capitolo vii

Incoraggiare con efficacia

I tuoi occhi si illuminano quando entrano nella stanza?

Toni Morrison

Se un bambino venisse da voi e vi dicesse con innocenza: «Sono un bambino, e voglio solo appartenere», vi arrabbiereste con lui e lo mortifichereste? Certo che no! Ciò che la maggior parte degli adulti non comprende è che ogni bambino che si comporta male sta dicendo inconsciamente: «Voglio solo appartenere, e ho delle idee sbagliate su come riuscirci». Naturalmente, questo messaggio è espresso in codice. Gli adulti sono più incoraggianti nei confronti dei bambini quando imparano a capire il “codice del comportamento scorretto”.


Come discusso nel quarto capitolo, i bambini che si comportano male sono bambini scoraggiati. Il loro comportamento scorretto vi comunica che non provano un senso di appartenenza e rilevanza, e hanno una convinzione sbagliata su come ottenerlo. Riuscirete meglio a riorientare il comportamento scorretto verso una direzione positiva quando vi ricorderete che dietro a quest’ultimo c’è una convinzione che scoraggia il bambino.


Dreikurs sottolineava l’importanza dell’incoraggiamento, e sosteneva che fosse la competenza più importante che gli adulti potessero acquisire per aiutare i bambini. Diceva spesso: «I bambini hanno bisogno di incoraggiamento, proprio come le piante hanno bisogno di acqua. Non possono sopravvivere senza». Con questa premessa, risulta ovvio che il modo migliore per aiutare un bambino che si comporta male è l’incoraggiamento. Quando si elimina lo scoraggiamento, sparisce anche il motivo per il comportamento scorretto. Nonostante ciò, non è facile avere questo atteggiamento nei confronti di un bambino che si comporta male, e molti adulti non sanno nemmeno da che parte cominciare.


Talora incoraggiare è difficile perché agli adulti viene automatico reagire in modo negativo al comportamento scorretto, anziché affrontare il messaggio che vi si nasconde dietro, motivando il bambino a comportarsi meglio. Un’altra ragione che rende difficile l’incoraggiamento è che moltissimi adulti sono permeati dal concetto secondo cui la punizione motivi i bambini a migliorare la condotta. La gran parte dei genitori e degli insegnanti che credono nell’efficacia delle punizioni non ne prende in considerazione i risultati negativi a lungo termine. Anche coloro che invece lo hanno fatto, e hanno ammesso che non sono una buona cosa, continuano a tenersi stretta la loro convinzione.


Può essere incoraggiante sapere che questa “trappola” è normale. Tutti abbiamo dei “pulsanti”, e i bambini sanno come premerli. Quando succede, sembriamo tornare al nostro cervello primitivo rettiliano. Non “mangiamo” i nostri piccoli, ma di sicuro, quando siamo arrabbiati e reagiamo, rosicchiamo un po’ del loro senso di appartenenza e rilevanza. Durante un conflitto tanto gli adulti quanto i bambini tendono a reagire in modo irrazionale. Per forza che nessuno ascolta. Non è certo questo il momento giusto per insegnare qualcosa di costruttivo, eppure spesso è quello in cui gli adulti pensano di dover affrontare il conflitto. Se non lo fanno, stanno “lasciando che il bambino la faccia franca”. Questo è solo uno dei motivi per adottare la tecnica del Time-out Positivo, così adulti e bambini possono calmarsi e sentirsi a proprio agio (e accedere al loro cervello razionale) prima di cercare di risolvere un problema.


Anche quando gli adulti sono tranquilli, l’incoraggiamento sembra sì un’idea molto bella ma piuttosto vaga, se non sanno che aspetto abbia. L’incoraggiamento è il punto centrale di questo libro; ogni metodo discusso è pensato per aiutare i bambini e gli adulti a sentirsi incoraggiati. L’incoraggiamento offre ai bambini l’opportunità di sviluppare queste convinzioni: «Sono capace, posso dare un contributo, e posso influenzare ciò che mi succede o il modo in cui reagisco». L’incoraggiamento è insegnare ai bambini le competenze e la responsabilità sociale di cui hanno bisogno per avere successo nella vita e nelle relazioni. Può essere un semplice abbraccio che aiuti i bambini a sentirsi meglio e quindi a comportarsi meglio.


Molti anni fa ho deciso di mettere alla prova questa teoria. Mio figlio di due anni stava frignando, e io mi ero innervosita così tanto che avrei voluto sculacciarlo. Invece, ricordando il concetto di incoraggiamento, mi sono inginocchiata, l’ho abbracciato e gli ho detto quanto gli volevo bene. Non solo ha smesso di piagnucolare e lamentarsi, ma il mio fastidio è magicamente svanito non appena mi sono ricordata del messaggio dietro al suo comportamento e mi sono presa qualche minuto per fare qualcosa di incoraggiante, piuttosto che punirlo.


Purtroppo, l’incoraggiamento non è sempre semplice come può sembrare in questo esempio. Ci sono tre ragioni principali:

  1. Gli adulti hanno difficoltà a ricordare che un bambino che si comporta male sta dicendo: «Voglio solo appartenere».

  2. Pur essendo di solito molto bravi a impartire punizioni, gli adulti hanno poca dimestichezza con l’incoraggiamento.

  3. Al momento del conflitto, i bambini non sono sempre pronti a essere incoraggiati.


Il tempismo

Nell’esempio precedente mio figlio aveva accolto il mio incoraggiamento mentre stava piagnucolando. A volte, però, l’incoraggiamento viene accettato volentieri solo dopo un periodo per recuperare la calma. Durante il conflitto, soprattutto se l’obiettivo sbagliato è il potere o la vendetta, è possibile che tanto gli adulti quanto i bambini siano troppo arrabbiati per offrire o ricevere incoraggiamento. Per questo motivo, ritirarsi con calma (con un Time-out Positivo per voi, per il bambino o per entrambi) è spesso la cosa più efficace da fare al momento del conflitto. Se però non potete ignorare il comportamento che causa il conflitto finché entrambi non vi siete calmati, almeno esprimete in prima persona i vostri sentimenti e le vostre intenzioni (io mi sento…, io ho deciso di…), invece di fare commenti offensivi o di biasimo.

Gli adulti possono ritirarsi dal conflitto dicendo: «Penso che siamo tutti e due troppo arrabbiati per discutere ora del problema, ma vorrei stare un po’ insieme con te quando saremo calmi». Questo è particolarmente efficace se avete discusso il concetto di Time-out Positivo per ritrovare la calma, durante una riunione di classe, e se i vostri alunni hanno collaborato a crearne un’area apposita in classe. Se organizzate regolarmente riunioni di classe o di famiglia, potreste offrire una scelta: «Preferisci appuntare tu questo problema nel programma della riunione, o lo faccio io?». Un’altra scelta potrebbe essere: «Cosa ti aiuterebbe di più in questo momento? Fare un po’ di Time-out Positivo o appuntare questo problema nel programma in modo da risolverlo più tardi?».


Se non avete risultati positivi con l’incoraggiamento, può darsi che abbiate scelto il momento sbagliato. Riconoscere l’importanza di un periodo per ritrovare la calma vi aiuterà ad avere successo.

Il rispetto reciproco

Il rispetto reciproco prevede atteggiamenti di (a) fiducia nelle capacità proprie e degli altri; (b) interesse verso il punto di vista altrui così come verso il proprio; e (c) disponibilità ad assumersi la responsabilità e a riconoscere il proprio contributo al problema. Il modo migliore per insegnare ai bambini questi atteggiamenti è dare l’esempio. Vedrete come i concetti di tempismo e di collaborazione vincente possono fondersi con il concetto di rispetto reciproco.


Jason, un alunno di quinta elementare in classe con il maestro Bradshaw, durante le lezioni spesso perdeva la pazienza ed esprimeva ad alta voce la sua ostilità verso gli altri, compreso l’insegnante. Il maestro aveva provato diverse forme di punizione, che sembravano solo peggiorare le scenate di Jason. Aveva provato a spedirlo dal preside. Aveva tenuto Jason a scuola oltre l’orario a scrivere cinquecento volte che doveva controllare la propria rabbia. Da ultimo, aveva provato a farlo uscire dall’aula e sedersi fuori su una panchina finché non si fosse calmato. Uscendo, Jason sbatteva la porta. A volte, saltava su e giù davanti alla finestra, facendo boccacce. Quando tornava in classe, il suo comportamento era aggressivo, e dopo poco aveva un’altra esplosione di rabbia.


L’insegnante decise di provare a incoraggiarlo, tenendo presenti i concetti di tempismo, conquista della collaborazione e rispetto reciproco. All’inizio chiese a Jason di fermarsi in classe dopo le lezioni, in modo da restare soli. Quando Jason fu da Bradshaw, trovò un insegnante molto più amichevole. In primo luogo, il maestro lo ringraziò per avergli dedicato del tempo prezioso rimanendo dopo la scuola. Poi gli disse che gli sarebbe piaciuto molto cercare di risolvere insieme la situazione, in modo che entrambi fossero d’accordo. Ammise la sua parte del problema riconoscendo che, per quanto lo facesse arrabbiare il fatto che Jason disturbasse in classe, era stato offensivo punirlo nel tentativo inutile di motivare l’alunno a comportarsi meglio. L’insegnante continuò la conversazione dicendo a Jason che non voleva più punirlo, e che aveva bisogno del suo aiuto. Chiese a Jason se sarebbe stato disposto a cercare una soluzione con lui.


Jason non era ancora disposto a collaborare, e si mostrò ostile sostenendo che non era colpa sua se gli altri bambini lo facevano infuriare così tanto (ricordate, potrebbe volerci un po’ di tempo prima che i bambini si fidino di noi quando cambiamo comportamento). Bradshaw disse che capiva ciò che provava, perché a volte anche a lui capitava di arrabbiarsi a causa degli altri. Jason ne fu incuriosito e guardò il maestro con uno sguardo di sorpresa e sollievo. L’insegnante poi proseguì dicendogli che sapeva di certe reazioni del corpo quando si arrabbiava: gli veniva un nodo allo stomaco e gli si irrigidivano le spalle. Domandò a Jason se si era accorto di cosa succedesse a lui, ma l’alunno non riuscì a pensare a nulla. Bradshaw gli chiese poi se sarebbe stato disposto a fare un esperimento, e a prestare attenzione a ciò che accadeva al suo corpo la prossima volta che avesse perso le staffe. Jason accettò. Maestro e alunno decisero di ritrovarsi dopo la scuola la volta successiva che Jason si fosse di nuovo infuriato, per condividere ciò che aveva scoperto.


Passarono cinque giorni prima che Jason avesse un’altra esplosione di rabbia in classe: per lui era un record. È possibile che provasse un senso di appartenenza e rilevanza solo perché il maestro aveva dedicato del tempo a conversare con lui in modo amichevole e gentile. Per un po’ non sentì il bisogno di cercare il senso di appartenenza attraverso un cattivo comportamento. Questa situazione tuttavia non durò per sempre.


La volta successiva che Jason ebbe una crisi di rabbia il maestro appoggiò delicatamente la mano sulla sua spalla e gli disse: «Jason, ti sei accorto di cosa sta succedendo al tuo corpo proprio ora?». Quella domanda interruppe l’esplosione di Jason, invitandolo a pensare. L’insegnante aggiunse, con interesse ed entusiasmo: «Vieni a trovarmi dopo la scuola e fammi sapere».


Quando Jason parlò con il maestro dopo la scuola, gli disse di aver notato che, quando si arrabbiava, stringeva i pugni e i denti. Bradshaw chiese a Jason se la volta successiva sarebbe stato disposto a fermarsi in tempo e assumersi la responsabilità del proprio comportamento uscendo dall’aula per un po’ di Time-out Positivo, finché non si fosse calmato. Il maestro aggiunse che non avrebbe dovuto chiedere il permesso, perché sapeva cosa stava facendo Jason, e poi perché confidava che il bambino fosse in grado di gestire da solo la situazione. L’insegnante poi gli domandò cosa avrebbe fatto per sentirsi meglio mentre si trovava fuori dalla classe.


Jason rispose: «Non so».


Bradshaw disse: «Che ne dici di contare fino a dieci o cento, oppure pensare a cose piacevoli, o semplicemente apprezzare la bella giornata?».


Jason rispose: «Va bene».


Ancora una volta, passarono cinque o sei giorni prima che Jason si arrabbiasse. Ancora una volta, discutere il problema con rispetto lo incoraggiò. Ancora una volta, l’incoraggiamento non durò per sempre. La settimana seguente Jason uscì tre volte dall’aula, rimanendo fuori per quattro o cinque minuti prima di tornare in classe, notevolmente più tranquillo. Ogni volta, il maestro alzava il pollice e gli strizzava l’occhio, come riconoscimento del suo comportamento responsabile. Bradshaw non sapeva cosa facesse Jason per calmarsi, ma apprezzava che non facesse le boccacce dalla finestra. Jason continuò ad assumersi la responsabilità della sua rabbia uscendo dalla classe quattro o cinque volte alla settimana. Tre settimane dopo perse la calma e urlò contro un compagno di classe, dimenticandosi di uscire a calmarsi.


Il signor Bradshaw gli parlò durante la pausa pranzo, e gli fece i complimenti per i suoi progressi. Gli disse anche che tutti commettono errori quando imparano, e gli domandò se fosse disposto a continuare a impegnarsi per migliorare. Jason accettò. Bradshaw raccontò che per il resto dell’anno Jason era uscito dalla classe alcune volte, ma aveva avuto pochissime esplosioni di rabbia. Quando Jason tornava in aula dopo essersi calmato, il maestro gli faceva sempre l’occhiolino e un sorriso. Jason non è diventato perfetto, ma è migliorato in modo significativo. Durante una riunione degli insegnanti, questo è stato il resoconto di Bradshaw: «Jason si infuriava più volte al giorno. Ora, perde il controllo una o due volte al mese. Mi va bene così». Era particolarmente soddisfatto che la relazione con il suo alunno fosse migliorata.

Miglioramento, non perfezione

L’esempio precedente illustra anche il concetto dell’impegno per un miglioramento, invece che aspettarsi la perfezione. La perfezione è un’aspettativa irrealistica e scoraggiante per chi pensa di doverla raggiungere. I bambini preferiscono non tentare affatto piuttosto che sentirsi regolarmente scoraggiati perché non sono all’altezza delle aspettative di un adulto – o delle proprie. La ricerca del miglioramento è incoraggiante e fa sì che i bambini continuino a impegnarsi.


La signora Bradley si sentiva scoraggiata perché suo figlio Alberto si stava mettendo nei guai a scuola. Il suo insegnante lo puniva facendogli ricopiare una frase cinquanta volte ogni volta che si comportava male. Alberto si rifiutava di farlo, così il suo maestro raddoppiava la punizione. La signora Bradley era preoccupata che Alberto diventasse un delinquente, così iniziò a fargli la predica e rimproverarlo: ora Alberto veniva punito a casa e a scuola. Di conseguenza iniziò a ribellarsi ancora di più, comportandosi come se non gli importasse più nulla, e a odiare la scuola. Alla fine la madre chiese un colloquio con l’insegnante, durante il quale domandò al maestro in che percentuale il comportamento di Alberto fosse “cattivo”. Il maestro rispose: «Circa il quindici per cento». La signora si stupì che Alberto venisse ritenuto così indisciplinato (il che influenzava la sua condotta) perché veniva prestata più attenzione al 15 per cento di comportamento scorretto che all’85 per cento di buona condotta.


La signora Bradley faceva parte di un gruppo di studio di genitori, e raccontò al maestro alcune cose che stava imparando. L’insegnante di Alberto si dimostrò molto interessato alle soluzioni non punitive. Insieme, decisero di sviluppare un piano positivo per il lavoro con il bambino. Durante un altro colloquio, in presenza di Alberto, tutti e tre stabilirono che, quando lui avesse disturbato o mancato di rispetto in classe, avrebbe rimediato facendo qualcosa di utile: per esempio, svolgendo alcuni lavoretti per l’insegnante, aiutando un compagno in difficoltà, o insegnando una parte di lezione. Il comportamento scorretto di Alberto fu riorientato verso un comportamento collaborativo. Da quel giorno ebbe pochissimi problemi di condotta. Il suo insegnante iniziò a organizzare riunioni di classe, così che i problemi venissero risolti da tutti gli alunni.


La punizione incoraggia la ribellione, ed è molto scoraggiante per il bambino, il genitore e l’insegnante. Quando gli adulti usano il rispetto reciproco, si concentrano sulla risoluzione dei problemi e l’incoraggiamento, i bambini sentono di appartenere e sviluppano un comportamento responsabile.

Costruire sui punti di forza, non sulle debolezze

Come mostra il grafico seguente, il vostro bambino (o alunno) può avere punti di forza per l’85% e debolezze per il 15%, ma su cosa si concentrano la maggior parte dei genitori e degli insegnanti?


Quando dedichiamo l’85% del nostro tempo ed energie concentrandoci sul 15% negativo, questo crescerà sempre di più e il positivo scomparirà. Ciò che vediamo è ciò che otteniamo. Al contrario, se concentriamo l’85% del tempo a riconoscere e incoraggiare la parte positiva, non ci vorrà molto prima che il negativo scompaia e il positivo cresca al 100%, perché vediamo solo quello. Concentrarsi sul positivo è incoraggiante per voi stessi e per gli altri.

Riorientare il comportamento scorretto

Cercate i punti di forza nel comportamento di ogni bambino. I bambini turbolenti spesso hanno buone capacità di leadership. Se riuscite a rendervene conto, non sarà troppo difficile lavorare con loro e aiutarli a riorientare il loro comportamento in senso collaborativo. Il programma di consulenza tra pari descritto nell’Appendice II si basa proprio su questo concetto. Gli insegnanti lo consigliano agli studenti che usano le loro capacità di leadership per disturbare. A questi studenti è stato insegnato come diventare un “compagno consigliere” e hanno usato le loro capacità di leadership per aiutare gli altri.


Una maestra della scuola materna ha imparato a riorientare i comportamenti scorretti, e ha messo in pratica questo concetto molte volte. Debbie, dopo aver pitturato e giocato con la plastilina, non voleva mettere a posto né pulire: l’insegnante l’ha incaricata di insegnare agli altri alunni cosa fare. Sean rovesciava sempre le costruzioni degli altri bambini: la maestra lo ha nominato responsabile delle costruzioni. Il suo compito era quello di insegnare agli altri bambini come collaborare quando giocavano con le costruzioni, e di dare una mano quando era il momento di raccoglierle.

Rimediare

Questo concetto è molto vicino a quello del riorientamento, ma coinvolge in maggiore misura i bambini nel processo di risoluzione dei problemi. Quando fanno qualcosa di irresponsabile o offensivo, si può dare loro la possibilità di rimediare facendo qualcosa che farà sentire meglio la persona offesa. Quando Alberto si comportava male rendeva più difficile il lavoro dell’insegnante. Gli è stata data la possibilità di rimediare facilitando il lavoro dell’insegnante. Se l’atteggiamento dell’adulto è punitivo il metodo non funziona, mentre è molto efficace quando è amichevole e rispettoso, e quando il bambino è coinvolto nel decidere su come rimediare.


Judy e Linda avevano lanciato le arance sulla macchina di un vicino di casa. La madre quindi le coinvolse in una discussione, ponendo loro domande di approfondimento in modo amichevole. Innanzitutto, mostrò empatia: «Vi deve essere sembrato eccitante e divertente lanciare arance sulla macchina del signor Siebert, ma scommetto che non avete pensato a come si sarebbe sentito vedendo cosa avete combinato alla sua auto».


Entrambe le bambine si sentirono un po’ in colpa.


La madre continuò: «Come pensate che si sia sentito? Cosa provereste se qualcuno facesse la stessa cosa alla vostra macchina?».


Le sorelline ammisero che sarebbero state dispiaciute.


La mamma poi chiese: «Cosa pensate di poter fare per farvi perdonare dal signor Siebert?».


Le bambine fecero spallucce, dicendo che non avevano idee.


La mamma insistette «Ragazze, non si tratta di mettervi nei guai. Tutti commettiamo errori. Si tratta di imparare dai nostri sbagli e fare tutto il possibile per rimediare. Siete brave a risolvere i problemi. Cosa vi farebbe sentire meglio se qualcuno avesse lanciato arance alla vostra auto?»


Linda disse: «Credo che vorrei che chiedesse scusa».


La mamma disse: «Qualcos’altro?».


Judy propose: «Vorrei che lavasse la mia auto».


La mamma esclamò: «Mi sembrano idee eccellenti. Sareste disposte a metterle in pratica per il signor Siebert?»


Le bambine, un po’ riluttanti, furono però d’accordo che sarebbe stata la cosa giusta da fare.


La mamma le incoraggiò: «So che è difficile, ma sono sicura che vi sentirete meglio, dopo. Volete che venga con voi, o volete parlare con il signor Siebert da sole?».


Le figlie decisero di parlagli da sole.


Judy e Linda furono fortunate: il signor Siebert apprezzò il loro gesto. Riconobbe che erano state coraggiose ad ammettere il loro errore e a cercare di rimediare. Se avesse brontolato, la mamma le avrebbe comunque aiutate a rimediare all’errore. Anche se il vicino non fosse stato gentile nell’accettare le scuse, Linda e Judy avrebbero comunque imparato a riflettere di più sulle conseguenze delle loro scelte.


Cinque bambini di una scuola elementare furono sorpresi a scrivere sulle porte delle aule. Il bidello accettò di farsi aiutare dagli alunni a ridipingere le porte. Il suo atteggiamento fu così rispettoso che rese i ragazzi orgogliosi del loro lavoro e li spinse a scoraggiare il vandalismo degli altri bambini.


Rimediare è incoraggiante per tre motivi. In primo luogo perché insegna la responsabilità sociale: i bambini si sentono meglio con se stessi quando aiutano gli altri; inoltre perché, se l’intenzione non è punitiva, essi sperimentano l’opportunità di imparare dai loro errori e di correggere i problemi che ne derivano; come terzo punto, perché imparano che possono essere responsabili del loro comportamento senza temere biasimo, vergogna e dolore.


È triste che alcuni adulti ritengano più importante che i bambini provino biasimo, vergogna e dolore per quello che hanno fatto, piuttosto che rimedino e sperimentino l’incoraggiamento che li motiva ad abbandonare il comportamento scorretto. In realtà, la maggior parte di questi adulti crede erroneamente che aiutare un bambino a sentirsi meglio premi il comportamento scorretto e incoraggi ulteriori trasgressioni. È importante notare che i bambini non “la fanno franca” quando sono incoraggiati a rimediare; al contrario, imparano a essere responsabili, mantenendo intatti dignità e rispetto.

Evitare la pressione sociale

Quando gli adulti sentono pressione sociale, può essere difficile per loro usare strategie efficaci con i bambini. Quando amici, vicini, parenti, o educatori osservano come interagite con i bambini che si comportano male, potreste avere l’impressione di essere giudicato, in quanto genitore o insegnante, in base a come gestite la situazione. In circostanza simili è facile sentirsi sotto pressione e pensare che questi osservatori si aspettino da voi un’immediata perfezione. Per soddisfarli potreste essere tentati di usare le punizioni, dato che queste sembrano dare i risultati più rapidi.


Ci vuole molto coraggio per pensare in modo chiaro quando si avverte pressione sociale, e per fare ciò che darà i risultati più efficaci. Un’estate andammo a fare un’escursione con amici. Nostro figlio di dieci anni, Mark, fu davvero bravo, e portò il suo zaino per ben sei miglia lungo il canyon. Mentre ci preparavamo per il lungo e ripido viaggio di ritorno, Mark si lamentava di quanto fosse scomodo lo zaino. Suo padre commentò scherzosamente: «Dài che ce la fai. Sei il figlio di un marine».


Lo zaino gli faceva troppo male per trovare quella battuta divertente, ma Mark iniziò comunque la salita. Dopo pochi passi, sentimmo il suo zaino rotolare giù per il pendio davanti noi. Pensai che fosse caduto e gli chiesi, preoccupata, cosa fosse successo. Mark gridò con rabbia: «Niente! Mi faceva male!» e continuò la salita senza lo zaino. Tutti gli altri lo osservavano con sorpresa. Un adulto si offrì di portare lo zaino al posto suo. Mi sentivo molto imbarazzata – e avvertivo l’ulteriore pressione sociale per aver scritto un libro sulla Disciplina Positiva.


Zittii rapidamente il mio ego e mi ricordai la cosa più importante: trovare una soluzione che aiutasse Mark a sentirsi incoraggiato e responsabile. Per prima cosa, chiesi al resto del gruppo di continuare con la salita, in modo da poter gestire il problema in privato. Facemmo poi ricorso ai Quattro Passi per Conquistare la Collaborazione, descritti nel secondo capitolo.


Dissi a Mark: «Scommetto che ti sei arrabbiato perché non ti abbiamo dato retta quando hai provato a dirci che lo zaino ti faceva male, prima ancora di iniziare la salita».


Mark rispose: «Sì, e non lo porto».


Gli dissi che non lo biasimavo e che, in una circostanza simile, mi sarei sentita esattamente allo stesso modo.


Suo padre si scusò e gli chiese un’altra possibilità per risolvere il problema.


La rabbia di Mark si dissipò subito: ora era pronto a collaborare. Lui e il padre trovarono il modo di imbottire con la sua giacca il punto in cui lo zaino gli dava fastidio. Mark lo portò per il resto del percorso, con pochissime, lievi lamentele.


Quando vi sentite sotto pressione sociale, allontanatevi dagli osservatori. Andate via voi, o chiedete con gentilezza agli altri in modo che possiate risolvere il problema in privato.

Programmare un momento speciale

Una delle cose più incoraggianti che i genitori possono fare per i loro figli è trascorrere con loro momenti speciali regolari e programmati. Forse passate già molto tempo con i vostri figli. Tuttavia, c’è una differenza tra il “momento dei doveri”, il “momento dello svago” e il “momento speciale programmato”.


I bambini sotto i due anni hanno bisogno di molto tempo e non sono abbastanza grandi per comprendere il “momento speciale”. Finché possono godersi la vostra compagnia, il momento speciale programmato non è necessario. Tra i due e i sei anni, i bambini devono poter contare su almeno dieci minuti al giorno. Anche se un tempo più lungo è meglio, sarete sorpresi di quanto possano essere magici anche solo quei dieci minuti ritagliati dalla vostra agenda zeppa di impegni.


Dai sei ai dodici anni, i bambini possono non aver bisogno di un momento speciale quotidiano (valutate voi), ma sono felici di poter contare su almeno mezz’ora ogni settimana. L’orario e la quantità di tempo sono diversi per ogni famiglia: può essere una chiacchierata con latte e biscotti dopo la scuola, o un’ora ogni sabato. L’importante è che i bambini sappiano esattamente quando possono contare sul tempo riservato solo a loro.


Ci sono diverse ragioni per cui il momento speciale è così incoraggiante:

  1. I bambini provano un senso di appartenenza e rilevanza quando possono contare sul momento speciale con voi, perché si sentono importanti per voi.

  2. Il momento speciale programmato vi ricorda perché avete avuto dei figli: per goderveli.

  3. Quando siete occupati e i bambini vogliono la vostra attenzione, per loro è più facile accettare che non avete tempo quando dite: «Tesoro, non posso ora, ma ti assicuro che non vedo l’ora di passare con te il nostro momento speciale alle quattro e mezza».


Pianificate il momento speciale con i vostri figli. Riflettete insieme e fate un elenco di cose che vorreste fare in quel momento. La prima volta, non criticate né eliminate le proposte della lista. Potrete rivederla insieme più tardi, e decidere le priorità. Se alcune voci sono troppo costose, mettetele in un elenco di cose per cui risparmiare. Se l’elenco contiene cose che richiedono più tempo dei dieci o trenta minuti che avete programmato per il momento speciale, mettete questi elementi in un calendario per momenti di svago più lunghi in famiglia.


Suggerisco spesso che i genitori stacchino il telefono per sottolineare che questo è un momento speciale e senza interruzioni. Nondimeno, una madre lasciava il telefono connesso durante il suo momento speciale con la figlia di tre anni. Se il telefono squillava, lei rispondeva e diceva: «Mi dispiace, non posso parlare ora. Questo è il mio momento speciale con Lori». Lori sorrideva mentre sentiva sua madre dire agli altri quanto fosse importante passare del tempo con lei.


Gli insegnanti possono essere sorpresi dell’efficacia di passare due o tre minuti dopo la scuola con un bambino senza parlare dei suoi problemi. Gli insegnanti possono invece porre domande come: «Qual è la cosa che preferisci fare per divertirti?», e poi dare la propria, di risposta. Gli alunni si sentono molto speciali quando un insegnante condivide con loro informazioni personali. Molti insegnanti hanno riferito che passare anche solo qualche minuto dopo la scuola con un bambino per un momento speciale lo aiutava a sentirsi abbastanza incoraggiato da smettere di trasgredire alle regole, anche se il comportamento scorretto non veniva menzionato.


La maestra Petersen era preoccupata per una sua alunna, il cui obiettivo sbagliato era il potere. Debbie spesso si rifiutava di svolgere gli esercizi, e si dimostrava apertamente ostile con smorfie e occhiatacce. Un giorno, la Petersen chiese a Debbie di rimanere dopo la scuola. Debbie si fermò, pronta allo scontro. La maestra non menzionò alcun problema di condotta; le chiese invece la cosa più divertente che avesse fatto la sera prima. Debbie non voleva rispondere. L’insegnante pensò: «Non sta funzionando» ma continuò: «Be’, ti voglio raccontare cos’ho fatto di bello io, ieri sera». Raccontò qualcosa che aveva fatto con la sua famiglia la sera prima. Debbie si rifiutava ancora di rispondere. Allora la maestra le disse che poteva andare a casa, ma che le sarebbe piaciuto sapere cosa la bambina avesse fatto di bello, ogni volta che lei si fosse sentita di condividerlo.


La signora Petersen era scoraggiata; pensava che l’incontro non fosse stato molto utile. Il giorno successivo, però, notò che Debbie non era più di malumore e non mostrava alcuna ostilità. Dopo la scuola, Debbie le mostrò un disegno di se stessa e di un’amica in bicicletta e spiegò che questa era la cosa più divertente che aveva fatto la sera prima. La maestra allora raccontò un’altra attività piacevole che lei aveva fatto.


Se lo si analizza, si capisce perché anche un incontro così breve può avere risultati così significativi. In primo luogo, il bambino si sente oggetto di attenzione speciale: all’inizio può rifiutarla perché sospetta che possa trattarsi di un’altra occasione per venire incolpato e rimproverato. In secondo luogo, il bambino si imbatte in un imprevisto, quando l’insegnante non menziona i problemi di condotta. In terzo luogo, gli adulti spesso mostrano interesse per le esperienze che i bambini raccontano, ma non dimostrano rispetto reciproco condividendo le proprie esperienze. Un bambino può provare un maggior senso di appartenenza e rilevanza quando l’adulto condivide qualcosa di sé.


Suggerisco agli insegnanti di trascorrere qualche minuto di momento speciale con ogni alunno durante l’anno. Iniziate con i bambini che sembrano più scoraggiati, ma assicuratevi di non trascurare nessuno. Molti educatori si lamentano del fatto che non hanno tempo per i momenti speciali. È vero che gli insegnanti sentono molto la pressione di aiutare gli studenti a superare i compiti in classe. Tuttavia, quelli che capiscono che l’incoraggiamento è tanto importante quanto i risultati scolastici, se non di più, riescono a trovare qualche minuto di momento speciale mentre i bambini stanno lavorando al banco, durante l’intervallo o dopo la scuola.


I genitori possono applicare il concetto di momento speciale come parte della routine della nanna (anche se quest’ultima non dovrebbe sostituire il momento speciale diurno). Quando la signora Bruner metteva i suoi figli a letto, chiedeva loro di raccontare prima la cosa più triste che era successa loro durante il giorno, e poi la più bella. Poi lo faceva anche lei. All’inizio i figli la presero come un’occasione per lamentarsi esageratamente delle cose tristi, e a volte finivano in lacrime. La mamma aspettava pazientemente che si calmassero, e poi diceva: «Sono contenta che tu abbia condiviso i tuoi sentimenti con me. Domani, quando non ti sentirai così turbato, ne parleremo ancora un po’ per vedere di trovare delle soluzioni. Ora, dimmi la cosa più bella che ti è successa». Se il bambino non riusciva a pensare a una cosa bella, la mamma condivideva la sua. Dopo essersi abituati a questa routine, i bambini raccontavano le cose tristi in modo oggettivo, e poi proponevano soluzioni o modi per evitare un problema simile in futuro. Dopo poco iniziarono a preferire la condivisione delle cose felici più di quelle tristi.

Incoraggiamento o lodi

Per molti anni c’è stato un movimento culturale secondo il quale le lodi aiutavano i bambini ad acquisire un concetto positivo di sé e a migliorare il loro comportamento. Questo è un altro di quei momenti in cui dobbiamo “diffidare di ciò che funziona”. Le lodi possono spingere alcuni bambini a comportarsi meglio, ma il rischio è che sviluppino una dipendenza da approvazione: è possibile che questi bambini (e più tardi questi adulti) sviluppino un concetto di sé del tutto dipendente dalle opinioni altrui. Altri bambini invece possono provare risentimento e ribellarsi alle lodi, perché non vogliono soddisfare le aspettative degli altri, oppure perché temono di non poter competere con chi viene elogiato con facilità. Anche se le lodi possono sembrare efficaci, dobbiamo considerare l’effetto a lungo termine che, nel caso dell’incoraggiamento, è la fiducia in se stessi e in quello della lode è la dipendenza dagli altri.


Come discusso in precedenza, un altro errore degli adulti è l’idea di poter “dare” l’autostima a un bambino. L’autostima non può essere data o ricevuta, ma si sviluppa attraverso il senso di capacità e la fiducia in se stessi, a loro volta acquisite superando le delusioni, risolvendo i problemi e avendo la possibilità di imparare dagli errori. Per un incoraggiamento efficace, è necessario che gli adulti siano gentili, interessati al punto di vista dei bambini e desiderosi di offrire loro l’opportunità di sviluppare competenze sociali che li portino a un’autostima indipendente dalle opinioni negative degli altri. Di seguito sono descritte alcune caratteristiche dell’approccio basato sulle lodi e di quello basato sull’incoraggiamento.


Le differenze tra incoraggiamento e lodi possono essere difficili da cogliere per chi crede nell’efficacia di queste ultime e ne ha visto i risultati immediati. Questi adulti hanno visto i bambini rispondere alle lodi con sorrisi raggianti. Tuttavia, non pensano agli effetti a lungo termine della dipendenza dalle opinioni altrui e anche coloro che vogliono passare dalle lodi all’incoraggiamento trovano imbarazzante fermarsi a riflettere prima di fare affermazioni ormai entrate nell’abitudine.


Quando ci si chiede se i commenti fatti ai bambini siano lodi o incoraggiamenti, può essere utile tenere a mente le seguenti domande:

  • Sto incoraggiando l’autovalutazione o la dipendenza dalle opinioni degli altri?

  • Sono rispettoso o condiscendente?

  • Vedo il punto di vista del bambino o solo il mio?

  • Farei questo commento a un amico?

Trovo l’ultima domanda particolarmente utile. I commenti che facciamo agli amici di solito corrispondono ai criteri di incoraggiamento.

Differenze tra lode e incoraggiamento1

Incoraggiamento o critica

È un errore pensare che il modo migliore per aiutare i bambini a fare meglio sia criticare ciò che fanno male. Molti sostengono che le critiche costruttive siano utili. Sid Simon definiva la critica costruttiva con una bella espressione: crudezza costrittiva. Se ci riflettete, la critica costruttiva è un ossimoro. Costruire significa erigere, criticare significa abbattere. Questo non significa che non si debbano indicare ai bambini gli spazi di miglioramento; significa che non bisogna farli sentire peggio affinché si comportino meglio. Un modo efficace per discutere le aree in cui migliorare è chiedere al bambino: «In quali aree pensi di essere bravo? In quali aree pensi di dover migliorare?». Il bambino di solito lo sa da sé, ed è meglio quando riconosce da solo il bisogno di migliorare. Chiedetegli: «Come vorresti migliorare? Cosa dovresti fare per raggiungere i tuoi obiettivi?» Potete poi unirvi a lui per trovare insieme delle strategie di miglioramento. Questo insegna loro l’importanza degli obiettivi prefissati e dell’autovalutazione.

Incoraggiare l’autovalutazione

Cory aveva portato il suo compito alla signora Tuttle, la sua insegnante di terza elementare: doveva esercitarsi a scrivere la lettera g. La signora Tuttle guardò il foglio e chiese a Cory di indicarle la sua g preferita. Dopo che la bambina gliela fece vedere, la signora Tuttle continuò: «Posso farti vedere la mia preferita?» Cory accettò volentieri. La signora Tuttle indicò un’altra g. Poi mostrò all’alunna una g con due pance, e domandò a Cory cosa ne pensasse.


Cory si portò una mano alla bocca, sorpresa, ed esclamò: «Oh!». La maestra le chiese se volesse sistemarla da sola, o se avesse bisogno di aiuto. Cory disse che avrebbe fatto da sé, e tornò al banco per correggerla.


La signora Tuttle non indicò solo l’errore. Si concentrò prima sui punti di forza, e poi chiese a Cory di valutare lei stessa il punto debole. Se chiediamo ai bambini su quali aree devono lavorare per migliorare, di solito riescono a riconoscerle senza suggerimenti. Questo esempio esprime l’importanza di costruire sui punti di forza, non sulle debolezze. Quando si indica ciò che è stato fatto bene, i bambini di solito vogliono continuare a fare altrettanto bene, se non meglio.


Come genitori e insegnanti, abbiamo la responsabilità di aiutare i bambini ad apprendere e migliorare le loro competenze scolastiche e sociali; e l’incoraggiamento è di solito il modo migliore per ispirare un bambino a voler fare meglio. Se si utilizzano altri metodi, come quelli che seguono, saranno più efficaci se il bambino è stato prima conquistato attraverso l’incoraggiamento, in modo che sia ricettivo.

Dedicate del tempo all’insegnamento

Non è tanto ovvio quanto potrebbe sembrare. Gli adulti spesso si aspettano che i bambini svolgano compiti per i quali non c’è stato un insegnamento adeguato. Questo è più frequente a casa che a scuola. I genitori si aspettano che i figli puliscano le loro stanze, ma non insegnano mai come fare. I bambini entrano nelle loro camerette disordinate e si sentono sopraffatti. Sarebbe utile se un genitore dicesse: «Mettete i vestiti puliti nei cassetti e quelli sporchi nella cesta, e poi vi farò sapere cos’altro c’è da fare». Potrebbero poi mettere i loro giocattoli sugli scaffali o nei contenitori. Per rendere la cosa più divertente, suggerite prima tutti i giocattoli con le ruote, poi i giocattoli con parti del corpo, poi quelli che sono animali.


H. Stephen Glenn sottolineava nelle sue conferenze che i genitori spesso dicono ai bambini quali aspettative hanno senza mai preoccuparsi di specificare in che modo dovrebbero essere soddisfatte. C’è spesso un grande vuoto comunicativo. Prendetevi il tempo per una formazione specifica, ed eviterete i malintesi.


Glenn dimostrava la lacuna comunicativa con la conversazione che segue:

Mamma: Jill, pulisci la tua stanza!
Jill: L’ho fatto. (Ovvero: posso camminarci)
Mamma: No, non l’hai fatto. (Ovvero: non posso mangiare sul pavimento.)

Dedicare tempo alla formazione significa essere molto specifici su condizioni e aspettative. Una madre ha passato diversi anni ad aiutare i suoi figli a rifare i letti. Ha dato loro indicazioni del tipo: «Cosa succederebbe se tirassi qui? (Avrebbe disteso una grinza)». Ha comprato dei copriletti a disegno scozzese oppure a strisce in modo che i suoi figli imparassero ad avere linee rette lungo i bordi. All’età di sei anni avevano una formazione sufficiente da superare quasi un’ispezione militare.


Quando chiedete ai bambini di pulire la cucina, assicuratevi che sappiano cosa intendete. Per loro può significare soltanto mettere i piatti nel lavandino. Molti genitori si arrabbiano quando i loro figli fanno un lavoro terribile con le faccende domestiche, anche se non hanno mai dedicato del tempo a insegnargliele. Dare ai bambini una formazione non significa però che faranno le cose come vorreste voi. Il miglioramento è un processo che dura tutta la vita. E, ricordate, le cose che volete che facciano potrebbero non essere una loro priorità fino a quando non diventeranno adulti con figli propri. Tutti noi facciamo nel modo migliore le cose che hanno un’alta priorità nella nostra vita. Anche se la pulizia e le buone maniere possono non essere una priorità per i vostri figli, devono comunque imparare queste qualità. E gli adulti, da parte loro, devono ricordarsi che i bambini sono bambini.


Quando ritenete che la formazione sia appropriata, controllate chiedendo al bambino: «Cosa hai capito che debba essere fatto perché la cucina sia pulita?» Se il bambino dice: «Mettere i piatti in lavastoviglie», chiedete: «E i pavimenti, e i ripiani? Cosa bisogna fare per essere certi che siano puliti?». Il bambino potrebbe alzare gli occhi al cielo e rispondere sarcasticamente: «Spazzare il pavimento, asciugare i ripiani». Lasciate correre e continuate: «Ottimo. Sono contenta che siamo sulla stessa lunghezza d’onda».

L’insegnamento può essere divertente. Scegliere una sera alla settimana per esercitare le buone maniere a tavola. Invitate tutti a esagerare dicendo: «Per favoooore, mi passi il burro» ecc. Fate un gioco a punti in cui sorprendete gli altri con i gomiti sul tavolo, a parlare con la bocca piena, a interrompere gli altri, a lamentarsi o ad allungarsi sul tavolo. Chi ottiene il maggior numero di punti sceglie il gioco del dopocena2.

Dedicare tempo alla formazione comporta anche dire ai vostri figli quando cambierete i vostri metodi. La signora Roberts mi aveva sentito dire quanto sia importante permettere ai bambini di vestirsi da soli. Sua figlia, Connie, era in terza elementare. La Roberts aveva smesso di vestirla, ma ogni sera le preparava ciò che avrebbe indossato l’indomani. Decise che avrebbe smesso di farlo e aveva fiducia nel fatto che Connie riuscisse ad amministrarsi da sola. Però non informò la figlia della sua nuova decisione. La mattina dopo sentì Connie domandare con una voce irritata: «Mamma, dove sono i miei vestiti?».


La madre rispose molto gentilmente: «Sono nell’armadio, amore. Sono sicura che puoi trovarli da sola».


Connie ribatté: «Mamma, quando decidi di fare queste cose, potresti avvertirmi?»


Connie aveva ragione. È una buona idea discutere dei cambiamenti con le persone coinvolte prima di metterli in pratica.

Cartelloni per la routine

Più i bambini fanno da soli, più si sentono capaci e incoraggiati. Uno dei modi migliori per evitare capricci all’ora della nanna o al mattino è quello di coinvolgere i bambini nella creazione di cartelloni di routine e poi lasciarglieli seguire, invece di dire loro cosa fare. Iniziate chiedendo al vostro bambino un elenco di tutte le cose che deve fare prima di andare a letto. L’elenco potrebbe includere: raccogliere i giocattoli, fare uno spuntino, fare il bagno, infilare il pigiama, lavarsi i denti, scegliere i vestiti per la mattina seguente, leggere la storia della buonanotte, dare un abbraccio. Copiate (quando i bambini sono abbastanza grandi, lasciatelo fare a loro) tutti gli elementi su un cartellone. Ai bambini piace un sacco se li fotografate mentre eseguono ogni compito, in modo da poter incollare la foto vicino a ogni elemento scritto. Poi appendete il cartellone in un luogo ben visibile. Lasciate che sia il cartellone delle routine a comandare. Anziché dire a vostro figlio cosa fare, chiedetegli: «Che cosa c’è dopo sul tuo programma?». Spesso non c’è bisogno di chiedere. Ve lo dirà il bambino.


Scegliere i vestiti la sera prima è un compito che evita capricci, quando i bambini seguono la routine del mattino (per la quale si può avere un altro cartellone). Se hanno preparato la sera prima ciò che vogliono indossare, non si arrabbiano cercando qualcosa all’ultimo minuto. Un altro compito che rende la routine mattutina più fluida è far loro preparare il pranzo per la scuola la sera prima.


Ricordate che l’obiettivo è quello di aiutare i bambini a sentirsi capaci e incoraggiati. Un simpatico vantaggio secondario è che potrete smettere di assillarli, e avere notti e mattine più tranquille.

Insegnare che gli errori sono meravigliose opportunità di apprendimento

Anche quando i bambini non sperimentano biasimo, vergogna e dolore, sembrano recepire autocritica da qualche altra fonte. Spesso, decidono da soli che “dovrebbero” essere più perfetti. Dobbiamo insegnare loro con costanza che gli errori sono meravigliose opportunità di apprendimento. Kathy Schinski ha partecipato a un laboratorio di Disciplina Positiva e ha messo a disposizione il testo di una canzone che aveva scritto. Potreste voler comporre la vostra melodia e insegnarla ai vostri figli o studenti.


A Little Imperfection

Kathy Schinski


A little imperfection is not so bad.

A little imperfection shouldn’t make you feel sad.

It keeps you in touch with reality

And with all the not-so-perfect people

Just like me.

A little imperfection is not so tough.

You need a little of it to be perfect enough.

It puts your feet back on the earth

And lets the other people keep

Their own self-worth.

A little imperfection in just the perfect place

Can make this not-so-perfect world easier to face. More of us could go in the right direction

If we could learn to put up with a little imperfection.

A little imperfection is not so bad.

A little imperfection shouldn’t make you feel sad.

It keeps you in touch with reality

And with all the not-so-perfect people

Just like me.


Un po’ di imperfezione

Kathy Schinski


Un po’ di imperfezione non è la fine del mondo.

Un po’ di imperfezione non dovrebbe intristirti.

Ti tiene in contatto con la realtà

E con tutte le persone non-proprio-perfette

Come me.

Un po’ di imperfezione non è un disastro.

Te ne serve un po’ per essere abbastanza perfetto.

Ti fa tornare coi piedi per terra

E permette agli altri di conservare

La loro autostima.

Un po’ di imperfezione nel posto perfetto

Può rendere questo mondo non-proprio-perfetto più facile da affrontare.

Molti di noi riuscirebbero ad andare nella direzione giusta

Se imparassimo ad accettare un po’ di imperfezione.

Un po’ di imperfezione non è la fine del mondo.

Un po’ di imperfezione non dovrebbe intristirti.

Ti tiene in contatto con la realtà

E con tutte le persone non-proprio-perfette

Come me.

Domande di approfondimento

Nel capitolo precedente si è parlato delle domande di approfondimento per aiutare i bambini a esplorare le conseguenze delle loro scelte; possono anche essere usate come parte della formazione. Otterrete così più partecipazione e comprensione e creerete un’atmosfera più incoraggiante e rispettosa, se porrete domande ai bambini invece che fare affermazioni (di solito sotto forma di pretese o rimproveri). Le domande di approfondimento sono efficaci solo quando si è davvero interessati alle risposte, non quando si spera di ricevere quella che si desidera.


Quando i bambini rispondono alle vostre domande, sono coinvolti attivamente, quando invece fate voi delle affermazioni, sono coinvolti passivamente. Quando rispondono avete l’opportunità di capire se siete sulla stessa lunghezza d’onda. Per esempio, invece di dire a vostro figlio di ripulire la cucina, chiedetegli: «Che cosa bisogna fare ancora perché la cucina sia pulita?»


Il bambino risponderà: «Lavare i piatti».


Poi potete domandargli: «E le cose sul tavolo?».


Il bambino potrebbe ammettere: «Oh be’, forse bisogna metterle via».


Allora potreste rispondere: «Giusto, e le cose sui fornelli? E cosa bisogna fare con il tavolo, i ripiani e i fornelli dopo che tutto è stato messo via?».


Con questo metodo dedicherete tempo all’insegnamento dei bambini, facendoli ragionare e coinvolgendoli attivamente nella soluzione dei problemi: e tutto questo è molto incoraggiante. A volte, il modo migliore per essere incoraggianti è un semplice abbraccio.

Provare con un abbraccio

In molti casi, gli adulti possono aiutare i bambini a cambiare il loro comportamento smettendo di insistere sui loro problemi comportamentali e affrontandone la causa profonda: lo scoraggiamento. Un giovane padre era frustrato e sconcertato a causa dei continui capricci del figlio di quattro anni. Sgridarlo o punirlo non faceva altro che aggravare la situazione. Il padre imparò durante un seminario che un bambino che si comporta male è un bambino scoraggiato, e che incoraggiarlo è il miglior modo di affrontare il comportamento scorretto. Agli occhi del padre, questo concetto sembrava non avere senso, come se fosse una sorta di premio alla disobbedienza. Tuttavia, era incuriosito dall’idea che i bambini si comportano meglio quando si sentono meglio, perciò decise di metterla alla prova.


La prima volta che suo figlio iniziò a fare i capricci, il padre si inginocchiò e disse ad alta voce: «Ho bisogno di un abbraccio».


Suo figlio si fermò e gli chiese tra i singhiozzi: «Cosa?».


Il padre ripeté: «Ho bisogno di un abbraccio».


Il bambino smise di piangere e riuscì a chiedere, incredulo, «Adesso?».


Il padre rispose: «Sì, adesso».


Il figlio sembrava completamente sbigottito, ma smise di piangere e disse, poco convinto: «Va bene». Poi diede un abbraccio rigido a suo padre. Presto si sciolse e i due si strinsero forte.


Dopo qualche istante il padre disse: «Grazie, ne avevo bisogno». Suo figlio rispose, con il mento un po’ tremante: «Anch’io».


Ricordate il tempismo: a volte gli abbracci non funzionano perché il bambino è troppo turbato per dare o ricevere un abbraccio o qualche altro incoraggiamento, ma si può provare lo stesso. Se il bambino non è ben disposto, si può dire: «Mi piacerebbe proprio un abbraccio, quando ti va», e poi lasciare la stanza. I genitori riferiscono che, quando ci provano, il bambino di solito li segue subito, tendendo le braccia.


Qualcuno chiede: «E dopo l’abbraccio, cosa facciamo? Come affrontiamo il comportamento scorretto?». Spesso l’incoraggiamento è sufficiente per interromperlo, e non c’è nient’altro da fare. Altre volte gli abbracci possono creare un’atmosfera di incoraggiamento in cui i bambini sono ben disposti e pronti a imparare. Questa può essere l’occasione perfetta per dedicare del tempo alla formazione, per porre domande di approfondimento, offrire scelte limitate, usare distrazioni, o impegnarsi insieme nella soluzione di problemi.


Un altro ottimo modo per incoraggiare i bambini è quello di farli sentire utili permettendo di dare il loro contributo: un modo meraviglioso è far loro capire che, con un abbraccio, fanno sentire meglio voi. Naturalmente, il vantaggio che ne deriva è che anche loro si sentono meglio.


Ricordate: un bambino che si comporta male è un bambino scoraggiato. Troppe persone pensano che i bambini debbano pagare per i loro errori subendo biasimo, vergogna o dolore (in altre parole, subendo una punizione). Provate con un abbraccio, invece.


Se nessuno di questi metodi è efficace, forse siete coinvolti in una lotta di potere o in una spirale della vendetta che aumenta lo scoraggiamento. Ammettete i vostri errori con il bambino e chiedete aiuto per ricominciare da capo: ammettere i propri errori è una delle cose più incoraggianti che si possono fare.

Il punto di vista di un bambino

Un modo eccellente per comprendere il punto di vista di un bambino è di ricordare la vostra infanzia. Chiudete gli occhi e pensateci: rievocate uno scontro con un adulto a casa o a scuola, in cui vi siete sentiti scoraggiati, incompresi, umiliati, o trattati ingiustamente, o qualsiasi combinazione di questi sentimenti. Rivivete l’esperienza e ripensate esattamente a cosa è successo e come vi siete sentiti: ritrovate quei sentimenti.


Con gli occhi ancora chiusi, ricordate un altro momento di conflitto con un adulto, dopo il quale vi siete sentiti incoraggiati, compresi, apprezzati, speciali, stimolati a fare di meglio, o qualsiasi combinazione di quanto sopra. Rivivete l’esperienza e ripensate esattamente a cosa è successo e come vi siete sentiti: ritrovate quei sentimenti.


Quando da bambini avete provato scoraggiamento, vi siete sentiti probabilmente fraintesi, umiliati o trattati ingiustamente. Potreste aver provato una qualche forma di biasimo, vergogna o dolore; forse avete pensato di essere inutili, o vi siete ribellati. È probabile che queste esperienze scoraggianti non vi abbiano ispirati a migliorare, anche se di solito è questo l’obiettivo dell’adulto. Forse avete rinunciato a cercare di migliorare in qualche attività come il pianoforte, la lettura, la scrittura o lo sport, a causa delle critiche scoraggianti che avete ricevuto da un adulto.


Nei momenti in cui, da bambini, avete provato incoraggiamento, vi siete sentiti compresi, apprezzati e speciali. Queste esperienze vi hanno forse ispirati a fare meglio e a perseguire abilità o obiettivi validi. Nella maggior parte delle esperienze incoraggianti che avete avuto durante l’infanzia, molto probabilmente l’adulto in questione ha impiegato pochissimo tempo a offrirvi qualche parola di riconoscimento e apprezzamento.


Nei prossimi due capitoli, vedrete quanto è importante coinvolgere attivamente i bambini nel processo di incoraggiamento attraverso le riunioni di classe e di famiglia.

Rivediamo

Strumenti di Disciplina Positiva
  1. Prestate attenzione alla tempistica. Aspettate che il conflitto sia terminato (magari dopo il Time-Out Positivo per voi e il vostro bambino), ovvero quando voi sarete pronti a offrire incoraggiamento, e il bambino a riceverlo.

  2. Usate un messaggio in prima persona in cui vi assumete la responsabilità dei vostri sentimenti.

  3. Ritiratevi dal conflitto. (Prendetevi un Time-Out Positivo, se possibile.)

  4. Mettetevi d’accordo per incontrarvi quando avete avuto entrambi il tempo di calmarvi e sentirvi meglio.

  5. Invitate il bambino a segnare il problema nel programma della riunione di famiglia o di classe (o fatelo voi stessi).

  6. Ascoltate. Ricordate che i bambini sono più disposti ad ascoltarvi dopo che si saranno sentiti ascoltati.

  7. Usate i Quattro Passi per Conquistare la Collaborazione.

  8. Costruite sui punti di forza, non sulle debolezze. Riconoscete e incoraggiate la percentuale positiva: quella percentuale aumenterà.

  9. Affrontate i problemi insieme con il bambino per trovare soluzioni rispettose per entrambi.

  10. Riconoscete il miglioramento e concentratevi su quello, non sulla perfezione.

  11. Riorientate il comportamento scorretto: cercate il talento o l’abilità e riorientate il bambino a usarli in modi utili.

  12. Aiutate i bambini a rimediare i loro errori. Usate le domande di approfondimento per aiutarli a decidere da soli come fare ammenda.

  13. Evitate la pressione sociale. A volte è opportuno aspettare fino a quando non si ha del “tempo privato” per coinvolgere un bambino in una discussione amichevole per risolvere i problemi, in modo da evitare la pressione sociale del giudizio altrui.

  14. Pianificate un “momento speciale” da mantenere con regolarità con ciascuno dei vostri figli.

  15. Quando rimboccate le coperte ai vostri figli, lasciate loro il tempo di raccontare i momenti più tristi e felici della giornata. Poi condividete i vostri.

  16. Utilizzate l’incoraggiamento invece delle lodi.

  17. Evitate le critiche. Chiedete al bambino: «Come vorresti migliorare? Che cosa devi fare per raggiungere i tuoi obiettivi?».

  18. Incoraggiate l’autovalutazione.

  19. Dedicate del tempo alla formazione in modo che le aspettative siano chiare.

  20. Chiedete: «Cos’avete capito di ciò che abbiamo deciso?»

  21. Fate sapere a vostro figlio in anticipo cosa farete.

  22. Coinvolgete i bambini nella creazione di cartelloni per le routine.

  23. Insegnate loro che gli errori sono meravigliose opportunità di apprendimento.

  24. Smettete dare ordini, rimproverare e pretendere dai vostri figli; ponete invece domande di approfondimento.

  25. Provate con un abbraccio.


Domande
  1. Cos’è un bambino che si comporta male?

  2. Qual è il messaggio dietro il comportamento scorretto?

  3. Secondo Dreikurs quali erano le abilità più importanti che gli adulti potevano imparare per aiutare i bambini?

  4. Qual è l’importanza del tempismo?

  5. Quali sono i Quattro Passi per Conquistare la Collaborazione?

  6. Quali sono gli atteggiamenti necessari affinché i Quattro Passi per Conquistare la Collaborazione siano efficaci?

  7. Quali sono gli atteggiamenti degli adulti necessari per il rispetto reciproco?

  8. Perché un “momento speciale” è così potente per incoraggiare i bambini e motivarli a migliorare il loro comportamento?

  9. Quali sono i pericoli delle lodi?

  10. Quali sono gli effetti a lungo termine dell’incoraggiamento?

  11. Quali sono alcune delle differenze tra lodi e incoraggiamenti?

  12. Quali sono le domande che dovreste porvi per determinare se le vostre affermazioni sono di incoraggiamento o di lode?

  13. Quali sono i vantaggi di coinvolgere i bambini nella creazione di programmi per le routine?

  14. Qual è lo scopo degli errori?

  15. Quali altri modi vi vengono in mente per incoraggiare i bambini?

La Disciplina Positiva
La Disciplina Positiva
Jane Nelsen
Crescere bambini responsabili, indipendenti e collaborativi, in famiglia e a scuola, con rispetto, fermezza e gentilezza.Un metodo efficace per crescere bambini autonomi, responsabili e collaborativi, senza il bisogno di ricorrere a premi e punizioni. La psicologa Jane Nelsen spiega come mettere in pratica la “Positive Discipline”: un metodo efficace per aiutare genitori e insegnanti a mantenersi fermi e gentili con i bambini, senza bisogno di ricorrere alle punizioni, e incoraggiando nello stesso tempo il bambino a sviluppare l’indipendenza, il senso di responsabilità, la collaborazione e la capacità di trovare soluzioni in autonomia.La Disciplina Positiva è stato tradotto in 19 paesi. Conosci l’autore Jane Nelsen, psicologa ed educatrice di fama mondiale, è autrice di numerosi libri su accudimento e Disciplina Positiva, rivolti a genitori e insegnanti.