E poi, diventati ricchi, ci si fa costruire una bella villa al lago e, come ricordo di una infanzia felice e perduta per sempre, si fanno mettere in giardino la serie completa dei nanetti e Biancaneve in cemento colorato”531. Così, con lo spirito sagace che gli è proprio, Bruno Munari parla del gioco del bambino, un argomento importante che viene invece spesso sottovalutato o male interpretato. Per il bambino il gioco è un vero e proprio lavoro, con cui egli costruisce se stesso. Dall’adulto invece viene spesso considerato una distrazione, un passatempo o ancor peggio un mezzo per tenere il bambino quieto e non essere da lui disturbato. Non per niente “Lèvati di torno, vai a giocare!” è commento frequente alle richieste di collaborazione che i bambini piccoli fanno ai grandi.
Il gioco è invece un’attività seria, importante, che richiede una grande concentrazione, che non va mai assolutamente disturbata. “Se prendessimo il gioco dei nostri figli altrettanto seriamente delle nostre occupazioni, ci ripugnerebbe interromperlo, così come detestiamo essere interrotti mentre lavoriamo”532 diceva Bruno Bettelheim.
“Quando un bambino tocca, afferra, lancia un oggetto, agisce sull’ambiente per provocarne un cambiamento, un suono, una vibrazione: noi giochiamo, lui studia” scriveva Korszack.
Attraverso l’esplorazione, attraverso il toccare, l’agire nell’ambiente, attraverso il movimento instancabile delle sue mani – che non possono stare ferme, devono essere sempre occupate – il bambino sviluppa la sua mente, la sua intelligenza. Attraverso il gioco il bambino impara le qualità e le relazioni tra le cose, acquista la padronanza con il mondo esterno, affina il controllo del proprio corpo, la capacità di manipolazione e di pensiero.
Il gioco non presuppone – come noi spesso pensiamo – il giocattolo. “Non è – infatti – l’oggetto che fornisce la conoscenza: sono le attività del bambino sull’oggetto che gli permettono di conoscere la realtà.” (Dasen-Inhelder)
I bambini africani non utilizzano quasi mai “giocattoli” nel corso delle loro attività ludiche, ma piuttosto oggetti comuni, che fanno parte dell’universo familiare e domestico: legnetti, fiori, insetti, utensili, cocci ecc…
“Non è né la quantità né il grado di sofisticazione, né l’aspetto degli oggetti che permette lo sbocciare dell’intelligenza nel bambino. Gli oggetti sono strumenti di supporto. La comparsa di condotte cognitive nel comportamento del bambino baulè a età corrispondenti a quelle dei bambini occidentali viene a relativizzare l’apporto dell’oggetto nello sviluppo cognitivo” affermano gli studiosi svizzeri nella loro ricerca sui bambini avoriani. Sono gli atteggiamenti permissivi dell’adulto nei riguardi delle manipolazioni così come le numerose interazioni sociali con la madre, il padre o altri bambini, a favorire una comparsa precoce di queste condotte e la loro evoluzione armoniosa.
Ciò che conta dunque è la libertà del bambino di agire e la possibilità di disporre di “materie prime” (acqua, sabbia, pietre, legno, erba) che si prestano a tante applicazioni, a scelte diverse decise dal bambino con la sua mente (e non a scelte obbligate come fanno i giocattoli del commercio). Maggiore è la ricchezza e la varietà di esperienze sensoriali che il bambino può compiere e maggiori sono i collegamenti che si creano tra i suoi circuiti cerebrali.
Ecco perché, specialmente per i bambini che vivono in realtà urbane, spesso costretti a manipolare unicamente oggetti e giocattoli in plastica, è consigliabile l’uso del “cestino dei tesori” (da sei mesi a un anno) o dei sacchetti per il gioco euristico (da uno a due anni) proposti da Elinor Goldschmied, che offrono ai bambini la possibilità di esplorare con la bocca e con le mani una vasta gamma di forme e materiali (legno, metallo, tessuto, pelle, gomma, cartone, spugna) e di compiere quindi un grande numero di esperienze sensoriali. Il bambino, come ci ricorda Grazia Honegger, “deve toccare per capire, per crescere, per costruire i concetti base della mente umana, per capire le differenze e le uguaglianze, i contrasti e le somiglianze. È una fase importantissima che dura con modalità sempre più ricche fin verso i tre anni e che lo porta a esercitare le attività-base del lavoro umano: aprire e chiudere (i tanti tipi di apertura, dal lucchetto alla lampo); riempire e svuotare (il fluido e il liquido, il duro delle castagne e il morbido di palline di lana, il grosso di noci o mandorle e il minuto di fagioli o piselli secchi); infilare e sfilare (su un bastone fisso; su un bastone mobile o in un ago di legno, in un buco, in una scatola larga e bassa; in un’altra alta e stretta); sovrapporre e demolire ovvero fare una torre e disfarla (di cubetti, di sassi piatti, di libretti, che è come dire “Io costruisco, io distruggo”); tirare e spingere (una cassetta con feltri sotto; un carrettino a quattro ruote); dividere, separare a gruppi”533 per esempio vari tipi di animali o oggetti diversi per forma ma uguali per colore contenuti in una ciotola che possono essere suddivisi in ciotoline più piccole. Le varianti possono essere molte, basta un po’ di fantasia per moltiplicare le proposte da offrire ai bambini di questa impegnativa, meravigliosa età.
Per concludere, “Quale consiglio possiamo dare alle madri? Di fornire ai loro bambini lavori e occupazioni interessanti, di non aiutarli senza necessità e di non interromperli quando essi hanno iniziato un lavoro intelligente”534. In fondo non è poi così difficile…