digestione e nella crescita, riducendo l’attività del sistema simpatico di ‘attacco o fuga’55. Altre ricerche suggeriscono che la reazione femminile allo stress è contrassegnata da modalità di ‘cura e aiuto’ forse mediate dall’ossitocina56. Al malfunzionamento del sistema ossitocinico sono state attribuite patologie quali schizofrenia57, autismo58, disturbi cardiovascolari59 e tossicodipendenze60, ventilando che l’ossitocina interverrebbe sugli effetti antidepressivi di farmaci quali il Prozac61.

Beta-endorfine

Le beta-endorfine fanno parte di un gruppo di oppiacei naturali (sostanze estratte dal papavero da oppio) dotati di proprietà simili a quelle della meperedina (Demerol, petidina), della morfina, del fentanile (Sublimaze) e di farmaci oppiacei quali Nubain e Stadol, ed è stato dimostrato che esse intervengono sugli stessi recettori cerebrali. Le beta-endorfine vengono secrete dall’ipofisi in condizioni di tensione e dolore, con un’azione di ripristino dell’omeostasi (equilibrio fisiologico): agendo, ad esempio, da analgesici naturali, esse attivano anche il potente sistema compensatorio dopaminergico mesocorticolimbico, che produce piacere e gratificazione in occasione di importanti attività riproduttive quali accoppiamento, parto e allattamento. Esse vengono rilasciate anche nelle occasioni di contatto fisico e sociale, rafforzando, nei mammiferi, comportamenti filosociali. Nei ratti gravidi le beta-endorfine procurano una maggior tolleranza al dolore62. Esse agiscono anche da immunosoppressori, il che avrebbe un ruolo decisivo nella prevenzione di eventuali attacchi del sistema immunitario materno al feto, il cui materiale genetico risulta estraneo all’organismo della madre.


Al pari degli oppiacei, che danno assuefazione, le beta-endorfine riducono gli effetti dello stress producendo sensazioni di piacere, euforia e dipendenza. I livelli di questi ormoni, e del CRH (ormone esecutivo dello stress) aumentano nel corso del travaglio63; fino a raggiungere quelli rilevati negli atleti maschi che pratichino sport di resistenza, al massimo dello sforzo, durante un allenamento sul tapis roulant64. I livelli ematici nella madre raggiungono il picco al momento del parto, per poi scendere in modo netto nel corso della prima ora, fino alle tre ore successive, ripristinando i livelli normali in prima-terza giornata65. È probabile che i valori rilevati nel sistema limbico materno restino elevati molto più a lungo, dal momento che le beta-endorfine nel cervello e nel liquido cerebrospinale (CSF) impiegano più di ventuno ore a scendere66.


Durante il travaglio valori tanto alti aiutano la donna a trascendere il dolore, poiché essa entra in uno stato di coscienza alterato, caratteristico di un parto indisturbato. Nelle ore successive alla nascita livelli elevati di beta-endorfine gratificano e rafforzano le interazioni tra madre e figlio, tra cui il contatto fisico e l’allattamento, oltre a indurre sensazioni di intenso piacere, finanche di estasi, in entrambi.


Anche il feto, durante il travaglio, secerne tali ormoni dall’ipofisi67 oltre che direttamente dal tessuto placentare e dalle membrane68, e i livelli rilevati nella placenta risultano persino maggiori di quelli presenti nel sangue materno69. Kimball ipotizza che il taglio precoce del cordone possa “privare madre e bambino delle molecole di oppioidi placentari concepiti per indurre l’interdipendenza nella coppia”70.


Le beta-endorfine sono collegate in maniera complessa e non del tutto nota ad altri sistemi ormonali71. Livelli elevati di beta-endorfine, ad esempio, inibiscono il rilascio di ossitocina. Ha senso che, con livelli altissimi di dolore e stress, le contrazioni rallentino, “regolando” così “il travaglio in base allo stress sia psicologico, sia fisiologico”72.


Esse sarebbero poi coinvolte nella prevenzione del parto prematuro poiché inibiscono l’azione dell’ossitocina prima dell’avvio del travaglio73, oltre forse a rappresentare uno dei “freni” che ritardano l’inizio del travaglio normale74. Le beta-endorfine favoriscono il rilascio di prolattina durante il travaglio75,76, che prepara il seno materno alla lattazione, contribuendo altresì alla maturazione polmonare del feto77.


Esse rivestono un ruolo importante anche nell’allattamento. I valori raggiungono il picco venti minuti dopo il suo avvio78, e se ne registra la presenza pure nel latte materno79. I ricercatori hanno registrato valori maggiori, a quattro giorni dal parto, nel latte delle madri che avevano avuto un parto normale rispetto a quelle cesarizzate. Si ipotizza che la dose extra di beta-endorfine abbia lo scopo di sostenere il bambino contro lo stress provocato dal passaggio alla vita extrauterina80.


Le beta-endorfine, in quanto elementi dei continui scambi tra madre e figlio, producono in entrambi una piacevole interdipendenza, favorendo e gratificando comportamenti quali l’allattamento al seno e il contatto fisico riconducibili al benessere duraturo e alla sopravvivenza.

Catecolamine

Gli ormoni della risposta di attacco o fuga, epinefrina e norepinefrina (adrenalina e noradrenalina) fanno parte del gruppo di ormoni noti come catecolamine (CA), prodotti dall’organismo come reazione a stress quali fame, paura e freddo, o anche eccitazione. Insieme stimolano il sistema nervoso simpatico per l’attacco o la fuga.


Durante il travaglio i livelli materni di CA aumentano in modo lento e graduale, raggiungendo il picco con l’avvicinarsi della transizione81. Tuttavia è stato dimostrato che alte concentrazioni di epinefrina all’inizio del travaglio, a riprova dell’attivazione del meccanismo di attacco o fuga della donna, come risposta alla paura o alla percezione di un pericolo, inibiscono le contrazioni uterine82, rallentando o addirittura arrestando il travaglio. La norepinefrina agisce inoltre da riduttore dell’afflusso sanguigno all’utero e alla placenta, e quindi al feto83. Questo riflesso ha senso per i mammiferi che partoriscono nell’ambiente naturale, dove la presenza di un pericolo attiverebbe la risposta di attacco o fuga, inibendo il travaglio e indirizzando l’afflusso di sangue ai principali gruppi muscolari così da consentire alla madre di attaccare oppure, più probabilmente, di mettersi in salvo. Nell’uomo livelli elevati di epinefrina sono stati associati a travaglio più lungo e alterazioni del battito cardiaco fetale (BCF), i quali indicano una carenza di ossigeno nel bambino (ipossia)84, in concomitanza con la riduzione dell’afflusso di sangue all’utero generata dalle CA.


Dalla ricerca risultò che livelli molto elevati di CA possono, paradossalmente, stimolare le contrazioni uterine85, contribuendo con ogni probabilità al riflesso di eiezione del feto (REF), come descrive Michel Odent86. Secondo quest’autore durante il travaglio tale riflesso si presenta al momento della transizione, forse persino prima, e quasi sempre segue un parto indisturbato, probabilmente perché livelli contenuti di CA a inizio travaglio sono necessari alla sua piena espressione. La madre vive un incredibile, e improvviso, innalzamento dei valori delle catecolamine che le conferisce un’ondata di forza ed energia: essa, in posizione eretta e vigile, bocca secca e fiato corto, avvertirà forse l’urgenza di afferrare qualcosa. Esprimerà paura, rabbia, agitazione, mentre il picco di catacolamine produrrà, di concerto con i livelli elevati di ossitocina (ricollegabili al riflesso di Ferguson) diverse contrazioni fortissime e incontenibili che permetteranno al bambino di nascere presto e senza difficoltà87,88.


Alcuni assistenti al parto hanno fatto buon uso di questo riflesso nel momento in cui la donna mostrava difficoltà nella seconda fase (espulsiva) del travaglio. Come illustrato da Odent89, un antropologo che stava studiando una tribù indigena canadese prese nota di come, quando una donna incontrava difficoltà durante il parto, i giovani del villaggio si riunissero per darle una mano. D’un tratto, senza preavviso, essi prendevano a urlarle addosso, e lo shock prodotto provocava un aumento delle catecolamine innescando il riflesso di eiezione del feto e determinando un parto veloce.


Dopo la nascita, i livelli di CA della neomamma calano vertiginosamente. Se non la sia aiuta a scaldarsi, lo stress prodotto dal raffreddamento manterrà elevati i valori delle catecolamine, inibendo le contrazioni uterine e aumentando così il rischio di emorragia post parto90 (vedi il capitolo VIII).


Anche la norepinefrina, quale ingrediente del cocktail estatico, è coin-volta nell’istintivo comportamento materno. Topi generati con una carenza di norepinefrina non si prenderanno cura della prole appena partorita a meno che l’ormone non venga loro reiniettato nell’organismo91.


Il travaglio è un’esperienza emozionante e stressante anche per il bambino, il che si riflette sull’innalzamento dei valori delle catecolamine. In questo contesto tali ormoni hanno un effetto molto positivo, poiché proteggono il feto dalle conseguenze legate all’ipossia (mancanza di ossigeno) e alla conseguente acidosi, grazie alla ridistribuzione del flusso cardiaco (apporto di sangue)92 e all’aumento della capacità di glicolisi anaerobica (metabolismo del glucosio a ridotti livelli di ossigeno)93.


Il bimbo subisce un forte innalzamento dei valori delle catecolamine, specie della norepinefrina, in prossimità della nascita, dovuto con ogni probabilità alla pressione sulla testa94. Questo innalzamento riveste un ruolo essenziale nell’adattamento del feto alla vita extrauterina, aiutandone il metabolismo con livelli crescenti di glucosio e acidi grassi liberi95, che proteggono il cervello del neonato dall’ipoglicemia possibile nei primi momenti dopo la nascita, quando il bambino non ha più l’apporto di glucosio dalla placenta96.


In più le catecolamine favoriscono l’adattamento respiratorio alla vita extrauterina facendo aumentare l’assorbimento di liquido amniotico dai polmoni e stimolando il rilascio di surfattante97 (fondamentale per il graduale riempimento dei polmoni del bambino). Le catecolamine intervengono altresì nel passaggio necessario alla termogenesi (produzione di calore) senza brivido98, aumentano la contrattilità cardiaca, stimolano la respirazione e favoriscono la reattività e il tono del neonato99.


Livelli elevati di CA alla nascita garantiscono poi che, al primo contatto con la madre, il neonato sia all’erta, a occhi spalancati. I valori di catecolamine del piccolo calano drasticamente a seguito di un parto indisturbato, grazie al conforto derivante dal contatto con la madre; tuttavia i livelli di norepinefrina restano al di sopra della norma nel corso delle prime dodici ore100. È dimostrato che valori elevati di norepinefrina nel neonato, prodotti da un parto normale, favoriscono l’apprendimento olfattivo nel periodo post partum101, che aiuta il piccolo a riconoscere l’odore della madre.

Prolattina

La prolattina, nota come ormone delle cure materne (o del nido), viene secreta dall’ipofisi nel corso della gravidanza e dell’allattamento. Essa prende il nome dai suoi notissimi effetti pro lattazione, poiché in gravidanza prepara il seno della madre alla produzione del latte e, dopo la nascita, agisce come principale ormone della sintesi di latte materno.


L’effetto lattogeno di quest’ormone viene bloccato in gravidanza dagli elevati livelli di progesterone, prodotto dalla placenta del feto. Una volta scesi i livelli di progesterone a seguito dell’espulsione della placenta, la prolattina può incominciare a stimolare la produzione di latte. Tutte le specie mammifere producono, oltre a ciò, un ormone placentare con effetti lattogeni: nell’uomo si tratta dell’ormone lattogeno placentare umano (hPL). Esso, al pari della prolattina, aumenta nel corso della gravidanza, contribuendo altresì all’organizzazione cerebrale della madre in vista della maternità102.


La prolattina è un ormone importante per la riproduzione: i topi allevati con anomalie relative a tale ormone risultano non riproduttivi e privi di comportamento materno103. Si ritiene che, in tutti i mammiferi, la prolattina rivesta un ruolo fondamentale nel comportamento materno post-partum grazie ai suoi effetti sul cervello della madre che allatta104.


I livelli di prolattina materni aumentano progressivamente nel corso della gravidanza, scendendo durante il travaglio e raggiungendo il picco minimo al momento della dilatazione completa della cervice. A quel punto, essa torna a salire con rapidità appena dopo il parto105 (forse in ragione della stimolazione della cervice materna durante il parto106), raggiungendo il picco nelle due-tre ore successive. Dopo di che i livelli tornano lentamente a scendere per arrivare di nuovo al minimo tra le nove e la ventiquattro ore successive al parto.107,108,109,110


L’ondata di prolattina nella madre nel post-partum garantisce livelli massimi, a disposizione del cervello e dell’organismo, intorno all’ora successiva alla nascita. Tale rialzo sarà decisivo per l’ottimizzazione dei comportamenti materni in quel frangente, oltre che a garantire la riuscita della lattazione.


Nel corso di quest’ultima i livelli di prolattina dipendono direttamente dall’intensità, dalla durata e dalla frequenza della suzione111, per quanto i valori dell’ormone raggiungano il picco massimo durante la notte112. Dopo la poppata le madri che allattano risultano più calme, di umore migliore e dotate di una maggiore resistenza allo stress. Effetti probabilmente riconducibili ai picchi di ossitocina e prolattina – entrambi ormoni tensiolitici – legati alla lattazione.


Sono oltre trecento gli effetti della prolattina sull’organismo conosciuti113, tra cui l’induzione al comportamento materno, l’aumento dell’appetito e dell’assunzione di cibo, la soppressione della fertilità, la stimolazione dell’attività motoria e di accudimento, la riduzione della risposta allo stress, la stimolazione della secrezione dell’ossitocina e dell’attività oppiacea, l’alterazione del ritmo sonno-veglia con l’aumento del sonno REM, la riduzione della temperatura corporea e la stimolazione dell’analgesia naturale114. La prolattina, insieme all’ormone della crescita (GH), è uno degli ormoni della crescita e della lattazione e, in quanto tale, influisce in modo cruciale sullo sviluppo e sulla funzionalità del sistema immunitario115.


Lo spettro degli effetti della prolattina è stato definito sottoprogramma materno (SM), collegato, da un punto di vista psicologico, alla percezione del bisogno di prendersi cura di un bambino. L’innalzamento della prolattina può, ad esempio, essere provocato dalla maternità surrogata116,117.


La prolattina è anche l’ormone della remissività e dell’abbandono. In alcuni studi su gruppi di primati risulta che il maschio dominante ha i livelli più bassi di prolattina118, mentre altri membri del gruppo, più obbedienti e remissivi, hanno valori più elevati119. Nella relazione di allattamento gli effetti della prolattina aiuterebbero la madre a dare la priorità ai bisogni del figlio.


Studi su animali dimostrano che il rilascio di questo ormone aumenta anche portando i piccoli120,121, e il suo legame con le cure paterne122 (uomo compreso) gli è valso il titolo aggiuntivo di “ormone della paternità”123. Studi sull’uomo hanno mostrato come, appena prima del parto, i livelli di prolattina dei futuri padri fossero elevati, in concomitanza con l’innalzamento degli stessi valori nella compagna124. I neopapà con maggiori livelli di prolattina rispondono con più solerzia al pianto del neonato125.


Il bambino produce prolattina in utero e l’ormone è presente anche nel latte materno. Una cospicua quantità di prolattina passa intatta nel circolo sanguigno del neonato, almeno nei ratti126. Secondo un ricercatore “esistono evidenze che la prolattina rivesta un ruolo decisivo nello sviluppo e nella maturazione del sistema neuroendocrino [degli ormoni cerebrali] neonatale”127. Ciò spiega in parte il miglior quoziente intellettivo e il maggior sviluppo cerebrale dei bambini allattati al seno128,129.

Conseguenze delle procedure ostetriche

Induzione e accelerazione del travaglio con ossitocina sintetica

L’induzione può essere un intervento utile – persino salvavita – in caso di gravidanze difficili. Tuttavia gli attuali tassi di induzione, e il ricorso a farmaci ossitocici (“acceleratori del travaglio”) per sollecitare il travaglio (pratica nota come induzione, stimolazione o accelerazione) sono estremi.


Il farmaco utilizzato più di frequente per l’induzione e l’accelerazione del travaglio è l’ossitocina sintetica, nota come ossitocina o Sintocina. Nell’indagine condotta nel 2006 negli Stati Uniti dal titolo Listening to Mothers II il 34 per cento delle donne affermò di aver avuto un travaglio indotto medicalmente, con l’utilizzo di ossitocina nell’80 per cento dei casi. Risultò poi che tale farmaco venne somministrato al 55 per cento delle donne che avevano partorito per via vaginale, per accelerarne il travaglio130.


Secondo le cifre ufficiali negli Stati Uniti il tasso di induzione nel 2005 era del 22,3 per cento, più del doppio di quello del 1990 (9,5 per cento)131. In Australia le cifre parlavano di un 25,6 per cento di induzioni (2005)132 e di circa il 20 per cento in Inghilterra (2005-2006)133 e Canada (2001-2002)134.


Così come per tutti gli interventi medici, l’equilibrio tra rischi e benefici pende verso i primi qualora farmaci e procedure pesanti vengano rivolti a individui essenzialmente in buona salute. Le sostanze impiegate per l’induzione e l’accelerazione del travaglio rischiano di provocare lesioni nella madre e nel bambino poiché producono un travaglio anomalo. Esse possono interferire con il cocktail di ormoni estatici prodotto dalla madre, oltre che potenzialmente con in sistema neuroendocrino del feto.


L’ossitocina sintetica viene somministrata durante il travaglio per via endovenosa (IV) e funziona in maniera molto diversa da quella prodotta dalla madre nel corso del parto, rilasciata in gran quantità dal sistema limbico, permeando quindi – in qualità di ormone dell’amore – cervello e organismo.


Innanzitutto le contrazioni indotte dalla ossitocina endovenosa sono diverse da quelle naturali – forse in ragione del fatto che essa viene somministrata costantemente e non a impulsi135 – rischiando di danneggiare il feto in utero. Le contrazioni indotte da ossitocina saranno più lunghe, più forti e più ravvicinate di quelle naturali, specie all’inizio del travaglio. Ciò rischia di esporre il feto a forte stress per l’assenza di tempo sufficiente a riprendersi dal ridotto apporto di sangue conseguente alla compressione della placenta ad ogni contrazione. L’ossitocina per di più determina un aumento del tono dell’utero a riposo, riducendo ulteriormente il rifornimento136. L’eccesso di stimolazione (iperstimolazione) rischia di privare il feto del necessario apporto di sangue e di ossigeno, determinando anomalie nel battito cardiaco fetale, sofferenza fetale (con conseguente ricorso al cesareo), fino ad arrivare – a causa della stimolazione eccessiva – persino alla rottura dell’utero137.

Ecco come l’attivista della nascita Doris Haire descrive gli effetti dell’ossitocina sul bambino:

La situazione è analoga a quella in cui si tenga un bambino sotto la superficie dell’acqua, permettendogli di venire a galla per prender fiato ma non per respirare.138

Affermazione suffragata da un recente studio in cui si ricorse a un catetere intrauterino per misurare in maniera diretta la pressione uterina (IUP) nelle donne in travaglio, la maggioranza delle quali sottoposte a endovena di ossitocina. Le partorienti che mostravano contrazioni più lunghe, pressione massima più elevata e intervalli tra una contrazione e l’altra più brevi avevano maggior probabilità di partorire neonati con acidosi, come rilevato attraverso il sangue cordonale alla nascita. L’acidosi alla nascita è riconducibile a un certo livello di carenza di ossigeno durante il travaglio ed è associata a un basso indice di APGAR, ovvero a condizioni critiche alla nascita, e a un maggior ricorso alla T.I.N. (terapia intensiva neonatale) e alla ventilazione (respirazione) assistita nel periodo perinatale139.


Sebbene gli effetti diretti dell’induzione su acidosi e benessere neonatale non siano stati studiati in modo approfondito, da uno studio svedese risultò un rischio di acidosi raddoppiato nei bambini nati a seguito di induzione rispetto al travaglio spontaneo140, mentre un’ampia ricerca condotta in Belgio su oltre 7000 madri e bambini rivelò un aumento dei casi di trasferimento in terapia neonatale di bambini nati da primipare a basso rischio sottoposte a induzione elettiva (cioè senza ragioni di ordine medico), rispetto a quelli venuti al mondo con travaglio spontaneo141.


Negli Stati Uniti il foglietto illustrativo dell’ossitocina indica il rischio di anomalie cardiache nel feto (bradicardia, contrazioni ventricolari premature e altre aritmie – tutti sintomi di sofferenza fetale), basso indice di APGAR a cinque minuti dalla nascita, ittero neonatale, emorragia retinica neonatale, lesioni cerebrali o del sistema nervoso permanenti, morte fetale142.


Uno studio statunitense condotto negli ospedali in cui venivano adottati protocolli di induzione tramite ossitocina a basso o alto dosaggio rivelò che il 42 e il 55 per cento, rispettivamente, delle donne sottoposte a induzione andò incontro a iperstimolazione (a cui, di solito, si rimediava riducendo il tasso di infusione), mentre il 3 e il 6 per cento, rispettivamente, necessitò di cesareo per sofferenza fetale143. Da uno studio svedese risultò un rischio quasi triplicato di asfissia nei piccoli nati a seguito di induzione con ossitocina144, e secondo una ricerca condotta in Nepal, dove il monitoraggio non è molto efficiente, i nuovi nati per induzione presentavano una probabilità quintuplicata di riportare segni di lesioni cerebrali alla nascita145.


Si noti come la capacità del bambino di tollerare ridotti livelli di ossigeno aumenti naturalmente verso la fine del travaglio (quando le contrazioni materne sono al massimo della forza), grazie al picco di catecolamine raggiunto in prossimità della nascita, stimolato – come visto in precedenza – dalla pressione esercitata sul capo del feto. È probabile che questo meccanismo di protezione risulti meno attivo nelle prime fasi del travaglio, quando la testa del bambino si trova nella parte superiore del bacino materno. Ciò, forse, spiegherebbe la maggior vulnerabilità dei piccoli esposti alle forti contrazioni indotte dall’ossitocina all’inizio del travaglio (e la conseguente necessità del monitoraggio) rispetto ai bambini che vivono un travaglio spontaneo e non accelerato.


Le contrazioni più violente sono anche più dolorose per la partoriente, che a quel punto richiede con maggior probabilità farmaci analgesici o l’epidurale. In più, dal momento che l’ossitocina sintetica infusa per endovena non è in grado di raggiungere il sistema limbico attraverso la barriera ematocerebrale, durante il travaglio la donna a cui viene somministrato il farmaco non gode dei vantaggi psicoemotivi dell’ossitocina (tra cui l’effetto analgesico), né della maggior sensazione di calma e di connessione nel corso del travaglio e dopo il parto.


Per quanto l’ossitocina stimoli le contrazioni uterine, essa ha, rispetto al travaglio normale, un effetto esiguo sulla dilatazione della cervice della partoriente146. Ciò determina il rischio di “induzione fallita”, in cui, nonostante la presenza di contrazioni regolari, e a volte assai dolorose, il travaglio non avanza; la cervice non si dilata e si rende necessario un cesareo.


L’ossitocina può generare ulteriori effetti negativi sulla donna in travaglio. Esistono, ad esempio, numerose evidenze secondo cui le partorienti a cui viene somministrato tale farmaco in endovena per stimolare l’induzione o l’accelerazione sono esposte a un maggior rischio di emorragia post partum.147,148,149 La ricerca mostra che ciò avviene perché l’esposizione prolungata, durante il travaglio, all’ossitocina sintetica non somministrata a impulsi comporta una netta riduzione del numero di recettori ossitocinici uterini150. Tale esposizione rende l’utero materno insensibile all’ossitocina e il rilascio di questo ormone dopo il parto incapace di prevenire emorragie negli attimi cruciali che seguono la nascita. In tali circostanze è probabile che si renda necessaria la somministrazione di ulteriori dosi di ossitocina.


Sebbene si stiano acquisendo nuove conoscenze in merito agli effetti sull’organismo dell’ossitocina sintetica somministrata durante il travaglio, non siamo ancora in grado di cogliere appieno le conseguenze psicologiche o psiconeuroendocrine (ormonali, emotive e cerebrali) dell’interferenza, al momento del parto, subita dal sistema ossitocinico.


Nelle donne che, durante uno studio, subirono accelerazione da ossitocina non si verificò alcun aumento dei livelli di beta-endorfine durante il travaglio151, indice delle complicanze derivanti dall’interferenza con uno qualsiasi dei sistemi ormonali in gioco durante il parto. Le interferenze ormonali spiegherebbero, oltre al resto, anche i dati – ottenuti in alcuni studi – relativi al tasso ridotto di allattamento al seno a seguito di un travaglio indotto152,153,154 (che si presentava persino tra le donne che intendevano allattare155 e con la ricerca di ulteriori variabili associabili ai tassi ridotti di allattamento al seno156). Ulteriore aggravante potrebbe essere lo stress aggiuntivo di un travaglio indotto o accelerato, ricollegabile a una riduzione della produzione di latte materno157.


Altre ricerche hanno suggerito che, nell’uomo, l’ossitocina giungerebbe al feto attraversando la placenta158,159, mentre un recente studio sui ratti in cui si osservava il cervello del feto durante il travaglio ha dimostrato che l’ossitocina materna non soltanto è in grado di giungere al feto ma anche di penetrarne, in quel frangente, il cervello in ragione dell’immaturità della barriera emato-cerebrale fetale160. Tali dati suggeriscono che anche il sistema ossitocinico fetale sarebbe condizionato dalla somministrazione, durante il travaglio, di ossitocina sintetica.


Tuttavia sono pochi gli studi diretti, su animali o sull’uomo, circa gli effetti sulla prole dell’induzione e dell’accelerazione. Studi osservazionali hanno mostrato alcune differenze nell’attività a riposo del cervello dei neonati161 e nello sviluppo neurologico all’età di due mesi162 rispetto ai bambini nati con travaglio spontaneo. Tuttavia altri ricercatori non hanno riscontrato differenze nello sviluppo psicomotorio a tre mesi (a seguito di induzione con prostaglandine)163, né in quello motorio, visivo, uditivo e del quoziente intellettivo all’età di cinque anni164. Una tesi recente, che attingeva a un’indagine pilota su un campione di madri, ha collegato l’utilizzo di ossitocina durante il travaglio a minime variazioni della funzione psicosociale in individui di tre anni165. Naturalmente si avverte la necessità di studi più approfonditi.


Un ulteriore studio di recente pubblicazione ha sottolineato alcune variazioni termiche durante l’allattamento pelle a pelle nei neonati sottoposti a diversi farmaci nel corso del travaglio. I piccoli esposti a ossitocina sintetica mostravano una reazione termica sproporzionata al contatto pelle a pelle e all’allattamento. I ricercatori ritengono che il sistema nervoso autonomo, regolatore delle funzioni dell’organismo tra cui la temperatura, risulterebbe alterato da un simile intervento166.


Le cavie alle quali si somministra ossitocina esogena (derivante da fonti esterne) durante il periodo perinatale destano maggior preoccupazione riguardo i possibili effetti a lungo termine di tale esposizione. In uno studio le arvicole a cui veniva somministrata un’unica dose di ossitocina sintetica a poche ore dal parto mostravano anomalie della condotta sessuale e genitoriale in età adulta167.


Si è avanzata l’ipotesi secondo cui l’induzione predisporrebbe ad alterazioni neurocomportamentali quali l’autismo168,169,170 poiché sono state riscontrate interferenze con il sistema ossitocinico nei casi di autismo negli studi sugli animali171,172,173 e sull’uomo174,175,176. Esistono alcune evidenze, tratte da studi epidemiologici (sulla popolazione), secondo cui l’induzione rappresenterebbe un fattore di rischio177, ma ad oggi la ricerca non suffraga un rapporto causale diretto.178,179 È probabile che disturbi quali l’autismo abbiano molti fattori scatenanti180, sebbene essi possano comprendere, specie nei soggetti più vulnerabili, l’esposizione all’ossitocina intorno al momento del parto.


Si noti poi come, nell’ostetricia occidentale, l’ossitocina sintetica venga somministrata di routine alla nascita del bambino come prassi di gestione attiva della terza fase. Se essa è in grado di attraversare la placenta e la barriera emato-cerebrale del bambino, la maggioranza dei neonati potrebbe essere esposta a tale sostanza (per saperne di più sulla gestione della terza fase vai al capitolo VIII, e al capitolo IV per approfondire i rischi dell’induzione).

Analgesici oppioidi

Negli Stati Uniti oppioidi quali nalbufina (Nubain), butorfanolo (Stadol), alfaprodina (Nisentil), idromorfone (Dilaudid) e fenantile (Sublimaze) hanno costituito, da sempre, la base dell’analgesia del travaglio. La meperidina (Demerol, petidina), oppioide comunemente somministrato in Australia e nel Regno Unito, è stata anch’essa di uso frequente, tuttavia la popolarità di questi farmaci è scesa in seguito alla maggior disponibilità e utilizzo dell’epidurale. All’indagine statunitense Listening to Mothers II del 2006 il 22 per cento delle intervistate rivelò di essere ricorsa agli oppiacei durante il travaglio.


Questi sono medicinali di facile somministrazione e in molti contesti l’ostetrica o l’infermiera presente al travaglio e al parto è in grado di prescrivere tali farmaci e di iniettarli durante il travaglio. Eppure la ricerca ne ha messo in dubbio l’efficacia, con studi a dimostrazione che gli oppioidi producono eccessiva sedazione con minimo sollievo dal dolore181, con una riduzione del dolore totale, grazie a questi farmaci, solo del 20 per cento.182,183,184


Tutti gli oppioidi utilizzati in travaglio possono avere effetti collaterali quali nausea, vomito, sedazione, prurito, ipotensione e depressione respiratoria. Nel bambino possono indurre anomalie del battito cardiaco (di solito correlate alla sonnolenza), depressione respiratoria, compromissione dell’avvio dell’allattamento e disfunzioni neurocomportamentali (comportamenti legati alle funzioni cerebrali)185, dovute in gran parte all’effetto sedativo e al veloce passaggio attraverso la placenta.


Il ricorso a questi farmaci ridurrebbe, tra l’altro, il rilascio degli ormoni oppioidi prodotti dalla donna stessa186, il che potrebbe essere utile nel caso in cui livelli eccessivi inibissero il travaglio. Tuttavia è stato dimostrato che la somministrazione di petidina rallenta il travaglio in un rapporto doserisposta187. In uno studio randomizzato la morfina somministrata durante il travaglio ridusse in maniera diretta il rilascio di ossitocina188, coerentemente con la ricerca che dimostrava come gli oppioidi, nel cervello e nel sistema limbico dei mammiferi, riducano il rilascio di ossitocina189.


Premesso che la secrezione di oppiacei nel cervello è ricollegabile al comportamento materno, non sorprende che dalle ricerche su animali sia risultato che tali sostanze (somministrate, nel corso degli studi, dopo l’avvio della lattazione) sono in grado di pregiudicare vari aspetti delle prime fasi della maternità.190,191,192,193


Di nuovo, dobbiamo chiederci: “Quali potrebbero essere gli effetti, sulla madre e sul bambino, di un travaglio e di un parto senza i picchi di ormone del piacere e della trascendenza”? Alcuni ricercatori hanno definito i nostri oppiacei endogeni come sistema per ricompensare gli atti riproduttivi. Ciò significa che le endorfine da noi prodotte fanno sì che si continui a fare figli, partorirli e allattarli194,195. Noto, ad esempio, che le donne con una piacevole esperienza di parto e di allattamento alle spalle tendono ad avere famiglie più numerose e, su scala mondiale, i Paesi che hanno adottato il modello di assistenza ostetrica che predilige farmaci e interventi al piacere e alla consapevolezza del parto, negli ultimi anni hanno registrato un netto declino del tasso di natalità.


Ancor più gravi le implicazioni di una ricerca svedese sull’utilizzo degli oppioidi durante il parto196, ripetuta di recente anche negli Stati Uniti197. Nel primo studio i ricercatori controllarono i dati relativi alla nascita di duecento tossicodipendenti nati tra il 1945 e il 1966, mettendoli a confronto con quelli dei fratelli non tossicodipendenti. I neonati da madri che, durante il travaglio, erano ricorse all’analgesia (oppioidi, barbiturici, protossido di azoto) avevano una maggior probabilità di sviluppare dipendenza da stupefacenti (oppiacei, anfetamine) in età adulta, specie nel caso di interventi con più somministrazioni. Se, ad esempio, la madre aveva ricevuto tre dosi di uno di questi farmaci nel corso del travaglio, il figlio presentava una probabilità 4,7 volte maggiore di sviluppare, in età adulta, dipendenza da oppiacei rispetto ai neonati non esposti a tali farmaci. Il dato risultò pressoché identico anche nello studio statunitense.


Gli studi su animali suggeriscono un meccanismo alla base dell’effetto descritto: pare, dalla ricerca su ossitocina e arvicole citata in precedenza198, che i farmaci e gli ormoni somministrati nel periodo perinatale (fine gravidanza e primo periodo neonatale) possano interferire con la struttura e le funzioni cerebrali del neonato senza che ciò si manifesti prima dell’età adulta.199,200,201,202,203,204,205,206


Csaba e colleghi hanno scoperto, ad esempio, che tra i ratti il comportamento adulto (specie quello riproduttivo) può risultare anomalo dopo un’unica somministrazione, nel periodo perinatale, di sostanze quali beta-endorfine207 e serotonina208,209 (un’altra sostanza chimica naturale prodotta dal cervello).


Secondo uno dei loro studi le modifiche della chimica cerebrale dopo la somministrazione di una dose di beta-endorfine in tarda gravidanza persistevano per tre generazioni210, quindi i ricercatori riassumono:

Nel periodo perinatale il primo incontro tra il recettore in fase di maturazione e il suo ormone target genera un imprinting ormonale che determina la capacità di legame del recettore per tutta la vita. In presenza di una quantità eccessiva di ormone target o di molecole estranee che rischiano di legarsi al recettore, l’imprinting difettoso dà luogo a conseguenze che permarranno per sempre211.

Si noti come, in tali studi, la somministrazione in singola dose di vita-mina K appena dopo la nascita provocasse delle modifiche del comportamento sessuale in età adulta212, aumentando il numero di recettori uterini dell’estrogeno nelle neonate213.

Oltre all’eventualità dell’imprinting ormonale, i farmaci a cui viene esposto il bambino durante travaglio e parto potrebbero produrre effetti tossici diretti. I ricercatori avvertono: “Nel periodo prenatale, in cui ha luogo la moltiplicazione, migrazione e interconnessione neuronale [delle cellule cerebrali], il cervello è esposto come non mai a danni irreversibili”214.

Epidurale e anestesia spinale

L’analgesia epidurale produce gravi effetti sugli ormoni del travaglio descritti in precedenza. Essa inibisce la produzione di endorfine215,216,217,218 così come la spinale219. Entrambe, quindi, inibiranno anche l’alterazione di coscienza che è parte del normale travaglio e la loro diffusione rifletterebbe, in certa misura, l’assenza di comprensione dei processi ormonali e della necessità delle partorienti di alterare il proprio stato di coscienza. Gran parte degli ambienti adibiti al parto, inoltre, è priva dell’esperienza, della preparazione e delle strutture preposte ad accogliere questo bisogno fondamentale.


L’epidurale riduce la produzione di ossitocina220,221 o ne arresta l’aumento222,223 nel corso del travaglio. Con la sua somministrazione viene inibito anche il picco di ossitocina che si registra al momento della nascita, poiché i recettori per la dilatazione della parte inferiore della vagina, responsabili di tale picco, sono resi insensibili. È probabile che questo effetto perduri anche oltre quello dell’epidurale e oltre la ripresa della sensibilità, perché le fibre nervose interessate hanno dimensioni inferiori a quelle dei nervi sensori, risultando quindi più sensibili all’effetto dei farmaci224. Una donna che partorisce con epidurale risulta, quindi, privata delle potenti contrazioni finali del travaglio, e si trova costretta a ricorrere ai propri sforzi, spesso contro la gravità, per compensare tale mancanza. Ciò spiega la durata sempre maggiore della seconda fase del travaglio e la crescente necessità di ricorrere al forcipe quando viene somministrata l’epidurale225.


L’epidurale poi inibisce il rilascio di catecolamine226,227, il che può rappresentare un vantaggio nella prima fase del parto. Però, verso il momento della nascita, una riduzione dei livelli di catecolamine inibirà con ogni probabilità il riflesso di eiezione del feto, prolungando la seconda fase. Alcuni studi hanno evidenziato valori di CA eccessivamente elevati nei bambini nati con epidurale228, cosa che farebbe presumere elevati livelli di stress che contribuirebbero ad alterazioni dei livelli di zuccheri e lipidi (grassi) – entrambi importanti fonti energetiche – nel sangue del neonato, nelle ore successive alla nascita229,230.


Anche il rilascio della prostaglandina F2 alfa, stimolante uterino, risente dell’effetto dell’epidurale. I livelli di tale ormone aumentano naturalmente nel corso del travaglio indisturbato, coerentemente con il proprio, presunto, ruolo di mediatore principale delle contrazioni uterine nelle fasi successive del parto. Tuttavia da uno studio risultava che le donne sottoposte a epidurale subissero un calo di prostaglandina F2 alfa, con un prolungamento del travaglio231. Dalla ricerca risultava che la durata del travaglio passava in media da 4,7 a 7,8 ore.


Tutte queste alterazioni ormonali spiegano alcune delle più note ripercussioni dell’epidurale sui processi del travaglio, come vedremo al capitolo VII. Tra gli effetti il prolungamento del parto (in media ventisei minuti la prima fase, quindici minuti la seconda232), una probabilità raddoppiata di accelerazione mediante ossitocina233,234, il ricorso raddoppiato al parto strumentale235, un rischio raddoppiato di lacerazione perineale (di terzo o quarto grado)236, e un rischio 1,5 volte maggiore di incorrere in un cesareo237. Da sei di nove studi sottoposti a revisione risultava che meno della metà delle donne sottoposte a epidurale aveva avuto un parto vaginale spontaneo238.


Si noti che gran parte dei gruppi di confronto utilizzati in questi studi comprende donne che assumono farmaci oppiacei, anch’essi responsabili, sebbene in misura minore, dell’alterazione dei processi ormonali del travaglio. Probabilmente un confronto con le partorienti che non avessero assunto farmaci durante il travaglio avrebbe evidenziato effetti ancor più significativi.


I farmaci somministrati tramite epidurale entrano, in pochi minuti, nel circolo sanguigno materno arrivando direttamente al feto a livelli pari (e a volte maggiori) a quelli della madre239,240. L’organismo immaturo del bambino impiega più tempo a smaltire i farmaci epidurali: la vita media, ad esempio, della Bupivicaina, anestetico locale di uso comune, è di 2,7 ore nell’adulto, ma di otto nel neonato241.


Studi che prevedevano l’utilizzo della scala di valutazione di Brazelton del comportamento del neonato (NBAS, Brazelton Neonatal Behavioral Assessment Scale) hanno evidenziato alcuni deficit nelle competenze neonatali in corrispondenza con la tossicità di tali farmaci242.


L’anestesia epidurale a cui si ricorre per i cesarei è stata altresì associata alla maggior acidosi presente nei neonati sani rispetto all’anestesia generale, sintomo che l’epidurale rischia di compromettere l’apporto di sangue e ossigeno al feto243,244. Tale effetto è forse dovuto al ben noto abbassamento di pressione che l’epidurale provoca nella madre245.


Un’ulteriore indicazione sui possibili effetti indesiderati a livello ormonale dell’epidurale giunge da alcuni ricercatori francesi che somministrarono tale analgesico a pecore in travaglio246. Gli ovini non mostrarono il tipico comportamento materno, specie quelle al primo parto a cui fu somministrata l’epidurale a inizio travaglio. Sette di queste pecore su otto mostrarono disinteresse per i piccoli per almeno mezz’ora.


Alcuni studi dimostrano che la stessa interferenza si verificherebbe anche nell’uomo. Stando a una ricerca le madri sottoposte a epidurale trascorrevano meno tempo con il figlio in ospedale, in maniera inversamente proporzionale alla dose di farmaco ricevuta e alla durata della seconda fase del travaglio247. In un altro studio le madri che avevano ricevuto l’epidurale descrivevano i propri figli come più difficili da accudire nel corso del primo mese248. Mutamenti così sottili nel rapporto e nella reciprocità sarebbero riflesso di ciascuno dei fattori appena visti: disfunzioni ormonali, tossicità del farmaco, circostanze tutt’altro che ottimali che, spesso, accompagnano il parto in analgesia epidurale: travaglio prolungato, forcipe, cesareo.


Per approfondire l’argomento del travaglio con epidurale, compresi gli effetti sull’allattamento, si veda al capitolo VII.

Il taglio cesareo

Nel mondo occidentale stiamo assistendo a un’epidemia di cesarei, tanto che in qualche modo siamo giunti a credere che si tratti di un modo sicuro – forse persino più sicuro – di partorire i nostri figli. Le evidenze mediche non sono a sostegno di quest’affermazione. Come vedremo nel capitolo IX il cesareo comporta un intervento di chirurgia addominale maggiore, con un rischio complessivo di morte materna quadruplicato249,250,251, e pressoché triplicato nel caso di intervento elettivo su madri e bambini sani252. Sempre più evidenze scientifiche suggeriscono che anche i nati con cesareo sarebbero anche più a rischio – persino quelli sani e a basso rischio253,254 – e che tali condizioni permangono anche nelle gravidanze successive, sia per la madre che per il feto, come vedremo al capitolo IX.


Con un cesareo il travaglio risulta assente o abbreviato, e il picco ormonale di ossitocina, endorfine e catecolamine annullato o ridotto. Nel cesareo elettivo il sistema a più fasi della secrezione di prolattina viene eliminato255.


Ancora, studi su bambini partoriti con cesareo elettivo mostrano livelli nettamente ridotti di ossitocina256, endorfine257, catecolamine258 e prolattina259,260. È possibile che alcuni dei rischi ampiamente accertati del cesareo derivino da tali deficit ormonali – per il bimbo in particolare il mancato picco di catecolamine. Ciò significa che i nati con cesareo sono a maggior rischio di crisi respiratorie261,262,263,264 fino a una settimana dal parto265, oltre che di ipoglicemia266 e scarsa termoregolazione267.


Rispetto al parto vaginale, subito dopo un cesareo l’ossigenazione cerebrale è minore268, probabilmente a causa dell’assenza di ridistribuzione sanguigna dovuta al picco di catecolamine e/o alla perdita di trasfusione placentare in seguito al parto cesareo269 (per saperne di più sulla trasfusione placentare si veda il capitolo VIII).


Recenti ricerche condotte sui ratti270, come abbiamo visto in precedenza, suggeriscono che l’ossitocina naturale prodotta durante il travaglio attraversa il cervello del feto, invertendo la funzione dell’acido gamma-aminobutirrico (GABA), sostanza chimica prodotta dal cervello, e riducendo l’attività cerebrale con conseguente riduzione del fabbisogno di sangue e ossigeno. È probabile che lo stesso effetto neuroprottettivo valga anche per i cuccioli d’uomo, con la non disponibilità, di nuovo, per quelli nati con cesareo elettivo.


Tali modifiche spiegherebbero l’adattamento neurologico post-partum più lento nei nati con cesareo271,272,273, il che, a sua volta, ne spiegherebbe il ritardato adattamento a uno schema di sonno diurno274.


Recenti ricerche hanno rilevato differenze ancora maggiori nella fisiologia dei nati con cesareo, ad esempio nei livelli degli ormoni deputati al metabolismo del calcio275, degli ormoni renina-angiotensina (regolatori dei liquidi e della pressione sanguigna)276,277,278, del peptide natriuretico atriale umano (ormone prodotto dal cuore)279, del progesterone280, dell’enzima muscolare creatinchinasi281, dei circuiti dopaminergici cerebrali282, della sintesi di monossido di azoto283 (che contribuisce alla maturazione polmonare)284, dell’ormone insulinico IGFBP1285, della melatonina286, degli ormoni tiroidei (che in genere aumentano in travaglio fino a raggiungere il picco nelle ore successive al parto)287, e degli enzimi epatici288.


Per quanto riguarda il sistema immunitario e circolatorio i bambini nati con cesareo presentano funzione neutrofila289 e sopravvivenza290 depresse; neutrofili, linfociti e cellule killer naturali (tutti i globuli bianchi che combattono le infezioni) ridotti291; IgG (un tipo di immunoglobuline o anticorpi) più basse292; una diversa funzione fagocitaria (ingestione di batteri da parte di un globulo bianco – differenza che persiste per sei mesi)293; ematocrito più basso, espressione di un numero più ridotto di globuli rossi294, minor quantità di eritropoietina (sostanza che indica la produzione di globuli rossi)295, ridotto passaggio di anticorpi anti Herpex simplex attraverso la placenta296, minore attivazione dei monociti (globuli bianchi che producono anticorpi)297, ridotta capacità, nei monociti, di produrre citochine (distruttrici di cellule estranee)298, adrenorecettori linfocitari sottoregolati299; alterazioni dei fattori coagulanti300, e livelli inferiori di leucotriene (che interviene nelle infiammazioni e nella cicatrizzazione)301.


Pure le funzioni gastrointestinali sono diverse nei bambini nati con cesareo. Dopo il parto i loro stomaci risultano meno acidi di quelli dei nati per via vaginale302, e secernono meno gastrina303 e somatostatina304, entrambi ormoni enterici. I piccoli nati con cesareo presentano una flora intestinale alterata rispetto ai bambini nati per via vaginale, e tale alterazione perdura per almeno sei mesi, e probabilmente per tutta la vita305. Queste anomalie (dovute alla mancata esposizione alla flora batterica intestinale materna) spiegherebbero la maggior esposizione dei nati prematuri con cesareo alle infezioni intestinali neonatali306, e forse il maggior rischio di asma307,308 e allergie309 (tra cui quelle alimentari310) per i nati con cesareo nel corso degli anni (per approfondire il tema della flora batterica intestinale del neonato vai ai capitoli IV e IX).


È noto che il processo del travaglio e del parto producono stress ossidativo nel bambino311, aggravato dal contatto improvviso con l’ambiente saturo di ossigeno del dopo parto. Il travaglio a termine produce un aumento degli antiossidanti nel sangue fetale che fungerebbero da protezione dall’improv-visa iperossia (livelli elevati di ossigeno)312. (Per ulteriori informazioni sulle proprietà antiossidanti della bilirubina vai anche al capitolo VIII).


Un ulteriore sistema protettivo è il trasferimento, durante il travaglio, dell’aminoacido triptofano dalla madre al bambino, che lo utilizza per la sintesi della chinurenina. Questa sostanza protegge il vulnerabile cervello del neonato, ad esempio, dalle crisi o dalle lesioni cerebrali prodotte da livelli di ossigeno ridotti. Nei bambini nati con cesareo tale trasferimento risulta limitato313.


Molte di queste differenze sarebbero riconducibili alla ridotta attivazione degli ormoni dello stress con un parto cesareo, specie se elettivo: si ritiene che, in un travaglio normale, essi attivino molti dei sistemi ormonali e metabolici appena descritti. Più semplicemente potremmo dire che i processi di travaglio e parto sono concepiti per il pieno risveglio del bimbo in vista della vita extra uterina.


Gli ormoni dello stress – tra cui cortisolo, ormone adrenocorticotropico (ACTH, che rilascia cortisolo dal surrene), arginina vasopressina (AVP, nota anche come ormone antidiuretico, ADH), oltre a beta-endorfine e catecolamine314 – seguono lo schema ormonale, descritto in precedenza, dei nati per via vaginale: livelli elevati durante il travaglio, picco alla nascita, lento declino. I livelli nei bambini nati con cesareo sono, nel complesso, ridotti e anche lo schema potrebbe risultare diverso: per esempio le beta-endorfine registrano livelli elevati alla nascita che tuttavia si mantenengono tali, oppure salgono nelle ore successive315, forse a dimostrazione dell’assenza della normale preparazione al parto nel bambino nato con cesareo, che quindi vive una condizione di massimo stress nelle ore successive.


Di solito, dopo un cesareo, madre e figlio vengono separati per alcune ore (il che potrebbe rappresentare un’ulteriore motivo di stress nei neonati venuti al mondo in questo modo); in genere quindi la prima poppata risulta ritardata. Oltre a ciò subiranno entrambi, in qualche modo, l’effetto dei farmaci somministrati durante l’intervento (epidurale, spinale o anestesia generale) e per l’analgesia post operatoria.


Le conseguenze materne di un così radicale allontanamento dal nostro disegno genetico vengono delineate nell’opera di alcuni ricercatori australiani che intervistarono 242 donne al termine della gravidanza e, di nuovo, dopo il parto. Il 50 per cento delle intervistate, che aveva partorito spontaneamente per via vaginale, dopo la nascita registrava un sensibile miglioramento del tono dell’umore e una maggiore autostima. Al contrario il 17 per cento, quelle sottoposte a cesareo, aveva una maggior probabilità di incorrere in un peggioramento del tono dell’umore e dell’autostima. Il restante numero di intervistate aveva partorito con l’ausilio del forcipe o della ventosa: umore e autostima risultavano, in media, invariati316.


Un altro studio si concentrava sugli ormoni dell’allattamento, prolattina e ossitocina, in seconda giornata, mettendo a confronto donne che avevano partorito per via vaginale e donne sottoposte a cesareo d’urgenza. In quest’ultimo gruppo i livelli di prolattina non crebbero, come ci si aspetta, con l’allattamento, e gli impulsi di ossitocina risultarono ridotti o assenti. In questa ricerca la prima poppata era avvenuta in media dopo 240 minuti dalla nascita con cesareo e in media dopo 75 minuti dal parto vaginale. Gli autori dello studio ritengono che tali differenze risiedano in parte nel ritardo della prima poppata, concludendo:

I dati indicano che l’allattamento immediato e la vicinanza fisica sarebbero ricollegabili non solo a una maggior interazione madre-bambino, ma anche a modificazioni endocrine [ormonali] nella madre.317

Le possibili conseguenze di queste modificazioni ormonali sono oggetto di indagine di uno studio recente su 185 neomamme che allattavano i propri bambini. Da questo studio risultò che i nati da cesareo sani e allattati al seno presentavano, nei primi sei giorni, un’assunzione di latte materno nettamente inferiore a quella dei bambini nati con parto normale, anche dopo verifica della precedente esperienza di parto e di allattamento e del ritardo della prima poppata. I ricercatori notarono che solo il 20 per cento dei nati con cesareo aveva riacquistato, al sesto giorno, il peso alla nascita, contro il 40 per cento di quelli nati per via naturale318. La conclusione degli autori è che, dopo un cesareo, vi sia un ritardo nel trasferimento del latte materno (BMT, Breast Milk Transfer).


Un’altra ricerca ha evidenziato che l’attacco immediato e frequente al seno influisce in maniera positiva sulla produzione di latte e sulla durata dell’allattamento319,320.


Molti altri studi e riviste hanno illustrato una considerevole riduzione nelle percentuali di allattamento al seno a seguito di taglio cesareo321,322,323, possibile riflesso degli effetti testé descritti. Questi dati sottolineano la necessità di ulteriore assistenza, per la madre e per il neonato, nell’avvio dell’allattamento.


Gli studi sul cesareo indicano non soltanto relazioni significative tra parto, ormoni e allattamento al seno, ma mostrano altresì quanto un’esperienza di parto ottimale sia finalizzata a favorire il benessere a lungo termine di madre e bambino. Un allattamento riuscito e duraturo, ad esempio, presenta vantaggi, per la madre, quali una riduzione del rischio di tumore alla mammella o di osteoporosi e, per il bambino, un rischio minore di diabete e di obesità, oltre a un’intelligenza più spiccata, a lungo termine (per saperne di più vai al capitolo XII).


La relazione tra gli eventi del parto e il benessere a lungo termine necessitano, com’è ovvio, di ulteriori approfondimenti324. Tuttavia non possiamo permetterci di attendere anni e anni prima che i ricercatori provino i vantaggi di una nascita indisturbata. Forse il meglio da fare è fidarsi del proprio istinto, affidandosi al proprio corpo che dà la vita, optando (e sostenendo) modelli di assistenza che aumentino le probabilità di nascita indisturbata – quindi più sicura, più agevole, più estatica.

Separazione precoce

Numerosi studi condotti su animali dimostrano come sottrarre i neonati alla madre produca conseguenze negative sull’accudimento materno e sulla crescita della prole. In alcune specie esiste l’inviolabile necessità di leccare e odorare i cuccioli, senza la quale l’attaccamento non prende avvio. Pare che nei mammiferi esista un momento critico – intorno alla prima ora dopo il parto – durante il quale tale processo rischia di essere disturbato con maggior facilità.


Anche gli studi sull’uomo sostengono l’importanza di non interferire nel contatto immediato. Alcuni ricercatori svedesi hanno notato che, se le labbra di un neonato toccavano il capezzolo materno entro la prima ora di vita, la madre lo teneva con sé cinquantacinque minuti in più al giorno, rispetto alle madri che avevano avuto esperienza di suzione più tardiva325.


L’allattamento immediato, poi, garantisce benefici a livello dell’apparato gastrointestinale del bebè, che durano per il resto della vita. Questo il commento di Klaus, citando la ricerca di Uvnas-Moberg326:

… quando il lattante succhia al seno si verifica lo sprigionamento di 19 diversi tipi di ormoni gastrointestinali nella madre e nel lattante, tra cui insulina, colecistochinina e gastrina. Cinque di questi ormoni stimolano la crescita dei villi intestinali nella madre e nel bambino. A ogni poppata, quindi, aumenta la superficie intestinale atta all’assorbimento dei nutrienti. Il rilascio ormonale è stimolato dalle labbra del lattante che toccano il capezzolo materno. Ciò determina un aumento dell’ossitocina sia nel cervello materno, sia in quello del bambino, che a sua volta stimola il nervo vago, provocando l’aumento del rilascio di ormoni intestinali. Diecimila anni fa, prima dello sviluppo dell’agricoltura moderna e dell’immagazzinamento dei cereali, quando la carestia era una condizione diffusa, tali reazioni nella madre e nel lattante erano fondamentali per la sopravvivenza.327

Il contatto immediato e indisturbato, specie se pelle a pelle, risponde ai bisogni fisici del neonato, assicurandogli un’efficace termoregolazione, agevole accesso al seno materno, minor necessità di piangere rispetto ai bambini avvolti e posti in culla328. Da uno studio risultò che i neonati accuditi con la “marsupioterapia” – ossia attraverso il contatto pelle a pelle ininterrotto con la madre – a un’ora dal parto risultavano meno stressati e più organizzati dal punto di vista comportamentale, piangevano meno e dormivano più a lungo che non i bambini separati come da protocollo329. In un altro studio fu rilevato che elevate temperature della pelle, sintomo di livelli contenuti di stress e di ormoni CA, persistevano per ventitré ore nei neonati che erano stati a contatto di pelle con la madre dopo il parto330.


I ricercatori hanno altresì individuato un richiamo dovuto a sofferenza da separazione nel cucciolo d’uomo, equivalente a quello presente in altre specie di mammiferi. Questo pianto, con grande probabilità insito nel nostro codice genetico, segnala il bisogno del neonato di stretto contatto fisico con la madre dopo il parto, e cessa al momento della riunione. Gli autori sottolineano che “queste evidenze concordano con l’opinione secondo cui il posto più idoneo al neonato sano e a termine dopo il parto sia a stretto contatto fisico con la madre”331.


Esistono buone ragioni per il contatto continuo madre-figlio se quest’ultimo mostra segni di sofferenza dopo la nascita. Il neonato può, ad esempio, essere rianimato con il cordone intatto, il che presenta il vantaggio del rifornimento ininterrotto di sangue e di ossigeno, a sostegno di questa fase particolare (per approfondimenti vai al capitolo VIII).


Il periodo successivo alle prime ore dopo il parto è particolarmente delicato perché l’attaccamento si sta sviluppando: anche una separazione intervenuta durante questa fase avrà ripercussioni a lungo termine, in tutte le specie di mammiferi. Alcuni ricercatori hanno scoperto, ad esempio, che i piccoli di ratto separati cinque ore il giorno nel corso della prima settimana di vita presentavano una maggior reattività allo stress in età adulta, accompagnata ad alterazioni della regolazione degli ormoni (dello stress) dell’asse HPA332. Nell’uomo non è nota la durata di questo delicato periodo, tuttavia alcuni esperti ritengono che possa proseguire per settimane e mesi333.


Oltre a ciò, il contatto extra ‘consentito’ in ospedale riduce il rischio di abbandono, maltrattamenti, incuria e sottosviluppo infantili. Sono vantaggi rilevati nelle numerose strutture che hanno aderito al programma dell’OMS “Ospedali Amici dei Bambini”, che prevede il contatto immediato e il rooming in di routine (invece della permanenza del neonato in nursery) per mamma e bebè334.


In un ospedale della Thailandia diventato “amico dei bambini”, per esempio, il tasso di abbandono passò da trentasei a uno, su diecimila335. In uno studio precedente alcuni ricercatori statunitensi avevano rilevato una netta riduzione dell’“inadeguatezza genitoriale”, accompagnata da una migliore crescita infantile, nelle madri ad alto rischio casualmente affidate, con i propri bebè, al regime di rooming-in336.


Secondo un ulteriore studio le madri che avevano sperimentato il contatto immediato si rivolgevano ai propri figli di due anni in maniera diversa, ponendo più domande, utilizzando più aggettivi e termini per preposizione, oltre che meno imperativi ed espressioni di compiacimento337.


La saggezza del contatto indisturbato madre-bambino dopo la nascita viene ben descritta nel libro di Joseph Chilton Pearce Evolution’s End: Claiming the Potential of Our Intelligence. Secondo Pearce, quando il neonato si trova pelle a pelle con la madre, sul seno sinistro – dove le neomadri di ogni cultura cullano istintivamente i piccoli – a contatto con il battito del suo cuore, “una cascata di informazioni di conferma e di sostegno attiva ogni senso, istinto e intelligenza necessari al radicale mutamento dell’ambiente… Quindi l’apprendimento intelligente ha inizio al momento della nascita”338.


Anche per la madre “si attiva un poderoso blocco di intelligenze sopite… a quel punto la madre sa esattamente cosa fare ed è in grado di comunicare con il proprio bambino su un piano intuitivo”339. Capacità intuitive di cui c’è urgente bisogno nella nostra cultura, in cui dipendiamo pesantemente da consigli esterni attinti da libri ed esperti che ci dicono come occuparci dei nostri figli.


Da un punto di vista più scientifico Lin e colleghi affermano che “il parto riveste un ruolo chiave nella piena espressione del comportamento materno della femmina che ha partorito, per quanto non sia ancora chiaro per quale preciso meccanismo.”340 La ricerca sugli animali conferma l’ipotesi secondo cui i processi del parto attivano aree cerebrali coinvolte nel comportamento materno attraverso picchi di ormoni quali ossitocina, catecolamine e prolattina.341,342,343

Allattamento al seno: una seconda occasione

Vale anche la pena sottolineare che l’allattamento al seno coinvolge tre dei quattro ormoni estatici di travaglio e parto: ossitocina, beta-endorfine e prolattina. Se il parto ha presentato difficoltà o interferenze, quando la madre è stata separata dal suo bambino oppure privata del cocktail di ormoni dell’estasi, essa può ricorrere all’allattamento al seno e al contatto pelle a pelle con il proprio piccino per stimolare gli ormoni che la aiutino ad innamorarsi di suo figlio, e viceversa.


Il contatto continuo o pressoché costante tra madre e bambino (di preferenza grazie a una fascia o a un marsupio indossati durante il giorno e attraverso il sonno condiviso di notte, il più possibile a contatto di pelle) contribuirà a ottimizzare l’effetto degli ormoni del piacere, i quali, per di più, come visto in precedenza, riducono lo stress sia nella madre che nel neonato.


Quando la modalità di allattamento e/o di attacco al capezzolo non è ottimale, forse a causa dei farmaci e delle procedure perinatali, oppure della separazione nelle prime ore dopo il parto, viene suggerito di ricorrere al contatto pelle a pelle in vasca, così da ripercorrere il momento successivo al parto344, e di consentire al neonato di fare appello agli straordinari riflessi primitivi, presenti solo nelle prime settimane, che lo fanno arrampicare lungo il corpo della madre fino a trovare il capezzolo e attaccarvisi da sé345.

Non disturbate il parto

Com’è possibile evitare di disturbare il processo del parto, mantenendo le pratiche correnti in linea con il nostro piano naturale? La risposta appare difficile in una cultura in cui la nascita viene, da molte generazioni, disturbata in un modo o nell’altro. Eppure è davvero semplicissima. Se offrissimo le condizioni di intimità e di sicurezza consone al parto – che, come ci ricorda Jeannine Parvati Baker, “è orgasmico nella sua essenza”346 – la maggioranza delle donne vivrebbe un parto spontaneo, estatico e relativamente semplice.


L’olandese G. Kloosterman, docente di ostetricia, ci lascia una breve sintesi, che starebbe molto bene appesa alla porta di ogni sala parto:

Il travaglio spontaneo in una donna normale è un evento caratterizzato da una serie di processi talmente complessi e in sintonia gli uni con gli altri in maniera così perfetta che qualsiasi interferenza non potrà che ridurne l’eccellenza. L’unica richiesta nei confronti dei presenti è che essi mostrino rispetto per questo processo stupefacente attenendosi alla prima regola della medicina: nil nocere [non nuocere].347

Suggerimenti, rivolti alla donna e a chi la assiste, per un parto indisturbato

Per la donna:
  • Sii responsabile della tua salute, della cura di te stessa e della tua integrità prima e durante gli anni di accudimento dei tuoi figli.

  • Abbi cura di te durante la gravidanza, mirando a ridurre lo stress e ad adottare un’alimentazione corretta, riposando in modo adeguato e svolgendo un’attività fisica regolare.

  • Prendi in considerazione la possibilità di praticare attività di concentrazione quali yoga e meditazione.

  • Scegli un modello di assistenza che favorisca la possibilità di un parto naturale e indisturbato, specie il parto in casa o in casa maternità, e/o l’assistenza di un’ostetrica personale.

  • Assicùrati il giusto sostegno secondo le tue specifiche necessità – fiducia, relazione affettiva e continuità di accudimento sono determinanti.

  • Prendi in considerazione la presenza di un consulente alla nascita ospedaliera: preferibilmente la tua ostetrica o doula personale, in grado di proteggere lo spazio adibito al parto e di sostenere il tuo compagno, se presente. Tieni presenti le seguenti raccomandazioni rivolte al personale che ti presterà assistenza.

Per chi presta assistenza:
  • Fate in modo di creare un’atmosfera in cui la donna in travaglio si senta a proprio agio, al sicuro, non osservata e libera di esprimere il proprio istinto.

  • Riducete la stimolazione neocorticale (della parte più superficiale del cervello) con luci soffuse e rumori ovattati e parlando il minimo indispensabile.

  • Eliminate gli orologi e qualsiasi altra strumentazione tecnica.

  • Evitate qualsiasi procedura (anche le osservazioni correnti) se non strettamente necessaria.

  • Non parlate alla donna in travaglio se non in caso di assoluta necessità.

  • Non somministrate farmaci se non in caso di assoluta necessità.

  • Non procedete con un cesareo se non in caso di assoluta necessità.

La prima ora dopo il parto:
  • Non separate la madre e il bambino per nessuna ragione, neppure per la rianimazione, che risulterà più efficace se il cordone resta attaccato.

  • Tenete le luci soffuse e scaldate bene la stanza già prima del parto.

  • Mantenete un’atmosfera di calma e tranquillità per mamma e bebè.

  • Favorite il contatto pelle a pelle immediato e ininterrotto tra madre e bambino. In questo momento non è necessario pesare, misurare e lavare il neonato.

  • Sostenete l’allattamento al seno subito dopo il parto, preferibilmente lasciando che il piccolo trovi il capezzolo e vi si attacchi senza interferenze.


La nascita di maia: una festa in famiglia

Nella nostra famiglia definiamo la nascita di Maia “Maia-vigliosa”, come in effetti fu. Durante il percorso dalla gravidanza al parto feci alcune scelte non convenzionali e assai personali, sulla base delle mie convinzioni e dei miei sentimenti di allora e attingendo alla profonda fede nel mio corpo e dei processi naturali di travaglio e parto. Nutrivo fiducia pure nella mia preparazione e nelle mie conoscenze, oltre che nella capacità di distinguere quando fosse stato (ma non fu) necessario chiedere aiuto. Infine, come potrete leggere, fu per tutti noi una benedizione.


La sera in cui nacque Maia, la mia quartogenita, stavo preparando la zuppa per cena. Mi chinai a prendere gli ingredienti nella dispensa quando - pop! - una cascata di liquido chiaro, e odore di nascita e neonati.


Due fotografie della nostra famiglia seduta a cena sono l’unico ritratto della nascita di Maia. Sul viso di ognuno di noi l’espressione dell’esperienza di quella notte. Io ho l’aria di essere in uno stato di assoluta beatititudine. Il mio amato, Nicholas, appare pieno di fierezza; Emma, nove anni, entusiasta; Jacob, di quattro, perplesso; la seienne Zoe brilla di letizia.


La nascita di Maia doveva essere assistita unicamente dalla sua famiglia. Era il mio istinto, sin da subito, a dirmi con forza che questo era quanto desiderato da mia figlia. Nicholas non era del tutto a suo agio con questa decisione; anche lui, come me, aveva una preparazione ostetrica da medico di base, quindi era ben consapevole delle eventuali complicazioni e delle proprie responsabilità. Tuttavia, sul finire della gravidanza, accettò il mio desiderio, smettendo di discutere di risposte mediche contro risposte alternative. Si limitò a preparare il kit medico - una flebo di liquidi e di Syntocina (ossitocina) in caso di emorragia - e io la mia borsa di prodotti omeopatici ed erboristici per me e per la bambina.


Insieme alla decisione di partorire senza assistenza esterna mi impegnai a prepararmi al meglio a ogni livello. Nutrii bene il mio corpo e praticai yoga e meditazione ogni giorno. Mi sottoposi regolarmente a massaggi e a cure osteopatiche e craniosacrali, e più in là nella gravidanza allo shiatsu, che riequilibrò e rivitalizzò il mio organismo a meraviglia. Durante le mie quotidiane sedute di yoga lavorai sul dolore, tendendomi verso zone anguste e dolenti per trovarvi un nucleo di letizia. Mi chiedevo come sarebbe stato il prossimo travaglio: sarei riuscita a trovare l’estasi racchiusa nel cuore del parto?


Per questa gravidanza scelsi di non sottopormi a cure mediche e a test - neppure la misurazione della pressione sanguigna. Confidavo nel fatto che il mio corpo e il mio bambino mi avrebbero comunicato, attraverso sensazioni, sogni e impulsi, quanto necessario. Grazie alla meditazione elaborai una serie di affermazioni, una per ciascun livello del mio organismo, che utilizzai negli ultimi mesi. Nelle settimane prima della fine, solo dell’ultima avevo bisogno: Mi abbandono completamente e con fiducia.


Quella notte, mentre il travaglio progrediva, mi spostai nella stanza da bagno dove, sul pavimento, giaceva il mio fidato tappetino da yoga a proteggermi dal freddo delle piastrelle. Le espansioni (non contrazioni) erano assai ravvicinate, tanto che non riuscii neppure a rientrare nella camera da letto, accanto al bagno, a leggere gli auguri di buona nascita inviatimi dal circolo femminile di Melbourn, né a dare un’occhiata ai mandala del parto colorati con tanta grazia dai bambini nel corso dell’attesa. Neppure il tempo per la musica, la danza, gli olii essenziali, o l’acqua. Come mi aveva augurato l’amica Davini, questo parto doveva essere “semplice e presente”.


In quel momento, in piedi, mi lamentavo e muovevo il bacino in senso circolare ad ogni espansione. Poi mi si aprì un nuovo spazio e per il resto del travaglio non smisi di guardare il mio amato negli occhi, dicendogli “ti amo, ti amo, ti amo, ti amo…” ad ogni picco e discesa dell’onda.


All’incirca dopo un’ora avvertii una stretta alla gola a me familiare: la sensazione che l’urgenza di spingere era vicina. “Questo bimbo nascerà presto”, esclamai. Nicholas riempì la vasca da bagno e svegliò Emma e Zoe. Uscito di nuovo per andare a svegliare Jacob, sentii un improvviso desiderio d’acqua. Mi infilai lesta nella vasca, trovando una meravigliosa posizione nell’angolo, ritta in ginocchio con i piedi che, a ogni spinta, premevano contro le sponde.


Avvertivo ogni centimetro della discesa di mia figlia e sapevo resistere alla pressione crescente all’interno della vagina senza contrarla per oppormi. In quel modo l’avanzata fu velocissima: due o tre spinte, senza neppure sentire tensioni violente. Esclamai: “Sono al compimento”. Un’altra spinta e “Ecco la testa”. Eppure, stranamente, non avvertivo la spinta fermarsi agilmente sul collo della bambina.


Eravamo a lume di candela, io sprofondata nell’angolo più buio della vasca. Nicholas teneva pronta una torcia elettrica, che indirizzò sott’acqua per controllare la bimba. “Un piede!”, esclamò. Mi voltai, con la bimba ancora per metà dentro di me, e vidi una gambina sinistra fluttuare nell’acqua. Nicholas si chinò - non so ancora come fece a non bagnarsi - e liberò l’altra gambina, aderente al pancino, tenendola solo per il piede.


Chiesi a Nicholas di sentire il cordone - la bimba era fuori fino all’imbelico - e lui rispose “non pulsa”. Sapevamo entrambi che cosa significasse: la bambina doveva nascere in fretta, perché il cordone era compresso tra la testa e le ossa del mio bacino, il che interrompeva il flusso di sangue. “Mi metto in piedi”, fu la mia risposta istintiva.


Senza difficoltà mi alzai e mi chinai su di lei, sostenendola per le gambette e il sederino viscidi. Senza attendere l’onda successiva, spinsi: spuntò prima il busto, e i braccini; poi, di getto e tutto aggrovigliato, il cordone; infine, con un’unica spinta, la testa.


La raccolsi tra le braccia, portandomela, al caldo, sul cuore. Pareva un fagottino d’alghe: molle, blu, senza respiro. “Ti vogliamo bene, piccolina, ti vogliamo bene!”, piangevano i bambini, chiamandola. Dopo venti, trenta secondi - pareva di più, ma Nicholas la teneva sotto stretta osservazione - aprì un occhio e, con uno squittio, fece un respiro, prendendo subito colore.


Da alga bluastra a roseo fagottino, ecco la nostra sirenetta podalica, emersa dall’acqua nascendo di coda! Emma e Zoe videro una nascita avvolta in tinte rosa e blu scuro - i suoi colori - mentre Jacob percepì “blu, rosa, viola, giallo e arancione”. A Emma fu affidato l’importante compito di annotare l’ora di nascita: le 22 e 48 del 26 luglio 2000.


Nicholas mi aiutò a uscire dalla vasca per tornare in camera, dove mi stesi sul letto, pelle contro pelle nuda della neonata, tutti pervasi dalla più pura beatitudine. I bambini non vedevano l’ora di sapere di che sesso fosse, ma io e Nicholas avevamo bisogno di riprenderci un poco, il che avvenne tra liete risate. Qualche minuto dopo scostammo l’asciugamano e scoprimmo che il nostro bimbo era, come immaginato, la nostra bimba: Maia Rose!


Me la portai al seno - ora i suoi occhi erano spalancati - dove prese subito a ciucciare. Zoe andò a chiamare la nostra amica Susanna, che dormiva insieme ai suoi due bambini. Suzanne aveva udito l’intero processo dall’altro capo della casa, così come la nostra risata, da cui intuì che era andato tutto bene. Dette una mano con i bambini, pulì e ci preparò un magnifico piatto di frutta accompagnato dal succo che non avevo avuto tempo di bere durante il travaglio. Dopo una mezz’oretta mi misi seduta - non stavo più tanto comoda - accucciandomi per partorire la placenta di Maia.


Non tagliammo il cordone ombelicale della bambina, avendo optato per la nascita lotus (così come per Zoe e per Jacob), secondo cui il bambino, il cordone e la placenta restano integri e uniti fino alla naturale separazione. Il perineo non si era affatto lacerato - benedizione comune a tutti i miei parti - e non avevo sanguinato quasi per nulla. Il mio corpo si sentiva a meraviglia.


“Perfetto!”, disse Nicholas. “Una nascita serale, e poi una bella dormita tutta la notte.” Be’, quasi!


Nei giorni seguenti rispettai l’eccezionale apertura vissuta dal mio organismo restando a letto, in un luogo tranquillo, insieme alla bambina. Il cordone di Maia si staccò, senza noie, la terza sera. Non uscii dalla camera da letto per una settimana, né ritirai la posta o salii in macchina per sei intere settimane. Nicholas aveva preso un mese di aspettativa dal lavoro per occuparsi della casa, cosa che fece in maniera eccellente. Per di più amici e vicini portavano pietanze, fiori e aiuto pratico. Ci sentivamo accuditi in tutto e per tutto e la nostra comunità condivise con noi la magia della nascita e della nostra bambina.


L’arrivo di Maia benedisse la nostra casa da allora in poi. L’amore che avevo sentito sprigionarsi dentro di me mentre la mettevo al mondo continuò a diffondersi, colmandoci tutti. Ci sentimmo davvero ‘innamorati’ per settimane.


Crescendo, ho notato, così come in tutti gli altri figli, l’impronta del suo carattere sulla sua nascita. Ora che ha sette anni è una bambina forte e presente: appassionata, piena di energia, amorevole. Anche la sua nascita fu forte e appassionata, sotto il segno - di fuoco - del Leone: il segno delle emozioni, del coraggio e dell’amore.


La nascita di Maia continua a essere per me fonte di gratitudine, ispirazione e arricchimento, in ogni sfaccettatura della mia vita. La sua venuta al mondo fu l’apertura più grande, quella che mi ha trasformato nella madre che Maia voleva fossi per lei, e che rese più profonda la mia comprensione, e il mio impegno, verso la nascita rispettosa, istintiva e indisturbata.


Partorire e accudire con dolcezza
Partorire e accudire con dolcezza
Sarah J. Buckley
La gravidanza, il parto e i primi mesi con tuo figlio, secondo natura.Un manuale rivoluzionario per le future mamme e i futuri papà che desiderano vivere gravidanza, parto e primi mesi di vita del bambino in modo naturale. Partorire e accudire con dolcezza è un manuale rivoluzionario, nel quale Sarah J. Buckley, esperta di gravidanza e parto apprezzata in tutto il mondo, fa luce sull’evento della nascita e sui primi mesi da genitori, mettendo a disposizione delle future mamme e papà conoscenze attinte sia dalla saggezza antica che dalla medicina moderna.Il libro presenta approfondimenti sulla fisiologia del parto naturale (o, come lo definisce l’autrice, “nascita indisturbata”) che mostrano quanto vada perso quando tale esperienza viene vissuta meramente come evento medico.Nella prima parte, alla scrupolosa descrizione di gravidanza e parto medicalizzati (che prevedono il ricorso a ultrasuoni, epidurale, induzione e cesareo) e delle scelte più naturali (parto in casa, rifiuto dell’epidurale o di farmaci durante la fase espulsiva) si intreccia il racconto dell’attesa e della nascita dei quattro figli dell’autrice, tutti dati alla luce tra le mura domestiche. La seconda parte prende invece in esame gli studi scientifici su attaccamento, allattamento materno e sonno infantile, ed esorta i neogenitori a operare scelte attente e amorevoli durante i primi mesi con il proprio bambino. Conosci l’autore Sara J. Buckley è medico di famiglia e autorità di fama internazionale in materia di gravidanza, parto e genitorialità. Vive a Brisbane, in Australia, con il marito e i quattro figli. Sarah Buckley è preziosa perché bilingue: sa parlare il linguaggio di una madre che ha dato alla luce i suoi quattro figli in casa, e sa parlare dadottore. Attraverso la fusione del linguaggio del cuore con quello della scienza essa impartisce alla storia del parto una direzione nuova, rivoluzionaria e illuminante.Michel Odent, medico chirurgo, autore e pioniere del parto naturale