CAPITOLO I

Il tratto dell'ipersensibilità

1.1 Gli studi di Elaine Aron

La prima volta che mi sono avvicinata all’idea di scrivere questo testo avevo pensato a uno stile molto tecnico e scientifico, quasi accademico. Quando poi sono stata invitata a diminuire i tecnicismi e scrivere in modo più caloroso e personale, una parte bambina di me ha gioito. Quella parte che scriveva poesie alle elementari e temi “molto maturi per la sua età” alle scuole medie, la parte spontanea e vitale che anni di università mi avevano fatto mettere da parte. Ciò che ci insegnano è che le cose importanti e vere sono quelle che si possono spiegare, spesso misurare, quelle su cui si possono fare teorie ed esperimenti. E io ho profondamente apprezzato e tuttora apprezzo questo aspetto scientifico dello studio che mi è stato sapientemente insegnato. Ma non può essere l’unico approccio possibile. Occuparmi dell’ipersensibilità, anche mediante questo testo, è stato per me l’occasione di trovare un ponte tra ambito personale e professionale, tra scienza ed esperienza.


Del resto la sua stessa scoperta è avvenuta attraverso questo ponte: negli anni ’90 Elaine Aron, psicoterapeuta e ricercatrice in California, inizia a studiare una variabile mai considerata prima dai ricercatori, ma che nella sua esperienza personale aveva giocato un ruolo cruciale. Nel suo libro racconta come da bambina si “nascondeva” dal caos familiare ed evitava qualsiasi forma di attività, specialmente se competitiva, e gli altri bambini in generale. Aveva paura di molte cose, ad esempio di immergere la testa sott’acqua, e piangeva molto spesso, pensando a preoccupazioni molto più grandi di lei e insolite per la sua tenera età, come la crudeltà nel mondo, le guerre, le ingiustizie. E il suo corpo sembrava risuonare con le sue reazioni emotive. Una volta cresciuta, durante una seduta di psicoterapia mentre cercava di spiegare il suo modo così profondo di sentire tutto ciò che la circondava, la sua terapeuta le suggerì semplicemente “Sei una persona altamente sensibile”, riferendosi alla differenza nella tolleranza agli stimoli intensi, sia di tipo emotivo che sociale, e ad una modalità particolarmente profonda di fare esperienza, in senso positivo e negativo. Ha passato anni in terapia a rivalutare l’impatto di tale caratteristica sulla sua infanzia: la sensazione di sentirsi spesso sovrastata, l’alternanza di sentirsi nel mondo e fuori da esso e il bisogno di essere protetta e valorizzata nelle sue capacità di immaginazione, empatia, creatività, introspezione, che lei stessa di rado apprezzava, e che oggi riconosce come “il dono speciale” della sua sensibilità.


In questo lungo percorso di ricerca interiore, e nel contempo scientifica, a partire soprattutto da studi caratteristiche quali introversione, timidezza ed emotività, con le quali si era sempre sentita identificata, la Aron ipotizza e poi dimostra l’esistenza di un’ulteriore variabile, che sembra correlare con queste caratteristiche ma che non vi coincide: la High Sensitivity, tradotta come alta/elevata sensibilità, o ipersensibilità.


Le persone altamente sensibili sono quel 20% della popolazione generale che vive “diversamente” ciò che accade e che le circonda, in modo più profondo, emotivo, empatico. E la maggior parte di queste (soprattutto qui in Italia) non è ancora consapevole di possedere questo tratto. Molti di voi, genitori, educatori o insegnanti che state leggendo ora, probabilmente avete incontrato quella persona o quel bambino su cinque, o forse lo siete voi stessi.


Il bambino altamente sensibile è sovente quello che è più suscettibile, emotivo, riflessivo, che può venire più spesso frainteso ed emarginato fino a diventare talvolta vittima di bullismo. Può essere quello che non ride quando si prende in giro un altro, che si preoccupa del vissuto del compagno disabile o in difficoltà, e che magari soffre in silenzio per le ingiustizie. Ma è anche quel bambino che riesce a catalizzare una grande energia intorno a sé, gioire profondamente per cose in apparenza semplici, e che sa mostrare una profondità di visione e comprensione, e un’empatia tali da lasciarvi spesso interdetti e meravigliati.


L’idea alla base è che all’interno di ogni specie (non solo quella umana) esista più di una strategia di sopravvivenza, e che le differenze costituiscano un prodotto finale della selezione naturale. Il tratto dell’elevata sensibilità potrebbe costituire la base di tale differenza nella strategia di sopravvivenza all’interno del gruppo sociale. Essendo infatti maggiormente reattivi all’ambiente, i membri ipersensibili hanno una maggiore consapevolezza di sé e di ciò che li circonda, in termini di risorse e pericoli, e si rivelano più attenti e pronti in situazioni di emergenza. Il costo di tale strategia è che richiede un notevole sforzo cognitivo e un dispendio di energie fisiologiche. Il funzionamento cognitivo, neurologico e fisiologico di questa strategia è specifico e differente, e costituisce il fondamento scientifico che ne supporta l’esistenza.


Vi suggerisco di considerarlo un tratto neutro: diviene vantaggio o svantaggio solo quando si presenta una particolare situazione o un’altra. Da che il tratto esiste in ogni specie evoluta di animale, deve avere un valore in molte circostanze: è funzionale avere qualcuno vicino che guarda ai segnali sottili, che si preoccupa dei pericoli, dei nuovi cibi, dei bisogni dei più giovani e malati e delle abitudini degli altri animali. Ma naturalmente è necessario avere anche buona parte di non ipersensibili, che non si allarmi per ogni segnale e ogni azione. Che corra fuori a esplorare, lottare per il gruppo. Ogni società ha bisogno di entrambi.
E. Aron

Con l’espressione processamento sensoriale ci riferiamo a una differenza costituzionale che non è relativa agli organi di senso, ma a qualcosa che interviene dal momento in cui l’informazione sensoriale viene trasmessa al cervello e viene elaborata. Questo determina generalmente un aumento di vigilanza, perspicacia e riflessività.


Satow, già nel 1987 analizzando un questionario, aveva individuato i seguenti fattori:

  • Soglia sensoriale più bassa,
  • Percezione più rapida di uno stimolo,
  • Tolleranza inferiore a stimoli intensi e prolungati.

Per i bambini particolarmente sensibili, una nuova esperienza può risultare spaventosa, richiede sempre loro una forma di controllo e necessita di un’adeguata accoglienza e rassicurazione da parte dell’adulto, per dar loro modo e tempo di elaborare tutti i nuovi dettagli e catalogarli come non pericolosi.


Mi torna in mente l’esempio di un ragazzino i cui genitori sembravano molto stupiti del fatto che volesse sempre leggere il medesimo libro prima di addormentarsi: “Ma è già grande, ci sembra strano che non sia curioso di qualcosa di nuovo, che abbia ancora bisogno di ripetere ciò che già conosce”. In realtà per lui leggere sempre quel libro prima di dormire costituiva una rassicurazione, come “non preoccuparti, anche domattina ti sveglierai, avrai una mamma e un papà e andrà tutto bene”. Nella sua storia aveva vissuto un importante abbandono, e la sicurezza che mamma e papà gli rimanessero accanto giorno per giorno non era affatto scontata. Nella sua particolare sensibilità aveva trovato un modo per auto-rassicurarsi, nonostante la difficoltà di adattamento e la capacità assai precoce di riflettere sugli eventi e prefigurarsi tutte le possibili cause di ulteriore sofferenza.


Un altro aspetto collegato è infatti la particolare attenzione circa le possibili conseguenze di ciò che accade e dei successivi comportamenti, una tendenza a prevedere ogni possibile andamento e a voler evitare rischi. Questi bambini dimostrano in modo particolare di preferire la prevedibilità attraverso la raccolta di informazioni piuttosto che l’esplorazione immediata o l’azione impulsiva.


Un altro autore, Gilmartin, rileva poi una sensibilità particolarmente ampia, già nei bambini molto piccoli, alle stimolazioni come temperature estreme, rumore, dolore, vestiti ruvidi, sole, diminuzioni stagionali della luminosità ambientale, e fastidi di minore intensità come la presenza di un granello di sabbia nelle scarpe. In questo senso la timidezza, che nel 70% dei casi spesso viene confusa con la sensibilità, può in realtà essere una reazione di questi bambini a stimolazioni nuove e complesse, come ad esempio quelle sociali.


Nel mio caso personale questa confusione in realtà non è stata un problema, poiché io faccio parte del 30% di ipersensibili estroversi, e da bambina ero molto socievole, anzi definita spesso “leader” o “mediatrice” per come mi comportavo con i miei compagni di scuola e amichetti. Tutt’altro che timorosa dell’altro, ho sempre investito enormemente sulla componente sociale della mia esistenza, fino poi ad arrivare ad annullare me stessa pur di sentirmi parte di un gruppo.


Un episodio molto significativo della mia storia mi rammenta spesso questa difficile sensazione, e gestione, della “diversità”: in un litigio con un’amica durante una vacanza venni accusata di pretendere che le mie esigenze e opinioni venissero considerate, pur essendo in contrasto con quelle di tutte le altre del gruppo: “Se solo tu pensi o dici o hai bisogno di una certa cosa, e tutte le altre no, ti devi adattare perché è la democrazia”. Io, interdetta e ferita, sentendomi in colpa perché in effetti avevo tanto sopportato da esplodere inaspettatamente in modo controproducente (passando quindi dalla parte del torto), rimasi commossa e colpita dalla risposta di una terza persona esterna che rispose “Secondo me con la democrazia si possono gestire i governi, non le amicizie, perché in amicizia ogni bisogno o opinione è importante, anche se diversa.” Fu una grande lezione per me, e l’inizio di un percorso di consapevolezza del mio diritto ad essere diversa, come ero. E invece per anni ho lasciato che altri decidessero per me, mi sono lasciata mettere da parte in tutta consapevolezza, pensando di fare il bene del gruppo, e di venire meglio accettata. Ma poi arrivavo a un punto in cui questa scissione da me diventava ingestibile, e finivo per esplodere tra rabbia, delusione e confusione, rovinando tutto il faticoso lavoro di adattamento che avevo disperatamente tentato con tutte le mie forze.


Voler essere come gli altri, o come gli altri mi vogliono, o come si aspettano che io sia, è la prima trappola dell’ipersensibile. I bambini ipersensibili sono spesso perfezionisti, facilmente delusi e irritati dai propri errori e timorosi del giudizio. Anche se nessuno lo ha esplicitato sentono facilmente il compito di essere “bravi e buoni”, “i più bravi e i più buoni”. E la base di questa diversità e spontaneità nel voler essere come ci vogliono, quando si incrocia con un ambiente familiare che purtroppo non è in grado di accoglierla né di comprenderla, aumenta la sofferenza di questa assurda missione: essere diversi da come si è, per essere come altri hanno bisogno che siamo.


“Il ricordo di una camera in penombra, una scatola piena di giocattoli sfilata di sotto il letto.
Ordine, silenzio.
Brava, una bambina brava.
Una bambina che si assume le responsabilità di chi le sta intorno, senza gli strumenti adatti.
Sa che la sua vitalità è un peso, che non può essere accolta, che le sue richieste non sono capite.
Una bambina che disorienta.
Una bambina diversa.
Diversità, un tema che si ripropone.
Accogliente seppur non accolta, leggera anche se questo è per lei è un peso, facile perché sa prevedere quello che ci si aspetta da lei e lo dà.
Una personalità che piano piano si nasconde, si nasconde nell’intimo, in quello sgabuzzino dell’anima dove si mettono le cose che non si vogliono, che sono d’impaccio.
Piano piano la porta dello sgabuzzino si chiude, poi si sigilla.
I bisogni si trasformano, si plasmano a seguire i bisogni dell’altro, i desideri dell’altro, e i propri non si conoscono più, non si riconoscono più.
Affetto. Quell’affetto che tanto si desidera, quell’accoglienza che tanto si desidera, si prendono dalle briciole, le briciole che vengono donate e le briciole diventano l’unica pienezza che si conosca.
Energia, tanta energia utilizzata ogni giorno perché questo equilibrio si mantenga.
Ripetizione. Questo schema si ripete immutato nel tempo.
Diversità, non accoglienza, non riconoscimento. Negazione. Negazione del sé vero.
La strada è solo quella dell’essere bravi.
Bravi a scuola, ordinati, educati, silenziosi, sorridenti, puliti.
Solitudine, voce fuori dal coro.
Veder il mondo intorno a sé e per qualche motivo non riuscire a parteciparvi, percepire così profondamente e negare. Negare ogni volta che la percezione sia giusta, perché quella percezione in qualche modo ti emargina ed allora il solo modo
è di chiudere anch’essa dentro quello sgabuzzino nero che è nato nell’anima tanto tempo prima, e sorridere, sorridere per essere accettati.
Cercare, cercare quotidianamente, strenuamente, faticosamente.
Domande che si susseguono.
Le risposte sono: “non ti accontenti”, “cosa ti manca”, “sei pessimista”, “sei sempre arrabbiata”…
allora moltiplichi i tuoi sforzi e sorridi.
Tanto tempo e tanto dolore prima di riconoscersi in qualcun altro che ha vissuto come te, che si è negato come te, simile fra simili. I tuoi discorsi sono i suoi, le sue domande sono le tue.
Avere “diritti”, ancora si stringe il cuore quando si pronuncia questa parola e finalmente si ritrova la chiave dello sgabuzzino dell’anima, che comincia ad aprirsi di nuovo.”
Roberta


Una maggiore sensibilità alle sensazioni più sottili è ciò cui consegue una maggiore riflessività, sia come causa che come risultato di una prevalenza di ciò che viene percepito nell’ambiente esterno piuttosto che di ciò che accade all’interno.


Un talento per la riflessione circa ciò che potrà capitare in futuro, in termini di conseguenze, e ciò che poteva andare diversamente in passato.


“In sintesi, ci sono prove ragionevoli di una più ampia sensibilità del processamento sensoriale in un’ampia minoranza di individui. Ci si potrebbe aspettare che si manifesti come scarsa socievolezza ed emotività altamente negativa in alcuni individui sensibili – la prima come strategia per evitare la sovrastimolazione, l’ultima come risultato di interazione del tratto con le prime esperienze avverse o socialmente non supportate. Ad ogni modo, può essere lo stesso distinto da loro e correlato ad altre variabili e misure coinvolgendo logicamente la sensibilità.”
Aron e Aron, 1997

I coniugi Aron, negli anni ’90, avviarono una serie composta da 7 studi, su circa un migliaio di persone, riguardo le caratteristiche dell’ipersensibilità, sulla base dei quali hanno costruito una scala di autovalutazione a 27 livelli denominata Highly Sensitive Person (HSP) Scale.


I risultati chiave emersi in questi studi rilevano come le varie caratteristiche comuni riferite riguardano l’ipersensibilità verso svariati elementi quali: percezioni sottili dell’ambiente, le arti, la caffeina, la fame, la sofferenza, il cambiamento, l’iperstimolazione, i forti stimoli sensoriali, gli umori degli altri, la violenza percepita tramite i media, e il sentirsi osservati.


Essendo la sensibilità correlata, ma non identica, alla timidezza/introversione, viene dimostrato che molti introversi non sono molto sensibili, e allo stesso modo, molti individui altamente sensibili non sono introversi. Egualmente la sensibilità è stata spesso confusa con nevrosi, timore, reattività o inibizione, ma l’ipersensibile diventa impaurito, sovreccitato, o più facilmente depresso a seguito di esperienze negative ripetute, e se nel contempo non trova risorse di tipo sociale che lo aiutino ad elaborare l’esperienza. Sembra abbastanza ragionevole quindi che anche i bambini ipersensibili possano essere più emotivi, così come possono essere consapevoli di un numero maggiore di informazioni e possono essere più facilmente sovreccitati o ritirarsi improvvisamente.


All’interno di queste centinaia di persone identificate da questo studio come altamente sensibili sono emersi due gruppi distinti: un gruppo più piccolo (circa un terzo dei partecipanti) che ha riportato di aver avuto un’infanzia infelice e che tende ad avere punteggi più elevati sull’introversione sociale e l’emotività negativa; e un gruppo più ampio (gli altri due terzi dei partecipanti) che invece ha dichiarato di aver avuto un’infanzia felice e non mostra nessuna differenza di adattamento rispetto alla più ampia popolazione di individui non altamente sensibili.


Posto quindi che tutti i bambini altamente sensibili hanno lo stesso temperamento sottostante, le implicazioni per il resto della loro vita dipendono dai fattori ambientali, e quindi familiari ed educativi. Rolf Sellin sottolinea come sia delicata la questione delle richieste “particolari” cui la famiglia deve provvedere per aiutare il bambino ipersensibile a sviluppare quell’attaccamento sicuro che gli servirà tutta la vita per vivere bene con questa caratteristica. Come dicevamo poco fa, il bambino ipersensibile tende a vivere con maggiore profondità le situazioni, piacevoli o spiacevoli che siano, e ne è quindi particolarmente influenzato. Il comportamento necessario del genitore implica pertanto un aumentato sforzo di comprensione e rassicurazione verso il figlio, e la migliore gestione possibile delle proprie emozioni, per non influenzare le sue.


L’irritabilità infantile è il primo segnale comune di un temperamento sensibile, e conduce più facilmente a forme di attaccamento insicuro se il genitore non compie sforzi eccezionali per rendere il bambino sicuro. Ad ogni modo il valore di tali risultati è che può aiutare a indebolire gli stereotipi delle persone altamente sensibili come particolarmente negative o nevrotiche, perché suggerisce che tale caratterizzazione si applica invece solo ad una minoranza. Al contrario gli individui sensibili provenienti da contesti familiari che sostengono la loro personalità riescono a trasformare la loro specificità in un grande vantaggio per la loro vita.


Mi torna in mente l’esempio di una ipersensibile il cui mandato familiare implicito era sempre stato “tieni duro, stringi i denti e vai avanti”, ereditato dal padre, a sua volta ipersensibile. L’impatto di questo insegnamento sulla sua vita si è realizzato in un costante superamento dei propri limiti e in una riduzione della propria espressività generale. Nel corpo tutto questo si era accumulato sotto forma di tensioni croniche, che l’hanno portata a una sorta di “congelamento interno”. Il suo percorso è stato trasformare questa implicita richiesta – di non mollare mai e di forzare regolarmente i propri limiti corporei – nell’ascolto di se stessa, del suo corpo e del suo bisogno di fermarsi, respirare e rilassarsi. Dopo un lavoro, fatto insieme, di riflessione su tali impliciti e sulla sua costante somatizzazione del superamento dei propri limiti, la frase alternativa per lei è diventata quindi “No. Basta. Ho bisogno di rilassarmi e di respirare”.


Rolf Sellin parla della possibilità che un genitore ipersensibile, non consapevole della propria caratteristica e che non ha accettato le implicazioni derivanti, possa poi involontariamente combatterle nel figlio. Per questo motivo ritengo fondamentale per un genitore acquisire tale conoscenza e consapevolezza prima di tutto rispetto alla propria parte altamente sensibile.


L’influenza dell’ambiente genitoriale sul vissuto infantile sembra essere più forte tra gli individui altamente sensibili soprattutto per la parte maschile. Coloro che sono più sensibili al proprio ambiente saranno ovviamente più reattivi alle relazioni genitoriali negative, e l’impatto più forte negli uomini assume un senso se consideriamo il contesto culturale relativo a un’educazione del maschile che sembra ridurre ulteriormente la loro sensibilità.


Molte volte gli uomini non immaginano di poter essere ipersensibili. Molti di loro hanno sepolto bene in profondità questi tratti che li distinguevano, e si trovano intrappolati in un dilemma tra “virilità” e sensibilità, e sono ancora più in balìa di aspettative contraddittorie.


Questo appare ancora più verosimile nel rapporto tra padri e figli maschi: la dottoressa Aron afferma che in molti casi i padri tendono ad avere sentimenti confusi intensi e contrastanti rispetto alla propria sensibilità e quindi anche rispetto a quella dei propri figli.


I bambini con elevata sensibilità, se non adeguatamente compresi nell’ambiente familiare e rispettati riguardo questo tratto, con probabilità avranno da adulti maggiore bisogno di sostegno. Nel contempo risponderanno molto bene alla psicoterapia, perché vi troveranno ciò di cui hanno bisogno e che magari non hanno ricevuto in famiglia: una guida nell’apprezzare le loro peculiarità e nello sviluppo di strategie per gestirla al meglio.


Uno degli aspetti che più ho apprezzato avvicinandomi a questo concetto è stato il fatto che venisse studiato in modo multidisciplinare e gli anni di ricerche e di studio fino ad oggi hanno coinvolto anche biologi, genetisti, neurologi, psicologi dello sviluppo, contribuendo a darne un quadro sempre più specifico e multifattoriale.

In un nuovo studio1 svolto presso l’Albert Einstein College of Medicine in California, gli autori hanno scoperto attraverso la risonanza magnetica funzionale che il cervello “altamente sensibile” risponde in maggior misura alle immagini emozionali e mostra una superiore eccitabilità generale, dovuta ad una più grande sensibilità nei confronti degli stimoli.


In particolare, le aree in cui sono state riscontrate significative differenze tra HSP (Highly Sensitive People) e non HSP sono le aree del cervello coinvolte con l’emozione e la consapevolezza, quelle aree connesse con i sentimenti empatici, che nelle persone altamente sensibili hanno mostrato un maggiore afflusso di sangue. Questa è la prova fisica che all’interno del cervello gli individui altamente sensibili rispondono in maggior misura agli impulsi emotivi legati alle situazioni sociali.


Ciò determina un processamento più acuto delle informazioni, così come una più ampia consapevolezza di sé e dell’ambiente. Quando lo stato di vigilanza rispetto agli stimoli è per natura più attivo, l’intero comportamento e la personalità, la salute o la patologia, vengono largamente influenzati dai fattori ambientali.


Tali differenze possono quindi richiedere più tempo per processare gli stimoli ed elaborare riflessioni. Questi tempi dilatati sono quelli di cui in alcuni casi riferiscono genitori e insegnanti, preoccupati di un ritardo cognitivo o di una eccessiva tendenza alla distrazione o pigrizia. In assenza di diagnosi certe (di solito già indagate da neuropsichiatri quando arrivano a me), ciò che cerco di spiegare loro è solo che questi bambini hanno una modalità più complessa di gestire informazioni, e nel momento in cui affrontano un compito faticano più degli altri ad isolare lo stimolo e ad evitare di essere influenzati da tutto il resto della stimolazione ambientale ed emotiva. Sovente si scopre che faticano a gestire l’ansia da prestazione o che riflettono troppo prima di prendere decisioni, che elaborano svariate alternative mentali o seguono un percorso di riflessioni che va oltre quelle richieste portandoli a perdersi. Sono magari impegnati a pensare all’umore della mamma quella mattina, o alla frase scortese che gli ha rivolto poco prima un compagno, o sono preoccupati perché il tempo metereologico sta per cambiare.


Ciò che tengo sempre a mettere in luce è l’importanza di chiedere al bambino prima di trarre conclusioni: se c’è qualcosa che lo preoccupa, se ha altri pensieri, paure, se qualcosa in particolare lo disturba o distrae, e cosa potrebbe aiutarlo a concentrarsi. E quando dico “chiedere” mi riferisco a una particolare modalità di comunicazione, che spiegherò ampiamente nella parte sulle strategie, e che in generale implica una certa postura, un certo tono e una attenta scelta di parole.


Il bambino è capace di compiere imprese impossibili pur di farsi vedere e considerare dai genitori: rinuncia a parte di sé, ad aspetti della sua individualità pur di piacere e farsi amare dagli adulti che lo circondano. Ma quale sarà poi il prezzo da pagare per tale sforzo? La perdita della sua autenticità, della sua libertà, della sua vera natura.” (…) Per educare un bambino occorre prima di tutto educare se stessi poiché educare è un’arte che richiede una profonda conoscenza e padronanza di sé.
E. Balsamo

1.2 Le componenti multifattoriali

Partendo quindi dal presupposto che i bambini altamente sensibili funzionano in modo differente a livello cerebrale, risulterà più chiaro come alcuni loro comportamenti strani in apparenza, siano solo il frutto di un processamento più dettagliato: la maggiore lentezza ad entrare nelle situazioni, soprattutto di tipo sociale, la necessità di rispettare i propri ritmi nell’elaborare stimoli e informazioni, soprattutto se nuovi o riguardo i cambiamenti, la tendenza a perdersi in ciò che si sta facendo (con grande irritabilità se interrotti), o al contrario la facile distrazione in presenza di stimoli multipli. Ricordo in particolare come da piccola la musica della radio o il rumore di sottofondo della Tv mi impedisse di concentrarmi sui compiti. Facevo molta fatica a isolare il solo stimolo su cui dovevo concentrarmi; parimenti da adulta, allorché una persona mi parla e altre due dialogano nelle immediate vicinanze, o quando, mentre ascolto il mio interlocutore, sento rumori insoliti o noto cambiamenti di luminosità (ad esempio se si rannuvola o inizia a piovere): è come la sensazione di avere un campo uditivo e visivo più ampio, e quindi più stimoli da processare contemporaneamente.


Questa differenza di processamento riguarda in particolare gli stimoli di tipo sociale, ed è comprensibile se si considera che è una strategia per la specie, e per il funzionamento dei gruppi gli elementi sociali sono preponderanti. Questo significa che tutto ciò che riguarda gli atteggiamenti, i giudizi, le aspettative e quindi tutti i comportamenti verbali e non verbali, colpiscono particolarmente l’attenzione di questi bambini. Possono apparire “troppo timidi/chiusi” o al contrario “troppo irritabili/agitati”, più “saggi/riflessivi” della loro età, facilmente feribili da determinate parole o gesti (ferite su cui rimuginano per lungo tempo), molto timorosi di entrare in un nuovo gruppo di pari (ad esempio nella scuola, nello sport, al catechismo, nelle feste, durante le vacanze…), inaspettatamente intuitivi circa l’umore o i bisogni di chi li circonda o l’atmosfera emotiva di una situazione. Qualsiasi cosa perturbi la quotidianità viene afferrata velocemente, registrata e interpretata poi in base all’età e alle esperienze pregresse, quindi colta con maggiore o minore allarme. Questo è anche uno dei motivi per cui spesso i genitori mi riportano comportamenti “ripetitivi/rituali”, come ad esempio leggere sempre lo stesso libro prima di dormire (anche in età preadolescenziale), o fare certe cose sempre a una certa ora, o voler sapere in anticipo i programmi della domenica, aspettandosi che i tempi vengano rispettati. La prevedibilità è qualcosa di cui credo ogni bambino abbia bisogno, ma i bambini particolarmente sensibili in modo particolare.

A questo punto potreste chiedervi: ma questa “sensibilità” quindi riguarda soprattutto gli aspetti perturbanti in senso negativo? In realtà no, e vari autori specificano e dimostrano che gli individui più “suscettibili” non sono semplicemente più vulnerabili alle avversità, ma in genere più “evolutivamente plastici” ovvero malleabili. Le dimostrazioni empiriche2 evidenziano come molti di coloro che sono considerati esageratamente permeabili di fronte ad esperienze e fenomeni negativi possano verosimilmente trarre maggior beneficio dalle risorse proprie e dell’ambiente e dal sostegno degli altri.


I dati raccolti3 hanno rivelato che quando i bambini con temperamenti e stati emozionali più difficili, più sensibili, sperimentano già nei primi sei mesi di vita una buon livello di cura infantile e un rapporto migliore con i genitori, presentano punteggi più alti nelle competenze sociali all’età di 4,5 anni e di competenza scolastica e sociale a 6 anni.


In un altro studio4 viene ulteriormente confermata l’influenza positiva della variabile ipersensibilità sull’istruzione scolastica in un campione di 166 bambini di 11 anni. Nella mia esperienza questo punto è stato molto importante in termini di autostima: ho in effetti acquisito piuttosto in fretta le competenze scolastiche e sociali e, vivendo in una famiglia che teneva in alta considerazione questi aspetti, vi ho probabilmente investito molto. Ricordo un episodio che spesso mio padre si divertiva a raccontare di me: “Mentre scendevamo le scale e tu parlavi e parlavi, la vicina di sotto ti ha chiesto se avevi mangiato un vocabolario per colazione. Eri molto piccola per riuscire già a esprimerti così.” In seconda elementare raccolse in un piccolo libricino le mie “Poesie Piccine”, poiché la poesia è stato uno tra i modi preferiti di esprimermi da che ho imparato a scrivere. Ho conosciuto però esperienze anche del tutto diverse in altri bambini HSP, poiché non sempre la precocità è così evidente dato che si incrocia con tutte le altre variabili individuali e relazionali del caso. L’elemento differenziale del bambino ipersensibile è che le espressioni inaspettatamente precoci riguardano soprattutto emozioni, sensazioni, dinamiche relazionali, proprie o di chi gli sta attorno.

La selezione naturale ha plasmato in maniera differente gli individui rendendoli diversi nel loro livello di sensibilità alle condizioni ambientali per una ragione evolutiva, in modo che i segnali e gli eventi inaspettati possano influenzare e informare principalmente gli individui più vulnerabili alle influenze ambientali, e che fungeranno da campanello d’allarme, ma non quelli meno sensibili, che tenderanno invece a tenere bassa la soglia di allarme ed eventualmente a passare all’azione. Questa considerazione risulta in effetti vantaggiosa se la consideriamo all’interno della famiglia, per cui le variazioni nella sensibilità tra fratelli procurerebbero una sorta di “garanzia protettiva” in entrambi i sensi, a beneficio degli altri membri.


Nella maggior parte dei casi che ho incontrato infatti se in famiglia c’erano due o tre figli di solito i genitori riportavano difficoltà solo per uno, e descrivendolo spesso lo confrontavano col comportamento più “spensierato, leggero, semplice da gestire” del fratello o della sorella. Pur essendo ereditario non è quindi scontato che sia trasmesso ed emerga egualmente in più figli, e nell’ottica evolutiva questa sembra essere la condizione più funzionale per una famiglia.


Ma vediamo ora più nello specifico quali sono i fattori che compongono questo particolare tratto:

1) Fattori comportamentali

L’ipersensibilità è una funzione di caratteristiche comportamentali e psicologiche, come moderatore delle influenze ambientali. Circa il 20% della popolazione è caratterizzata da una personalità altamente sensibile, che comprende un sistema nervoso altamente sensibile, una maggiore consapevolezza dei dettagli sottili presenti in ciò che c’è attorno, così come un processamento più profondo delle informazioni e una tendenza a essere più facilmente sopraffatti quando si è in un contesto altamente stimolante.

Scontato che ogni ipersensibile è comunque ovviamente diverso dall’altro per la soggettiva esperienza, il personale incrocio del tratto con gli altri aspetti del carattere, e l’individuale predisposizione per l’espressione di una o altra caratteristica, rispetto agli individui non ipersensibili generalmente emergono:

  • Elevata coscienziosità
  • Capacità di profonda concentrazione
  • Abilità particolare in compiti che richiedono vigilanza, accuratezza, velocità e precisione nel cogliere i dettagli
  • Capacità di processare gli stimoli a un livello più profondo
  • Particolare fastidio ed evitamento rispetto agli errori
  • Rimuginazione del pensiero
  • Intuizione nell’imparare cose senza esserne pienamente consapevoli
  • Profondamente influenzati dagli umori e emozioni altrui
  • E. Aron


Nel testo Psychotherapy and the highly sensitive person Elaine Aron precisa ulteriormente e riassume le peculiari caratteristiche delle Persone Altamente Sensibili (HSP, acronimo in inglese) in 4 categorie principali:


1) PROFONDITÀ DI ELABORAZIONE: “Le HSP sono nate con un tratto che le rende consapevoli di ogni genere di messaggio sottile che provenga da dentro o da fuori. Non è perché i nostri occhi o le nostre orecchie sono più acuti. Noi processiamo più profondamente le informazioni che riceviamo.”


Questa prima caratteristica è la più importante e differenziale: i bambini ipersensibili registrano in modo più intenso tutto ciò che vedono o sentono, quanto gli altri dicono e pensano nei loro riguardi e quanto si aspettano da loro. Percepiscono in modo più profondo l’atteggiamento altrui nei loro confronti, le aspettative, i giudizi, i rifiuti, e le incongruenze tra linguaggio verbale e non verbale. Percependo in modo più profondo e dettagliato le informazioni e dovendo automaticamente processare anche le possibili connessioni o incongruenze, tale attività richiede uno sforzo continuo e faticoso, che produce effetti misurabili nell’organismo: i fluidi del corpo della persona sensibile mostrano alti livelli di sostanze associate allo stato di attivazione e allo stress.


Tali livelli fisiologici di maggiore attivazione e stress sono rilevabili già nel bambino, in particolare se esposto a situazioni familiari complesse, e questo ci pone ancora più chiaramente nella necessità di imparare a gestire al meglio il contesto che gli offriamo, giacché con una maggiore attenzione alla sua particolare suscettibilità agiremo indirettamente anche sulla sua salute.


Questa profondità di elaborazione traspare anche nella generale tendenza a riflettere e a domandarsi riguardo alla modalità di funzionamento del mondo, della vita, delle persone, al significato delle cose, alle implicazioni dei comportamenti, alla previsione delle conseguenze. Una spontaneità di congetture, coscienziosità, intuizioni riguardo lo stato d’animo degli altri. Spesso si manifesta anche in sogni particolarmente complessi, simbolici, vividi, in un sorprendente grado di auto-osservazione e uno sguardo sempre portato al lungo termine. Problemi più grandi di loro li affliggono in modo inaspettato, come i conflitti in famiglia o nel mondo, i problemi economici, la morte e la malattia, l’ingiustizia, la crudeltà. Ma si manifesta anche in una creatività sorprendente e funzionale, che gli permette di ricercare e trovare soluzioni inusuali ai problemi, cogliere gli aspetti più utili di una situazione, elaborare strategie alternative di comportamento. La maestra mi scrisse, a proposito delle mie poesie:


“Perché la vita sia anche poesia, nel tempo, è necessario che tu mantenga sempre la tua spontaneità, la tua gioia interiore e il tuo desiderio di comunicare. Sui tuoi quaderni cerchi la vita intorno a te.”


Oggi rileggendo queste parole provo nostalgia per l’entusiasmo che avrebbe tanto voluto preservare in me, e che invece la vita ha in parte ridimensionato, perché rimanere spontanei per un ipersensibile è una sfida assai difficile nei rapporti con gli altri.


2) SOVRASTIMOLAZIONE: “Spesso possiamo quindi sentirci sovrastimolati, ma qualche volta non ce ne rendiamo conto, improvvisamente ci sentiamo esausti e realizziamo solo dopo il perché: può sembrarci che qualcosa ci faccia sentire particolarmente “su” a livello consapevole, e invece a lungo andare ci butta giù. Sul lavoro abbiamo la tendenza a complicarci la vita con le nostre pretese eccessive, i continui approfondimenti e le infinite riflessioni, e in alcuni ambiti tanta scrupolosità porta in genere a sprecare tempo inutile.”


La sovrastimolazione è dovuta soprattutto alla quantità eccessiva di dettagli che l’ipersensibile si trova ad elaborare quando immagazzina delle informazioni. Alti livelli di stimolazione conducono ad alti livelli di attivazione, che possono causare disagio, stress e interferenza con il rendimento.


La profondità di elaborazione e la tendenza naturale alla curiosità, creatività e coscienziosità predispongono infatti chi è altamente sensibile a ritrovarsi spesso in situazioni in cui la richiesta di elaborazione di un compito o di una situazione diventa rapidamente eccessiva.


La Aron fa ad esempio riferimento agli stimoli molto intensi come il rumore o la luce, o al contrario sottili come le minime differenze in un tessuto (etichetta o ruvidità o bagnato/sporco), o i dettagli non armonici di un oggetto o una stanza. Un’altra caratteristica importante, oltre l’intensità, sembra essere la durata nel tempo: uno stimolo prolungato diventa meno sopportabile, anche se non particolarmente intenso.


Un ulteriore criterio riguarda il grado di complessità del compito rispetto al contesto, ad esempio la richiesta di affrontare una conversazione in un posto molto rumoroso e affollato o concentrarsi su un compito mentre c’è la televisione accesa o si sente molto il rumore del traffico.


La sovrastimolazione può presentarsi facilmente anche nelle situazioni di novità, soprattutto se in ambito sociale, inaspettate e impreviste. La prevedibilità e la regolarità sono fattori di prevenzione in tal senso, poiché permettono al bambino di prepararsi all’inondazione dei nuovi stimoli. Sottolineo quindi quanto sia importante non forzarli ad affrontare più situazioni nuove in una stessa giornata (ad esempio festa di compleanno, pranzo da amici, giro a una festa di paese lo stesso giorno) o in uno stesso breve periodo (cambio di casa, cambio di scuola o classe, cambio di sport nello stesso mese) pretendendo implicitamente un’adattamento scontato. È importante considerarlo non solo per cambiamenti “imposti” o inevitabili, ma anche per quelli desiderati e positivi, in quanto comunque fonte di complessa elaborazione.


Nelle situazioni sociali alcuni aspetti poi tendono a sovraccaricare: sentirsi osservati, sotto esame, criticati oppure anche cercati, amati e richiesti in modo troppo intenso. Vivendo in modo più profondo anche le emozioni positive sanno gioire profondamente e anche la gioia richiede molte energie.


In ogni interazione sociale l’ipersensibile nota in modo insconscio ogni minimo dettaglio dell’espressione facciale, della postura, del tono della voce e degli altri aspetti non verbali dell’interlocutore, e ne trae subitanee conclusioni, a volte corrette, altre volte no.


Una gestione ottimale delle situazioni di sovrastimolazione implica una buona conoscenza e consapevolezza dei limiti, propri o del bambino, che possono non coincidere con desideri, aspettative, richieste sociali, soprattutto della nostra cultura odierna “senza limiti”.


Il problema di non percepire i propri limiti, e quindi di non rispettarli, si manifesta nei comportamenti tipici riferiti dai genitori quando arrivano a chiedermi una consulenza per i figli. Quando un ipersensibile si spinge oltre i propri limiti, si trasforma radicalmente e da un momento all’altro tramuta la sua estrema sensibilità nel suo perfetto opposto: se prima era una persona empatica, disponibile, indulgente, comprensiva e benevola, tollerante e riguardosa, gentile e accorta, all’improvviso non lo è più. Passa dalla sensibilità estrema alla totale assenza di sensibilità, e dalla costante iperattività all’esaurimento totale delle forze. Nel bambino questo può manifestarsi anche con un comportamento oppositivo/dirompente.


Approfondendo le situazioni in cui ciò accade, i genitori fanno spesso riferimento a richieste che per loro avevano a che fare con il divertimento e non erano faticose o eccessive, come andare ogni sabato sera fuori con amici di famiglia in locali affollati e rumorosi. Per il figlio ipersensibile questa costante esposizione senza poter decidere tempi e luoghi, senza avere possibilità di proteggersi o ritirarsi quando ne sente la necessità, diventa un’esposizione non voluta e un’incredibile forzatura del suo limite. “Non possiamo stare sempre chiusi in casa, così magari riesce a sviluppare un po’ di competenze sociali, eppure gli altri bambini si divertono”; il genitore finisce spesso per fare confusione tra il proprio desiderio di socialità, il proprio concetto di divertimento e quelli espressi dal figlio, con la frequente aggravante del continuo confronto con “gli altri bambini/nelle altre famiglie”.


Il bambino in origine sente perfettamente il proprio limite, ma se quando lo comunica la risposta del genitore è sempre “non ascoltarlo, fòrzati, adèguati, fai come gli altri”, ovviamente imparerà purtroppo a fare come richiesto, con serie conseguenze da adulto. Se fin da piccolo le sue sensazioni vengono considerate “eccessive/sbagliate”, e non vengono protetti i suoi limiti di stimolazione, il bambino ipersensibile corre il rischio di disconnettersi completamente da ciò che sente. Percependo invece con estrema precisione ogni reazione o malessere di chi lo circonda, per garantirsi il loro amore e il senso di sicurezza e appartenenza, sceglie di disconnettersi dalle sensazioni del corpo e della propria pancia. Tra il proprio intuito e le aspettative altrui viene generalmente scelto l’adattamento, e un orientamento sempre più verso la visione degli altri a discapito della propria, perdendo fiducia nel proprio punto di vista, nelle proprie percezioni e valutazioni. Avendo in primo luogo l’attenzione rivolta all’esterno, da adulto faticherà a guardarsi e ascoltarsi dall’interno e riconoscere quando la richiesta è eccessiva per lui, poiché non conosce affatto i propri limiti, e di conseguenza non è in grado di rispettarli o difenderli dagli altri. Pretenderà da se stesso troppo o troppo poco, e percepirà l’invasione dell’altro troppo tardi, tutto questo perché animato da una sorta di ambizione interiore, e irrealistiche pretese riguardo il perfezionismo e l’assoluto bisogno di armonia.


Questa eccessiva attivazione e stimolazione è connessa, come accennato in precendenza, alla produzione di sostanze nel sangue legate allo stress: una di queste, il cortisolo, può determinare tra l’altro difficoltà nel sonno, perdita dell’appetito, ipervigilanza, irritabilità e ansia. Spesso il bambino ipersensibile piange o si stizzisce insistentemente quando è stanco (i tempi di tolleranza sono generalmente inferiori rispetto al solito), o è rimasto troppo tempo in un posto particolarmente affollato e rumoroso. Ha maggiori difficoltà ad allontanarsi da casa, specialmente per dormire, e può esprimere tutto questo anche in termini di sintomi somatici, ad esempio legati al mal di stomaco o al mal di testa. A tal proposito specificherei che è necessario, anche se non sempre facile, cogliere la differenza tra ipotetici “capricci” e reale malessere, poiché tali sintomi, seppur psicosomatici, sono reali, e se vengono sempre presi per falsi sarà molto difficile per il bambino gestirsi. Il nostro compito arduo è cercare di agire a cavallo della loro “zona di comfort”, cercando di rispettare i loro limiti ma stimolandoli comunque a sperimentarsi poco alla volta, senza cedere alle paure e alla sensazione di “non potercela fare”. Il messaggio implicito importante quindi sarà più o meno “Capisco che questa cosa ora ti mette a disagio/ti spaventa/credi di non riuscirci, ma magari proviamo insieme, io sono qui con te, e se dopo qualche tentativo confermi che non ti piace/non fa per te allora lo saprai con più certezza e sceglieremo diversamente.”


Se ogni stimolo viene quindi elaborato più profondamente, sia in termini di intensità che di connessioni e associazioni, una buona regola di base sarebbe: giusta dose di stimoli (se troppi li sovraccarichiamo, se troppo pochi si lamenteranno per la noia), poco intensi e per quanto possibile prevedibili, e ritmi lenti. Approfondiremo meglio cosa significa nella pratica quotidiana sotto la dicitura “Calibrazione”.


3) EMOTIVITÀ, EMPATIA: “Sentiamo così intensamente, siamo più portati a percepire forti sensazioni di curiosità, paura, gioia, rabbia o altro. Ma questa intensità può diventare sovrastante, specialmente quando abbiamo a che fare con emozioni negative. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di imparare strategie per regolare la nostra emotività.”


Una delle principali caratteristiche dell’ipersensibile è un’aumentata reattività emotiva rispetto ad ogni tipo di evento nella sua vita, sia positivo sia negativo. La persona altamente sensibile viene toccata in profondità dalle situazioni con più frequenza rispetto alle altre persone. Può essere definita “sentimentale”, “suscettibile”, e in genere è più facile alle lacrime, anche in senso di commozione e gioia. Questa reattività alle emozioni emerge anche rispetto a quelle espresse dagli altri, dimostrando una capacità di profonda empatia, superiore alla norma.


Le tipiche difficoltà di un HSP riguardano quindi la gestione di queste “sovrareazioni”, ad esempio quando prova una profonda tristezza anche per questioni apparentemente di poco conto, spaventarsi con facilità e avere bisogno di maggiori rassicurazioni, una gestione difficile della rabbia e della frustrazione. Il secondario aspetto importante che ho più volte riscontrato è l’importanza di gestire l’automatica tendenza ad immedesimarsi nell’altro al punto da confondere il proprio stato d’animo con quello altrui. Chi non è adeguatamente centrato e non sa definire i propri limiti corre troppo spesso il rischio di farsi carico delle emozioni degli altri. E non solo delle emozioni, ma dei pensieri e delle sensazioni corporee associati.


Un ipersensibile dovrebbe chiedersi quindi spesso “ma queste sono davvero le mie emozioni? Sono davvero i miei pensieri? Le mie sensazioni corporee?”.


Durante l’infanzia gli ipersensibili sperimentano con più frequenza forti reazioni emotive e difficoltà di autoregolazione, sono più facilmente stressati da scene violente in Tv o da notizie del telegiornale, da paure riguardanti la salute o la morte dei propri cari o di persone conosciute, da preoccupazioni per le azioni di prepotenza e ingiustizia a scuola.


Ma i bambini ipersensibili che ho conosciuto sono anche quelli che si accorgevano e si occupavano dei bambini in difficoltà della classe, quelli che automaticamente tendevano a passar loro i colori, alzarsi per raccogliere qualcosa che era caduto, tener loro il posto nei cerchi; o semplicemente che tenevano sotto controllo, in silenzio, i loro comportamenti e umori, e sapevano dare spiegazioni delle loro reazioni emotive apparentemente dal nulla.


In alcuni casi le maestre parlano di “bimbi alfa”, facendo riferimento alla loro capacità di mediare e farsi ascoltare dai compagni. Sono spesso quei bimbi cui gli insegnanti si rivolgono per un aiuto nelle situazioni di difficoltà di qualcuno o del gruppo, proprio per la loro intuitiva capacità di entrare in empatia e connessione con gli altri. In altri casi invece sono bimbi silenziosi e schivi, chiusi e timorosi, ma che se interpellati faranno in ogni modo sfoggio di grande capacità intuitiva, emotiva e introspettiva. Un’altra caratteristica comune è la necessità di esprimere tale emotività attraverso la creatività, il movimento e l’arte. Spesso disegnano, scrivono poesie, brevi storie o canzoni che evidenziano questa profonda capacità di sentire, così inusuale per la loro età.


4) SENSIBILITÀ AGLI STIMOLI SOTTILI:A volte noti livelli di stimolazione che passano inosservati agli altri. Ciò ti rende particolarmente intuitivo, che significa che raccogli e lavori più informazioni in modo consapevole o meno. Il risultato è che a volte “sai” e basta, senza realizzare come.”


Considerata l’elaborazione più profonda degli stimoli, come già accennato, la Aron indica in questa caratteristica anche la percezione dei segnali più sottili e contraddittori delle relazioni e dell’ambiente, la capacità di percepire certi stimoli che vanno oltre quelli visibili ed espliciti, e che vengono messi in relazione con altre variabili, anche in apparenza non connesse. Questo permette all’ipersensibile di intuire collegamenti e di combinare le idee in modi nuovi, ed è alla base della creatività nel trovare strategie ai problemi. Ha a che fare con la più bassa soglia di distinzione dei dettagli e di tolleranza alla stimolazione, e può venire spesso fraintesa o sottovalutata. Nel bambino ipersensibile questa caratteristica è ad esempio sottovalutata quando i genitori non si rendono conto di quanto il figlio percepisca anche ciò che non gli viene esplicitamente detto ed elabori connessioni e associazioni.


Un bambino ipersensibile percepisce con estrema precisione ogni reazione dei genitori, ogni irritazione, malessere, e ogni contatto negato, ogni dubbio o il minimo accenno di rifiuto. Percepisce in modo più differenziato, e rileva ogni dettaglio anche non evidente, ad esempio nel caso in cui un genitore sia di malumore (ma anche un compagno o un insegnante), anche sforzandosi di non farlo apparire lo trasmetterà al bambino, il quale tenterà o di domandare o di compiere un gesto consolatorio. Pertanto è sottoposto in maggiore misura ai messaggi contraddittori e alle informazioni nascoste. In un certo senso riesce a sbirciare dietro le quinte e sentire anche il non detto, che purtroppo sovente si rivela contrario a quanto affermato.


Ciò che consiglio spesso ai genitori è di dire sempre le cose con il maggior grado di verità che il figlio possa comprendere in base alla sua età. Se ad esempio due genitori litigano fino a volersi separare, può capitare che credano di essere riusciti a non far notare nulla al figlio, essendo stati accorti nel non litigare in sua presenza. Eppure quando arriva il momento di comunicarglielo, scoprono che il figlio aveva già intuito, temuto e fantasticato le possibili sfaccettature, i reciproci stati emotivi, le possibili conseguenze. In questi casi, quando qualcosa ci scuote profondamente, ad esempio in caso di lutto, la soluzione migliore in realtà non è negarlo al bambino dicendo frasi come “non è successo niente, la mamma sta bene, non sto piangendo”, perché, benché l’intento sia di proteggerlo, rischiamo di trasmettergli implicitamente tre messaggi rischiosi:

  1. Quello che senti e percepisci è sbagliato e falso.
  2. Non ci si può fidare della mamma.
  3. Le emozioni come la tristezza sono da nascondere, non si deve piangere.

In tali casi è fondamentale non contestare la sua percezione, ma anzi rinforzare questa sua capacità intuitiva perché impari ad gestirla in modo consapevole. Per quanto questa necessità di trasparenza sia, a mio parere, di qualsiasi bambino, nei bambini ipersensibili genera malumori e fantasie su cui rimuginano all’infinito, esponendoli al rischio di trovarsi a “scegliere” se perdere fiducia nel genitore o nelle proprie capacità. L’altro aspetto che differenzia il bambino altamente sensibile è che questa capacità intuitiva compare in un’età inaspettatamente tenera e non riguarda solo i membri del nucleo familiare, ma anche compagni, amichetti, familiari in senso allargato, adulti in generale con cui ha interazioni anche brevi, o estranei, in modo stupefacente.


Mi trovavo in spiaggia con una famiglia di amici con un bambino di circa 3 anni che stava giocando ai piedi dei lettini con la sabbia quando improvvisamente si fermò: fissava una bambina due file più in là, che sedeva come lui ai piedi del lettino dei suoi genitori, ma immobile e sola. Non riuscendo più a concentrarsi sui suoi giochi, partì spedito verso quella bambina: “Vieni a giocare con me?”, la bambina rispose di no e lui deluso tornò da noi, chiedendo alla mamma “Perché quella bambina è così triste?”. Si era rattristato anche lui, avrebbe voluto tanto farla giocare e ridere con lui e ci volle un po’ perché riprendesse a giocare sereno.


Come appare evidente in questo esempio tutte queste caratteristiche sono intrinsecamente connesse: la maggiore profondità di elaborazione permette una maggiore attenzione ai dettagli dell’ambiente esterno, soprattutto di tipo sociale ed emotivo, determinando una grande capacità empatica. La sovrastimolazione sopraggiunge quando questo processo elaborato diventa eccessivo.

2) Fattori fisiologici

Come accennato in precedenza questa particolare modalità di fare esperienza degli eventi, tipica dell’ipersensibile, determina anche un funzionamento fisiologico differente, in particolar modo per la sua elevata “reattività fisiologica”.


Per “reattività fisiologica” si intende in generale la reazione dell’organismo in termini di attivazione di sistemi neurofisiologici e ormonali di fronte a uno stimolo. Tutto questo avviene in modo affascinante e meraviglioso, mediante una serie incredibile di passaggi e trasformazioni, che servono per preparare l’organismo a reagire all’ambiente. Ogni volta che percepiamo uno stimolo il nostro cervello lo elabora, lo interpreta e lo cataloga, in base ad esempio a conosciuto/sconosciuto, previsto/imprevisto, pericoloso/innocuo, gratificante/da evitare, significativo/insignificante, e così via. Queste valutazioni avvengono con una rapidità fantastica, soprattutto rispetto alla valutazione di tipo emotivo.


La valutazione emozionale di ciò che ci accade si attiva infatti molto più velocemente delle altre aree, poiché in senso evolutivo le emozioni sono la spia di allarme necessaria alla conservazione della specie.


Da questa valutazione dipenderanno i cambiamenti che nell’organismo costituiranno ciò che noi sentiamo quando proviamo un’emozione. L’alterazione del battito cardiaco, del respiro, dei meccanismi fame/sazietà e sonno/veglia, la pressione arteriosa, l’ossigenazione del sangue, la tensione muscolare. Tutto in tempi estremamente rapidi.


Questa reattività fisiologica è controllata dal Sistema Nervoso Autonomo, che a sua volta si scompone in Simpatico e Parasimpatico, e dal Sistema Neuroendocrino.

  • Il Sistema Nervoso Simpatico controlla le attività che vengono messe in atto in caso di stress e ansia (per esempio l’accelerazione del battito cardiaco, l’incremento della pressione arteriosa, la sudorazione),
  • Il Sistema Nervoso Parasimpatico controlla le attività fisiologiche opposte, che hanno a che vedere con il rilassamento corporeo e il relativo recupero energetico (per esempio decelerazione del battito cardiaco, della pressione arteriosa, diminuzione della sudorazione).

Tutto questo complicato processo di elaborazione e attivazione fisiologica, negli individui altamente sensibili avviene a soglie inferiori di stimolazione, e quindi con maggiore frequenza, e concorre a stressare l’assetto psicofisico, conducendo più spesso alla sensazione di sovrastimolazione e sovraccarico.


Le sostanze più riscontrate infatti nei fluidi degli ipersensibili sono noradrenalina, dopamina e cortisolo, che riguardano i meccanismi di attivazione, attenzione e stress. Queste implicazioni neurofisiologiche della sovrastimolazione contribuiscono inoltre a spiegare alcuni meccanismi di somatizzazione che tipicamente incontriamo: poiché mente e corpo sono strettamente connessi e interattivi a formare un unico sistema integrato, ciò che accade a livello cognitivo ed emozionale si ripercuote sui livelli ormonali, che a loro volta influenzano molti aspetti della nostra salute e ricadono sul sistema immunitario.


I principali sintomi riferiti in caso di sovrastimolazione, citati anche nel testo di Rolf Sellin, riguardano:

  • Emicrania, vertigini, giramenti, mancamenti
  • Tensioni muscolari (spalle, nuca, schiena, articolazioni)
  • Tachicardia, oppressione al petto
  • Affanno, respiro corto
  • Tosse nervosa, spasmi
  • Intensificarsi di reazioni allergiche, disturbi asmatici
  • Mal di stomaco, alterazione fame/sazietà
  • Intestino irritabile
  • Disturbi vescica e prostata

In generale l’iperattivazione fisiologica può avere un effetto importante sul sistema immunitario che, se sovraccaricato, abbassa le difese e aumenta il rischio di influenze, stati di raffreddamento, infezioni. Sono inoltre ipotizzate connessioni con sindromi croniche particolari, come la fibromialgia e la sindrome da affaticamento cronico, o alcune patologie autoimmuni.


Detto ciò non si vuole certo intendere che l’ipersensibilità sia una forma di predisposizione ai sintomi e alle malattie; anzi, se adeguatamente gestita può sviluppare l’effetto contrario con altrettanta sorprendente responsività.


La gestione della stimolazione, sia positiva sia negativa, deve quindi essere motivo di particolare attenzione, poiché se sottoposto a eccessivo sovraccarico può risentirne anche l’organismo, con un’espressione somatica di questo affaticamento. D’altra parte questa influenza fisiologica è riscontrabile anche in senso positivo, per cui anche le emozioni positive e le forti motivazioni hanno sulla persona altamente sensibile (PAS) un impatto importante in senso protettivo e preventivo sui processi di salute e di malattia. Nella mia esperienza clinica ho assistito a processi di profondo miglioramento dei sintomi in tempi relativamente brevi, fino addirittura al netto miglioramento di patologie autoimmuni, attivato dal percorso di consapevolezza e riappropriazione del contatto con il proprio corpo e con i propri limiti.


Anche in questo senso quindi l’ipersensibilità può essere sia un vantaggio sia uno svantaggio. Come inoltre sottolinea la dottoressa Aron, un fattore importante è a tal proposito il sovraccarico interno del gestire le proprie emozioni nel momento in cui non si riescono o non si possono esprimere all’esterno. Trattenere quelle emozioni fastidiose o negative che non sempre vengono accolte nel proprio contesto relazionale, come sofferenza, irritazione, frustrazione, rabbia, delusione, preoccupazione, determina un grande affaticamento psicofisiologico poiché la quantità di energia connessa ai sentimenti e alle emozioni, se non viene in qualche modo gestita ed espressa adeguatamente, determina una sorta di implosione.


Con tutti i bambini, e con quelli ipersensibili in particolare, è davvero fondamentale coltivare l’educazione emotiva, ovvero lo sviluppo di quelle competenze di autoregolazione che permettono di gestire un’espressione adeguata e consapevole di sentimenti ed emozioni, soprattutto di quelli cosiddetti negativi.


Mi trovavo a conversare con una mamma rispetto alla necessità di insegnare al figlio che non ci sono emozioni sbagliate, ma che ogni emozione ha una sua funzione. Abituare i bambini ad esserne consapevoli e ad esercitare questa gestione in modo socialmente accettabile è secondo me fondamentale per la loro salute emotiva da adulti. Ad esempio, una tipica difficoltà riscontrata nelle famiglie con più di un figlio è la gelosia tra fratelli: di solito viene considerata come sbagliata, da non tenere in considerazione, o da reprimere con sgridate e attribuzioni di colpa riguardo un ipotetico egoismo verso l’altro fratello. In realtà, se ci si pone dal punto di vista di un bambino, è più che comprensibile che dividere il proprio spazio, il proprio tempo, i propri giocattoli, la televisione, i bisogni, e le attenzioni e l’affetto dei genitori e della famiglia non sia facile. Il motivo non è certo per egoismo, ma perché in una fase così precoce di vita il compito di segnare il proprio territorio è molto importante per creare le basi per la costruzione di un’identità. Il fatto che sia geloso non implica affatto una mancanza di affetto verso il fratello, e più verrà sgridato e colpevolizzato per questo e maggiori saranno le tensioni e le insofferenze reciproche. Per sedare i suoi moti di gelosia è paradossalmente molto più utile prenderlo da parte e ascoltarlo in senso profondo nell’espressione di questo difficile sentimento senza giudicare se sia giusto o sbagliato, senza attribuire ragioni o torti. Comunicare “Ti comprendo, è difficile gestire questa emozione”, e poi trovare insieme strategie specifiche improntate sui suoi possibili bisogni per gestirla meglio.


Se vogliamo evitare che emozioni represse influenzino negativamente la salute di nostro figlio, impariamo ad ascoltarle sempre, e per farlo abbiamo bisogno di fare appello alla nostra parte sensibile ed empatica.

3) Fattori genetici

  • IL GENE RECETTORE DI DOPAMINA. La dopamina gioca un ruolo importante nei processi attentivi, motivazionali e di ricompensa. I risultati di una recente meta-analisi su bambini fino ai 10 anni, indicano che tale gene renda più vulnerabili ai contesti ambientali negativi, ma al contempo, supportando un modello di suscettibilità differenziale, manifesti un più alto livello di ipersensibilità in risposta anche ai contesti positivi.
  • IL GENE TRASPORTATORE DI SEROTONINA. La serotonina è il neurotrasmettitore legato alle variazioni dell’umore. Il gruppo del dottor Hankin nel 2011 ha pubblicato uno studio sull’interazione di tale gene con le relazioni genitoriali positive nel predire l’emotività positiva nella tarda infanzia/adolescenza. Lo studio, che coinvolgeva 1.874 bambini e bambine dai 9 ai 15 anni, ha evidenziato che quelli dotati di questa variante mostravano i punteggi più alti nei sentimenti positivi quando la valutazione delle relazioni parentali positive era alta, suggerendo che questi bambini fossero particolarmente sensibili ai benefici delle relazioni genitoriali altamente positive.

Sembra quindi verosimile l’ipotesi di una variante a base genetica rilevabile, che necessariamente si interseca con l’ambiente, ovvero influenza le modalità di relazione verso l’ambiente ma anche si esprime in senso positivo o negativo in base alle reazioni del contesto, e che sembra potenziare gli effetti positivi o negativi in particolare del contesto familiare. La responsabilità dell’adulto rispetto ad un bambino con questa caratteristica è quindi preponderante rispetto all’impatto negativo o positivo che avrà sulla sua vita.


L’insieme di studi che si focalizza sui questi fattori comportamentali e neurologici attesta la presenza di molti altri fattori coinvolti nell’ipersensibilità. Per esempio, i bambini che hanno punteggi alti nell’emotività risultano anche prestare attenzione più a lungo verso i nuovi stimoli, suggerendo un incremento dell’attenzione visiva e del coinvolgimento cognitivo.


Anche gli adulti che posseggono la variante del gene legato alla serotonina mostrano prestazioni migliori rispetto ad altri nel processamento attentivo e visivo.


Il presupposto secondo cui alcuni individui traggono maggiore beneficio dalle esperienze positive per via dei processi attentivi è coerente inoltre con i risultati sugli animali condotti dalla dottoressa Suomi secondo cui il “macaco rhesus”, apparentemente più pauroso, inibito, nervoso, impara meglio e prima degli altri il funzionamento dell’ambiente sociale, perché investe più tempo delle altre giovani scimmie ad osservare il mondo che lo circonda.


Un altro risultato importante delle sue ricerche è la scoperta di come questo tratto in un certo senso “potenzi” sia in senso positivo che negativo ciò che è stato vissuto nell’infanzia, in termini di competenza sociale e benessere: nel macaco particolarmente sensibile il grado di competenza genitoriale della madre risulta fare una differenza significativa tra i macachi con le prestazioni migliori del branco (relazione genitoriale positiva) o quelle peggiori (relazione genitoriale insoddisfacente).


I processi attentivi implicati potrebbero essi stessi essere legati al funzionamento più profondo del sistema nervoso centrale, come di recente mostrato in uno studio di neuro-imaging di Jagiellowicz, nel 2011. I partecipanti che ottennero punteggi alti nel test di ipersensibilità impiegarono più tempo a rispondere ai cambiamenti quasi invisibili in alcune fotografie e mostrarono maggiore attivazione nelle aree cerebrali visuali attentive, suggerendo che elaborassero più attentamente i dettagli sottili delle fotografie.


In conclusione quindi la principale ragione per cui alcuni individui sono più reattivi alle influenze positive di altri risulta essere proprio la presenza di un sistema nervoso centrale più sensibile sul quale le esperienze si registrano più facilmente e profondamente. Quest’aspetto di “neurosensibilità”, incrociato con le osservazioni già effettuate in merito agli altri fattori di ipersensibilità, sembra collegato a specifiche varianti genetiche che contribuirebbero all’incremento di sensibilità e reattività di specifiche regioni cerebrali. L’incrementata neurosensibilità in tali regioni si manifesta poi in una maggiore emotività e in una elevata reattività fisiologica.


L’ipersensibilità emerge quindi come funzione di diversi meccanismi nervosi centrali, legati a varianti genetiche, che coinvolgono i processi correlati con emozione, attenzione, sensibilità alla ricompensa, cognizione sociale, e quelli legati alla risposta allo stress. Identificata nel 15-20% dei soggetti esaminati, nei bambini come negli adulti, tanto nelle femmine quanto nei maschi, riguarda alti livelli di discomfort e distress a stimoli nuovi o situazioni emotive, ad esempio:

  • Particolare stress nel girare per negozi, o viaggiare, stare in posti con grandi assemblamenti di gente.
  • Reazioni forti alle ingiustizie, alle scene violente (anche dei film).
  • Difficoltà nell’orientarsi nei posti nuovi.
  • Particolare sensibilità a rumori, luci, caffeina, atmosfera emotiva.
  • Ottime capacità di ascolto profondo e grande intuito per gli stati d’animo altrui.
  • Forte sensazione di empatia nel contatto con gli altri, tale da percepirla a livello fisico e da sentirsi troppo, e senza utilità, coinvolti in prima persona.
  • Grande bisogno di atmosfera armoniosa, spazio, tempo per sé.
  • Evitamento delle situazioni conflittuali.
  • Perfezionismo ed elevate aspettative su di sé.
  • Senso di non venire compresi e quindi solitudine/diversità.

In conclusione sottolineo quindi ancora una volta che il bambino ipersensibile non è un bambino malato o svantaggiato, e neanche un superdotato. È un bambino che ha un funzionamento particolare legato a componenti genetiche, fisiologiche, neurologiche e comportamentali specifiche, da cui per necessità conseguono peculiari forme di comportamento, soprattutto di tipo emotivo: una soglia sensoriale più bassa, un’elaborazione più profonda e più rapida di uno stimolo, una tolleranza inferiore a stimoli intensi e prolungati, ed elevate reazioni a stimoli e situazioni nuove.


Questo particolare tratto di personalità comprende diversi aspetti positivi e negativi e costituirà per lui un vantaggio o uno svantaggio in ambito psicologico e sociale esclusivamente in base alle situazioni con cui si confronterà nella vita, in particolare relative al grado di comprensione, accoglienza e supporto del contesto familiare ed educativo della sua infanzia.

Il tesoro dei bambini sensibili
Il tesoro dei bambini sensibili
Elena Lupo
Conoscerlo, gestirlo, valorizzarlo.Un libro per aiutare genitori e operatori a riconoscere l’ipersensibilità nei bambini e a valorizzarla nel modo migliore. Le persone altamente sensibili sono quel 20% della popolazione che vive “diversamente” ciò che le circonda, in modo più profondo, emotivo, empatico.Gli studi su questo tratto del carattere sono piuttosto recenti e chiariscono dinamiche interpersonali spesso vissute male o con imbarazzo. Il libro Il tesoro dei bambini sensibili della psicologa e psicoterapeuta Elena Lupo si rivolge primariamente a genitori e operatori. Ha un taglio teorico e pratico insieme, per riconoscere l’ipersensibilità nei bambini e valorizzarla nel modo migliore. Conosci l’autore Elena Lupo è psicologa e psicoterapeuta a indirizzo Biosistemico.Persona Altamente Sensibile, nel 2014 ha fondato un progetto di diffusione su territorio nazionale delle conoscenze relative agli studi della dott.ssa Elaine Aron, con l’obiettivo di aiutare le Persone Altamente Sensibili (PAS) a comprendersi e accettarsi.È la prima psicoterapeuta italiana inserita nella lista internazionale “Licensed Therapist HSP- Knowledgeable”.