capitolo x

Il neonato, una persona

“Osserva un neonato: è vulnerabile, aperto, tenero, non ha intorno a sé alcun guscio: è vita nella sua purezza.
Osserva un neonato: è un miracolo che continua ad accadere.”

Osho

“Se l’educazione serve per dare aiuto alla vita, allora l’educazione non può iniziare all’età di tre anni; deve iniziare alla nascita, quando il bambino viene al mondo ed anche prima della nascita: dovrebbe iniziare fin dal momento del concepimento.”

Mario Montessori

Un bambino è nato nel tepore della sua casa. L’ostetrica lo ha posato gentilmente nelle braccia della sua mamma. Non ha pianto. Non ne ha avuto bisogno.


Il neonato è come un astronauta, che viene dallo spazio, da un pianeta lontano. Ha fatto un lungo viaggio per giungere fino a noi e quando arriva sulla terra – quando atterra per l’appunto – può subire una sorta di shock da spaesamento: quello che viene definito il “trauma della nascita”. “Il cambiamento in sé è spaventoso – scrive Maria Montessori – come se uno passasse dalla terra alla luna”468. Per tanti mesi egli è vissuto in una dimensione di leggerezza, proprio come un astronauta galleggiava nella sua navicella spaziale non sottoposto alla legge di gravità, nutrito da un sondino, il cordone ombelicale, collegato alla sua fonte – la madre – attraverso la placenta, un organo straordinario che fa da confine tra due mondi e lo accompagna per tutti i nove mesi della gravidanza.


Il neonato viene dalle stelle, da uno spazio senza confini, da un mondo di luce e di amore. Il neonato viene dal Paradiso. Paradiso è una parola che deriva dal persiano e che significa giardino: ecco da dove proviene un bambino. E, all’improvviso, ecco che il piccolo esploratore si trova catapultato in un mondo freddo, grigio, artificiale, fatto di plastica e di cemento, dove un popolo di giganti parla una lingua che lui non capisce, dove tutti sono agitati e frettolosi, distratti e quasi assenti, tanto sono presi da preoccupazioni per lui incomprensibili.


Potete capire quanto sia grande il suo disorientamento e il suo bisogno di trovare punti di riferimento che gli ricordino “casa”. Il neonato, proprio come il piccolo Gesù, è in cerca di una dimora. Ma anche per lui spesso non c’è posto. Non c’è posto nel cuore, non c’è spazio nell’anima. Magari la sua cameretta è già pronta, in tutti i dettagli, per accoglierlo ma non c’è spazio per lui, per la sua individualità, per il suo essere così unico e speciale.


“Nell’ambiente nulla è preparato per ricevere quel fatto grandioso che è l’incarnazione di un uomo: perché nessuno lo vede e perciò nessuno l’aspetta”469 scrive Maria Montessori. Ecco, è proprio questo il punto: nessuno lo vede! Nessuno – o quasi nessuno – sa percepire l’essenza che si cela dietro al volto di un neonato. Forse perché è l’essenza stessa di Dio ed è difficile sostenerne lo sguardo.


E invece, come afferma Hillman, l’anima può discendere e farsi carne solo se qualcuno la accoglie e la riconosce. Allora il neonato sa di essere arrivato a casa, nel posto giusto per lui: quando qualcuno lo vede e lo riconosce si sente accolto, benvenuto nel mondo. Allora sì che può mettere radici. È come se una luce si accendesse: e la vita diventa non solo possibile, vivibile ma anche amabile, auspicabile. Altrimenti è mera sopravvivenza.


Non per niente in tutte le culture del mondo esistono specifiche formule di benvenuto al neonato per invogliarlo a restare con noi, proprio come si farebbe con un ospite giunto da molto lontano.


“Sei arrivata nel momento in cui ti desideravamo e occupi il posto che ti abbiamo riservato” dice la nonna senegalese alla nipotina appena nata per farla sentire “a casa”. “Sappi che sei amato e sostenuto in questo tuo viaggio. Tu non sei mai solo. Sei collegato al Tutto”470 dicono gli aborigeni australiani quando accolgono il neonato appena uscito dal ventre materno. E sono esattamente le parole che un neonato vorrebbe sentirsi dire: parole che rappresentano un concentrato di saggezza spirituale e che forniscono al bambino la fiducia necessaria per affrontare la vita e viverla partendo da una base di sicurezza.


I nativi americani regalano ai loro bambini appena nati una coperta e un paio di mocassini: simbolo, la prima, del calore materno e i secondi, della protezione paterna. Così si può andare nel mondo con coraggio e fiducia perché nulla fa più paura.


Il neonato vive ancora in prossimità del cielo e l’apertura della fontanella ne è la concreta dimostrazione: più è ampia e più il bambino è legato al mondo da cui proviene, più ha bisogno di radicarsi nel mondo terreno. L’accoglienza in questo caso è determinante. I gesti devono essere molto lenti, senza fretta. Il bambino viene da una dimensione senza tempo. Siamo di fronte a un miracolo, a qualcosa di sacro. Bisognerebbe inginocchiarsi di fronte a lui, come hanno fatto i Magi e i pastori davanti al Bambino divino.


Per favore, non disturbate, entrate in punta di piedi. Datemi tempo, sembra dirci il neonato. Occorre offrirgli il mondo a piccole dosi, come diceva Winnicott, io aggiungerei in dosi omeopatiche… Con grande rispetto e delicatezza.


Adele Costa Gnocchi diceva che “il neonato è come uno speleologo sceso nel ventre della terra: quando risale, tutti gli chiedono di cosa abbia bisogno e lui risponde: ‘Non mi toccate, voglio solo riposare’”471. Per ambientarsi nel nuovo mondo c’è bisogno di tempo.

Spazio sacro: non interferite!

Nell’ultimo corso di preparazione al parto che ho organizzato, ho preparato un cartoncino con la riproduzione del famoso quadro di Klimt che raffigura una madre che dorme con a fianco il suo bambino e sotto ho aggiunto una frase: “Spazio sacro”. L’ho regalato alle mamme così che possano appenderlo sulla porta della loro camera, come monito agli intrusi: “Non disturbate, non interferite!”


È importante non interferire. Il neonato sa di cosa ha bisogno. Sa quando ha fame, sa quando ha sonno, sa che cosa gli serve in ogni determinato momento, siamo noi che non lo capiamo, che non sappiamo comprendere perché piange, che cosa vuole dirci con i suoi segnali di malessere o di sconforto.

Le sue lacrime ci parlano della tristezza per la separazione da un legame così profondo e intenso come quello uterino con la madre, per l’abbandono forzato e prima del tempo del suo compagno di viaggio, la placenta, che dovrebbe invece seguirlo ancora per qualche giorno dopo la nascita, consentendogli un ingresso nel mondo dolce e graduale. Se si permettesse al neonato di tenere a fianco a sé questo organo così importante fino al momento in cui la natura stessa decide che è giunto il momento del distacco attraverso il seccarsi e lo staccarsi del cordone ombelicale, probabilmente si potrebbero prevenire tanti traumi e sofferenze emotive in età più avanzate e si offrirebbe al bambino la possibilità di avventurarsi nell’esperienza della vita con un bagaglio già ben rifornito di sicurezza e fiducia. È quanto avviene con il Lotus Birth, praticato da mamme e ostetriche coraggiose già da alcuni anni in varie parti del mondo. Da un punto di vista energetico il legame tra la mamma e il bambino attraverso il cordone è fortissimo: “Il figlio è connesso alla madre attraverso l’ombelico. L’energia vitale della madre fluisce nel feto attraverso lo stesso ombelico. L’energia vitale della madre è un flusso di elettricità del tutto sconosciuto e misterioso, che nutre l’intero essere del feto attraverso il suo ombelico. … Il dolore che il neonato sente, il suo pianto dopo la nascita, non è causato dalla fame: è provocato dal dolore per essere stato separato e distaccato dall’energia vitale”472 . Il bambino si sente come un naufrago gettato sulla spiaggia di un’isola deserta.

Il breast-crawling: un ponte tra passato e futuro

Il bambino quando nasce deve varcare una soglia, deve guadare un fiume e ha paura. Cosa si può fare per aiutarlo? Si può offrirgli un ponte per facilitare il passaggio. Questo ponte per il neonato è il “breast crawling”.


Cosa vuol dire “breast crawling?” Significa letteralmente “movimento di strisciamento verso il seno” ma lo usiamo per indicare la pratica di lasciare il neonato a contatto pelle-pelle con il corpo materno per la prima ora dopo la nascita. Con questo sistema semplicissimo si appagano in un colpo solo tutti i bisogni del neonato e gli si offre una sorta di polizza multirischio per il futuro…


Scegliere il breast crawling significa poggiare il bambino sulla pancia della mamma subito dopo il parto e lasciare che da solo arrivi al seno. Significa posticipare tutte le manovre di routine dopo la prima poppata. Le manovre indispensabili (come asciugare il neonato e misurare i parametri vitali) possono essere effettuate sul corpo della mamma. Significa possibilmente anche ritardare il taglio del cordone ombelicale così da consentire tra l’altro al bambino di usufruire di tutto il sangue che c’è nella placenta e prevenire quindi il rischio di anemia a lungo termine.


Si è visto che se il neonato è lasciato sulla pancia della mamma senza che gli vengano lavate le mani (e senza che venga lavato il seno della madre) riesce, grazie all’odore prodotto dalle ghiandole del seno materno (simile a quello del liquido amniotico) ad arrivare da solo al capezzolo. In questo suo processo di risalita è aiutato anche dalla vista del volto della mamma e dall’ascolto della sua voce.


Ma il dato a mio parere più stupefacente è che nel primo quarto d’ora dopo la nascita il neonato ha mostrato di essere attratto soprattutto dal volto materno: non cerca il seno, cerca lo sguardo della sua mamma. Evidente dimostrazione del fatto che lo sguardo viene prima del cibo: il bisogno di essere guardati e riconosciuti è il nutrimento primario per un essere umano. Anche la voce materna è importante: il neonato la riconosce subito e immediatamente si calma e si tranquillizza. È possibile in questo caso registrare una vera e propria decelerazone del battito cardiaco.


Il contatto pelle-pelle assicura poi al bambino la giusta temperatura, come dimostrato dagli studi della svedese Kerstin Uvnas Moberg: se il neonato ha freddo si riscalda a contatto col corpo materno, se ha caldo si rinfresca… La mamma funziona in questo senso molto meglio di una termoculla!


A un certo punto il neonato comincia a fare piccoli movimenti con gli arti e si spinge piano piano verso il seno. Si è visto che il picco della suzione si verifica circa 45 minuti dopo la nascita. Ecco perché occorre dare tempo al bambino anche per quanto riguarda l’attacco al seno, che non deve mai essere forzato. La mamma accarezza il suo piccolo, prima con le dita poi con il palmo e un po’ alla volta iniziano a riconoscersi.


Grazie a questo ponte fatto di sguardi, di parole, di tocco e poi di latte, ecco che il neonato può traghettare sull’altra sponda del fiume con delicatezza e con dolcezza. La formula magica è sempre e solo una: “Sono qui con te”… Il ponte che collega passato e futuro è il presente: qui e ora sono con te.


La prima relazione con la madre è il prototipo di tutte le altre relazioni. La mamma è il ponte tra il divino e la realtà.


“Dove sei?” è il grido del neonato ma è anche il grido dell’anima di ogni essere umano sulla terra.

I bisogni del neonato

Spesso il neonato appena nato piange. Noi lo consideriamo un segno di salute, vigore e normalità. In realtà non lo è affatto. Il neonato piange perché non ha ricevuto l’accoglienza che voleva e che si aspettava, piange con rabbia, con gli occhi strizzati e i pugnetti serrati e a volte rifiuta anche il seno, quasi con un moto di stizza perché si sente offeso.


Ma le lacrime del neonato ci parlano anche del dolore per le manovre invasive che spesso gli vengono fatte appena sgusciato fuori dal ventre materno: sondino nel naso per ripulirlo dal muco, bagno rapido e frettoloso magari con tanto di sapone negli occhi, pesata sul piatto duro e freddo della bilancia, collirio negli occhi e puntura di vitamina K. E il tutto tra le mani distratte e indifferenti dell’infermiera di turno. Ma la mamma dov’è? Dov’è il calore? Dov’è la tenerezza? Dov’è la gioia dl ritrovarsi dopo la separazione? E la sensazione di sentirsi al sicuro su un corpo morbido e accogliente, che lo stringe a sé, che lo contiene, che lo scalda, che lo rassicura? Chi parla al neonato? Chi gli dice “Benvenuto! Siamo felici che tu sia qui con noi. Vedrai, questo è un bel posto dove stare”? Chi lo guarda negli occhi, in quei suoi occhioni spalancati, vera e propria soglia verso l’infinito? Chi canta per lui una canzone?


Il neonato è molto sensibile alla bellezza, in tutte le sue forme, in primis quella musicale. La musica è una sorta di “enveloppe sonore”, di involucro sonoro per il bambino: il suono contiene, accarezza, culla, proprio come possono fare le mani. Parola e tocco fanno entrambi da guscio per il neonato, assolvono le stesse funzioni. La parola tocca, il tocco parla: in fondo sono un cerchio e tutte e due arrivano fino al cuore. Ma è importante che sia la voce che il gesto siano delicati e soprattutto amorevoli, che nascano da dentro. Ecco perché se si sceglie di far ascoltare della musica ai bambini piccoli è opportuno scegliere brani di grandi musicisti, piuttosto che musica heavy metal… Ma ancora più importante è la semplice ninna-nanna cantata dalla mamma o dal papà, perché è la voce di chi lo ama e che egli conosce già dalla vita intrauterina. E gli ricorda che anche in questo mondo “alieno” può sentirsi a casa…

Un altro elemento utile per il neonato è l’acqua: non però il bagno forzato nonostante gli strilli per mantenerlo pulito, ma piuttosto una rilassante immersione nell’elemento fluido, un’esperienza dolce, graduale, effettuata con grande delicatezza, da mani che lo sappiano sostenere con fermezza, mani salde e non incerte e insicure nei gesti. L’acqua ha una valenza terapeutica: ci riporta all’elemento primordiale da cui proveniamo. L’acqua scioglie le tensioni, calma, tranquillizza, avvolge, sostiene, consente l’abbandono. Ritornare nell’acqua per il neonato è come ritornare nel ventre.


Ma il vero elisir della felicità per un neonato rimane il latte della sua mamma: è attraverso il latte che tenta di ricongiungersi in modo nuovo all’energia vitale. Connesso al cuore della madre, crea un nuovo circuito e inizia a sviluppare il proprio centro energetico del cuore.


Il latte materno – come ha detto saggiamente l’omeopata olandese Frans Vermeulen – è “amore liquido”, amore che fluisce e che scorre.

“Quale più sacra proprietà che il latte materno per il piccolo bambino? – scriveva Maria Montessori – egli può dire come Napoleone imperatore: ‘Dio me l’ha dato’. Sulla legittimità della proprietà non c’è alcun dubbio: il suo solo capitale, il latte, è venuto al mondo con lui e per lui. Tutta la sua ricchezza è lì: la forza di vivere, di crescere, di acquistare robustezza sta tutta in quel nutrimento.”473

Il latte materno è un cibo completo, non solo da un punto di vista nutrizionale, ma perché alimenta tutte le parti del bambino: corpo, mente, cuore e spirito. La mamma che mentre allatta il suo piccolo lo tiene a contatto pelle a pelle con il suo corpo, lo guarda e gli parla, gli dà attraverso un unico gesto tutto ciò di cui ha bisogno, soddisfa nello stesso momento tutte le sue esigenze. Troppo spesso pensiamo di nutrire un bambino fornendogli una dieta bilanciata e corretta da un punto di vista alimentare: in realtà se non gli offriamo anche contatto, parola e sguardo diamo a nostro figlio solo un quarto del cibo di cui ha bisogno.


Il neonato però non ci parla solo attraverso il pianto ma anche attraverso i suoi sguardi e i suoi sorrisi. Sì, perché il neonato sorride! E non si tratta di semplici smorfie o contrazioni muscolari come ci è stato fatto credere, ma di veri e propri sorrisi che esprimono beatitudine, gioia, pace, serenità. Un neonato può sorridere anche cinque minuti dopo la nascita, come testimonia una famosa foto di Leboyer, e il suo è un sorriso che viene da dentro, che nasce dalla pancia, dal cuore e solo dopo affiora sulle labbra. Come quello di un piccolo Buddha. È per questo che un neonato è così irresistibile, perché viene dalla fonte, dall’origine di ogni cosa, viene dal mistero e sa.


Una creatura così semplice e insieme così complessa, così studiata, indagata e nello stesso tempo ancora così poco compresa: ecco cos’è il neonato. Non un bambolotto da coccolare, non un tubo digerente da nutrire, ma fin da subito una persona. Una persona speciale, unica, per certi versi magica. Tutta da scoprire. E che ha tanto da dirci e da insegnarci se solo abbiamo l’umiltà di metterci al suo ascolto.

Il neonato e Maria Montessori

Se è vero che Leboyer rappresenta una pietra miliare nella storia della nascita ‘senza violenza’ è pur vero che “le osservazioni di Leboyer non sono del tutto nuove, originali. Altri le avevano formulate prima di lui, ma forse non avevano parlato al momento giusto, le loro voci avevano minore credibilità oppure non avevano gridato con la stessa forza. In realtà il vero precursore di Leboyer è stata nel XX secolo Maria Montessori”474 così scrive Michel Odent, pioniere del parto attivo, riconoscendo finalmente alla Dottoressa il ruolo che le spetta anche nell’ambito della “puericultura” o meglio dell’accoglienza al neonato.


Maria Montessori si è interessata ai neonati soprattutto durante il suo soggiorno a Barcellona, dove frequentava regolarmente i reparti maternità dell’ospedale, ma molte delle sue indicazioni nascono anche dall’osservazione dei suoi nipotini. Ecco cosa scrive riguardo al modo in cui bisognerebbe accogliere il neonato, anticipando di circa mezzo secolo le intuizioni di Leboyer: “Quando nasce un bambino tutti si preoccupano della madre: si dice che la madre ha sofferto. Ma il bambino non ha pure sofferto? Si pensa di fare l’oscurità e il silenzio attorno alla madre perché è affaticata. Ma non lo è il bambino?”475 . E aggiunge: “Quel corpo delicato è esposto all’urto brutale delle cose solide: è maneggiato dalle mani senz’anima dell’uomo adulto. Veramente, la gente di casa non osa toccarlo, perché è tanto fragile: i parenti e la madre lo guardano con timore e lo affidano a ‘mani esperte’476 . Quanto è vero! Quanto spesso la cura del neonato viene delegata ai professionisti perché ritenuti più capaci di interpretarne i bisogni, mentre è solo la mamma che può comprendere le esigenze più intime del suo bambino, è lei che lo conosce, che ha convissuto con lui per nove lunghi mesi, è lei che possiede l’istinto e l’intuito necessario per soddisfare le sue richieste e offrire risposte alle sue domande. “Le mani esperte non sono sovente sufficientemente abili per toccare un essere così delicato”477 . Perché occorre saper toccare e saper tenere un neonato e questa abilità non la si impara sui libri di testo. Richiede preparazione e conoscenza sì, ma nello stesso tempo una grande sensibilità, perché è un’arte. Nasce da dentro. Nasce dal cuore.


E invece ecco che “il medico maneggia il neonato senza speciali riguardi e quando il neonato grida disperatamente, tutti sorridono di compiacenza.”478 Che grande beffa! Che equivoco madornale! Si pensa che il pianto del neonato serva a dilatare i polmoni e non si notano neanche le espressioni di rabbia di quella creatura che appena nata si sente già incompresa e serra i pugni e gli occhi per esprimere la sua sofferenza.

Poi “il neonato è subito vestito. … Eppure – dice Maria Montessori – non è necessario vestire il neonato… il bambino dovrebbe rimanere nudo. Infatti il bambino ha bisogno di essere riscaldato dall’ambiente e non dai vestiti.”479 E il primo ambiente per il neonato è il corpo della sua mamma. Un ambiente ecocompatibile, perfettamente su misura per lui. Alla temperatura ottimale, migliore, come abbiamo visto, di qualsiasi termoculla.


Maria Montessori, in un’epoca in cui non si aveva ancora alcuna idea della sensibilità fetale e neonatale, insiste quindi sul fatto che le cure al neonato non devono attenersi solo a criteri igienici e limitarsi alla protezione nei confronti delle infezioni ma devono tener conto degli aspetti psichici: “Il bambino va curato dalla nascita soprattutto come un essere dotato di vita psichica. … Se dunque essa esiste nel neonato, deve essersi formata previamente, altrimenti non potrebbe esistere come dimostra il bambino che nasce a sette mesi. Lo svolgimento psichico è legato solo a un mistero: al segreto delle potenzialità latenti, che sono diverse in ogni individuo”480. Per cui a ogni bambino una risposta.


Il principale compito dell’adulto dovrebbe essere facilitare l’adattamento del neonato al mondo esterno. Maria Montessori propone, ad esempio, per spostare il piccolo di utilizzare “un sostegno leggero e cedevole come un’amaca di rete delicatamente imbottita, la quale sostenga tutto il corpo del bambino, raccolto in una posizione simile a quella dell’attitudine prenatale”481 . Esattamente il tipo di culla che viene usato nei Paesi del Sud America. Quanto di più simile può esserci in effetti alla struttura del sacco amniotico…


Ricorda poi quanto sia importante limitare al massimo gli spostamenti, in senso verticale e orizzontale e compiere sempre movimenti molto dolci, lenti e graduali. Le prime esperienze di paura di un bambino possono derivare a volte proprio da gesti troppo rapidi per esempio di discesa, di abbassamento improvviso, avvertito come sensazione di caduta.


Ma l’attenzione principale va rivolta a preservare l’intimità e il legame mamma-bambino: “Il dramma del neonato – ella scrive – è il totale distacco dalla madre.” “La madre e il bambino si dovrebbero considerare come due organi di uno stesso corpo, ancora vitalmente connessi dal magnetismo animale, che hanno bisogno per un certo tempo di isolamento e di attente cure sotto ogni aspetto. Parenti e amici non dovrebbero baciare o coccolare il bambino, né le infermiere dovrebbero toglierlo dal fianco della madre”482. Sulla porta della camera dove puerpera e bambino riposano bisognerebbe appendere un cartello come quello che ho regalato alle mamme del mio gruppo di preparazione al parto con scritto: “SPAZIO SACRO: NON INTERFERITE! Sappiamo ciò di cui abbiamo bisogno.” E invece quante volte puerpera e neonato vengono letteralmente storditi dalle continue visite di amici, parenti e conoscenti, tutti curiosi di conoscere il nuovo arrivato e di somministrare consigli non richiesti…


“Subito dopo la nascita il bambino deve stare il più possibile con la madre e l’ambiente non deve presentare ostacoli al suo adattamento: tali ostacoli sono soprattutto la differenza di temperatura in confronto a quella a cui era abituato nel periodo prenatale, l’eccesso di luce e di rumore…”483


L’importanza dell’ambiente nel periodo neonatale è massima: in nessuno dei periodi di sviluppo psichico – dice Maria Montessori – “esso assume l’importanza che ha immediatamente dopo la nascita.”484


“Di qui la grande cura che si dovrebbe avere dell’ambiente che circonda il neonato per facilitargliene l’assorbimento, affinché il bambino non sviluppi attitudini di regressione e si senta attratto invece che respinto dal mondo in cui è entrato”485. Le regressioni psichiche sono caratterizzate da “un atteggiamento di rifiuto della vita: sembra quasi che questi esseri rimangano attaccati a qualcosa che esisteva prima della nascita e provino repulsione per il mondo. Lunghe ore di sonno per il neonato si considerano normali ma possono risultare troppo lunghe per essere normali se rivelano un fenomeno di regressione.”486


“Il fatto è – dice Maria Montessori – che nella storia della civiltà esiste una lacuna per la prima epoca della vita; vi è una pagina bianca, dove ancora nessuno scrisse perché nessuno scrutò i primi bisogni dell’uomo”487. “Dappertutto manca ancora la nobiltà necessaria per accogliere degnamente l’uomo che nasce. … Il bambino non è compreso degnamente in nessuna parte del mondo”488. “Il neonato noi non lo sentiamo… Quando arriva nel mondo nostro, non lo sappiamo ricevere.”489 e ci preoccupiamo solo che “non deturpi, non insudici e non infastidisca”490. Che non intralci la nostra vita, che non sconvolga le nostre abitudini, che non limiti la nostra libertà. E invece il neonato arriva proprio per questo: per portare il cambiamento che trasforma, che muove e che ci induce a rivedere programmi, obiettivi e priorità, che ci chiama a eliminare tutto ciò che non serve e a ricercare sempre più ciò che conta davvero: l’essenziale.


La Montessori parlava del neonato come di un “embrione spirituale” introducendo in ambito scientifico concetti tipici della sfera metafisica. Ella considerava il neonato “come uno spirito che si è racchiuso nella carne per venire a vivere nel mondo”491. “L’incarnazione – scriveva – avviene attraverso occulte fatiche: tutto attorno a questo lavoro creativo sta un dramma sconosciuto, che non fu ancora scritto”492. Ed è proprio così, c’è ancora molto da dire sulla fatica del neonato a farsi uomo…


E ancora diceva “questo embrione spirituale ha bisogno di essere protetto da un ambiente esterno animato, caldo d’amore, ricco di nutrimento: dove tutto è fatto per accogliere e niente per ostacolare. Una volta che si sia compresa questa realtà, l’attitudine dell’adulto verso il bambino deve cambiare. … Quel corpicciuolo tenero e grazioso che adoriamo ricolmandolo di cure soltanto fisiche e che è quasi un giocattolo nelle nostre mani, assume un altro aspetto e incute riverenza.”493


Queste parole ci ricordano quelle di Deepak Chopra, grande pensatore e divulgatore della medicina ayurvedica in Occidente: “Il neonato è puro oro spirituale. Avere cura della sua innocenza è il modo di ritrovare il sentiero per la nostra. Quindi, significativamente, è il genitore a porsi ai piedi del figlio appena nato. Il legame spirituale con lui viene dal toccarlo, tenerlo fra le braccia, offrigli sicurezza, giocare con lui e prestargli attenzione. Senza queste risposte ‘primitive’ che arrivano dall’ambiente circostante, l’organismo umano non è in grado di prosperare; languirà e avvizzirà, proprio come un fiore a cui manchi la luce del sole.”494


Maria Montessori precorse i tempi anche per quanto riguarda l’allattamento. La sua biografa Kramer ricorda un episodio in cui la Dottoressa, recatasi in visita a Vienna da una sua allieva che aveva da poco partorito, dopo aver a lungo osservato la bimba nella culla, volle assistere a una poppata. Rimasta inorridita dalla pratica della doppia pesata e dall’interruzione dell’allattamento dopo l’assunzione dei prescritti 80 grammi di latte, disse con tono di rimprovero alla giovane madre: “Non pensi che la bimba sappia quando ha mangiato abbastanza?” e le consigliò di gettare via gli schemi forniti dai pediatri e di seguire piuttosto l’istinto della sua piccolina, anticipando così l’idea dell’allattamento a richiesta.495

La scuola per Assistenti all’Infanzia Montessoriane (AIM)

“Qualcuno dovrà specializzarsi a ricevere il bambino che nasce”496 aveva scritto Maria Montessori ne Il bambino in famiglia. Il suo progetto, la sua sfida venne accolta da una delle sue allieve, Adele Costa Gnocchi, che fondò a Roma sul finire del 1947 la Scuola per Assistenti all’Infanzia Montessoriane, che avrebbe formato personale “esperto nella cura e nella conoscenza globale del bambino da zero a tre anni”497 per oltre un ventennio.


Per far comprendere quanto innovativo fosse il progetto e la visione su cui poggiava, basti ricordare che a un ciclo di conferenze introduttive parteciparono personaggi come Assagioli, fondatore della psicosintesi, e un medico omeopata, Gagliardi.


Ecco come il pediatra Vitetti, al Congresso di San Remo del 1949, spiegò la “mission” della Scuola: “Occorre una figura nuova, che riunisca in sé l’esperienza e la conoscenza delle esigenze organiche del piccolo bambino e quelle del suo sviluppo spirituale; che sia animata d’amore e compresa di rispetto verso questo prodigio della vita, che continuamente si realizza sotto i nostri occhi: sotto gli occhi dell’adulto, così spesso impreparato a comprenderne la grandezza, la bellezza, il valore decisivo per la formazione dell’uomo.”498


Mario Montessori, parlando delle allieve di tale scuola afferma: “Per loro il bambino non è un pezzo di carne insensibile, ma un’anima che ha rinunciato alla sua immensa libertà prima del concepimento per divenire ingabbiata in una stretta prigione di un piccolo corpo… Il loro compito è duplice: da una parte illustrare alla madre la grandezza della nuova anima che ha scelto lei per raggiungere l’incarnazione, spiegarne la situazione e il lavoro che deve fare per raggiungere l’intelligenza e il comportamento umani, e finalmente esporre cosa possiamo fare noi, come adulti, per dare aiuto”499. Questa dovrebbe essere la finalità di ogni corso di accompagnamento alla nascita. Giacché, come scriveva Maria Montessori “La madre deve nutrire contemporaneamente il corpo e l’anima del suo bambino ma l’anima deve avere la precedenza sul corpo”500. Solo così per il bambino “certamente quel giorno verrà in cui il suo spirito sentirà il nostro spirito. Allora egli comincerà a gustare quella delizia suprema che sta nell’adagiarsi in contatto anima ad anima”501. Una sensazione che può essere compresa solo da chi l’ha vissuta e sperimentata di persona: la quintessenza della gioia e della felicità.

Le “montessorine”, come venivano chiamate le giovani allieve della Scuola, si recavano a casa delle mamme in attesa un po’ di tempo prima del parto e le aiutavano a organizzare l’ambiente per il neonato, ad arredare la sua cameretta e a preparare il suo corredino, focalizzando l’attenzione della gestante su ciò che era veramente essenziale per il bambino. Poi, al momento del parto, venivano chiamate e accorrevano in ospedale per seguire e accompagnare la donna durante il travaglio e per accogliere il neonato: anziché le mani frettolose e distratte di un’infermiera questo trovava mani e braccia preparate a sostenerlo e toccarlo con delicatezza e a immergerlo nell’acqua del primo bagnetto con gesti lenti e calibrati.


L’assistente si recava poi a domicilio della neomamma per seguirla nei primi giorni dopo la nascita del bambino, per osservare le prime poppate e sostenere l’allattamento a richiesta (in quei tempi un’azione veramente pionieristica!), per insegnare alla puerpera a interpretare il pianto e le richieste del suo bambino attraverso un’attenta osservazione dei segnali, anche minimi, da lui emessi. Inoltre nella sede della scuola funzionò per alcuni anni una sorta di consultorio familiare in cui si recavano i genitori che avevano problemi con i loro bambini da zero a tre anni. I bambini venivano osservati durante il gioco dalle montessorine mentre Adele Costa Gnocchi parlava con i genitori fornendo loro chiavi d’interpretazione della situazione, che veniva poi riesaminata da tutta l’équipe. A volte si rendeva necessario un periodo anche lungo (una settimana o più) di osservazione a domicilio, volta anche a fornire indicazioni pratiche sulla realizzazione di un ambiente domestico “a misura di bambino”, con angoli di attività che consentissero al piccolo la piena autonomia.


Insomma, si trattava di un’assistenza veramente globale, “olistica” come si direbbe oggi, su più livelli: da quello fisiologico, igienico-nutrizionistico, a quello psichico e spirituale. E anche estesa nel tempo: dalla gravidanza ai primi tre anni di vita del bambino, cioè per tutto il periodo del maternage.


È proprio questo il tipo di sostegno di cui le donne sentono oggi così grandemente il bisogno e nello stesso tempo la mancanza. Perché quando tornano a casa dopo il parto ad aspettarle c’è il vuoto. Il senso di solitudine, dovuto alla mancanza di una rete familiare calorosa e accogliente, è fortissimo, specialmente per le donne immigrate che si trovano improvvisamente prive di punti di riferimento culturali. Ma anche per le donne “native”, il senso di spaesamento è notevole: bombardate dai consigli, spesso contraddittori, di pediatri, amiche, parenti e conoscenti, pressate dalle esigenze familiari e lavorative che le vogliono nuovamente in forma ed efficienti il prima possibile, entrano facilmente in crisi e diventano preda di ansia e depressione.


Ecco perché sarebbe auspicabile rivalutare e riproporre il progetto di Maria Montessori e Adele Costa Gnocchi relativo alla formazione di personale preparato per sostenere la coppia mamma-bambino nel percorso della gravidanza, della nascita e del dopo parto. Si tratta di un progetto d’avanguardia, rivoluzionario e pionieristico che potrebbe risolvere molti degli attuali problemi nell’ambito dell’assistenza alla maternità.


In fondo ciò che occorre è semplicemente ridare alle mamme la fiducia nel proprio istinto di madri, aiutarle a riscoprire la loro innata saggezza e a difenderla dalle interferenze esterne che tentano di minarla e demolirla: esattamente ciò che ha fatto, con la sua opera e il suo lavoro instancabile, Maria Montessori.

Accogliamo dunque con umiltà e fiducia l’invito che Adele Costa Gnocchi rivolgeva alle sue giovani allieve: “Fatevi ambasciatrici del neonato, perché è da lì che bisogna cominciare per un mondo nuovo”502 e mettiamoci al lavoro!

Il promemoria di Adele Costa Gnocchi: 15 punti per l’accoglienza al neonato

  1. Il neonato è sensibilissimo, incompreso e trattato troppo bruscamente.
  2. I suoi bisogni più profondi sono misconosciuti.
  3. I primi giorni della sua vita sono i più importanti.
  4. Enormi sono le differenze tra il mondo intrauterino e il nostro.
  5. Aiutare dolcemente e delicatamente il neonato ad adattarsi ad un ambiente così diverso, significa alleviare la pena di affrontare la sua nuova vita.
  6. Ha bisogno di silenzio, di oscurità, di solitudine con la madre, durante il primo giorno.
  7. Riposo assoluto per la creatura sofferente e stanchissima durante il primo giorno.
  8. Nessun movimento sarà mai abbastanza lento e delicato per lui.
  9. Nessuna stoffa sarà abbastanza morbida per il suo corpo, finora nudo.
  10. Niente può sostituire il calore, la presenza, la chiaroveggenza della madre.
  11. Il latte materno è alimento insostituibile. Esso crea tra madre e figlio comunione e comprensione.
  12. La scoperta e l’osservazione dell’ambiente che il bambino gradualmente è in grado di fare sono alimento psichico insostituibile.
  13. Il bambino non piange solo perché ha fame o freddo; spesso i suoi pianti sono l’espressione di necessità psichiche cui bisogna rispondere.
  14. La noia è il terreno su cui si sviluppa uno stato patologico (regressione di sviluppo).
  15. Ai sensi che si svegliano occorre dare alimento progressivo e sempre rinnovato per nutrire i crescenti interessi.

Equipaggiamento essenziale per il neonato

Ecco che cosa serve a un neonato, oltre alla sua mamma…

  • Camicine di seta
  • Pannolini possibilmente in stoffa almeno per i primi quindici giorni
  • Body e coprifasce aperti davanti
  • Ghettine senza piede
  • Scarpine morbide in lana o cotone
  • Una copertina morbida
  • Un telo morbido per il bagnetto
  • Olio di mandorle e burro di karitè per massaggi e igiene
  • Walnut (fiore di Bach da utilizzare nell’acqua del bagnetto o per massaggi)
  • Forbicine per le unghie con punta arrotondata
  • Una pelle d’agnello
  • Una fascia o marsupio

Libertà e amore
Libertà e amore
Elena Balsamo
L’approccio Montessori per un’educazione secondo natura.ll pensiero Montessori spiegato da una grande scrittrice che è anche medico pediatra: Elena Balsamo, nota esperta in tematiche perinatali e pedagogiche. Per educare un bambino occorre prima di tutto educare se stessi.In Libertà e amore, Elena Balsamo ci conduce in un viaggio attraverso lo spazio e il tempo per riscoprire un nuovo approccio al bambino, dalla vita prenatale all’età evolutiva, prendendo spunto dalla visione di Maria Montessori, donna straordinaria che ha dato vita a un sistema educativo a dir poco rivoluzionario, diffuso in ogni parte del mondo.Scriveva Maria Montessori che i capricci e le disobbedienze del bambino non sono altro che aspetti di un conflitto vitale fra l’impulso creatore e l’amore verso l’adulto, che però non lo comprende.C’è quindi un grosso fraintendimento sulle aspettative dei genitori e degli insegnanti nei confronti dei bambini, che comincia dalla nascita e si manifesta con il confondere il bambino reale con il bambino ideale, esistente soltanto nella mente e nella fantasia degli adulti.Il prezzo da pagare è la perdita dell’autenticità, della libertà, della vera natura del bambino stesso.La scuola montessoriana consiste in un vero e proprio laboratorio creativo nel quale, in un ambiente ricco di amore, rispetto e autentica libertà di scelta, le capacità intellettuali e manuali sono libere di svilupparsi in tutta la loro forza e bellezza.Quello di Maria Montessori non è però solo un metodo educativo, ma molto di più: è un modo di guardare il mondo e gli esseri che lo abitano con gentilezza e amore, nella consapevolezza che siamo tutti parte dello stesso ecosistema.Una nuova chiave di lettura per reinventare la relazione con i nostri figli e i nostri alunni, secondo natura. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.