capitolo xi

Il bambino da 0 a 3 anni

“Il bambino è uno scopritore: un uomo che nasce da una nebulosa, come un essere indefinito e splendido che cerca la propria forma”

Maria Montessori

“Non dobbiamo farci seguire da lui ma seguirlo”

Maria Montessori

“Conoscere i bambini è come conoscere i gatti. Chi non ama i gatti non ama i bambini e non li capisce. C’è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di cicci e di cocco e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri”

Bruno Munari

Una volta, nello spazio-gioco del Bambaràn503, rimasi incantata a osservare un piccolino di 9-10 mesi che si divertiva a guardare un anello di plastica colorata (come quelli che si infilano su appositi coni) che l’educatrice faceva ruotare su se stesso come una trottola. Il bimbo era come affascinato da quel tipo di movimento a spirale e rimaneva concentrato a lungo per seguirne il corso fino a quando la ciambellina cadeva inesorabilmente a terra. Visto il suo interesse per questo tipo di gioco gliene furono proposti altri simili che stimolarono anch’essi il suo interesse, uno in particolare: gli fu offerto un macinino da caffè in legno, uno di quelli che si usavano una volta in casa, e lui si mise subito all’opera girando con immenso piacere la manovella in senso orario e ripetendo l’esercizio più e più volte. Di nuovo il movimento circolare aveva catturato la sua attenzione. Ettore era un bambino nato prematuro e più piccolino rispetto ai suoi coetanei nati a termine. Ricordo che riflettei a lungo su questa sua spiccata passione per il movimento rotatorio che mi ricordava quello delle danze dei mistici sufi ma anche quello degli astri celesti e delle galassie e pensai a quanto sono magici i primi anni di vita di ogni bambino.


Ormai tutti gli studiosi dello sviluppo infantile sono concordi nel considerare i primi tre anni di vita come il periodo più importante in assoluto per la formazione dell’individuo, quello in cui si pongono le basi per tutto lo sviluppo ulteriore.


Ma lo diceva già Maria Montessori, precisando: “L’età più importante per l’uomo è dalla nascita ai due anni”504. Dovremmo ricordare che, in questo periodo più che mai, “ogni nostro atteggiamento nel trattare il bambino non si riflette soltanto su di esso, ma nell’adulto che ne risulterà”505. È pertanto in questi delicati primi momenti che dovremmo investire tutte le nostre risorse, il nostro tempo e le nostre capacità. Giacché prevenire, offrendo a un bambino le migliori basi possibili di partenza, è molto meglio che trovarsi poi a dover curare gli effetti di ciò che è andato storto in un’epoca così iniziale.


“Il bambino è dotato di grandi poteri psichici di cui non ci rendiamo ancora conto. Egli ha un’estrema sensibilità la quale, per effetto di qualsiasi violenza, determina non solo una reazione ma difetti che possono permanere nella personalità”506 scriveva ancora la Montessori che, in qualità di medico e di psichiatra, ben conosceva i disturbi psichici che potevano nascere in seguito a repressioni avvenute in età infantile.


“Dobbiamo ricordarci che durante questo periodo il bambino dipende completamente dall’adulto, giacché non può provvedere a se stesso, e noi adulti, se non siamo illuminati dalla natura o dalla scienza sul suo sviluppo psichico, possiamo rappresentare il più grande ostacolo alla sua vita”507. Possiamo diventare come l’erba infestante che soffoca il germoglio appena nato e gli impedisce di crescere. Ecco perché “occorre veramente mettersi sul sentiero dell’osservazione e delle scoperte al fine di penetrare la mente del bambino. Cosa non facile, perché spesso non comprendiamo il linguaggio infantile o se lo comprendiamo non afferriamo il significato che i bambini intendono dare alle loro parole. Talvolta è necessario conoscere tutta la vita del bambino, investigarne cioè il periodo precedente per giungere a dare pace a questa creatura nelle difficoltà che incontra. Abbiamo sovente il bisogno di un interprete del bambino e del suo linguaggio che ci dischiuda lo stato mentale del bambino.”508


I primi due anni di vita del bambino sono chiamati anche “i terribili due” perché per i genitori rappresentano spesso una sfida: è l’età dei capricci, delle opposizioni, dei no e delle proteste. L’adulto vede nell’atteggiamento del bambino una provocazione e un tentativo di manipolazione, mentre in realtà si tratta solo di una terribile incomprensione: il piccolo non si sente capito e questo gli genera un’emozione di rabbia.


“Le reazioni violente o le bizze esprimono lo stato di esaperazione del bambino che non sa esprimersi”509 dice Maria Montessori. Che vorrebbe spiegarsi ma ancora non ci riesce, che vorrebbe esprimersi a parole ma ancora non sa dire. E che, in ogni caso, è chiamato a seguire le leggi della natura e non quelle degli uomini…


Maria Montessori chiama il bambino da zero a tre anni il “creatore inconscio” o “l’embrione spirituale” che lavora per costruire l’uomo, l’uomo del suo tempo e della sua cultura. In questo secondo periodo embrionale post-natale (potremmo definirlo come una esogestazione) avviene lo sviluppo del linguaggio, dei movimenti e di certe funzioni sensoriali. Il bambino pone le fondamenta e dispone i mattoni per costruire la sua casa.


In particolare, il periodo intorno all’anno e mezzo di età “è un’età di massimo sforzo”. “È un’epoca di fatica e di costruttività”510. È il periodo sensitivo dell’ordine, in cui è fondamentale per il bambino che ogni cosa e ogni persona sia al suo posto nell’ambiente e dove pertanto anche il semplice spostamento di un oggetto o un indumento fuori posto può essere causa di un pianto tanto sconsolato quanto enigmatico per l’adulto. È il periodo dell’attenzione ai minimi dettagli, dell’osservazione attenta e paziente di particolari minuscoli. È il periodo dei vagabondaggi esplorativi, grazie ai quali il bambino scopre il mondo e lo fa suo.


“Ogni bambino è un esploratore nato. Dal primo momento in cui apre gli occhi, questi sono pieni di meraviglia” scrive Standing. “Il bambino è un filosofo prima che impari a parlare, è un esploratore prima che impari a camminare”. “Il giovane esploratore non è mai ozioso, perché sta osservando il mondo per cercare se stesso – riflesso in uno specchio con mille facce. Ecco perché ogni cosa lo attrae”511. Sempre affaccendato, sempre al lavoro, sempre intento a osservare, sempre in movimento…

La magia del movimento

La prima fase della storia dell’uomo è segnata dal movimento: l’elemento primo e determinante dell’evoluzione biologica di ogni organismo vivente infatti non è il cervello ma la mobilità, cioè il progresso compiuto dall’apparato locomotore per adattarsi all’ambiente. L’evoluzione del corpo precede quella del cervello, avvenuta per strati sovrapposti (il cervello dei rettili, dei mammiferi, dei primati), per successivi accrescimenti e specializzazioni.


In questo senso il movimento – come scriveva già più di mezzo secolo fa la Montessori – “va considerato da un nuovo punto di vista. A causa di errori e malintesi, lo si è sempre considerato come qualcosa di meno nobile di quello che è, specialmente il movimento del bambino, che è stato tristemente negletto nel campo educativo, dove tutta l’importanza viene data all’apprendimento intellettuale. Ma la fisiologia ci dice che non si può separare la vita fisica da un lato e la mentale dall’altra, in quanto le azioni dell’uomo sono comandate dal cervello. Cervello, sensi e muscoli sono collegati tra loro a costruire un unico sistema capace appunto di produrre il movimento. Mente e attività sono due parti dello stesso ciclo e per giunta il movimento è l’espressione della parte superiore. Lo sviluppo mentale deve essere connesso al movimento e dipendere da esso. Il movimento pertanto è importante in quanto aiuto allo sviluppo mentale. Lo sviluppo della mente del bambino avviene con l’uso del movimento. Il bambino sviluppa la propria intelligenza attraverso il movimento e attraverso i sensi.”512

È necessario che questi concetti, nati dal contributo dell’anatomia, della fisiologia, dell’etologia e dell’antropologia, discipline importanti per la comprensione dello sviluppo del bambino, si traducano poi nella pratica educativa.


Così come il neonato è in qualche modo “programmato” per sviluppare l’attaccamento materno, in quanto ha bisogno del corpo della madre per completare il suo accrescimento extrauterino, e va quindi sostenuto in questo suo orientamento, così il bambino di uno-due anni è “programmato” per sviluppare il movimento e il linguaggio, e compito dell’adulto è offrirgli un ambiente adeguato per poterlo fare nel modo migliore. È l’età del massimo sforzo, come la definisce Maria Montessori, quella in cui il bambino impara a coordinare il movimento degli arti superiori con quello degli arti inferiori, in cui desidera trasportare oggetti pesanti e lo fa infaticabilmente finché non è stanco. È il periodo in cui ama arrampicarsi su per le scale, non allo scopo di raggiungere il piano superiore ma semplicemente per sperimentarsi e mettersi alla prova: racconta la Montessori di un bimbetto che ebbe la costanza di salire 45 altissimi gradini (rivestiti da un fitto tappeto) con grande sforzo e nonostante avesse perso l’equilibrio e fosse caduto una volta arrivato in cima, non pianse, anzi sorrise, per la soddisfazione della sua impresa.


È importante non interrompere il bambino in questi suoi esercizi (dicendogli magari “Sei troppo piccolo”, “Ti fai male” o “È troppo pesante per te”) fino a che non costituiscono un pericolo per la sua incolumità, perché altrimenti egli non riesce a portare a termine il suo ciclo di attività e questo provoca deviazioni, a lungo termine, quali perdita della concentrazione, della determinazione e della perseveranza.

In particolare “All’età di due anni il bambino ha un estremo bisogno di camminare. Può camminare per due o tre chilometri e se una parte della strada è in salita tanto meglio: gli piace salire. I punti difficili della passeggiata sono i più interessanti per lui. Ma gli adulti devono rendersi conto di ciò che significa per il bambino una passeggiata: l’idea ch’egli non sia in grado di camminare deriva dal fatto che essi vorrebbero vederlo marciare al loro passo e poiché le sue corte gambette non glielo permettono, lo prendono in braccio e così lo portano, per arrivare più presto alla meta. Ora, il bambino non si propone di andare in qualche posto: ha solo voglia di camminare e per aiutarlo veramente l’adulto deve seguire il bambino, non pretendere che il bambino cammini svelto come lui. … Lo sviluppo del bambino ha le sue leggi e se noi vogliamo aiutarlo a crescere, dobbiamo seguirlo invece di imporci a lui. Il bambino cammina con gli occhi non meno che con le gambe. Ciò che lo fa avanzare è la vista delle cose interessanti che sono intorno a lui. Cammina finché vede un agnello che pascola: allora è attirato dallo spettacolo e si siede a guardare. Soddisfatto di questa esperienza, riprende a camminare e vede un fiore e si siede accanto per odorarlo: un po’ più in là è colpito da un albero e gira intorno al suo tronco tre o quattro volte prima di proseguire. In questo modo può percorrere dei chilometri, pieni di brevi fermate e di interessanti scoperte, e se per strada incontra qualche difficoltà, come una roccia da scalare o un ruscello da attraversare, la sua gioia è al colmo”513. È così che cammina un bambino. A lui non interessa guardare le vetrine o fare in fretta perché i negozi chiudono, e si annoia a essere trasportato in una carrozzina da dove non può vedere quasi nulla. Per lui ogni viaggio, pur se piccolo, è una grande scoperta.

Il bambino è un essere di movimento. Nella nostra cultura occidentale vige invece, purtroppo, una sorta di pregiudizio per cui il “bravo bambino” è una creatura pressoché immobile, che si muove il meno possibile, che sta vicino alle gonne della mamma, a “giocare tranquillo”: un essere finto, artificiale, bloccato. Si tratta di un grande fraintendimento che nuoce alla salute e allo sviluppo psicofisico del bambino.


In questo le culture del sud del mondo possono darci indicazioni preziose sulla strada più idonea da percorrere.


In Africa un bambino svezzato è un bambino libero, libero di muoversi, di esplorare con tutti i suoi sensi l’ambiente che lo circonda. A volte al lattante che ha appena iniziato a camminare vengono messi dei campanellini alle caviglie, così da segnalare la sua presenza, in caso si allontanasse troppo dallo sguardo degli adulti, ma per il resto egli è libero di toccare, di sporcarsi, di rotolarsi nel fango, di mettere in bocca, di cadere, di fare i suoi bisogni, di strillare e scalciare, di gettare pietre e legnetti. Si sta solo attenti che i bambini non maneggino oggetti pericolosi, il cui uso verrà loro insegnato un pochino più tardi e che non si facciano male a vicenda. Se c’è qualcosa che i genitori non vogliono lasciar danneggiare al bambino lo sottraggono alla sua vista, in modo che egli non debba mai desiderarlo. Come ci ricorda Erny, tutta l’educazione del bambino piccolo è volta a insegnargli non già a controllare le proprie emozioni ma a evitare che esse, manifestandosi, danneggino gli altri.


Il bambino africano ha così la possibilità di esercitarsi nel movimento senza incontrare ostacoli sul suo cammino, perfezionandolo sempre più e acquistando un grado notevole di abilità e agilità motoria.

Uno studio di scienziati svizzeri, effettuato in Costa d’Avorio su un campione di bambini baulè, ne ha messo in evidenza la precocità di sviluppo da un punto di vista neuro-muscolare, collegandola all’abitudine di essere trasportati sulla schiena della mamma ma anche all’atmosfera di serena disponibilità di questa nei loro confronti. “Ciò che colpisce l’osservatore europeo è uno stile tutto particolare comune alla mamma e al bambino: la lentezza apparente dei movimenti va di pari passo con una grande armonia, precisione ed economia dei gesti e anche di manipolazione di oggetti pericolosi. Ciò che ci ha stupito è la qualità dei gesti, la loro calma, la loro grazia che fanno sì che, piccolissimi, arrivino a compiere delle azioni che richiedono un grado piuttosto elevato di precisione e coordinazione”514. Per poter sviluppare la coordinazione dei movimenti è indispensabile esercitarsi e ripetere l’esercizio non una ma centinaia di volte. È quello che ogni bambino fa, se non impedito dall’adulto, spinto dal “maestro interiore” che ha in sé, da un impulso che lo porta a fare e a voler fare da solo.

Pensiamo invece a quanti intralci vengono imposti al bambino occidentale nel corso della sua crescita: più egli diviene capace di fare e più viene limitato nella sua libera attività.


“Non toccare, non ti sporcare, non correre, stai attento a non cadere, non urlare, non tirare.” sono le frasi più comuni che si sentono rivolgere dai genitori a bambini da uno a tre anni, mentre l’industria inventa ogni sorta di contenitori in cui tenerli bloccati: box, girelli e quant’altro.


Si è visto che i bambini più impacciati nei movimenti o che cadono in continuazione e si mettono nei pericoli sono di solito quelli più ostacolati nella loro libera attività. Il bambino che ha la possibilità di salire le scale, arrampicarsi sulle seggiole, ripete l’esercizio finché non lo ha imparato alla perfezione ed è in grado di dominare il movimento. La stessa cosa vale per l’abilità della mano. La pessima abitudine di dare ai bambini stoviglie di plastica che non si rompono, per esempio, fa sì che essi non si abituino a maneggiare piatti e tazzine con la delicatezza necessaria a non farli cadere. Il bambino che ha la possibilità di toccare e maneggiare cose vere, oggetti reali e non artefatti, impara a misurare i propri gesti e a rispettare le cose che lo circondano. Un bambino di un anno e mezzo per esempio può già essere in grado di apparecchiare la tavola (naturalmente se alla sua altezza) e anche di servirsi da solo se un adulto paziente gli mostra lentamente come fare. Può darsi che la prima volta gli cascherà di mano un piatto o un bicchiere ma anche l’errore sarà utile per insegnargli la conseguenza delle sue azioni.


Quando il bambino ha preparato i suoi strumenti, cioè le mani e i piedi, e ha acquistato forza con l’esercizio, comincia a guardare cosa fanno gli altri e si mette al lavoro per imitazione, cioè partecipa, imitandole, alle azioni delle persone che lo circondano.

Questa è la logica della natura: “la preparazione nel tempo precede l’azione”515 giacché “senza preparazione non è possibile imitazione”516. Prima ci dev’essere la conquista della posizione eretta, poi il camminare e l’acquisire forza e destrezza nel coordinamento dei movimenti, quindi la libertà e la soddisfazione del fare da sé.

Parola e linguaggio

Al movimento fa seguito l’oralità, una parola che possiede una dimensione verbale ma che è ancora strettamente connessa all’aspetto motorio. La cultura orale è caratterizzata dalla ritmicità e dalla ripetizione, unico modo per conservare la conoscenza.


Gli anziani in Africa dicono che “il cibo senza parole riempie solo lo stomaco ma non la testa”: ecco perché è essenziale parlare al bambino, fin da piccolo. Oggi noi sappiamo che cervello e lingua si forgiano a vicenda.

Il bambino è un essere di linguaggio e lo è ancora prima di nascere. La contadina guatemalteca lo sa bene e dal settimo mese di gravidanza inizia un dialogo costante con il figlio che porta nel ventre: se ne va a camminare per i campi e per i monti “in comunione con gli animali e con tutta la natura, ben consapevole che il bambino sta assorbendo tutto questo. È come se stesse accompagnando un turista a cui spiega ogni cosa”517 dice Rigoberta Menchù. La mamma nativa americana, appena scopre di essere incinta, inizia a raccontare storie al bambino dentro al suo grembo e canta per lui. A volte il papà usa un sonaglio o un tamburo per accompagnare la narrazione, nella consapevolezza che il suono e la musica aiutano l’embrione a crescere.


Il bambino possiede una mente che funziona in modo diverso da quella dell’adulto: è come una spugna che assorbe tutto ciò che lo circonda: “Le impressioni non solo penetrano nella sua mente ma la formano, si incarnano in lui. Il bambino incarna in se stesso le cose che vede e ode.”518


Proprio come una spugna immersa nell’acqua, il bambino è immerso in un bagno linguistico: quando ancora non parla già sta lavorando per costruire il linguaggio, che assorbe dall’ambiente insieme a tutte le altre caratteristiche della cultura a cui appartiene. È così che può imparare senza sforzo alcuno diverse lingue se le sente usare nell’ambiente in cui vive fin dalla nascita.


Dapprima il bambino esercita l’ascolto, compiendo un lavoro attentissimo di discriminazione e organizzazione dei suoni che riceve dall’ambiente, guidato da sensibilità ordinatrici interiori innate che lo portano a udire e afferrare, fra i milioni di suoni e rumori diversi che lo circondano, soltanto la voce dell’uomo. È sensibile soprattutto all’intonazione, alla musica della voce umana, la voce della mamma che gli parla o gli canta la ninna-nanna. Poi inizia egli stesso a emettere dei suoni. Dalla lallazione spontanea il bambino passa quindi alla creazione delle prime sillabe, scegliendo nell’ambiente linguistico i fonemi propri della lingua che sente parlare. Quando è compiuto lo sviluppo motorio, che gli fa conquistare la posizione eretta, ecco che si assiste all’esplosione del linguaggio: il bambino scopre che i suoni hanno un significato e pronuncia le prime parole intenzionali. Come durante la storia umana il ricorso al linguaggio è venuto a porsi come sostegno all’azione, allo stesso modo nel bambino la funzione linguistica è sucessiva alla funzione motoria e affonda le sue radici nell’esperienza sensoriale e motoria degli scambi corporei tra madre e bambino. Il bambino organizza il linguaggio su un piano inizialmente sensomotorio. La mamma africana che ripete semplici filastrocche mentre fa saltellare ritmicamente il bimbo sulle ginocchia crea inconsapevolmente l’ambiente ideale per lo sviluppo del linguaggio.


Noi sappiamo infatti che “Il bambino non eredita un prestabilito modello di linguaggio, ma la possibilità di costruirne uno attraverso un’inconscia attività di assorbimento”519. Può imparare qualsiasi lingua, per quanto difficile essa sia, se la sente parlare intorno a sé. E anche più di una.


Prima acquisisce il meccanismo della parola, poi in un secondo tempo, il meccanismo della frase. Il bambino costruisce le prime parole-frasi non già per imitazione ma per attivazione di meccanismi già pronti per l’acquisizione del linguaggio. Il giorno in cui fa questo è – dice Bruner – il vero compleanno del bambino, in quanto egli ha conquistato la caratteristica discriminante dell’uomo e cioè la capacità linguistica che ne fa un “animale simbolico, culturale”, un essere in grado di tradurre in codice la propria esperienza, di ricodificarla in modo sempre più complesso, di comunicarla a se stesso e agli altri.


Intorno all’anno e mezzo il bambino scopre che ogni oggetto ha un suo proprio nome. “Esisteva per lui un mondo di oggetti e ora questi oggetti sono definiti da parole”520. È un momento entusiasmante, in cui il bambino si appassiona a riconoscere e a nominare tutto ciò che vede intorno a lui. Ricordo per esempio che mia figlia a diciotto mesi sapeva riconoscere una trentina di animali diversi non certo perché le fosse stato “insegnato” ma perché la sua insaziabile curiosità la spingeva a chiedere come si chiamassero quelle strane creature raffigurate nel suo libro illustrato.


“La massa di parole che esplode deve avere – però – libertà di emissione. Così pure deve esservi libertà di espressione quando avviene l’esplosione di frasi e il bambino dà forma regolare ai suoi pensieri”521. Una bocca tappata con un bel ciuccio di gomma di certo non facilita questo processo… Ma ciò che conta sopra ogni altra cosa è che il bambino senta che ciò che lui dice è importante per gli altri e che da parte dell’adulto c’è la volontà e – perché no – il piacere di ascoltarlo.


Il linguaggio – come ben sanno i depositari della cultura orale africana – è potente: “Con il linguaggio si può dire tutto, anche il silenzio. Si può far parlare ciò che non parla, si può far presente l’assente, richiamare il passato oppure creare mondi possibili”522 . È l’onnipotenza semantica: l’uso infinito di mezzi finiti, come dice Chomsky. La Parola è creatrice di vita e in quanto tale assume una dimensione sacra: “All’inizio era il Verbo e il Verbo era Dio”.

Per gli africani è la parola che fa germogliare i semi nei campi, è la parola che guarisce la malattia, è la parola che – attraverso l’attribuzione del nome – conferisce l’identità alla persona. Ecco perché tutti i riti e le celebrazioni sono sempre accompagnati da formule verbali. La parola accompagna tutti i gesti della vita quotidiana: la mamma che lava o massaggia il bambino gli nomina le varie parti del suo corpo e la sua posizione all’interno della famiglia estesa, in una sorta di classificazione dei legami di parentela o gli mostra gli oggetti dell’universo domestico, ripetendone i nomi a più riprese, con voce dolce. Non si usano mai parole storpiate, un fraseggio bambinesco, un vocabolario fasullo come quello che noi sovente proponiamo ai nostri bambini ( “tu-tu, bua, peppe ecc.”) e che serve solo a confondere loro le idee.


I bambini africani imparano molto rapidamente a esprimersi con correttezza in quanto l’adulto non usa con loro un linguaggio speciale, ma la conversazione si svolge in modo abituale, come tra adulti. Si impartisce tutto il poderoso corpo linguistico attraverso piccole frasi semplici e concrete che si rifanno al presente. I bambini hanno fame di parole: come afferma Alice Miller le loro menti sono delle piccole pompe aspiranti atte, per natura, a risucchiare parole. Ha ragione Françoise Dolto a dire che il bambino vive più delle parole e del desiderio di comunicare con lui come soggetto che delle cure fisiche di cui tanto ci si preoccupa.

So di cosa ho bisogno: non interferite!

Un piccolino di un anno e mezzo siede per terra davanti a un mobiletto di legno: con una manina apre un cassetto, poi lo richiude, lo riapre di nuovo e ancora lo chiude. Ripete l’azione per una decina di volte di seguito. Poi soddisfatto si sposta e passa ad altra attività. Sale su una sedia, ci si arrampica sopra con fatica poi scende, quindi risale di nuovo e ridiscende: una volta, due volte, tre volte, senza fermarsi. Con quanta energia e impegno lavora un bambino! È veramente instancabile nel suo operare, ma spesso i suoi sforzi non vengono compresi dall’adulto che vi vede quasi un segno di scarsa acutezza mentale mentre egli non fa altro che esercitarsi per acquisire sempre maggiore abilità: “Questa ripetizione va protetta al massimo, perché è all’origine di ogni progresso spontaneo.”523


“Per rispettare il ritmo del bambino è necessario comprendere che ci possono essere azioni fondamentali per la costruzione interiore che però a noi sembrano assurde. Noi agiamo nel mondo dove tutto è ragione secondo una finalità tangibile…; invece nel ritmo infantile non solo la serie dei movimenti è più lenta, ma anche la forma e la finalità dei movimenti sono diverse”524 scrive Maria Montessori e cita l’esempio del bambino che riempie di sassi un secchiello e lo svuota e poi lo riempie innumerevoli volte oppure fa e disfa un mazzolino di fiori ricominciando ogni volta daccapo. La stessa cosa accade quando il bambino impara a lavarsi le mani: “Lavarsele non è lo scopo, perché lo ripete più volte anche quando ha le mani pulite, e continua finché è soddisfatto il bisogno di queste attività. L’adulto gli direbbe di smettere perché oramai le mani sono pulite (e questo sarebbe l’adulto distruttore), mentre l’adulto che lo rispetta, lo lascia ripetere: contempla un essere umano diverso da se stesso, che non è interessato a vedere un lavoro compiuto, non è vanitoso di ciò che ha fatto, anzi disfa e ripete daccapo. Il suo interesse è tutto interiore: agisce e costruisce se stesso senza lasciare all’esterno alcuna traccia. Così la pazienza dell’adulto impreparato è messa a dura prova non solo dalla scoraggiante lentezza del bambino, ma dal vedere che non finisce un’azione nel senso dell’adulto, ma che la ripete apparentemente a vuoto. Anche la sucessione degli atti nel bambino non è logica come la nostra: poterla seguire è la base per la costruzione del carattere. … Rispettare ciò che ci sembra assurdo è una conquista importante per noi adulti.”

Ho voluto riportare per intero le parole di Maria Montessori su questo aspetto perché ritengo sia il punto di partenza indispensabile per accostarci al bambino con un atteggiamento di reale “riverenza”. “Multa debetur puero reverentia” diceva Giovenale ed è un monito, il suo, che dovremmo scolpire nella nostra mente oltre che sulle pareti delle nostre maternità e delle nostre scuole.


Rispettare il bambino significa non imporgli i nostri ritmi ma assecondare il più possibile i suoi, anche se questo significa per noi dover aspettare tempi che ci sembrano lunghissimi: mezz’ora per stendere pochi fazzoletti o per infilarsi le calze… Rispettare il bambino significa anche non sostituirsi a lui nell’azione (con la scusa che è piccolo, che non è capace o che non c’è tempo) ma lasciarlo libero di provare e riprovare: è così che si impara! Cadendo centomila volte e centomila volte rialzandosi in piedi un bimbo impara a camminare da solo.


“Azione senza imposizione di sé” diceva Lao Tzu che, in ambito educativo, potremmo tradurre con “vigile presenza dell’adulto che accompagna senza interferire”. È uno dei compiti più difficili per un genitore o un educatore: aiutare il bambino a fare da solo, mostrargli con calma e lentezza come si fa, spiegando ogni singolo gesto e magari enfatizzandolo per renderlo più evidente. Poi permettergli di provare fino a quando non riesce a fare da sé.

“Il fatto più pericoloso per lo sviluppo infantile è questo: tendere a sostituire le proprie energie a quelle del bambino oppure obbligare il bambino ad agire secondo la volontà dell’adulto”525 diceva Maria. Eppure quanto spesso avviene tutto ciò nella vita quotidiana!


Ci sono genitori iperprotettivi che impediscono ai loro figli anche le più semplici attività che servirebbero a renderli indipendenti: che li imboccano quando sono già in grado di mangiare da soli, che li vestono e svestono o allacciano loro le scarpe quando ormai hanno già l’età per farlo autonomamente, che li trattano “come lattanti quando hanno già parole e denti, gambe e mani per agire in modo costruttivo”526. La lentezza dei tempi del bambino si scontra inesorabilmente con la frenesia dell’adulto, il quale per non perdere tempo preferisce sostituirsi al bambino nelle azioni della vita quotidiana, ma questo atteggiamento diventa alla lunga soffocante e impedisce ai bambini di acquisire coordinazione e controllo dei movimenti e quindi di crescere secondo natura, in piena libertà. È come togliere a una piantina lo spazio e l’aria necessaria per estendere le sue radici e proiettarsi verso il cielo.


“Ogni aiuto inutile è un ostacolo allo sviluppo” era solita dire Maria. “Ogni intervento superfluo, ogni circostanza in cui l’adulto si sostituisce al bambino, ne blocca lo sviluppo successivo”527. Bisogna dare solo quando e quanto ci viene chiesto. Pensiamo per esempio all’abitudine, ancora così diffusa, di baciare i bambini (o reclamare baci da loro), di toccare loro la testa e i capelli, di dare pizzicotti sulle guance. Maria Montessori criticava già allora questo tipo di atteggiamento degli adulti, qualificandolo come invasivo: “Uno dei diritti di una persona libera è che nessuno possa metterle le mani addosso senza il suo consenso”528 scriveva. Noi faremmo altrettanto a nostri amici o colleghi? No, di certo! E perché allora permetterci atteggiamenti del genere nei confronti dei bambini che sono ancora più delicati e sensibili degli adulti? È solo un modo per dimostrare il nostro presunto potere.

A un bambino è importante anche assicurare il successo nelle azioni e questo può avvenire solo attraverso una preparazione attenta e consapevole dello spazio e dei materiali che gli si mettono a disposizione: se gli si propone un’attività troppo difficile per lui, non adatta alla sua età, presto si annoia e si stanca, lo stesso avviene in caso contrario, se l’attività è troppo facile e riguarda una competenza che lui ha già appreso e che quindi non lo interessa più. Sta qui tutta l’arte dell’educare: in quella “corrispondenza d’amorosi sensi” che permette all’adulto di entrare in sintonia con il bambino e di comprenderne i reali bisogni, le vere necessità. Il genitore o l’educatore dovrebbero porsi di fronte al bambino con l’atteggiamento dello scienziato che osserva la piccola creatura che ha di fronte e studia i modi migliori per favorirne lo sviluppo.

Un ambiente che aiuta l’indipendenza

Come abbiamo già visto, “Aiutami a fare da solo!”: questa è la richiesta che il bambino fa all’adulto nei primi anni della sua vita.


“Il bambino vuole essere indipendente e compito dell’adulto è favorire in tutti i modi la sua autonomia. Il bambino che non ha mai imparato a fare da solo, a guidare le proprie azioni, a dirigere la propria volontà, si riconosce poi nell’adulto che si fa guidare e che ha bisogno dell’appoggio degli altri”529. Ma in che modo si può favorire l’autonomia del bambino?

I mezzi e gli strumenti per aiutare un bambino a fare da sé sono tanti e in genere molto semplici, basta un po’ di fantasia e disponibilità per trovare quelli più appropriati per ogni singolo bambino. A cominciare dall’abbigliamento, per esempio.


Scegliere per un neonato o un lattante di pochi mesi delle tutine senza piedi significa dargli la possibilità di giocare con i suoi piedini, di sperimentarne il tocco, così importante per la sua crescita psicoemotiva. E comunque privilegiare abiti morbidi e comodi – anziché jeans fin dai primi mesi di vita, come sempre più spesso mi capita ahimè di vedere! – vuol dire offrirgli l’opportunità di muoversi con agio e naturalezza.


Per un bimbo di uno-due anni optare per esempio per dei pantaloncini con l’elastico significa dargli la possibilità di vestirsi e svestirsi da solo, senza l’aiuto dell’adulto che deve slacciargli complicate abbottonature.


Poi, fondamentale è fornire al bambino un ambiente adatto, che gli permetta di sviluppare le funzioni a lui assegnate dalla natura: un ambiente veramente a misura di bambino.


Quando è ancora molto piccolo, nelle prime settimane di vita, basta molto poco: una cestina che gli fa da culla, un “mobile” attaccato al soffitto, per esempio con figure geometriche in bianco e nero ma anche con una serie di palline colorate che dondolano e magari, in una posizione per lui visibile, un bel fiore da osservare e da cambiare di tanto in tanto. Nei mesi successivi si può pensare a posizionare per terra un tatami o un materassino basso di gommapiuma o anche una vecchia trapunta, dove si possa muovere a suo agio e in tutta sicurezza, magari uno specchio sulla parete, e alcuni oggetti che saranno sempre a sua disposizione: un vecchio foulard della mamma, qualche sonaglino o giochino in legno o anche un semplice attrezzo domestico che possa mettere tranquillamente in bocca (per esempio un cucchiaino). È bene avvicinargli gli oggetti che desidera per rendergli più facile l’azione ma non darglieli direttamente in mano, in modo che possa scoprire la soddisfazione del fare da sé e possa misurarsi nel coordinamento dei movimenti necessario per conseguire lo scopo che si è prefisso.


È importante poi non mettere mai il bambino in posizioni obbligate che lui non sa mantenere da solo, per esempio tenerlo per tanto tempo in un seggiolino quando non sa ancora stare seduto oppure infilarlo in un girello per insegnargli a camminare, perché in questo modo gli si impongono delle stimolazioni nocive al suo sviluppo psicomotorio.


Poi, man mano che cresce e diventa più mobile, può essere utile guardarsi attorno e fare un giro per casa a quattro zampe (cioè ad altezza di bimbo) per rendersi conto di quanti pochi oggetti siano accessibili a lui ma anche di cosa vada spostato in posizione protetta per evitare che venga danneggiato dalle sue manine curiose.

La prima riforma da mettere in atto è quella del letto, sostituendo il classico lettino con le sbarre (il “lettino-prigione” come lo definiva uno dei miei figli dopo averlo visto in fotografia), con uno di legno molto basso da cui possa salire e scendere senza aiuto, (ma vanno bene anche un tatami o un semplice materasso). “Il bambino deve avere il diritto di dormire quando ha sonno, di svegliarsi quando ha finito di dormire, di alzarsi quando vuole.” scriveva Maria Montessori. “Il letto piccolo e basso, quasi rasente a terra è economico come tutte le riforme che aiutano la vita psichica del bambino: perché esso ha bisogno di cose semplici e le poche cose che esistono per lui sono invece sovente complicate quasi a ostacolare la sua vita.”530

Sempre nella sua cameretta si può poi predisporre un gancio con un sacchetto in cui riporre il pigiamino e qualche mensola bassa dove sistemare i libri e i giochi preferiti, da sostituire di tanto in tanto.


In cucina o in sala da pranzo poi, al posto del seggiolone (spesso pericoloso a una certa età e comunque limitante l’autonomia), si può mettere un tavolino a sua misura da apparecchiare, con una tovaglietta in cui siano segnati il posto che va occupato dal piatto, dalle posate e dal bicchiere per aiutarlo a ritrovare il posto per ogni cosa.


Nell’ingresso si può posizionare un piccolo attaccapanni dove appendere il suo cappotto e il suo berretto; in bagno, vicino al bidet, una ciotolina con una piccola saponetta e un gancio con il suo asciugamano; nel ripostiglio un angolo con una piccola scopa, un piccolo straccio che gli permettano di partecipare ai lavori di casa. Sono piccole cose che non costano nulla e che invece per il bambino sono di vitale importanza perché lo fanno sentire “grande” e lo abituano a fare da sé. Le cosiddette “attività di vita pratica” – come le chiamano i montessoriani – sono in realtà i giochi più amati dai bambini di questa età.

Il piacere di fare: il gioco come esperienza sensoriale

“Un pulcino diventa adulto in poche settimane, un gatto in qualche mese, una persona in 13 anni. Durante l’infanzia siamo quello che gli orientali definiscono Zen: la conoscenza della realtà che ci circonda avviene istintivamente mediante quelle attività che gli adulti chiamano gioco. Tutti i recettori sensoriali sono aperti per ricevere i dati: guardare, toccare, sentire i sapori, il caldo, il freddo, il peso e la leggerezza, il morbido e il duro, il ruvido e il liscio, i colori, le forme, le distanze, la luce e il buio, il suono e il silenzio… tutto è nuovo, tutto è da imparare e il gioco favorisce la memorizzazione.


Poi si diventa adulti, si entra nella “società”, uno alla volta si chiudono i recettori sensoriali, non impariamo quasi più niente, usiamo solo la ragione e la parola e ci domandiamo: quanto costa? a cosa serve? quanto mi rende?

E poi, diventati ricchi, ci si fa costruire una bella villa al lago e, come ricordo di una infanzia felice e perduta per sempre, si fanno mettere in giardino la serie completa dei nanetti e Biancaneve in cemento colorato”531. Così, con lo spirito sagace che gli è proprio, Bruno Munari parla del gioco del bambino, un argomento importante che viene invece spesso sottovalutato o male interpretato. Per il bambino il gioco è un vero e proprio lavoro, con cui egli costruisce se stesso. Dall’adulto invece viene spesso considerato una distrazione, un passatempo o ancor peggio un mezzo per tenere il bambino quieto e non essere da lui disturbato. Non per niente “Lèvati di torno, vai a giocare!” è commento frequente alle richieste di collaborazione che i bambini piccoli fanno ai grandi.


Il gioco è invece un’attività seria, importante, che richiede una grande concentrazione, che non va mai assolutamente disturbata. “Se prendessimo il gioco dei nostri figli altrettanto seriamente delle nostre occupazioni, ci ripugnerebbe interromperlo, così come detestiamo essere interrotti mentre lavoriamo”532 diceva Bruno Bettelheim.


“Quando un bambino tocca, afferra, lancia un oggetto, agisce sull’ambiente per provocarne un cambiamento, un suono, una vibrazione: noi giochiamo, lui studia” scriveva Korszack.


Attraverso l’esplorazione, attraverso il toccare, l’agire nell’ambiente, attraverso il movimento instancabile delle sue mani – che non possono stare ferme, devono essere sempre occupate – il bambino sviluppa la sua mente, la sua intelligenza. Attraverso il gioco il bambino impara le qualità e le relazioni tra le cose, acquista la padronanza con il mondo esterno, affina il controllo del proprio corpo, la capacità di manipolazione e di pensiero.


Il gioco non presuppone – come noi spesso pensiamo – il giocattolo. “Non è – infatti – l’oggetto che fornisce la conoscenza: sono le attività del bambino sull’oggetto che gli permettono di conoscere la realtà.” (Dasen-Inhelder)


I bambini africani non utilizzano quasi mai “giocattoli” nel corso delle loro attività ludiche, ma piuttosto oggetti comuni, che fanno parte dell’universo familiare e domestico: legnetti, fiori, insetti, utensili, cocci ecc…


“Non è né la quantità né il grado di sofisticazione, né l’aspetto degli oggetti che permette lo sbocciare dell’intelligenza nel bambino. Gli oggetti sono strumenti di supporto. La comparsa di condotte cognitive nel comportamento del bambino baulè a età corrispondenti a quelle dei bambini occidentali viene a relativizzare l’apporto dell’oggetto nello sviluppo cognitivo” affermano gli studiosi svizzeri nella loro ricerca sui bambini avoriani. Sono gli atteggiamenti permissivi dell’adulto nei riguardi delle manipolazioni così come le numerose interazioni sociali con la madre, il padre o altri bambini, a favorire una comparsa precoce di queste condotte e la loro evoluzione armoniosa.


Ciò che conta dunque è la libertà del bambino di agire e la possibilità di disporre di “materie prime” (acqua, sabbia, pietre, legno, erba) che si prestano a tante applicazioni, a scelte diverse decise dal bambino con la sua mente (e non a scelte obbligate come fanno i giocattoli del commercio). Maggiore è la ricchezza e la varietà di esperienze sensoriali che il bambino può compiere e maggiori sono i collegamenti che si creano tra i suoi circuiti cerebrali.


Ecco perché, specialmente per i bambini che vivono in realtà urbane, spesso costretti a manipolare unicamente oggetti e giocattoli in plastica, è consigliabile l’uso del “cestino dei tesori” (da sei mesi a un anno) o dei sacchetti per il gioco euristico (da uno a due anni) proposti da Elinor Goldschmied, che offrono ai bambini la possibilità di esplorare con la bocca e con le mani una vasta gamma di forme e materiali (legno, metallo, tessuto, pelle, gomma, cartone, spugna) e di compiere quindi un grande numero di esperienze sensoriali. Il bambino, come ci ricorda Grazia Honegger, “deve toccare per capire, per crescere, per costruire i concetti base della mente umana, per capire le differenze e le uguaglianze, i contrasti e le somiglianze. È una fase importantissima che dura con modalità sempre più ricche fin verso i tre anni e che lo porta a esercitare le attività-base del lavoro umano: aprire e chiudere (i tanti tipi di apertura, dal lucchetto alla lampo); riempire e svuotare (il fluido e il liquido, il duro delle castagne e il morbido di palline di lana, il grosso di noci o mandorle e il minuto di fagioli o piselli secchi); infilare e sfilare (su un bastone fisso; su un bastone mobile o in un ago di legno, in un buco, in una scatola larga e bassa; in un’altra alta e stretta); sovrapporre e demolire ovvero fare una torre e disfarla (di cubetti, di sassi piatti, di libretti, che è come dire “Io costruisco, io distruggo”); tirare e spingere (una cassetta con feltri sotto; un carrettino a quattro ruote); dividere, separare a gruppi”533 per esempio vari tipi di animali o oggetti diversi per forma ma uguali per colore contenuti in una ciotola che possono essere suddivisi in ciotoline più piccole. Le varianti possono essere molte, basta un po’ di fantasia per moltiplicare le proposte da offrire ai bambini di questa impegnativa, meravigliosa età.


Per concludere, “Quale consiglio possiamo dare alle madri? Di fornire ai loro bambini lavori e occupazioni interessanti, di non aiutarli senza necessità e di non interromperli quando essi hanno iniziato un lavoro intelligente”534. In fondo non è poi così difficile…

Un nido per amico: l’esperienza Montessori

Immaginate un ambiente bello, ordinato, tranquillo, dove si respira un’atmosfera di calma e serenità; un luogo dove non si parla di “inserimento” (che fa pensare a qualcosa di forzato) ma di “accoglienza” e “ambientamento”, dove anche il vocabolario fa la differenza. Dove a ogni bambino è riservata un’attenzione individuale, dove per ogni piccolo c’è un’educatrice di riferimento che si occupa di lui e trasforma i momenti più delicati, legati al cambio, al pasto e al sonno, in preziose occasioni di comunicazione a due, privilegiata e amorevole. Le cosiddette “routine” diventano così momenti di cura e di attenzione particolare.


Un ambiente studiato e organizzato nei minimi dettagli (spazi, colori, luci, suoni) per renderlo il più possibile accogliente e simile a una casa, dove esistono angoli di intimità, “cantucci con tende leggere che permettono di vedere senza essere visti del tutto (il gioco del nascondersi o del nascondere è una tappa importante dello sviluppo), diversificati a seconda delle proposte, con tutte le possibilità di gioco accuratamente predisposte come in una bella vetrina di tanto in tanto rinnovata”535, il cestino dei tesori per i più piccini o i sacchetti per il gioco euristico per coloro che sono già in grado di camminare, ma anche per esempio un armadietto di indumenti e accessori per vestirsi come i grandi e il materiale occorrente per i travasi e i giochi con l’acqua.


E poi l’angolo per dormire personalizzato con i lettini bassi per consentire al bambino di salirvi e di uscirvi da solo e di affrontare il momento del sonno in modo più rilassato.


Un luogo in cui all’esterno ci sono zone a prato con alberi, aiuole fiorite, sentieri e collinette, cespugli bassi dietro cui nascondersi, panchine e tavolinetti, una sabbiera, un parcheggio di tricicli, una casetta di legno, carriole e carrettini per trasportare oggetti, una fontanella con vaschetta, recipienti e grembiuli di gomma per giocare con l’acqua…


Ma soprattutto un ambiente in cui “la programmazione si adegua ai bambini e non il contrario”536, in cui gli adulti non impongono ma propongono, non giudicano, non colpevolizzano ma hanno fiducia e sanno aspettare che un bambino sia pronto ad affrontare determinate esperienze e lo lasciano comunque sempre libero di scegliere e di non partecipare a un’attività se mostra di non averne voglia; in cui si instaurano relazioni stabili e significative tra le educatrici e i piccoli a loro affidati; in cui è importante la frequente verifica degli spazi e dei giochi, e l’osservazione del bambino, attenta e amorevole, ha la priorità assoluta rispetto a tutto il resto.


Ecco, tutto questo e molto di più è un nido Montessori. Peccato rimanga ancor oggi un privilegio per pochi fortunati, anziché un diritto di ogni bambino.

Cerimonia del lavare le mani

Mettete sopra un tavolino una brocca e un catino di metallo smaltato o di bella porcellana, vicino due asciugamani ben ripiegati. Mettete in un piattino una saponetta e in un altro un po’ di crema per le mani. Vicino al tavolo ci sarà, a terra, uno strofinaccio sul quale mettere un secchio e una piccola spazzola. Fate attenzione che gli oggetti siano ben disposti e che i vari utensili mandino un bel suono durante il rito del lavarsi le mani. Invitate i bambini ad assistere al rito del lavarsi le mani che presenterete.

  • Per prima cosa riempite la brocca con acqua calda e mettetela sul tavolino preparato. Versate l’acqua nel catino, ma lasciatene una parte nella brocca. Tuffate le mani nell’acqua e inumidite anche le braccia. Frizionate energicamente mani e braccia con il sapone. Immergete brevemente il sapone nell’acqua e rimettetelo nel piattino.

  • Massaggiate delicatamente ed amorevolmente mani e braccia, nel far questo concedetevi molto tempo e fate attenzione ai magnifici rumori: possono risvegliare in noi ricordi e le esperienze più diverse.

  • Incominciate ora a massaggiare scrupolosamente ogni dito della mano destra, poi della sinistra con attenzione e con grande amore. Nel far questo osservate bene anche ogni unghia. Immergete ora mani e braccia nel catino, quindi asciugate mani e braccia con l’asciugamano.

  • Mettete l’asciugamano su uno stenditoio o su un termosifone perché si asciughi. Versate l’acqua del catino nel secchio vicino al tavolo e quindi versate nel catino l’acqua rimasta nella brocca. Con la spazzola che si trova sopra lo strofinaccio, pulite a fondo il catino dai resti di sapone.

  • Rimettete la spazzola al suo posto e versate l’acqua nel secchio. Con il secondo asciugamano pulite bene il catino ed esprimete gioia e soddisfazione nell’osservare il catino pulito e splendente. Anche questo secondo asciugamano verrà messo ad asciugare.

  • La cerimonia finisce dopo aver passato su mani, dita e braccia, la crema che si trova nel piattino. È molto importante che, nel far questo, siate sempre molto consapevoli di voi stessi e del vostro corpo, e che facciate percepire ai presenti un senso di soddisfazione, di tranquillità, di consapevolezza e di amore verso voi stessi.

(Questo) è un rituale semplice che spiega nel modo migliore che cosa significhi veramente il desiderio dei bambini “Donateci amore”. Vuol dire: “Donateci fin dal primo giorno quell’amore, quel tempo, quei pensieri che concedete a voi stessi, quando c’è qualcosa di importante per voi e volete trarne una bella sensazione.”


Gli adulti continuano a ripetere: “I bambini non possono certo rimanere seduti tranquilli o fermi a lungo, mentre mostriamo loro qualcosa”. Durante la dimostrazione è essenziale manifestare ai bambini che quello che stiamo facendo davanti a loro è di grande importanza per noi. Perfino i più irrequieti restano affascinati da tali rituali e ne seguono lo svolgimento con curiosità e interesse. I bambini hanno una capacità molto particolare di prestare attenzione e ci invitano a fare altrettanto.


In queste attività è importante che, come adulto, mi sia prima chiarito se anch’io dimostro autostima e dedico attenzione e tempo sufficienti a me stesso e agli oggetti quotidiani.


Prima di presentare ai bambini tale cerimonia dovreste prendervi il tempo di eseguirla più volte solo per voi e noterete quanto può far bene una piccola azione quotidiana, constatando quanto amore e attenzione regalate a voi stessi in quel momento.


Vediamo ora ciò che un bambino impara con un agire consapevole che coinvolge tutti i suoi sensi:

  • la disposizione di tutti gli oggetti sul tavolo stabilisce un rapporto spazio-posizione, base importante per la matematica

  • altra prestazione di tipo matematico è la valutazione della quantità di acqua da usare per lavare le mani e per lavare il catino

  • il massaggio di ogni singolo dito dà al bambino l’informazione motoria per contare di seguito da 1 a 10

  • immergere brevemente il sapone nell’acqua, così come la pulizia del catino, allargano l’orizzonte del bambino riguardo alla competenza sociale.

Infine, con una tale azione quotidiana e la sua esecuzione consapevole, il bambino sperimenta un’interazione tra intelligenza emotiva e cognitiva, come pure l’importanza di accedere al proprio corpo.


Così ci sarà più facile accompagnare i bambini con maggior pazienza e affetto. Prestatevi attenzione e noterete che durante il rituale vi regalerete un po’ di amore. Molti bambini sentono la necessità di ripetere questa cerimonia. Prendetevi il tempo di sedervi semplicemente accanto a uno di loro e vedrete quale importanza e quanta attenzione il bambino dedicherà a sua volta a questa semplice azione, prendendosi anche lui il tempo necessario.


da I dieci desideri dei bambini di Claus Dieter Kaul,

formatore Montessori

Libertà e amore
Libertà e amore
Elena Balsamo
L’approccio Montessori per un’educazione secondo natura.ll pensiero Montessori spiegato da una grande scrittrice che è anche medico pediatra: Elena Balsamo, nota esperta in tematiche perinatali e pedagogiche. Per educare un bambino occorre prima di tutto educare se stessi.In Libertà e amore, Elena Balsamo ci conduce in un viaggio attraverso lo spazio e il tempo per riscoprire un nuovo approccio al bambino, dalla vita prenatale all’età evolutiva, prendendo spunto dalla visione di Maria Montessori, donna straordinaria che ha dato vita a un sistema educativo a dir poco rivoluzionario, diffuso in ogni parte del mondo.Scriveva Maria Montessori che i capricci e le disobbedienze del bambino non sono altro che aspetti di un conflitto vitale fra l’impulso creatore e l’amore verso l’adulto, che però non lo comprende.C’è quindi un grosso fraintendimento sulle aspettative dei genitori e degli insegnanti nei confronti dei bambini, che comincia dalla nascita e si manifesta con il confondere il bambino reale con il bambino ideale, esistente soltanto nella mente e nella fantasia degli adulti.Il prezzo da pagare è la perdita dell’autenticità, della libertà, della vera natura del bambino stesso.La scuola montessoriana consiste in un vero e proprio laboratorio creativo nel quale, in un ambiente ricco di amore, rispetto e autentica libertà di scelta, le capacità intellettuali e manuali sono libere di svilupparsi in tutta la loro forza e bellezza.Quello di Maria Montessori non è però solo un metodo educativo, ma molto di più: è un modo di guardare il mondo e gli esseri che lo abitano con gentilezza e amore, nella consapevolezza che siamo tutti parte dello stesso ecosistema.Una nuova chiave di lettura per reinventare la relazione con i nostri figli e i nostri alunni, secondo natura. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.