capitolo vi

Concentrarsi sulle soluzioni

Scegliere di concentrarsi sulle soluzioni richiede piccoli adattamenti nell’atteggiamento e nelle competenze, ma la differenza è enorme. Quando si è abituati a pensare in un certo modo, anche i piccoli cambiamenti possono sembrare difficili, ma una volta raggiunto l’obiettivo, probabilmente vi chiederete: «Come ho fatto a non pensarci prima?». Allora vi sembrerà così semplice.


L’educazione tradizionale si basa sull’insegnare ai bambini cosa fare e cosa non fare solo perché “lo dice” qualcuno. La Disciplina Positiva si fonda invece sull’insegnare ai bambini cosa fare dopo averli invitati a riflettere sulla situazione e utilizza alcune linee guida di base, come il rispetto e la disponibilità, per trovare delle soluzioni. In questo modo i bambini non sono soggetti passivi (e spesso recalcitranti), ma partecipano attivamente al percorso. Quando ne capiscono il senso, compiono scelte comportamentali migliori, perché essere trattati con rispetto e trattare gli altri con rispetto fa sentire bene.


Concentrarsi sulle soluzioni permette ai bambini di imparare a rapportarsi con gli altri, e a fare propri strumenti che potranno usare per la sfida successiva. Certo, forse non riusciranno a trovare la soluzione giusta al primo colpo (neanche gli adulti ce la fanno sempre al primo tentativo), ma impareranno. La sfida per gli adulti è di abbandonare l’idea assurda che si impari meglio dopo aver sofferto. Insisto sull’argomento perché quest’idea è talmente radicata nella nostra cultura che ci sentiamo in dovere di ferire i bambini per insegnare loro la differenza tra giusto e sbagliato.


Concentrarsi sulle soluzioni crea, in famiglia come a scuola, un’atmosfera molto diversa rispetto a quando ci si concentra sulle punizioni e persino sulle conseguenze logiche. Cambieranno il vostro modo di pensare e il vostro comportamento, e anche quelli dei vostri figli. Molti genitori e insegnanti hanno riferito che, quando si concentrano sulle soluzioni, le lotte di potere si riducono notevolmente.


Quando ci si concentra sulle soluzioni bisogna chiedersi: Qual è il problema e qual è la soluzione? I bambini sono bravissimi a risolvere problemi e molto creativi nel trovare soluzioni utili, se gli adulti dedicano del tempo alla formazione e offrono la possibilità di usare le loro competenze.


Le Tre R e una U per Concentrarsi sulle Soluzioni assomigliano molto alle Quattro R delle Conseguenze Logiche presentate nel quinto capitolo. Le prime tre infatti sono identiche. Solo la U è diversa. A ogni modo, cambia completamente il centro d’attenzione, perché l’enfasi è posta sull’aiuto a imparare a risolvere il problema e non sul doverla pagare (con la punizione) per esso.

Le Tre R e una U per Concentrarsi sulle Soluzioni
  1. Relazione

  2. Rispetto

  3. Ragionevolezza

  4. Utilità

Quello che segue è un estratto da Positive Discipline in the Classroom1, che illustra la grande differenza di idee che emergono dal confronto aperto, prima quando gli alunni si concentrano sulle conseguenze logiche, e poi sulle soluzioni possibili:


Durante una riunione di classe è stato chiesto ai bambini di quinta di suggerire delle conseguenze logiche per due alunni che non avevano sentito la campanella della ricreazione ed erano arrivati in ritardo in classe. Questo è l’elenco delle conseguenze:

  1. Scrivere i loro nomi sulla lavagna.

  2. Trattenerli a scuola dopo l’orario di uscita per per un periodo uguale a quello del ritardo.

  3. Ridurre la ricreazione del giorno dopo di un periodo pari al ritardo.

  4. Far saltare completamente la ricreazione del giorno dopo.

  5. Sgridarli.

È stato poi chiesto loro di lasciare perdere le conseguenze e raccogliere idee per delle soluzioni che potessero essere utili ai ritardatari per rientrare in classe in tempo. Questo è l’elenco delle soluzioni:

  1. Si potrebbe gridare tutti insieme: «Campanella!».

  2. Gli alunni potrebbero giocare più vicino alla campanella.

  3. Gli alunni potrebbero controllare che gli altri entrino in classe.

  4. Regolare la campanella in modo che suoni più forte.

  5. Gli alunni potrebbero scegliere un compagno che ricordi loro quando è il momento di tornare in classe.

  6. Qualcuno potrebbe dare un colpetto sulla spalla agli alunni quando la campanella suona.


C’è una profonda differenza tra i due elenchi. Il primo somiglia proprio a una lista di punizioni. Si concentra sul passato e sul far pagare ai bambini i loro errori; il secondo sembra un elenco di soluzioni incentrate sull’aiutare gli alunni a fare meglio la volta successiva. Il punto centrale della questione è vedere i problemi come opportunità di apprendimento. In altre parole, il primo elenco è progettato per ferire, il secondo per aiutare.


Jody McVittie, membro certificato della Positive Discipline Association di Everett, nello stato di Washington, ha riportato il seguente episodio a proposito di una riunione di classe dove gli studenti sono passati da soluzioni che “feriscono” a soluzioni che “aiutano” con un incoraggiamento davvero minimo:


Ho fatto l’osservatrice in una riunione di classe; sono arrivata quando avevano finito di discutere e stavano iniziando a esprimere le idee. Si parlava del fatto che un’alunna, di cui non si faceva il nome, aveva preso la matita di Alex senza chiedergliela. L’alunno a capo della riunione faceva passare di mano in mano un oggetto, così che i membri della classe potessero esprimere a turno idee su come risolvere il problema. All’inizio i suggerimenti erano conseguenze: «Potrebbero farle saltare la ricreazione». «La maestra potrebbe cambiarla di posto».


Mi sono presto resa conto che tutti sapevano chi era la colpevole, anche se non ne avevano fatto il nome. Sembrava anche chiaro che fosse una “recidiva” e che alcuni dei bambini fossero “stanchi” di avere a che fare con lei. Intanto, l’interessata si faceva sempre più piccola sulla sua sedia. Ho chiesto ai bambini se fossero disposti a prendere in considerazione un altro approccio a questo problema, che avrei potuto offrirgli in quanto consulente. L’idea li ha subito entusiasmati. Penso che a nessuno fosse piaciuta una dinamica che faceva sentire a disagio un’altra persona. Ho fatto loro notare che, anche se non avevano fatto nomi, tutti sapevano, e ormai avevo capito anch’io, di chi stessero parlando. Hanno annuito. Ho chiesto se secondo loro Johanna si sentiva meglio o peggio dopo i suggerimenti. La classe ha ammesso che Johanna probabilmente si sentiva peggio. Ho ricordato agli alunni che avevano accettato di affrontare le riunioni di classe con l’idea di essere d’aiuto, e non di ferire, e ho proposto che si concentrassero sulle soluzioni più che sulle conseguenze. Le soluzioni rappresentano un modo utile per risolvere il problema, e, quando si propongono, l’intera classe può trovare idee su come prevenire problemi simili. Ho chiesto a Johanna e alla classe se fossero disposti a fare un tentativo. Sono stati d’accordo, e hanno iniziato a generare proposte.


Questa volta i suggerimenti comprendevano: «Potrebbe chiedere in prestito la matita». «Potremmo fare un deposito di matite per la classe». «Potrebbe dare qualcosa in cambio della matita, e poi riscambiarla quando ha finito, così Alex non si preoccupa che la matita non gli torni indietro». Era straordinario vedere Johanna “crescere” di nuovo sulla sua sedia. Dopo che il piccolo pinguino che gli alunni si passavano per prendere la parola aveva fatto tutto il giro, e tutti quelli che avevano voluto contribuire l’avevano fatto, ho aiutato lo studente che guidava la discussione a chiedere a Johanna e ad Alex quale soluzione andasse bene a entrambi. L’alunno incaricato di prendere appunti ha letto la lista, e Alex e Johanna hanno deciso che chiedere il permesso di prendere la matita sarebbe stata una buona soluzione e che dopo una settimana avrebbero riferito alla classe i risultati ottenuti.


La soluzione sembrava chiara, rispettosa e incoraggiante. La questione era risolta. Per me, il nocciolo di quanto era accaduto stava nel vedere come Johanna rimpiccioliva e come poi cresceva. In seguito ho pensato: «Cos’ha imparato la classe?». La mia impressione era che questa “colpevole recidiva” si fosse sentita sostenuta e accolta dal gruppo, forse per la prima volta. Sembrava più forte grazie alla semplice proposta di chiedere il permesso prima di prendere qualcosa in prestito.


Si troverà di nuovo in difficoltà? È probabile. Ma ora lei e la classe hanno strumenti per risolvere problemi, strumenti che trasmettono il messaggio “sei una di noi”, invece che “non sei una di noi e dobbiamo escluderti”.


Quando bambini e adulti si mettono per la prima volta a raccogliere idee per risolvere un problema, noterete che molte proposte sono punitive. A volte può essere utile interrompere la discussione e suggerire di concentrarsi sulle soluzioni. Un’altra possibilità è quella di aspettare la fine dei suggerimenti per poi ripercorrerne la lista, chiedendo ai membri della famiglia o agli alunni di eliminare tutte le proposte che non soddisfano le Tre R e una U per Concentrarsi sulle Soluzioni. A volte genitori e insegnanti chiedono ai bambini di eliminare anche tutto ciò che può ferire o essere impraticabile. Per esempio, un viaggio alle Hawaii può essere utile, ma non è praticabile. Dopo questa fase, chi è coinvolto nel problema può scegliere la soluzione ritenuta di maggiore aiuto. I sentimenti di rispetto e responsabilità aumentano in misura notevole quando alle persone viene data la possibilità di scegliere, invece di sentirsi dire da qualcun altro cosa scegliere, o anche di far votare alla classe la soluzione che dovrà essere messa in pratica dall’alunno.


È stato ripetuto diverse volte che, quando viene data loro la possibilità, i bambini sono più bravi degli adulti nella risoluzione dei problemi. L’esempio seguente ne è la prova.

In un’altra scuola elementare c’erano alcune difficoltà con l’area giochi usata dai bambini di prima e di seconda. I bambini imbrogliavano e diventavano aggressivi quando giocavano a tetherball2. Gli insegnanti non avevano idea di come risolvere il problema e i supervisori dell’area giochi, non riuscendo a “responsabilizzare i bambini”, erano sempre più frustrati. Sembrava un’impresa impossibile.

Durante una riunione di classe in cui si discuteva di questo problema, un gruppo di bambini di seconda offrì un punto di vista originale. Una delle ragioni degli imbrogli e dei comportamenti aggressivi era il fatto che la posta in gioco era molto alta. La regola era: più si vince, più a lungo si può giocare. Questo faceva sì che i bambini volessero vincere a tutti i costi, e ci voleva molto tempo prima che il turno passasse ad altri bambini.


Katie aveva un’ottima soluzione: invece di permettere al vincitore di continuare il turno, propose che entrambi i giocatori si mettessero in fondo alla fila. In questo modo l’incentivo a vincere (o imbrogliare) era minore, e durante la ricreazione potevano giocare più bambini. Gli alunni accettarono e proposero la regola alle altre classi di prima e di seconda. Tutti accettarono di provare la soluzione per qualche settimana. Gli insegnanti erano scettici. Si aspettavano che i bambini si limitassero a trovare un modo di aggirare la regola, e che il successo avesse vita breve.


Invece rimasero molto sorpresi. Ai bambini la nuova regola piaceva. Si sentivano fieri all’idea che uno di loro, un alunno di seconda, avesse trovato una soluzione efficace. L’atmosfera dell’area giochi era radicalmente cambiata e gli alunni si sentivano rafforzati dal successo della loro creatività. Nelle riunioni seguenti, molte altre classi cercarono soluzioni creative ad altri problemi, come il fatto che le coppie di giocatori erano sempre uguali quando c’era un numero pari e la nascita di “gruppetti” esclusivi costituiti durante l’anno. In più, gli insegnanti si convinsero del valore delle riunioni di classe, non solo per risolvere problemi, ma anche per insegnare importanti competenze per la vita.


Quando i bambini decidono di andare a prendere una spugna e uno strofinaccio se hanno rovesciato il latte (perché avete chiesto loro come potessero risolvere il problema), questo è un comportamento RRR e U (razionale, rispettoso, ragionevole e utile). State insegnando competenze di vita e fornite l’opportunità di sviluppare la percezione di essere capaci.


Quando i vostri figli adolescenti tornano a casa più tardi dell’orario concordato, e dopo esservi entrambi calmati (di solito il giorno dopo), li invitate a raccogliere idee per delle soluzioni rispettose per tutti, questo è RRR e U, e state insegnando loro senso di responsabilità e competenze di risoluzione, oltre a ribadire l’importanza di rispettare le vostre necessità.


Quando vostro figlio lancia la palla da baseball contro la finestra del garage e decidete insieme che la soluzione è sistemare la finestra (comprando materiale con la sua paghetta), siete RRR e U. Finché vi tenete lontani da un atteggiamento di biasimo e considerate gli errori come un’opportunità di apprendimento, state esercitando sia le capacità di risoluzione dei problemi sia il rispetto, e al contempo passate insieme un momento piacevole.


Una competenza importante che si apprende con la ricerca delle soluzioni è insegnare il valore di un intervallo per ricomporsi. È importante capire e insegnare ai bambini che, nella maggior parte dei casi, è necessario un periodo per ritrovare la calma prima di cercare una soluzione. È difficile concentrarsi sulle soluzioni quando si è arrabbiati e si dipende totalmente dal cervello primitivo, per il quale l’unica opzione è l’attacco o la fuga: perciò è fondamentale aspettare di essersi calmati e di accedere al cervello razionale. Il Time-out Positivo può essere d’aiuto.

Time-out positivo

Come vi sentireste, cosa pensereste e cosa fareste se il vostro coniuge o un collega vi mettesse con le spalle al muro e vi dicesse: «Quello che hai fatto non mi è piaciuto. Vai in castigo e pensa a quello che hai fatto»? Vi sentireste grati per l’aiuto oppure offesi? Pensereste: «Il tuo discorso mi è di grande aiuto e incoraggiamento»? O pensereste: «È un insulto. Chi credi di essere?». Decidereste di condividere tutti i vostri problemi con questa persona perché vi è di aiuto, o scegliereste di chiudervi in voi stessi oppure di cercare un altro partner?


Se questo tipo di atteggiamento non è rispettoso o efficace nei confronti degli adulti, perché questi pensano che possa esserlo con i bambini? Gli adulti fanno molte cose inefficaci perché non riflettono fino in fondo. Non pensano ai risultati a lungo termine. Non pensano a come si sente il bambino, a cosa pensa e a quali conclusioni arriva riguardo a sé, agli altri e a cosa fare in seguito. Non pensano a quello che dicono.


Chiedo a genitori e insegnanti perché è stupido dire: «E pensa a quello che hai fatto». È stupido perché viene dato per scontato che gli adulti possano controllare quello che i bambini pensano. Non possono. È poco probabile che i bambini che vengono messi in castigo riflettano su quello che hanno fatto. È più probabile invece che si mettano a pensare a quello che avete fatto voi, e a quanto siete ingiusti e offensivi. Alcuni bambini probabilmente sono pieni di rabbia e risentimento e pensano a come pareggiare i conti o evitare di essere scoperti la volta successiva. La cosa più triste è che alcuni bambini pensano di essere una “cattiva persona” o “non abbastanza bravi”.


Il Time-out Positivo è molto diverso. È strutturato per aiutare i bambini a sentirsi meglio (in modo che possano accedere al loro cervello razionale), non per farli sentire peggio (il che è un falso motivatore), non per “fargliela pagare” per quello che hanno fatto. Concentrarsi sulle soluzioni non è efficace fino a quando tutti non si sono calmati abbastanza da poter accedere alla parte razionale del cervello. Ci sono quattro linee guida da seguire quando si coinvolgono i bambini nella creazione di un’area di Time-out Positivo.

  1. Dedicate del tempo alla formazione. Spiegate quanto può essere d’aiuto il Time-out Positivo prima di usarlo. Insegnate ai bambini il valore di un intervallo di pausa per ricomporsi e l’importanza di aspettare che tutti si sentano meglio prima di cercare di risolvere i conflitti.

    Un buon modo di insegnare ai bambini l’uso dei Time-out Positivi o “momenti di riconnessione” è quello di usarli voi stessi. I genitori possono tenere il loro libro umoristico preferito nell’armadietto del bagno e ritirarsi qualche minuto per ricomporsi. In una classe, la zona della riconnessione è un angolo arredato come un’isola tropicale. I bambini possono andare alle “Hawaii” qualche minuto per ricomporsi. L’insegnante di solito non va nell’angolo, ma ha una palma gonfiabile nel cassetto, e quando ha bisogno di una pausa “va alle Hawaii” mettendo la palma sulla cattedra. Gli alunni sanno che quando l’insegnante è “alle Hawaii”, devono lasciarla tranquilla per i pochi minuti necessari affinché si riprenda e ritrovi la calma.
  2. Lasciate che i bambini creino una loro zona di time-out – un’area che permetta loro di sentirsi meglio in modo da poter poi anche fare meglio. È importante per i bambini creare (o almeno aiutare a creare) la propria zona di Time-out Positivo. Se non sono abbastanza grandi per collaborare a progettarla e sceglierla, significa che non sono abbastanza grandi per usarla. Spiegate che lo scopo del Time-out Positivo non è quello di punire o far soffrire. Riflettete insieme su cosa il bambino può fare quando si trova in quell’area, come leggere, giocare, riposarsi o ascoltare la musica.

    L’idea che si lasci fare al bambino qualcosa di piacevole durante il time-out suscita obiezioni da parte di molti genitori e insegnanti. Credono che permettere a un bambino di giocare, leggere, riposare o ascoltare musica premi il cattivo comportamento. Questi adulti sono intrappolati nella convinzione che i bambini migliorano se sono puniti (e quindi se si sentono peggio) e non colgono il punto: i bambini migliorano se si sentono meglio.

    Siccome il
    time-out ha una reputazione negativa3, legata alla punizione, un’ottima idea è lasciare che i bambini gli diano un altro nome. Un’insegnante della scuola materna ha raccontato che lei e i suoi bambini hanno creato un posto chiamato Spazio. Appendono delle reti nere in un angolo e dei pianeti sul soffitto. Nell’area ci sono due puff, perché a volte i bambini portano con sé un compagno di time-out (o un compagno di Spazio), alcuni libri, dei peluche e delle cuffie per ascoltare la musica. Un altro insegnante della materna ha creato un time-out “nonna”, imbottendo alcuni vecchi vestiti con dei panni morbidi. Così ai bambini si poteva chiedere: «Ti farebbe sentire meglio andarti a sedere per un po’ in braccio alla nonna?».

    Da notare le parole: «Ti farebbe sentire meglio?». Dare un’alternativa ai bambini è molto rispettoso, per esempio chiedendo: «Cosa ti aiuterebbe di più in questo momento, andare nel nostro posto per “ritrovare la calma” o segnare questo problema sull’agenda delle riunioni di classe (o di famiglia)?».
  3. Fate in anticipo un programma con i figli (o gli alunni). Spiegate che uno di voi o entrambi potreste avere bisogno di prendervi un time-out finché non vi sentite meglio, prima di provare a risolvere un problema. Genitori e insegnanti spesso ammettono che sono loro ad averne bisogno – anche solo per fare qualche respiro profondo. Fate sapere ai bambini che possono “scegliere” la zona di Time-out Positivo se pensano che questo possa aiutarli.

    Quando un bambino si comporta male, alcuni genitori gli chiedono: «Ti sentiresti meglio se andassi nella tua “isola felice”?». Se il bambino è troppo arrabbiato e dice di no, il genitore può proporre: «Ti piacerebbe se venissi con te?». Perché no? Probabilmente avete bisogno di un intervallo almeno tanto quanto il bambino. Se così non fosse, ricordate che lo scopo è aiutare il bambino a sentirsi meglio, in modo che possa comportarsi meglio. Se il bambino dice ancora no, potreste dire: «Va bene, io penso che ci andrò» così farete capire al bambino che il time-out è qualcosa di positivo, dandogliene un esempio.
  4. Infine, insegnate ai bambini che quando si sentono meglio possono proseguire, pensando a una soluzione o facendo ammenda se c’è ancora un problema. Gli adulti offesi dall’idea di permettere al bambino di fare qualcosa di piacevole durante il time-out di solito non ascoltano neanche l’ultima linea guida.

    Alcune delle scuole che usano la Disciplina Positiva hanno una panchina del Time-out Positivo nell’area giochi. Si insegna ai bambini che possono usarla tutte le volte che hanno bisogno di un momento per ritrovare la calma (e quindi per sentirsi meglio) fino a quando non sono pronti a rispettare gli altri o le strutture dell’area giochi. È importante che l’insegnante o il supervisore dell’area giochi abbiano un atteggiamento di rispetto, gentilezza e fermezza quando chiedono a un alunno: «Pensi che potrebbe essere d’aiuto andarti a sedere sulla panchina del time-out fino a quando non ti senti meglio? Oppure ti è più utile cercare una soluzione ora, o preferisci segnare questo problema sull’agenda?».

    Non sempre è necessario proseguire cercando una soluzione. A volte il
    Time-out Positivo è sufficiente a interrompere il comportamento inaccettabile. Se si sente meglio, per lui è già più facile riorientarsi verso un comportamento migliore. Quando invece sembra appropriato proseguire con la ricerca di una soluzione, può essere molto utile usare le domande di approfondimento (di cui si parla a pagina 37 e 140) per aiutare i bambini a esplorare le conseguenze delle loro scelte e ad applicare ciò che hanno imparato per risolvere il problema. A volte il bambino potrebbe avere bisogno di più aiuto per trovare una soluzione, e segnare il problema sull’agenda delle riunioni. Martha, studentessa in uno dei miei corsi sullo sviluppo del bambino, raccontò di aver mandato suo figlio in camera perché si stava comportando male. Quando, pochi minuti dopo uscì dalla stanza, lei lo rispedì subito indietro. Quando le chiesi se suo figlio si stesse ancora comportando male quando è uscito dalla sua stanza, ammise che non era così. Fece una smorfia nel rendersi conto che non sarebbe stato necessario rispedirlo in camera, se avesse tenuto a mente che l’obiettivo era aiutarlo a cambiare il comportamento, non affermare il suo potere di farlo soffrire. Discutemmo poi del fatto che sarebbe stato ancora più efficace se avesse scelto spontaneamente di andare all’“isola felice”, un posto che avesse contribuito a progettare, finché non si fosse sentito meglio.

    Molti genitori e insegnanti non conoscono alternative efficaci alla punizione. È utile sapere che lasciare un momento per ritrovare la calma non significa “permettere al bambino di passarla liscia”, e neanche “essere permissivi”. I metodi positivi, gentili e fermi allo stesso tempo, hanno senso solo quando gli adulti capiscono le caratteristiche del comportamento umano e gli effetti a lungo termine dei metodi educativi. È utile anche sapere che, dopo un Time-out Positivo, potrebbero essere necessari altri passi. Uno dei migliori modi per proseguire e concentrarsi sulle soluzioni è quello di aiutare i bambini a esplorare le conseguenze delle loro scelte con le domande di approfondimento.

Domande di approfondimento

Aiutare i bambini a esplorare le conseguenze delle loro scelte è molto diverso dall’imporgliele. Esplorare incoraggia i bambini a riflettere e risolvere situazioni da soli, a decidere cosa vogliono e cosa è importante per loro. Il risultato finale è quello di concentrarsi sulle soluzioni possibili, non sulle conseguenze del problema. Imporre le conseguenze spesso provoca ribellione e il pensiero difensivo, non il pensiero esplorativo. La chiave per aiutare i bambini a esplorare è smettere di dire le cose ai bambini, e iniziare a porre loro domande di approfondimento.


Troppo spesso gli adulti dicono ai bambini quello che è successo o cosa è sbagliato, cosa ha causato il problema, come dovrebbero sentirsi, che lezione dovrebbero trarne e cosa dovrebbero fare per risolverlo. È invece molto più rispettoso, incoraggiante e utile a sviluppare competenze chiedere cosa è successo o cosa è sbagliato, cosa secondo loro ha causato il problema, come si sentono, cos’hanno imparato, che idee hanno per risolverlo o in che modo possono usare in futuro quello che hanno imparato. Questo è il vero significato della parola educazione, dal latino e-ducere, che significa “tirare fuori”. Troppo spesso gli adulti cercano di riempire la testa dei bambini di informazioni, invece di tirargliele fuori, e poi si chiedono perché non imparino.

Tipiche domande di approfondimento

Cosa stavi cercando di fare?

Come ti fa sentire quello che è successo?

Che cosa pensi l’abbia fatto succedere?

Che cosa hai imparato?

In che modo puoi usare in futuro quello che hai imparato?

Che idee hai ora per una soluzione?

Le chiamo tipiche domande di approfondimento perché è importante non avere un copione. L’obiettivo è mettersi nei panni del bambino. Noterete che “Perché?” non fa parte delle domande proposte. Il motivo è che “Perché?” spesso suona accusatorio e invita a mettersi sulla difensiva. In realtà tutte queste domande possono essere poste con un tono di voce accusatorio. “Perché?” funziona quando il bambino percepisce che il suo punto di vista vi interessa davvero. Le seguenti linee guida saranno utili per utilizzare queste domande:

  1. Non stabilite un programma. Non riuscirete a mettervi nei panni del bambino se avete già programmato il modo in cui il bambino dovrebbe rispondere alle domande. Ecco perché si chiamano domande di approfondimento.

  2. Non iniziate con le domande se uno di voi è arrabbiato. Aspettate di esservi calmati entrambi.

  3. Ponetele con amore. Fatevi guidare dal buon senso per mettervi nei panni del bambino e mostrate empatia e supporto.


Uno degli esempi che preferisco è la volta in cui mia figlia mi parlò della sua intenzione di ubriacarsi a una festa. Deglutii e dissi: «Raccontami. Perché pensi di farlo?». Lei mi rispose: «Un sacco di ragazzi lo fa e sembra che si divertano». Soffocai la tentazione di farle una ramanzina e chiesi: «Cosa dicono i tuoi amici di te ora che non bevi?». Ci pensò su e rispose: «Mi dicono sempre che mi ammirano e che sono orgogliosi di me». Continuai: «Secondo te cosa penseranno o diranno quando ti sarai ubriacata?». Di nuovo, vidi che ci pensò un po’ prima di dirmi: «Credo che saranno delusi». Allora le domandai: «E tu come pensi che ti sentirai?». Direi che questa domanda la fece riflettere ancor più. Dopo una pausa mi rispose: «Probabilmente mi sentirò una perdente» seguito dopo poco da: «Non penso che lo farò».


Se non avessi saputo dell’esistenza delle domande di approfondimento e dell’importanza di aiutarla a esplorare le conseguenze delle sue scelte, sarei stata tentata di imporre una conseguenza punitiva, per esempio un vietandole di uscire. Con ogni probabilità questo l’avrebbe spinta ad assumere comportamenti subdoli anziché a pensare che avrebbe potuto confidarsi con me. La perdita più grave sarebbe stata che non avrebbe avuto l’opportunità di esplorare da sé le conseguenze delle sue scelte e quello che davvero desidera per la sua vita.

Rivediamo

Riassumendo, concentrarsi sulle soluzioni insegna ai bambini:


Cosa fare per imparare da un errore. Come possiamo risolverlo? Cosa è necessario? Alcune cose non possono essere risolte del tutto, ma si può trovare il modo migliore di sistemarle.


In che modo i bambini possono sviluppare i loro punti di forza. Quando le soluzioni vengono dai bambini o sono idee raccolte insieme e i bambini scelgono quella più utile, si sentono incoraggiati a usare il loro potere personale in modo costruttivo e dare il loro contributo.


In che modo gli errori sono possibilità di apprendimento. I bambini imparano che gli errori non sono qualcosa di orribile se non ci si colpevolizza e se si considerano gli errori come occasioni di apprendimento.


Come sviluppare capacità di risoluzione dei problemi. Riuscite a immaginare come sarebbe il mondo se tutti avessero queste competenze?


Come fermarsi, calmarsi e risolvere il problema invece di reagire. Una grande competenza per la vita!


Come essere creativi di fronte a un problema inaspettato invece di sentirsi a disagio e arrendersi.


Come sviluppare risposte appropriate (socialmente utili). I bambini imparano cosa fare piuttosto che cosa non fare. Le conseguenze logiche più efficaci sono anche soluzioni: quindi sono utili.


Genitori e insegnanti che hanno iniziato da poco a usare i metodi di Disciplina Positiva dovrebbero concentrarsi su una sola cosa alla volta e avere il coraggio di essere imperfetti. Per fermare la guerra educativa (la pace nel mondo può iniziare dalla pace nelle case e nelle scuole) è fondamentale tenersi fuori dalle lotte di potere e creare un’atmosfera in cui gli effetti a lungo termine per bambini e adulti siano il rispetto reciproco, il senso di responsabilità, sentirsi capaci e pieni di risorse, e le abilità di risoluzione dei problemi. È importante considerare gli errori come opportunità di apprendimento. Concentrarsi sulle soluzioni è uno dei modi migliori per raggiungere questi obiettivi.

Strumenti di Disciplina Positiva
  1. Concentrarsi sulle soluzioni.

  2. Le Tre R e una U per aiutare a concentrarsi sulle soluzioni.

  3. Individuare il problema e raccogliere idee per una soluzione.

  4. Eliminare le soluzioni offensive prima di chiedere ai bambini di scegliere la soluzione che ritengono migliore.

  5. Ritrovare la calma prima di risolvere un problema.

  6. Time-out Positivo.

  7. Chiedere ai bambini cosa li aiuterebbe di più – e, quando possibile, offrire almeno due alternative.

  8. Usare le riunioni di famiglia o di classe per risolvere i problemi.

  9. Domande motivazionali per aiutare i bambini a esplorare le conseguenze delle loro scelte.


Domande
  1. Quali sono le Tre R e una U per concentrarsi sulle soluzioni?

  2. Cosa significa concentrarsi sulle soluzioni?

  3. Qual è la differenza tra un elenco di idee raccolte concentrandosi sulle conseguenze, e uno di idee raccolte concentrandosi sulle soluzioni?

  4. Quali domande bisogna porre per aiutare il bambino a eliminare le proposte punitive?

  5. Perché è importante prendersi un momento per ritrovare la calma prima di cercare delle soluzioni?

  6. In che modo il Time-out Positivo è diverso dall’uso convenzionale del time-out?

  7. In quanto adulti, come vi sentireste, cosa pensereste o concludereste se un partner vi imponesse un time-out punitivo?

  8. Come vi sentireste, cosa pensereste e cosa concludereste se sapeste di poter avere un Time-out Positivo di vostra creazione in qualunque momento sentiate il bisogno di stare meglio?

  9. Perché è stupido ammonire un bambino dicendogli: «Pensa a quello che hai fatto»?

  10. Quali sono le linee guida fondamentali per insegnare ai bambini il Timeout Positivo?

  11. Qual è una buona tecnica per proseguire dopo un Time-out Positivo o per aiutare il bambino a esplorare le conseguenze delle sue scelte?

  12. Qual è la differenza tra imporre ai bambini una conseguenza e aiutarli a esplorare le conseguenze delle loro scelte?

  13. Perché è importante essere gentili e fermi allo stesso tempo?

  14. Perché per gli adulti è difficile essere gentili e fermi allo stesso tempo?

  15. Perché è una buona idea evitare di affrontare un conflitto quando si è arrabbiati?

  16. Gli adulti cosa temono possa accadere se non affrontano immediatamente il conflitto?

  17. Perché è più efficace coinvolgere i bambini nello stabilire dei limiti?

La Disciplina Positiva
La Disciplina Positiva
Jane Nelsen
Crescere bambini responsabili, indipendenti e collaborativi, in famiglia e a scuola, con rispetto, fermezza e gentilezza.Un metodo efficace per crescere bambini autonomi, responsabili e collaborativi, senza il bisogno di ricorrere a premi e punizioni. La psicologa Jane Nelsen spiega come mettere in pratica la “Positive Discipline”: un metodo efficace per aiutare genitori e insegnanti a mantenersi fermi e gentili con i bambini, senza bisogno di ricorrere alle punizioni, e incoraggiando nello stesso tempo il bambino a sviluppare l’indipendenza, il senso di responsabilità, la collaborazione e la capacità di trovare soluzioni in autonomia.La Disciplina Positiva è stato tradotto in 19 paesi. Conosci l’autore Jane Nelsen, psicologa ed educatrice di fama mondiale, è autrice di numerosi libri su accudimento e Disciplina Positiva, rivolti a genitori e insegnanti.