CAPITOLO II

L'influenza dell'ambiente e dell'educazione

2.1 Il bisogno di accettazione incondizionata

L’ipersensibilità non è una malattia. È un modo di essere. E quello che serve non sono terapie, ma il far sentire questi bambini amorevolmente accettati dai genitori.
R. Sellin

Chi fin da piccolo non si è sentito pienamente accettato dalle persone che lo circondavano ha difficoltà ad accettare se stesso. La sensazione di non essere “giusto” secondo le aspettative degli altri lo rende fragile e insicuro, lo fa sentire sempre sotto pressione portandolo a provare rifiuto nei confronti di se medesimo. Questo è davvero il rischio più grande di un bambino ipersensibile, poiché determina se riterrà questa sua caratteristica una risorsa o un ostacolo il resto della sua vita.

Un bisogno primario del bambino è quello di essere considerato e preso sul serio sin dall’inizio per quello che lui è, in ogni momento della sua crescita. Considerato e preso sul serio nei suoi sentimenti, nelle sue sensazioni e nella loro espressione, già da molto piccolo. In un’atmosfera di considerazione e tolleranza verso i suoi sentimenti, il bambino potrà rinunciare alla dipendenza dall’altro e compiere i passi necessari all’autonomia.


Affinché siano possibili queste premesse di un sano sviluppo, anche i genitori sarebbero dovuti crescere in un clima analogo, riuscendo così a trasmettere al proprio figlio il senso di sicurezza e di protezione in cui può svilupparsi la sua fiducia. Purtroppo, se non hanno ricevuto ciò che serviva per costruire tale sicurezza e fiducia, il compito arduo sarà cercare di costruirsela da soli lungo la vita.


Ogni genitore vorrebbe di certo dare al proprio figlio anche più di quanto ha ricevuto, ma farlo non è semplice se non si è fatto un grande lavoro su se stessi. Molti ci riescono, con coraggio e amore, altri purtroppo sono stati talmente segnati dallo stato di carenza affettiva che rischiano di cercare negli altri ciò che i loro genitori non hanno potuto dare loro al momento giusto, qualcuno che si interessi appieno a loro, che li capisca fino in fondo e li prenda sul serio: a tale scopo spesso si prestano più di chiunque altro i figli, specialmente se ipersensibili.


La loro sorprendente capacità di percepire i bisogni dei genitori e di darvi risposta per intuito, anche in modo inconscio, a volte arriva a ribaltare i ruoli e può diventare il bambino ad accudire emotivamente l’adulto.


In tal modo il bambino si assicura l’amore dei suoi genitori poiché, avvertendo il forte bisogno che hanno di lui, sente legittimata la sua esistenza. La capacità di adattamento viene sviluppata e perfezionata, ed egli sviluppa una sensibilità tutta particolare per i segnali inconsci dei bisogni altrui.


Per conformarsi alle aspettative di chi si prende cura di lui, il bambino però si trova a dover rimuovere il suo bisogno di amore, di attenzione, sintonia, comprensione, partecipazione, rispecchiamento. Deve anche reprimere le sue reazioni emotive, in specie riguardo determinati sentimenti: gelosia, invidia, rabbia, abbandono, impotenza, paura, nell’infanzia e poi in età adulta.


Il bambino infatti può viverli solo se c’è una persona che con questi sentimenti lo accetta, lo comprende e lo accoglie. Se manca questa condizione il bambino sente il rischio di perdere l’amore dei genitori, ed essi rimarranno custoditi segretamente nel suo corpo.


È fondamentale quindi porre attenzione ad evitare di farli inconsciamente diventare come piacerebbero a noi, rispettandone l’integrità e la spontaneità che costituiscono il loro elemento vitale unico e spontaneo, e il loro fondamentale diritto all’esistenza per come sono.


“L’amore condizionato – ti voglio bene se – non è amore. L’amore vero, quello che tutti affannosamente cerchiamo nel corso della nostra esistenza e solo raramente troviamo, è incondizionato: ti amo comunque tu sia. Per un bambino è fondamentale sentirsi amato così, accettato nella totalità del suo essere, con tutti i suoi difetti, i suoi problemi e le sue peculiarità. Amato per il solo fatto di esistere, di essere lì con noi.”
E. Balsamo

Questo, dappertutto valido per ogni bambino, diventa il fondamentale ago della bilancia rispetto al tratto dell’ipersensibilità, poiché essendo più aperto verso i bisogni altrui e orientato all’esterno, il bambino ipersensibile tende per natura ad essere maggiormente influenzato delle richieste ambientali.


Ho incontrato genitori che avrebbero voluto figli più coraggiosi, più socievoli, più sorridenti, più “facili”, meno riflessivi, meno curiosi, meno ripetitivi, meno emotivi, che dessero meno problemi e che fossero più simili ai loro ipotetici compagni. E riuscire ad accettare davvero a fondo che potessero essere così tanto diversi dalla loro idea di figlio, e forse anche da se stessi, e arrivare ad amarli come erano, in alcuni casi è stata un’impresa piuttosto difficile.


Molto spesso mi sono trovata ad ascoltare tutto ciò che i genitori avrebbero voluto per i loro figli, tutto ciò che loro avrebbero ritenuto giusto che i figli facessero o scegliessero, giusto secondo loro.


Scegliere con coraggio la strada dell’accoglienza e dell’accettazione di queste caratteristiche è l’unica via per aiutarli davvero a costruire un’ipersensibilità fondata su fiducia e sicurezza, in modo che diventi una preziosa risorsa di orientamento nel mondo. Per un bambino essere altamente sensibile non significa essere debole, fragile, facilmente affaticato o stressato nella vita di tutti i giorni. Nè per forza essere introverso, timido o solitario. Ci sono bambini ipersensibili sportivi, robusti, estroversi; le possibilità di combinazione con le altre caratteristiche della personalità sono molteplici. Non implica per nulla quindi che il bambino ipersensibile debba soffrire per questa sua natura; d’altro canto non c’è nemmeno bisogno di idealizzarla, visto che è una caratteristica diffusa in vari popoli e culture ed esiste da sempre, anche nel mondo animale.


L’ipersensibilità può abbinarsi a qualsiasi grado di intelligenza, predisposizione o limite, e può rivelarsi di grande vantaggio, per esempio nell’ambito del lavoro rispetto alla collaborazione con pari o superiori attraverso la propria naturale capacità comunicativa. Permette di leggere tra le righe e avvertire sfumature di situazioni e problemi che ad altri sfuggono, di ricorrere all’intuito come elemento di valutazione, ad esempio nel riconoscere prima degli altri il potenziale delle cose e delle situazioni. La capacità di notare ogni minimo dettaglio delle cose permette di riconoscere con maggiore precisione eventuali incongruenze e disfunzioni, e di trovare maggiori possibilità di soluzione con creatività.


Un ipersensibile sicuro di sé e fiducioso nella sua capacità è in grado elaborare i problemi in termini di analisi, soluzione e decisione con estrema competenza, sfruttando questa sua dote di vedere “di più” e “al di là” in termini di dettagli, associazioni e conseguenze, e utilizzando le sua naturale propensione alla creatività, coscienziosità, armonia e calma.


È importante quindi che un bambino altamente sensibile impari il prima possibile a gestire questo suo dono di natura e per aiutarlo in questo compito è vitale che genitori, educatori e insegnanti lo aiutino attraverso una profonda accettazione a conoscersi e trovare le proprie strategie di adattamento.


Le situazioni nelle varie famiglie saranno di certo molto diverse l’una dall’altra, e quindi strategie ed esempi concreti vanno adattati alla singola situazione, poiché quanto si rivela efficace per un caso è possibile che non funzioni in un altro. L’importante è che familiarizziate con l’argomento e lo comprendiate a fondo, sostenendo il percorso del vostro bambino sulla base delle sue esigenze fondamentali e delle sue potenzialità, con l’obiettivo di costruire alternative personalizzate con cui sviluppare il vostro modo di comportarvi con il vostro bambino ipersensibile, in base alle soluzioni più appropriate per voi.

2.2 Le principali difficoltà

Da sempre la sfida di preparare i figli ipersensibili al duro impatto con la vita ha reso i genitori fin troppo preoccupati e ansiosi. Fino a qualche anno fa cercavano per lo più di temprarne il carattere inducendoli a nascondere o reprimere questa emotività inutile e scomoda, illudendosi che sarebbero diventati più robusti e resistenti, più pronti ad affrontare le sfide. In effetti è necessario cogliere una basilare differenza tra l’accettazione di questo tratto così come è, e la necessità di attivare strategie per gestirlo al meglio. La sua negazione e quindi l’iperstimolazione o, al contrario, l’eccessiva protezione conducono a due estremi altrettanto rischiosi. Genitori troppo o troppo poco protettivi possono determinare due modi in cui un bambino altamente sensibile si sviluppa: può imparare a spingere se stesso sempre oltre il limite, troppo all’esterno, iperstimolandosi nel lavoro, nei rischi, nell’esplorazione, oppure può chiudersi dentro se stesso, iperproteggendosi e isolandosi dall’esterno.


Se avete un figlio ipersensibile è molto probabile che abbia ereditato questa caratteristica da uno di voi, o da entrambi. Potrebbe essere quindi diverso l’approccio nel caso siate ipersensibili a vostra volta oppure no. Tengo a sottolineare che questo non implica affatto che genitori ipersensibili siano genitori migliori rispetto agli altri; ritengo però utile che consideriate questa caratteristica negli aspetti di vantaggio e di svantaggio anche nel rapporto con vostro figlio.


La Aron pone le seguenti premesse in particolare per genitori a loro volta ipersensibili:

  • Qualunque sia la vostra modalità di gestire l’educazione di vostro figlio, dovete essere consapevoli che è influenzata in larga misura dal modo in cui voi siete stati educati. Questo può essere di ostacolo ma anche di aiuto nell’ideare nuove strategie rispetto a quelle usate dai vostri genitori.
  • È verosimile che, se passerete il segno, sarà nella direzione dell’iperprotezione, poiché forse avete avuto esperienze di inadeguatezza e insicurezza rispetto alla vostra caratteristica.
  • Dovete prestare attenzione al grado di esposizione quando sottoponete vostro figlio a nuovi stimoli e nuove esperienze: potrebbe essere eccessivo se “vorreste che facesse ciò che voi non facevate” o insufficiente se volete proteggerlo da qualsiasi rischio e novità, memori della vostra insicurezza.
  • La grande empatia che vi contraddistingue potrà portarvi a soffrire quando vostro figlio esprimerà tristezza o altre emozioni negative, e questo potrà influenzare la sua libertà di esprimersi e la sua capacità di gestirle. Ha bisogno che impariate a stare calmi e contenere queste emozioni intense. Ma potrebbe risultarvi difficile.
  • Potreste sentirvi a disagio nell’esprimere l’adeguata assertività di cui avrebbe bisogno vostro figlio per imparare le regole, ad esempio nel tono della voce o nel mantenere le promesse anche quando sono negative. È invece fondamentale svilupparla perché imparino a rispettarvi e a essere assertivi a loro volta.
  • Potreste avere difficoltà nell’esprimere in modo assertivo i vostri bisogni e nel mettere ogni tanto davanti le vostre esigenze rispetto a quella della famiglia, ma dovrete imparare a farlo, perché altrimenti questo non solo determinerebbe per voi un’estrema fatica, ma anche uno insegnamento scorretto per i vostri figli.
  • Qualsiasi siano le vostre sensazioni ed emozioni rispetto alla vostra elevata sensibilità, i vostri bambini impareranno da voi, attraverso ciò che farete più che attraverso ciò che direte. Per questo motivo avete bisogno di lavorare prima di tutto su voi stessi.
  • Potreste avere l’impressione di riscontrare più somiglianze tra voi rispetto a quelle che davvero ci saranno. È fondamentale che non vi sovrapponiate a vostro figlio credendo di sapere e conoscere sempre ciò che pensa in base a come voi siete. Anche se siete entrambi ipersensibili siete due persone diverse.
    E. Aron


Le peculiarità più comuni, che vi troverete ad osservare nei vostri bambini ipersensibili, e che sarà necessario tenere in conto, saranno:

1. Percezione differenziata

Noterete che i vostri bambini hanno una percezione piuttosto acuta di tutto ciò che hanno intorno, innanzitutto in termini di cambiamento, novità, sensazioni corporee, stimoli ambientali, emozioni, situazioni sociali, atmosfere emotive. Potrebbero ad esempio mostrare una particolare sensibilità per le etichette dei vestiti, i tessuti sintetici, le superfici irregolari, la sensazione di bagnato o sporco, la percezione di rumori, anche bassi e di alterazioni della luminosità. Potranno avere una soglia più bassa del dolore, e dell’udito rispetto ai rumori forti; per questo motivo non si sentiranno di solito a loro agio in mezzo alla folla o in posti con molta confusione. Potranno avere difficoltà nell’assaggiare cibi nuovi o mischiati, o nei repentini cambi di tempo metereologico o stagionalità. Noteranno più con rapidità associazioni tra dettagli e situazioni e in modo sorprendente vi esporranno le loro ipotesi e fantasie rispetto alla consequenzialità degli eventi o alle spiegazioni di azioni e comportamenti. Riporto a tal proposito l’esempio di una bambina di nove anni, che di fronte a un commento negativo di una compagna riguardo alla sua mamma, alla mia domanda “Ma secondo te perché ti ha detto questa brutta cosa sulla tua mamma?”, seppe collegare che “quella bambina non sta molto con i suoi genitori, la viene sempre a prendere la nonna, forse è gelosa che invece la mia mamma mi viene sempre a prendere e io sto molto con lei. Forse anche lei vorrebbe stare di più con la sua mamma.”

2. Tempi di elaborazione e possibili distrazioni

La profondità di elaborazione che caratterizza i bambini ipersensibili può determinare tempi più lunghi per la gestione di ogni tipo di stimolo, soprattutto se particolarmente intenso, complesso, nuovo o di tipo emotivo o prestazionale. Come anticipato anche per altri aspetti, ogni bambino ipersensibile in ogni caso sarà diverso, in base alle sue caratteristiche e predisposizioni. Ogni individuo ha un suo ritmo interno, nei cicli circadiani (sonno/veglia), nelle attività quotidiane, nell’elaborazione delle situazioni, nell’esecuzione di compiti. Potrà capitare che un bambino ipersensibile molto curioso e portato riesca ad analizzare e trovare soluzioni con più prontezza di altri, soluzioni che implicheranno comunque un tempo di elaborazione di maggiori dettagli.


Non bisogna quindi meravigliarsi se gli ipersensibili nei compiti o negli esami scolastici avranno bisogno di più tempo poiché, seppur con tempi più rilassati, produrranno in genere buoni risultati, sempreché siano lasciati in condizioni ottimali per analizzare tutti i dettagli e decidere la migliore strategia. A seconda poi del carattere di ogni singolo bambino, questo fenomeno potrà anche manifestarsi con una particolare difficoltà nel rimanere concentrati su uno stimolo alla volta; il che determina una maggiore facilità di distrazione, soprattutto in base allo stato emotivo del momento riguardo eventuali questioni familiari o di classe. Un’insegnante di liceo che ho avuto il piacere di conoscere ha evidenziato come, durante le lezioni, gli alunni con la “risposta pronta”, magari quelli che alzano subito la mano, di solito non sono quelli ipersensibili, i quali invece impiegano più tempo ad elaborare possibili risposte più complesse, tenendo conto di molteplici implicazioni, e che magari temono di esporsi. Ma le loro risposte meno immediate risultano di norma più approfondite e ragionate.


Una famiglia venne da me per un’ulteriore consulenza, dopo essere stati dal pedagogista, riguardo un presunto ritardo o disturbo della figlia di circa 6 anni: “Le insegnanti evidenziano come la bambina, seppur mostri capacità e competenze, è molto più lenta rispetto al resto della classe nello svolgimento di compiti o prove, spesso viene distratta da rumori o spostamenti nell’aula, e spesso ottiene giudizi insufficienti perché non termina gli esercizi”. Provarono a metterle pressioni cercando di spronarla a stare nei tempi ritenendo che fosse più lenta solo per pigrizia, disobbedienza o infine appunto per un ritardo o disturbo cognitivo. Un noto pedagogista prima di me aveva dato parere del tutto negativo rispetto a eventuali ritardi o disturbi, per cui la domanda precisa che fu fatta a me fu: “Sarà un problema psicologico/comportamentale?”. Dopo qualche colloquio con entrambi i genitori, raccogliendo sempre più osservazioni e dati della loro storia familiare, mi fu chiaro come loro in primis fossero ipersensibili e, sottopostogli l’elenco delle caratteristiche sia da adulti che da bambini, entrambi si riconobbero e riconobbero questa loro figlia (ma non l’altra, ad esempio). Suggerii loro di provare a lasciare alla bambina il luogo silenzioso di cui aveva bisogno e un tempo più lungo, e le sue prestazioni risultarono assolutamente nella norma, e i giudizi molto buoni. Mi fu abbastanza chiaro come fosse un caso di mancanza di “Goodness of fit”, inteso come congruità tra capacità individuali del bambino e alcuni standard culturali della scuola.


Il concetto “Goodness of fit”


In una classe di solito sovrappopolata, in cui un solo insegnante si trova a gestire 25 bambini o più, dovendo rispettare determinati canoni, ritmi e modalità imposte dall’alto, purtroppo non risulta certo agevole diversificare il programma, il ritmo, le strategie a seconda degli alunni. Questo determina un’imposizione di criteri che sarebbe bene evitare di considerare “oggettivi”. La stessa metodologia di valutazione è soggettiva, il criterio dei decimali, i tempi standard decisi per terminare le verifiche, la soggettiva quantità di compiti che ogni insegnante assegna. Può risultare quindi fuorviante attribuire a uno o l’altro la colpa, schierandosi dalla parte della scuola o da quella del bambino. È importante invece fare insieme una valutazione complessiva della congruità tra il sistema e il singolo bambino, che tenga conto dei vari punti di vista e di tutte le sfaccettature: ogni singolo bambino, in ogni specifica classe, rispetto a ciascun particolare insegnante o materia.


La tendenza diffusa sembra invece purtroppo la colpevolizzazione, partendo dal presupposto che “normale” significhi “tutti uguali” e ogni deviazione dalla maggioranza viene penalizzata. I bambini ipersensibili rischiano quindi di venire penalizzati, facendo parte di una relativa minoranza.

3. Necessità di momenti di silenzio, pace e ritiro

Per un bimbo ipersensibile avere momenti di ritiro e quiete dopo momenti di sovraccarico può risultare ancora più importante che per ogni bambino in generale. Quando ad esempio andate a prenderlo da scuola considerate che ha bisogno di tempo per sé da dedicare ad attività piacevoli per almeno un’ora prima di parlare di nuovo di compiti, studio, libri. Nella pratica, piuttosto che chiedere “Come è andata a scuola oggi? Sei stato attento? Che compiti avete fatto? Cosa avete imparato?”, sarà più utile ed efficace per lui e per il vostro rapporto chiedere “Come ti senti oggi? Come è stata la tua giornata?”, e lasciargli il suo tempo anche di eventuale silenzio.


Con un bambino ipersensibile non c’è bisogno di fare troppe domande specifiche; se riuscirete a trasmettergli la giusta serenità di sentirsi accolti e compresi saranno loro stessi a raccontarvi ciò che per loro è importante, ovviamente secondo la loro legittima scala di valori (che forse non ha i compiti in cima). E se ci saranno momenti o situazioni in cui non si sentiranno di condividere i loro pensieri non avrete bisogno di insistere. Come si è osservato in relazioni familiari altamente funzionali, la strategia migliore è dire “Mi sembra ci sia qualcosa che ti preoccupa/ti vedo pensieroso, se avrai voglia di parlarmene sai che io sono qui per ascoltarti, quando vorrai”. A volte le loro emozioni sono forti, contrastanti, contraddittorie, spesso non sanno dargli un “nome”, e hanno bisogno di farsi chiarezza, di digerirle. Questi momenti di chiusura sono quindi legittimi, e la cosa importante che dobbiamo trasmettere è che rispettiamo questo loro bisogno e nel contempo che saremo aperti ad ascoltarli, senza pressioni, controllo o giudizio, quando saranno pronti ad esprimersi.


Un’altra area di attenzione nel sovraccarico riguarda le attività quotidiane: potranno mostrare resistenza e disagio se proporrete troppe attività consequenziali in posti diversi con persone diverse, anche se piacevoli. Talora questo può creare tensione in famiglia, soprattutto quando i genitori desidererebbero avere – e che anche il loro figlio avesse – “una vivace vita sociale”. Punto di vista molto comprensibile, ma che nel caso dell’ipersensibile deve tenere conto anche dell’altro lato della medaglia: l’ipersensibile non ha bisogno di entrare “troppo” nella socialità, soprattutto non in modo troppo continuativo e intenso. Molto meglio selezionare bene poche occasioni, momenti e persone che tengano conto delle sue esigenze, preferenze e limitazioni. Piccoli gruppi piuttosto che grande confusione, momenti di gioco solitario, osservazione passiva, attività tranquille. Tra fratelli, ad esempio, potrà capitare che si sentano particolarmente infastiditi se disturbati di continuo, anche con eventuali scherzi, richieste, prese in giro, invasioni fisiche dello spazio. Lasciate che siano loro stessi ad indicarvi “quanto” si sentono di stare in mezzo alla gente, valutate quanto riescono a sopportare dei dispetti del fratello o sorella, e quando sono arrivati al limite. Perché arrivati a quel punto rischiano di esplodere, esagerare nelle reazioni, diventare espulsivi, rabbiosi, chiudersi, disperarsi, passando così dalla parte del torto.

4. Difficoltà ad adattarsi a situazioni nuove e cambiamenti

Potreste notare che i bambini particolarmente sensibili sono in grado di gestire solo i piccoli e graduali cambiamenti, di cui noterebbero ogni minimo dettaglio, ad esempio nella stanza o nel vostro modo di vestire, e vivono con difficoltà le novità se accadono insieme e velocemente, anche quando sono positive. Potrebbero avere maggiori difficoltà di altri bambini nel gestire grossi cambiamenti come i trasferimenti di città o di scuola. Di norma non gradiranno le grandi sorprese, i segreti e ogni cosa che intuiranno gli sarà stata nascosta. Saranno esitanti in ogni nuovo ambiente in cui li porterete, e avranno bisogno del loro tempo per ripristinare il senso di sicurezza.


Mi torna alla mente il caso di un genitore che mal tollerava la tendenza del figlio a leggere e rileggere più volte sempre le stesse tipologie di libri, si meravigliava della sua scarsa curiosità o addirittura resistenza ad ampliare le sue letture. Quando chiesi in che momento della giornata leggesse di solito e mi rispose “la sera prima di dormire”, la mia risposta fu che aveva bisogno di avviarsi al sonno contattando qualcosa di molto familiare e rassicurante, poiché il momento dell’addormentamento può essere fonte di paure legate all’abbandono e alla morte, soprattutto nei bambini molto sensibili e con esperienze di abbandono o lutto alle spalle. I “riti”, ovvero abitudini ripetute e consolidate, sono fonte di grande rassicurazione per i bambini, soprattutto se ipersensibili. È inoltre molto importante “prepararli” sempre ad eventuali cambiamenti o novità parlandogliene bene prima, nei dettagli, dando loro strumenti di analisi preventiva grazie ai quali entrarvi più velocemente. Quando una coppia mi chiese come fare per portare il loro bambino piccolo sull’aereo consigliai di prepararlo attraverso giocattoli a forma di aereo, cartoni o film sugli aerei, giochi tutti insieme del “come se” in cui ricreare fisicamente le condizioni dentro un ipotetico aereo per “mimare come se fossimo sopra un aereo”, ponendo in evidenza i possibili rumori, i movimenti, e i cambiamenti corporei che potrà sentire (le orecchie, lo stomaco…), cercando di trasformarlo in qualcosa di divertente e nel contempo conosciuto.


Una parentesi sulla prevedibilità: capita di sentire genitori che, nel tentativo di evitare la difficoltà del distacco, se devono assentarsi fanno in modo di andare via mentre il figlio dorme, o fanno in modo di distrarlo, o di aspettare che si addormenti, per poi andarsene “di soppiatto”.


Sebbene sia certo comprensibile la fatica di gestire ogni volta la protesta straziante, il pianto disperato, l’attaccamento fisico del figlio quando i genitori si allontanano, è davvero terribile per il bambino ritrovarsi all’improvviso “da solo”, letteralmente abbandonato senza aver potuto salutare, né ricevere rassicurazioni. Provate a immaginare di avere 3 o 4 anni e stare beatamente dormendo e poi risvegliarvi senza i vostri genitori, senza che vi abbiano salutati. Un bambino di 5 anni aveva iniziato ad avere paura di dormire, perché ormai temeva che se si fosse addormentato i genitori sarebbero spariti per l’ennesima volta senza una spiegazione. Essere genitori è molto faticoso, e possiamo dire che a volte è in realtà per gestire la nostra ansia o la nostra stanchezza che ricorriamo a tali espedienti. Ho conosciuto vari ipersensibili con questi microepisodi di abbandono, e garantisco che è molto meglio affrontare la fatica della separazione ogni volta, per quanto pesante, perché il premio sarà che imparerà più in fretta che anche se ve ne andate tornerete, che non gli mentireste mai, che può addormentarsi sempre tranquillo, che al suo risveglio sarete ancora lì, e che siete solidi abbastanza da gestire il suo pianto e la sua protesta.

5. Maggiormente sottoposti ai messaggi contraddittorie alle informazioni nascoste

Essendo questi bambini intuitivi e attenti ad ogni dettaglio dell’ambiente, soprattutto di tipo sociale, vi potrà capitare che manifestino comportamenti che non saprete spiegarvi se non considerando anche i vostri “non detti” e i vostri comportamenti non verbali. Potrà ad esempio capitare che, anche se aveste cercato di tenergli nascosta una litigata tra voi, li vediate tesi o nervosi, o preoccupati, che vi facciano strane domande (che per loro hanno un significato di “indagine”), o che facciano fatica a concentrarsi su attività o compiti, non riuscendo a distogliere l’attenzione da voi o dai pensieri riguardo possibili spiegazioni dei vostri comportamenti. Potrete notare ad esempio che fissino il vostro volto, per scorgere che emozione custodisce, e che reagiscano bruscamente se percepiscono che le vostre risposte verbali non sono congruenti con l’emozione che mostrate. Si accorgeranno quando direte di ma in realtà vorreste dire di no, o viceversa, e nel caso in cui non gli diate le informazioni necessarie a capire la situazione si creeranno le loro ipotesi e faranno a loro modo per verificarle. Una mamma una volta mi raccontò che il figlio di circa 7 anni rimase molto colpito dall’atmosfera emotiva dei genitori alla notizia che una persona cara “non c’era più”. Ancora non avevano avuto occasione di spiegargli il concetto della morte, ma sorprendentemente lui aveva collegato dalle loro poche parole, unite alla reazione non verbale (nonostante non si fossero mostrati esplicitamente “in pianto”), un documentario che aveva visto sul ciclo di vita delle api, e finì addirittura per essere lui a comunicare al fratello maggiore la notizia, con tanto di particolari metaforici sulla naturalità del ciclo di vita e morte delle api.

6. Tendenza al perfezionismo e timore del giudizio degli altri

Una caratteristica peculiare che ho riscontrato riguarda la difficoltà nel gestire errori, fallimenti o imperfezioni: molte volte potrà capitare che questo perfezionismo abbia a che fare con il rendimento scolastico, essendo più tipicamente connesso al giudizio altrui e all’adeguamento a standard e aspettative. Sono spesso bambini “bravi” a scuola, che tengono molto ad avere non solo buoni voti ma “i migliori”, o che in ogni caso saranno preoccupati in caso di voti inferiori a quelli altrui o a quelli ricevuti in precedenza. Di fatto questo perfezionismo si può trovare anche non in ambito scolastico, se il bambino è meno interessato alla prestazione di tipo scolastico, e se non è un argomento di particolare interesse familiare in termini di giudizio; in tal caso non gli importerà troppo di mostrare in tale ambito la sua eccellenza, ma potrà riversarsi in altre aree di interesse come lo sport, gli hobby, in canoni estetici o socialità. Noterete quindi che avrà alti standard in ciò che gli interessa, che cercherà di essere “il più” bravo nello sport, e se non riuscisse a diventarlo tenderà a disaffezionarsene; ci terrà ad essere il più presente e adeguato nelle attività di gioco/hobby o volontariato, ad essere più curato o di bell’aspetto (soprattutto le bambine), ad essere cercato a livello sociale (se associato all’estroversione), e comunque soffrirà molto per ogni situazione in cui non si sentirà adeguato (anche per piccoli dettagli), oppure giudicato “mancante” o non valorizzato come vorrebbe.


Queste modalità tuttavia si esprimeranno senza mai ledere il rapporto con i compagni, senza svalutarli o farli sentire inferiori: il suo scopo non sarà mostrarsi superiore o competere nel senso di apparire migliore degli altri, anzi talvolta potrebbe anche sbagliare o perdere apposta per fare piacere a un amico o non mettere in difficoltà un compagno. La sensazione che ricerca è quella interna di sentirsi perfettamente adeguato e ben giudicato per sentirsi legittimato.

7. Gestione dell’emotività

Si mostreranno assai interessati e intuitivi rispetto agli stati d’animo altrui, potranno sentirsi scossi dalla sofferenza in qualcun altro fino a sentirsi contagiati dall’umore di familiari o compagni. Potrebbero essere molto empatici e protettivi con gli animali, con gli altri bambini più piccoli, con le piante, e commuoversi facilmente. In situazioni preoccupanti, tristi o frustranti potrebbero metterci molto tempo per riprendersi, tendendo all’eccessiva rimuginazione. In confronto ai gruppi di coetanei il loro disagio potrebbe superiore di quanto eventualmente vi confideranno a motivo della frequente sensazione di essere diversi o emarginati, e la vergogna di ammetterlo. Potrebbero mostrare difficoltà nel gestire la gelosia per un fratello o una sorella, avere momenti di rabbia improvvisa o di chiusura e amarezza. Proveranno molte emozioni ma le esprimeranno solo se certi rispetto a eventuali fraintendimenti del genitore, che potrebbe arrabbiarsi invece che comprendere, e al sicuro rispetto al senso di “solidità e contenimento” che percepiscono o meno nel genitore rispetto a una data situazione o momento. Intendo ad esempio quando, nel corso di una separazione tra i genitori, il figlio ipersensibile non esprime la propria sofferenza o preoccupazione per paura che il genitore “non la regga o stia peggio”, mostrandosi magari sereno e rassicurante, in particolare verso il genitore che ne soffre di più. Mi ricordo di un bambino di circa 10 anni, che di fronte alla madre lasciata dal marito, ma perfettamente in grado di gestire la propria sofferenza per non gravare sui figli, le disse in un momento di serenità “Non essere triste mamma, io non ti lascerò mai, ci sarò io con te”. Lei ebbe la prontezza di rispondergli in modo adeguato e competente: “Ti ringrazio tesoro, mi commuove, ma non ho bisogno che tu mi stia sempre accanto, so che mi vuoi molto bene, ma io sono grande e posso pensare a me. Capita di essere tristi, è vero, ma poi la tristezza passa e quando crescerai e andrai per la tua strada, ne sarò felice”.


Questo è un ottimo esempio riguardo l’attenzione a non compiacersi della loro eccessiva comprensione; è importante non assecondare questi loro automatismi nel mettere da parte se stessi per mettersi al nostro servizio. Anche se sembra una fortuna e un motivo per esserne più fieri, bisogna stare attenti a non trasmettergli che “vanno bene perché sono così, o solo se sono così, o meglio quando sono così”. Ricordiamoci sempre che è loro diritto essere bambini e pensare a sé, non piccoli adulti che si occupano delle nostre esigenze o preferenze. È fondamentale che imparino ad esprimerci il loro affetto e la loro straordinaria capacità di empatia senza mettere da parte se stessi, senza dover “scegliere”.

8. Chiusura/introversione (70%)o comportamento irritabile/estroverso (30%)

A seconda del tratto con cui l’ipersensibilità si interfaccia avremo svariati scenari possibili in apparente contrasto tra loro: per anni si è confusa l’ipersensibilità con la timidezza, l’introversione, l’ansia sociale, come se fossero un’unica variabile, errore in cui si era sentita molto rappresentata Elaine Aron, una persona altamente sensibile di tipo introverso.


Nel suo film documentario afferma “Credo di avere fatto psicologia spinta dal desiderio di capire cosa non andava in me”, e grazie ai suoi studi si è invece evidenziato che l’ipersensibilità è una variabile indipendente. Come esiste una parte di altamente sensibili introversi, ne esiste anche una di tipo estroverso, categoria in cui io stessa mi sono ritrovata. Non sono mai stata timida, o introversa, ma sempre vivace, socievole, curiosa e non ho mai temuto nuove conoscenze o situazioni sociali, anche complesse. A seconda che il vostro bambino sia introverso o estroverso, potrà mostrare l’influenza dell’ipersensibilità in modo molto differente: nei bambini introversi e timidi emergerà più sovente l’inibizione all’esplorazione, l’esigenza di analizzare bene i dettagli prima di entrare in una nuova situazione, un elevato timore del confronto sociale e del giudizio, a volte anche una difficoltà marcata a gestire la socialità, soprattutto con i coetanei. Di norma si legherà a uno o due compagni, e avrà scarso interesse, quando non proprio disagio, verso i gruppi più ampi. Non manifesterà quindi una “avversione sociale” e un evitamento tale da indurre a sospettare un disturbo; piuttosto selezionerà molto le sue compagnie, con cui avrà rapporti molto stretti, ragion per cui si sentirà più a suo agio con chi conosce bene e da più tempo, e con chi troverà più simile a sé. Faticherà ad entrare e uscire rapidamente dai rapporti (ad esempio nelle amicizie estive), e mostrerà disagio/evitamento rispetto a gruppi al di sopra di 3/4 componenti. Mi viene da pensare, tanto per fare un esempio, che per l’ipersensibile introverso non sarà facile affrontare un campo estivo con 200 bambini sconosciuti; sarà preferibile un piccolo gruppo studio o una baby sitter con cui si trovi bene, oppure amici di famiglia. Qualcosa di ristretto e conosciuto insomma.


Il bambino estroverso invece avrà meno difficoltà nell’entrare in relazione, nel gestire un numero maggiore di amici, e meno timore delle situazioni di gruppo. Le sue difficoltà saranno più legate al desiderio di armonia e gratificazione rispetto al riconoscimento del gruppo sociale, motivo per cui tenderà a farsi mediatore, evitando i conflitti anche a proprio discapito, a fare scelte e azioni per compiacere o sentirsi accettato, a mettere se stesso sempre dietro alle esigenze di chiunque, anche e soprattutto quelle inespresse, indipendentemente dal grado di confidenza. Sarà d’altro canto quindi troppo poco selettivo, molto più orientato all’esterno e forse irritabile e suscettibile, aspetto che mostrerà quasi sempre in famiglia o con gli adulti, più che con i pari. È il prezzo che paga per tentare di adeguarsi così tanto agli altri – per sentirsi utile e accettato – considerando che il tratto dell’ipersensibilità gli permette di intuire anche ciò che non viene richiesto in modo esplicito. Saranno a volte facilmente confusi con il tipo comportamentale oppositivo o provocatorio, ma ciò che li distinguerà sarà la selettività di tali atteggiamenti: diventano irritabili e oppositivi con gli adulti (dai quali non temono l’esclusione), e in particolar modo quando sottoposti a forte stress, ad esempio a scuola, riguardo proprio alle preoccupazioni di tipo relazionale e sociale. Mi viene in mente una ragazzina che litigava spesso con la madre perché quest’ultima non le permetteva di invitare le amichette quando voleva; quando parlò con me mi confidò che la sua preoccupazione era che se non le avesse invitate l’avrebbero esclusa dal momento che tra di loro si vedevano più spesso. Non importava tanto che lei ne avesse voglia, che davvero si sentisse bene con queste compagne (rispetto alle quali comunque non si sentiva “pari”), o cosa facessero. Per lei era importante accontentarle e mostrare accoglienza “tanto quanto loro”, per non essere “tagliata fuori”, anche se nessuna di esse aveva mai espresso tale esigenza o pericolo.

2.3 Le strategie

Essere genitori è davvero il mestiere più difficile del mondo e, oltre gli sforzi ordinari già ingenti richiesti da tale ruolo, avere un figlio ipersensibile può implicare la necessità di compiere sforzi straordinari, dice Rolf Sellin. Questa premessa mi sembra doverosa per rassicurare ogni genitore che, anche se si accorgerà di non avere sino ad oggi applicato gli accorgimenti proposti o se non riuscirà ad applicarli sempre come vorrebbe, non deve sentirsi in colpa o demoralizzarsi. L’accettazione di cui tanto abbiamo accennato si rivolge prima di tutto a noi stessi, ai nostri possibili errori e limiti. Ai genitori che vengono da me in consulenza ripeto spesso che l’obiettivo non può mai essere “diventare il genitore perfetto”, ma essere un buon genitore, dove per “buono” si intende capace di mettersi in discussione e di cercare sempre di fare del suo meglio in modo consapevole. Questo è l’obiettivo che propongo qui, fornire strumenti di conoscenza e riflessione per comprendere quale direzione potrebbe essere utile che prendiate, ma se ogni tanto sbagliate strada o avete battute d’arresto non vi preoccupate troppo, basta rimettersi in gioco per ritrovare ogni volta un equilibrio.


Alcuni suggerimenti di base della Aron ai genitori di bambini altamente sensibili:

  • Per mantenere un approccio equilibrato e crescere al meglio il vostro bambino, non focalizzate l’attenzione solo su questa sua caratteristica ma diventate più familiari possibili con tutte le altre sue qualità.
  • Per evitare l’iperprotezione ed essere sicuri che vostro figlio abbia la giusta esposizione alle nuove esperienze, lavorate a fondo sulla vostra ansia, siate realistici riguardo i pericoli e senza creare allarmismi rispetto al mondo insegnategli strategie di valutazione lucida e di autoprotezione. Non trasmettete a loro la vostra paura.
  • Se il vostro bambino mostra interesse in qualcosa di nuovo cercate di incentivarlo a prescindere che sia qualcosa che voi ritenete interessante oppure no. Lasciategli margine di libertà nella scelta delle esperienze che ha voglia di fare oppure no, ad esempio riguardo gli sport, le feste, le uscite in gruppo, le cene, i compleanni…
  • Se vostro figlio non sta sviluppando interessi non spingetelo in base a ciò che voi riterrete giusto per lui o per lei. Aiutatelo a esaminare più alternative possibili lasciandogli la totale libertà di addentrarsi in sicurezza oppure no, certi che non senta di volerlo fare solo per esaudire un vostro desiderio.
  • Imparate ad essere assertivi per il vostro bambino, in modo appropriato e disinteressato. È fondamentale per i vostri figli percepire il vostro supporto e confine, per imparare da voi.
  • Imparate a mettere ogni tanto i vostri bisogni al primo posto, per trasmettergli che è fondamentale prendersi cura anche di se stessi e non solo degli altri. Ricordatevi le istruzioni di sicurezza sugli aerei: avete bisogno di mettere prima la maschera di ossigeno sul vostro viso, e solo dopo su quello dei vostri figli perché la cosa più importante di cui figli hanno bisogno è di un genitore presente e centrato.
  • Riflettete e confrontatevi spesso anche coi vostri figli sull’autostima rispetto a questo tratto, ricordandovi che non è uno svantaggio ma una risorsa.
  • Non siate troppo severi con voi stessi per gli errori che di certo vi capiterà di fare nel vostro percorso di genitori, e quando accadrà non c’è bisogno del senso di colpa ma soltanto di una riflessione costante sugli aspetti che si possono migliorare. Non abbiate paura di ammetterli anche con i vostri figli perché in questo modo gli insegnerete che sbagliare è umano e che si possono gestire gli errori rimanendo autorevoli.

Essere genitori di bambini altamente sensibili è un’avventura che parte dentro di sé, dalle proprie convinzioni circa la sensibilità, dalle proprie paure rispetto alla vulnerabilità, dal proprio senso di inadeguatezza riguardo il “non essere uguali” alla maggioranza. Autostima, assertività e ascolto saranno sempre le doti basilari con cui avvicinarvi a vostro figlio, per insegnargli che essere ipersensibili non è un difetto ma una qualità, che è necessario esserne consapevoli e affermare la propria identità e le proprie esigenze, e che voi ci sarete sempre per lui, a prescindere dalle vostre richieste o aspettative nei loro riguardi e saprete gestire le vostre emozioni separandole dalle loro. La Aron focalizza quattro principali obiettivi nell’educazione di un bambino ipersensibile:

  • Costruirgli una autostima buona, solida, realistica; ovvero trasmettergli la lucidità di riflettere sui propri successi o fallimenti in modo sereno, senza colludere con la sua tendenza al perfezionismo e all’eccessiva autocritica. Deve avere chiaro cosa fare per fare “bene” ma nel contempo non avere paura di confidarvi i suoi errori.
  • Evitargli più possibile sentimenti di vergogna o colpa, per evitare che crescendo in una passività paralizzante non riesca a sviluppare le strategie di adattamento che gli saranno invece necessarie per fronteggiare le difficoltà.
  • Trasmettere una disciplina “intelligente”, quindi non basata su moralismi o dogmi (es. “si fa perché lo dico io / lo dice la religione / lo dice il nonno” oppure “non si può / bisogna / è giusto / sbagliato” a priori), né su minacce o ricatti (es. “se non lo fai ti tolgo i giochi / devi farlo sennò saranno guai”) ma sul ragionamento, incoraggiando un approccio critico e costruttivo. Se un bambino viene posto in uno stato di “giusta attivazione”, starà attento alle reazioni dell’adulto per acquisire informazioni importanti su come vivere bene con gli altri.
  • Sapere come parlare con lui o lei di questa sua caratteristica: si accorgerà presto di sentirsi diverso dagli altri, o di vivere situazioni di difficoltà che da solo non saprà comprendere e gestire; in questi casi sarà fondamentale porvi attenzione e dargli le spiegazioni di cui avrà bisogno in base all’età, trasmettendogli una visione fondamentalmente positiva di questa particolarità.

Per raggiungere questi importanti obiettivi vi elencherò alcune strategie generali che ritengo possano essere essenziali:

1. Ascolto profondo

Ascoltare, ben oltre il semplice uso dell’orecchio, significa essere presenti con la propria attenzione a ciò che un altro vuole comunicarci. Il livello di ascolto può variare in base al tipo di comunicazione e alla situazione contestuale, ad esempio si può ascoltare la televisione mentre si cucina o ascoltare una comunicazione alla stazione mentre si aspetta un treno. Quello che intendo qui invece con ascolto profondo ha a che fare con quella particolare attenzione, sia verbale che non verbale, di cui hanno necessità i nostri figli quando stanno condividendo con noi qualcosa di importante e significativo per loro. In questi termini ascoltare profondamente qualcuno significa interrompere le altre azioni che si stanno facendo, porsi nella condizione (e nella posizione) più adatta a cogliere le sfumature e a trasmettere “Sono qui con te, sono attento a ciò che mi stai dicendo”. Non si tratta quindi di un’azione che può essere sempre praticabile ogni volta che i nostri figli ci parlano, ma di quella differente forma di ascolto che è giusto riservare ai momenti in cui ci stanno dicendo qualcosa di importante per loro, e lo sottolineo perché “importante” non è definito in base al nostro giudizio ma al loro, e noi lo percepiamo se stiamo attenti a come ce lo stanno comunicando, se è qualcosa che li preoccupa o comunque che è legato a qualche loro emozione.


In questa accezione “ascoltare” non implica neanche comprendere o condividere ogni dettaglio di ciò che ci comunicano; significa accogliere, essere semplicemente presenti. Significa riconoscere all’altro il diritto di potersi esprimere con le sue spiegazioni o le sue ipotesi, con la sua confusione o le sue certezze, con le sue azioni o le sue parole, significa lasciarlo esistere dandogli la possibilità di esplorare dentro di sé. Ecco perché come genitori la prima cosa che dobbiamo imparare è ascoltarli profondamente, e quindi tacere molte volte, per riuscire a fare sì che possano parlare dei loro stati d’animo, non solo a noi ma anche a se stessi. Con questo atteggiamento diciamo: “Mi interessa quello che provi e quello che pensi, e credo che possa essere utile anche per te saperlo”.


Già, perché molte volte neppure il bambino ha chiaro quello che gli sta accadendo e spesso confonde, esagera o fraintende, e ha bisogno dell’ascolto e della saggia rassicurazione dell’adulto. È un atteggiamento di confronto che parte dall’ascolto dell’adulto e che facilita nei nostri figli la consapevolezza di sé, dei propri sentimenti e dei propri bisogni, perché ascoltandoli diamo loro il permesso di ascoltarsi.


Con i bambini ipersensibili il compito è più complicato, poiché spesso ciò che riportano come pensieri, stati d’animo e difficoltà può mettere in difficoltà anche noi come genitori. Capiterà più spesso che vi porranno domande complesse per la loro età, che presenteranno paure profonde a volte apparentemente infondate, che vi sottoporranno ragionamenti sottili ed associazioni sorprendenti tra persone e situazioni, per le quali la risposta non sarà sempre semplice da dare. Se si sentiranno al sicuro vi porteranno emozioni molto profonde per la loro età, situazioni spiacevoli a scuola che li faranno soffrire molto.


Mi torna alla memoria uno straordinario ragazzino le cui domande tipiche dai 4 o 5 anni erano state “Cos’è il razzismo? Perché esistono bambini poveri? Perché le persone fanno del male? Cosa significa essere ignoranti – io lo sono?”. In tutti questi casi l’arduo compito del genitore sarà di prestarvi la dovuta attenzione, anche attraverso il corpo e lo sguardo, accogliere il loro vissuto così come è per loro, per come loro lo vivono, dal loro personale punto di vista. Ciò che a noi come adulti può sembrare insignificante, nel mondo visto dagli occhi di un bambino, soprattutto se è ipersensibile, può essere molto doloroso o preoccupante. Credete a ciò che vi riferiscono i vostri figli, al di là dei dettagli, e cogliete la sottigliezza del loro stato d’animo mentre parlano, senza giudicarlo.


Molte volte mi sono trovata ad ascoltare bambini e bambine che ripetevano a me quello che svariate volte avevano detto ai loro genitori, senza essere presi sul serio. E in queste occasioni il mio atteggiamento di ascolto e di considerazione profonda di ciò che mi dicevano, nonostante fossi “un’adulta”, li ha profondamente stupiti. Genitori, nonni, insegnanti ed educatori, presi dai loro compiti difficili e da mille questioni cui pensare, spesso fanno fatica a trovare il tempo, l’energia e l’attenzione necessarie quando un bambino esprime qualcosa di difficile. La sfida complessa nell’offrirgli ascolto profondo è quella di accettare le sue emozioni difficili, senza cedere all’istinto di soffocarle con la fretta di dare consigli, interpretazioni, rassicurazioni o distrazioni. Ascoltare senza fare nulla, senza controbattere e senza esprimere il nostro parere; a volte questo ci viene davvero difficile, presi dalla smania di risolvere, intervenire, fare qualcosa, e certi che l’aspettativa dell’altro sia di una nostra risposta. “Perché me ne parli se poi non ascolti i miei consigli?”, è una trappola frequente, e la risposta è che le persone non parlano delle loro sofferenze per avere giudizi o suggerimenti, ma per condividere ciò che provano, per essere semplicemente ascoltati.


Le barriere più comuni all’ascolto profondo sono:

  • Interrompere: “Non iniziare eh!; Non mi interessa!; Non ho tempo!”
  • Consigliare: “Per te è meglio, dovresti fare…”
  • Fare troppe domande: “Perché? E tu? E poi? Ma se…? e quindi?”
  • Ordinare: “Ora fai come ti ho detto!”
  • Minacciare: “Se non smetti di dire queste cose io…!”
  • Fare la predica: “Te l’ho detto mille volte…”
  • Fare l’insegnante: “Vedi come ho fatto io? Si fa così! Sono l’adulto e so”
  • Minimizzare: “Ma cosa vuoi che sia, dài! Non prendertela, non pensarci, non è come la vedi”
  • Accondiscendere per pigrizia: “Sì hai ragione, dài, ok”
  • Disapprovare o negare a priori: “Cosa vuoi saperne tu? Che idea assurda! Non è come dici”
  • Insultare. “Quando dici ’ste cose sei proprio uno stupido!”
  • Interpretare: “In realtà dici / fai così perché, lo so io il vero perché”
  • Ridicolizzare: “Lo diciamo alla mamma la tua bella pensata di oggi? (ridendo)”

Siamo umani, quindi in genere ognuno di noi, prima o dopo a seconda delle situazioni, utilizza qualcuna di queste modalità di risposta; è importante esserne consapevoli e cercare di evitarle proprio nei momenti più critici in cui nostro figlio ci sta esponendo un problema. Quando il nostro bambino ha una preoccupazione o un’angoscia, come genitori non viviamo con serenità la situazione, e l’istinto di solito ci porta a minimizzare o relativizzare, oppure consigliare all’istante un rimedio perché si fa fatica a tollerare il suo dispiacere, la sua sofferenza e la nostra impotenza. Nel meraviglioso video in cui la psicologa Brenè Brown spiega in modo molto semplice ed efficace il concetto di empatia, la sua frase conclusiva è:


Una delle cose che facciamo a volte quando ci troviamo di fronte a conversazioni molto difficili è cercare di migliorare le cose. Se io condivido qualcosa con te di davvero difficile, preferisco che tu dica: Non so nemmeno cosa dire in questo momento, sono solo felice che tu me ne abbia parlato. Perché la verità è che raramente una risposta può migliorare le cose. Ciò che migliora le cose è la connessione.


Stare insieme è in realtà l’unica risposta, “sono qui con te, ti ascolto, ti proteggo”.

2. Comunicazione empatica

La comunicazione verbale è il modo più comune di entrare in contatto con gli altri e trasmettere ciò che pensiamo e proviamo. Il linguaggio è uno strumento molto potente nell’educazione dei bambini, e le parole veicolano oltre ai messaggi espliciti anche altri impliciti e spesso la loro scelta richiede maggiori attenzioni di quelle che spontaneamente prestiamo.


Marshall Rosenberg ha fondato il termine “Comunicazione non violenta” intendendo il processo attraverso cui incentivare una comunicazione di tipo empatico, fondato sulla condivisione di sentimenti e bisogni, invece che su giudizi e critiche.


La forma più alta di intelligenza è osservare senza giudicare. Molte volte invece non si considera la differenza tra un’osservazione e una valutazione, pensando che i propri pregiudizi corrispondano ai fatti osservati. Nessuno è immune da tali fraintendimenti, perché fanno parte del nostro funzionamento cognitivo, ma farci attenzione e cercare di gestirli in modo più consapevole può essere di enorme aiuto per i nostri figli, soprattutto se ipersensibili. Perché il primo punto da cui Rosenberg suggerisce di partire è se stessi, i propri stati d’animo, dandosi autoempatia, per poi esprimere i propri bisogni agli altri ed ascoltare i loro. L’empatia solo verso l’esterno porta senso di solitudine e frustrazione, se invece impariamo ad usarla prima di tutto con noi stessi allora diventa una grande risorsa e un potente mezzo comunicativo.


Le tipiche situazioni in cui attuiamo più o meno consapevolmente “abusi di potere” nella comunicazione riguardano:

  • Il senso di colpa: spesso reagiamo sottintendendo che gli altri siano responsabili dei nostri sentimenti. In realtà la maggior parte delle volte è piuttosto l’attitudine interiore a partire dalla quale reagiamo che ci fa provare determinati sentimenti. Aspettative, valori, pregiudizi spesso guidano le nostre reazioni rispetto a comportamenti che desidereremmo diversi, e tendiamo a far sentire in colpa l’altro se fa o dice qualcosa di diverso da ciò noi vorremmo o ci aspetteremmo. Con i bambini questo purtroppo è accentuato dall’implicito messaggio comune secondo cui l’adulto ha sempre ragione e il compito del bambino è fare esattamente come richiede l’adulto. Questo porta spesso a situazioni in cui i bambini si sentono responsabili di qualsiasi turbamento dei propri genitori, anche se ad esempio riguardano la sfera lavorativa o la dimensione di coppia.
  • La vergogna: l’ampio utilizzo della parola “sbagliato” e della parola “devi / si deve”, farsi molte domande sulla propria e altrui impeccabilità e perfezione, giudicare sempre “normale o anormale”, chiedersi sempre cosa pensano gli altri, comportarsi in base al timore del loro giudizio, pretendere comportamenti in base a ciò che altri considererebbero consono o no.

La proposta di Rosenberg riguarda invece la gestione con chiunque di ogni situazione spiacevole, e a maggior ragione con i nostri figli, secondo quattro fasi principali:


- OSSERVAZIONE: comportamento osservato in termini puramente descrittivi.

- SENTIMENTI: cosa proviamo in conseguenza di tali comportamenti.

- BISOGNI: quali nostri bisogni non sono soddisfatti da tale comportamento.

- RICHIESTA: formulazione di una precisa richiesta chiara riguardo ciò che vorrei che l’altro facesse, qualcosa di concreto, per venire incontro al mio bisogno.


“Quando agisci in questo modo (concreto) io mi sento (sentimento) perché ho bisogno di (bisogno) ed è per questo che vorrei che tu facessi (concreto).”


Affinché questa comunicazione sia efficace è indispensabile essere consapevoli appieno dei propri sentimenti e ancora prima dei propri bisogni, ovvero essere capaci di autoempatia.


Abbiamo tutti gli stessi bisogni fondamentali ma ci distinguiamo nelle idee e nelle strategie per soddisfarli, e i conflitti nascono spesso dove non viene riconosciuta questa diversità e ci si aspetta che l’altro attui le nostre strategie per farci stare meglio. Quando mescoliamo bisogno e richiesta, pensando che il nostro bisogno possa essere soddisfatto solo da una persona e solo in un certo modo, trasformiamo l’abbondanza di possibilità esistenti in carenza e insoddisfazione.


L’autoempatia è il primo passo per il riconoscimento dei propri e altrui bisogni in termini “non violenti”. Per consuetudine siamo abituati ad avere un nostro “giudice interiore”, che parla dei nostri errori in termini morali, come ci hanno insegnato da piccoli. Ci rimproveriamo piuttosto che essere comprensivi con noi stessi, oppure, per il terrore del giudizio, ci nascondiamo dietro le pretese agli altri. “Sono una pessima madre, vedi mio figlio piange”, che può trasformarsi in “Smetti di piangere! Fai vergognare tua madre!”. I nostri figli hanno quindi spesso a che fare prima di tutto con questo nostro giudice interiore, ed è per questo che è fondamentale partire da qui, riconoscendo le nostre voci interiori giudicanti e cercando di non dargli ascolto, ma piuttosto chiederci come ci sentiamo, per quale motivo, di cosa avremmo bisogno.


In un secondo momento sarà importante provare a cogliere nei comportamenti e nelle comunicazioni dei nostri bambini i loro bisogni non espressi. Cercare di non fermarci alla modalità, magari contraddittoria e controproducente, che spesso utilizzeranno per esprimere le loro emozioni difficili. Sovente, non avendo ancora gli strumenti per gestire l’emotività, potrebbero esprimere la paura con l’aggressività, la sofferenza con il rifiuto, la rabbia con la provocazione. In queste situazioni ho potuto appurare che la strategia migliore di un genitore è fermarsi, e invece che controbattere a tono al proprio figlio, chiedergli come si sente, come mai si esprime in questo modo e se c’è qualcosa che lo preoccupa che lo ha fatto arrabbiare o soffrire.


Per il vostro bambino ipersensibile sarà essenziale imparare da voi questo modo di comunicare, affinché imparino a gestire l’empatia in modo assertivo ed efficace, mettendo a frutto la loro straordinaria innata capacità di entrare in connessione con i sentimenti e i bisogni propri e altrui.


Attraverso questa forma di comunicazione potrete infatti trasmettergli capacità rispetto a:

  • Formulare opinioni attraverso l’osservazione dei fatti piuttosto che i giudizi moralistici.
  • Avere una grande chiarezza su ciò che si prova e su ciò che prova l’altro.
  • Riconoscere i propri bisogni e valori, e nel contempo rispettare quelli degli altri.
  • Esprimere richieste precise, concrete e realistiche.
3. Calibrazione

Per calibrazione intendo la necessità da parte del genitore di regolare gli stimoli e le richieste rispetto ai figli ipersensibili, in base alla consapevolezza di tale tratto e alla loro necessità di alternare stimolazione e ritiro, novità e abitudine, socialità e solitudine. In un certo senso ha a che fare con il più ampio compito del genitore di proteggere i propri figli, con l’obiettivo di evitargli delusioni, fallimenti e sofferenze che potrebbe non saper gestire, ma nel contempo permettergli di conoscere, esplorare, sperimentare e sperimentarsi. Nei bambini ipersensibili il passaggio dall’ipostimolazione all’iperstimolazione è a volte molto rapido e il limite presto raggiunto: se saremo in grado di rivolgergli richieste adeguate, sperimenteranno le proprie capacità e le proprie forze in modo tale da potere, lentamente e con cautela, sperimentarsi nell’allargare la propria zona di comfort. Un genitore troppo protettivo rischia di passare implicitamente al figlio svariati messaggi pericolosi per la sua crescita:

  • Il mondo è pericoloso
  • Tu non sei al sicuro se non con me
  • Non sei (mai) pronto per affrontare la vita
  • Non mi fido delle tue capacità di gestire le difficoltà e i rischi
  • Se ti succede qualcosa / se sbagli, io sono perso / muoio, dipendo da te

Un genitore troppo stimolante rischierà di trasmettere invece al figlio che:

  • Va bene solo se fai, quando fai, in base a quanto fai
  • Non rispettare i tuoi limiti, superali!
  • Sii produttivo e perfetto
  • Vinci per forza
  • Dimostra di meritarti il mio affetto

Per un bambino ipersensibile è invece essenziale che gli venga trasmesso di accettarsi sempre, anche nella non-produttività, nella non-competizione, e a tollerare le proprie imperfezioni e l’idea di poter sbagliare. Ha bisogno di sentirsi amato per ciò che è non per ciò che fa. Altrimenti si troverà spesso costretto a fare più di ciò che si sentirebbe, uscendo di frequente dalla propria finestra di tolleranza per adeguarsi alle aspettative, per poi sentirsi un fallimento quando non riesce a raggiungere gli obiettivi che gli sono stati posti e che ha fatto suoi.


La calibrazione implica quindi in primo luogo la capacità del genitore di equilibrare protezione e spinta all’esplorazione, e con i figli ipersensibili questo può essere ancora più complicato se non si conosce a fondo il loro funzionamento. I bambini ipersensibili sono più vulnerabili di altri e questo può farli apparire meno resistenti agli occhi di alcuni genitori. Questi, di conseguenza, spesso non li ritengono all’altezza di determinati compiti e cercano di proteggerli dalla vita e dalle sfide che essa comporta.


Se vostro figlio rientra nella categoria dei bambini altamente sensibili, sappiate che dispone di una qualità paradossale: a discapito dell’apparente insicurezza nel gestire anche le piccole sfide e difficoltà di ogni giorno, nelle situazioni difficili ed estreme accadrà il contrario e agirà all’improvviso con grande slancio, intuito e coraggio. Ci saranno situazioni in cui disporrà improvvisamente di qualità da leader, di determinazione e autorevolezza poiché quando la situazione si fa seria gli ipersensibili dispongono di una marcia in più nel loro sistema nervoso. Questa facoltà, che non smette mai di sorprendere, si potrebbe intendere anche come una sorta di sicurezza in più per la sopravvivenza, anche rispetto alla eccezionale resistenza allo stress e alla sofferenza, per la capacità di sopportare molto senza crollare. Sentono di più, anche le emozioni negative e lo stress, ma proprio per questo diventano eccezionalmente resilienti; motivo per cui è molto importante sapere come gestire ad esempio l’ansia e la paura, poiché se saremo preparati riusciremo ad accogliere la loro, e anche la nostra, senza permetterle di bloccare la loro crescita. La paura ha infatti come conseguenza diretta l’inibizione dell’azione e l’evitamento, e se un genitore ogni volta che si presenta una sfida o un cambiamento nella vita del figlio si fa contagiare dall’ansia che possa sbagliare, rischiare e soffrire, invece che sostenerlo e rassicurarlo darà “conferma” delle sue paure e il figlio inibirà la sua esplorazione, perdendo l’occasione di sperimentare le proprie capacità.


D’altro canto altri genitori potrebbero invece avere difficoltà nel riconoscere la paura del figlio se non la ritengono giustificata da dati oggettivi, minimizzando la situazione e cercando di sdrammatizzare. Loro, come adulti, non avvertono alcuna minaccia e pertanto non concepiscono che quella paura possa esistere, a prescindere da dove possa avere origine. In questi casi il bambino non viene creduto e si ritrova abbandonato a se stesso con la medesima paura di prima, ma ora si sente ancora più insicuro, incompreso e solo. Servono a poco le esortazioni come “Ma cosa vuoi che sia! Non è niente! Fatti forza! Ormai sei grande!”, che alle sue orecchie suonano solo come ordini e aspettative che aumentano ulteriormente la sua pressione. A questo punto si troverà diviso tra una parte di sé che comunque prova paura e un’altra parte che gli dice che non può provarne o che non può esprimerla né chiedere rassicurazioni.


La reazione dei genitori alla paura del figlio dovrebbe essere di accettazione, offerta di affetto e sicurezza; dovrebbero far sentire il piccolo protetto e difeso e nel contempo trasmettere fiducia nelle sue capacità. Questo accade però solo se i genitori accettano i suoi timori e se sono abbastanza tranquilli per tollerare la sua paura (e la propria) e nel contempo rassicurarlo e fidarsi di lui. Ad esempio “Stai attento! Sei sicuro? Poi ti fai male! Poi mi dirai che te l’avevo detto! Non rischiare!” sono messaggi molto controproducenti che in realtà trasmettono “Non ce la farai – sei debole”. Una ragazza ipersensibile che venne da me per gli attacchi di panico, seppur ben consapevole del grande amore che i genitori provavano per lei, arrivò a comprendere quanto la loro ansia e la loro paura l’avessero purtroppo limitata e danneggiata nella vita, fino a determinare questo disturbo di panico che si manifestava ogni volta che lei si allontanava da casa e rischiava di condizionare pesantemente le sue scelte e il suo futuro.


Genitori troppo o troppo poco protettivi rischiano quindi di determinare due modi in cui un bambino altamente sensibile si sviluppa:

  • Può spingere se stesso sempre al limite, incapace di ascoltare le proprie paure, troppo orientato all’esterno, iper-stimolandosi nel lavoro, nei rischi, o nell’esplorazione (genitori troppo stimolanti).
  • Oppure può chiudersi in se stesso, vivere nella paura, iper-proteggendosi, evitando ogni sfida o cambiamento e isolandosi dall’esterno (genitori troppo protettivi).

La calibrazione in senso meccanico è l’operazione attraverso cui uno strumento di misura viene regolato in modo da migliorarne la precisione; è un concetto che riguarda proprio la garanzia che qualcosa funzioni al meglio in termini di affidabilità. Questo è il nostro obiettivo con i bambini ipersensibili: permettere loro di sperimentare stimoli e sfide, e nel contempo accogliere e rispettare le insicurezze, le paure e i limiti. Esaminiamo ad esempio la scelta di uno sport: permettere e sostenere l’avvicinamento a uno sport, anche di tipo competitivo, può essere molto importante se nostro figlio ce lo chiede. Diverso sarebbe pensare di obbligarlo a fare quello sport che secondo noi è più utile o più divertente in termini competitivi, invece che assecondare quello che lui o lei preferirebbe, magari meno attivo e competitivo. Ulteriore ipotesi sarebbe scoraggiarlo a fare qualsiasi tipo di sport perché potrebbe farsi male, o ritirarlo dalle attività appena c’è qualche intoppo. Nel primo caso stiamo permettendo che scelga in libertà le proprie sfide, forte del nostro sostegno; nel secondo gli stiamo chiedendo di superare i suoi limiti; nel terzo gli stiamo confermando che è debole e incapace.

4. Sintonizzazione

I momenti di sintonizzazione tra due persone indicano il livello migliore di connessione verbale, non verbale ed energetica tra due interlocutori. Quando c’è sintonizzazione due individui sono “sulla stessa linea d’onda”, come si intende anche in termini musicali: due strumenti sono sintonizzati quando suonano all’unisono, diversi ma coerenti l’uno con l’altro, producendo un suono chiaro. È una modalità di entrare in relazione che definisce i momenti più significativi nei nostri rapporti. Sintonizzarci significa porci sulla “stessa frequenza” di chi stiamo ascoltando, e ciò anche attraverso gli aspetti corporei come il tono della voce, la posizione reciproca, il ritmo dell’eloquio e la sfumatura emotiva. Se immaginate due persone che conversano e, mentre chi parla è seduto e col capo chino, col tono basso e un ritmo lento, l’ascoltatore è in piedi, guarda in alto, ha un tono forte e veloce, potrete facilmente comprenderlo come esempio di mancanza di sintonizzazione. Se invece pensate a due persone che conversano sedute di fronte, in posture simili, con tono e ritmo di voce omogeneo, e una corrispondente gestualità, vi risulterà chiaro che sono sintonizzati. I bambini ipersensibili hanno il dono di entrare facilmente in sintonia con gli altri anche in tale senso. È per loro spontaneo immedesimarsi anche in senso corporeo ed energetico, e risultare coerenti con chi sta parlando. Nella stessa misura si accorgeranno se voi lo farete con lui: si sentiranno ascoltati davvero se entrerete in sintonizzazione con loro, attraverso la coerenza di tono, postura e ritmo. Se vi stanno raccontando qualcosa di triste e voi siete indaffarati e ansiosi, o entusiasti per qualcosa, o al contrario se vi raccontano qualcosa di bello e voi vi sentite tristi o nervosi, considerate sempre la coerenza o meno della sintonizzazione con loro; non ci riuscirete sempre, certo, ma sforzarvi più volte possibile sarà per loro già un grande esempio e sostegno. Vi verrà più facile se riuscirete ad essere sempre consapevoli dei vostri differenti stati d’animo, e rendervi conto di “Cosa sto provando io? Cosa sta provando invece lui?”, e magari spiegargli il motivo dell’eventuale mancanza di sintonia, esponendo la propria momentanea difficoltà (legittima, siete umani!) nell’ascoltarli davvero come vorreste: “Tesoro, vorrei davvero ascoltarti, so che mi stai dicendo qualcosa di importante, ma ora mi sento così stanco, teso, distratto che preferirei riparlarne tra poco (magari dando un’indicazione temporale precisa), quando sarò più tranquillo”. E poi ovviamente farlo davvero, evitando di promettere cose senza mantenerle. Non sempre potrete essere subito pronti o disposti a questa forma di ascolto, è naturale, ma non trascuratelo, non lasciate “cadere” queste occasioni, al massimo rimandatele a momenti migliori per voi.

5. Contatto

Il bambino piccolo nutre in modo del tutto naturale il desiderio di stare in braccio alla madre o ad altri familiari, o di essere semplicemente in contatto con quale parte del corpo, senza fare nient’altro. Non lo fa perché ha voglia di mangiare o di ricevere attenzioni particolari, non lo fa perché vuole giocare. Spesso desidera solo percepire il contatto del suo corpo con un altro con cui si sente al sicuro. Il contatto è la forma più profonda di rassicurazione e vicinanza tra due esseri viventi (anche animali). Vostro figlio avrà sempre bisogno di qualche forma di contatto, soprattutto se spaventato dalle reazioni dell’ipersensibilità, soprattutto nei momenti in cui vi verrebbe meno spontaneo darglielo. Un contatto fatto di sguardi, pelle, suoni, odori e sensazioni. Un flusso che passa dall’uno all’altro e che l’organismo assorbe in modo pieno e aperto. Nel contatto non si dà o si prende ma si scambia, è un sentire l’altro in un momento in cui i confini si sciolgono facendoci transitare a una comprensione profonda del tutto non verbale. È una forma profonda di empatia. Quando il bambino non riceve a sufficienza nutrimento, interesse, attenzione attraverso il contatto, allora perde quel senso di totale immersione nella cura da parte dell’adulto, e cercherà di triplicare gli sforzi per riuscire a ottenere ciò che è fondamentale per la sua esistenza.


Nella nostra vita troppo accelerata e ansiogena rischiamo in continuazione di perdere la capacità di contatto, di soffocarla attraverso parole e intermediazioni, come attraverso il cellulare. Quando li salutate la mattina o li andate a prendere a scuola la sera, la forma più importante di saluto di cui hanno bisogno, soprattutto se altamente sensibili, è un contatto fisico. Ed è proprio il contatto che ci permette di comprendere l’altro davvero per ciò che è, di sentirlo al di là di ciò che mostra. Provate a pensare alla situazione in cui vi sentite commossi ma state cercando di trattenere l’emozione e qualcuno vi si avvicina e vi abbraccia: sarà molto più difficile trattenere il pianto.


La Aron sottolinea quanto i bambini ipersensibili abbiano maggiormente bisogno di contatto per sentirsi, per sentire l’altro, per riconoscersi e sentirsi al sicuro, perché nel contatto sperimentano i propri limiti e confini. I limiti di un individuo hanno una base assolutamente fisica e sensoriale concreta, e nell’ipersensibile la Aron descrive una pelle sottile, poiché è la pelle il più reale confine e limite tra noi e il resto del mondo. Un buon contatto corporeo con il genitore permette quel nutrimento e quella percezione di vicinanza che gli servirà da adulto per stabilire in modo sicuro i propri confini.


Sovente questo maggiore bisogno di contatto mi è stato riferito da genitori che lo hanno notato in maniera particolare nel figlio ipersensibile rispetto ai suoi fratelli o sorelle: “Vuole sempre salutarmi con un bacio o un abbraccio, vuole sempre che qualcuno si sdrai accanto a lui prima di addormentarsi, e se siamo sul divano a poggia i piedi sopra le mie gambe o mi chiede di accarezzargli i capelli. Eppure mi sembra grande per avere bisogno di tutto questo contatto.” Il bisogno di contatto fisico per un ipersensibile non ha età, è un suo ulteriore modo di entrare in relazione e in sintonia, e nell’esperienza con i genitori impara a gestirlo.


Un’ulteriore modalità da considerare a tale proposito, è di favorire nel bambino momenti di benessere psicofisico con attività di tipo “parasimpatico” ovvero rilassanti, come i massaggi, il cosiddetto co-sleeping (ovvero fare pisolini affianco con contatto di qualche parte del corpo), attività come il rilassamento progressivo, le visualizzazioni (ovviamente adeguate per età), la meditazione nella natura. Scoprirete che ne ricaverà un beneficio maggiore di quanto immaginate e che, se ben adattate alla sua età, gli piaceranno anche molto. Ricordo il grande successo che ebbe un progetto di yoga per bambini in una delle classi elementari che ho seguito; partecipavano molto volentieri e molto attivamente, seguivano bene le indicazioni e ne uscivano molto più quieti e rilassati.


Un’altra forma di attività rigenerante è, nel versante del sistema simpatico di attivazione, la musica e la danza non strutturati, l’uso spontaneo e la sperimentazione degli oggetti e degli strumenti che producono rumore e suoni, e il ballo spontaneo insieme, sperimentando musiche e ritmi diversi. “Muovere spontaneamente e ritmicamente il corpo è un’attività essenziale per il benessere psicofisico di ogni individuo” diceva Alexander Lowen, fondatore della terapia bioenergetica. Anche in questo caso mi è stata riferita una meravigliosa esperienza di un’associazione che lo propone alle famiglie nel fine settimana, in cui viene riservato ai bambini e alle loro famiglie spazio, strumenti e occasioni in cui muoversi, sfogarsi e sperimentarsi insieme con la musica.

6. Natura

I bambini ipersensibili hanno una particolare predilezione per la natura e gli animali, possono preferire andare in un bosco o in una fattoria piuttosto che in un parco giochi artificiale. Chiedono spesso di poter avere animali domestici e dimostrano un’incredibile capacità di prendersene cura. Mostrano grande capacità di immedesimazione nei loro vissuti “animali” e soffrono molto quando assistono alle loro sofferenze. Per anni ho fatto l’educatrice nei campi estivi, e una gran parte di quei bambini cercava le lucertole per tagliar loro la coda o fare altri raccapriccianti esperimenti sulla vita, la sofferenza e la morte. D’altra parte anche il concetto di morte è innato e naturale e per i bambini è normale voler osservare i processi anche dolorosi con curiosità. Bene, i bambini ipersensibili non fanno parte di questa “maggioranza”; sono assai sensibili sin da piccoli alle sofferenze anche di minuscoli animali, anche degli insetti. Ricordo che quando ero piccola alla scuola materna, già all’età di 5 anni soffrivo molto nel vedere questi “giochi” macabri compiuti dai miei compagni, e ho un ricordo sorprendentemente indelebile di un giorno in particolare in cui un mio compagno torturò e uccise uno scarabeo cui io avevo costruito la tana. Lì, in quel momento, lui rideva e io provai una grande rabbia. Non riuscivo proprio a comprendere come potesse ridere di una cosa così insensata, di avere tolto una vita seppur piccola e averla fatta soffrire, mentre a me era venuto così spontaneo prendermene cura. Alcuni di voi in questo momento potrebbero pensare: “Cosa sarà mai, cosa vuoi che sia per uno scarabeo!”, il che è proprio ciò che si sentono spesso dire i bambini altamente sensibili. “Cosa vuoi che sia! Non è un dramma!”. Eppure se vi fermate a riflettere su cosa signfica giocare con la vita, la sofferenza e la morte di un essere vivente non vi sembrerà una cosa su cui ridere. Per un ipersensibile l’essere umano non è l’unico essere vivente importante. Ogni forma di vita è essenziale all’esistenza di tutte le altre, e la natura è la grande matrice di interconnessione che permette che tutto ciò esista e viva. È per questo che di solito già da bambini gli ipersensibili prestano molta attenzione all’ambiente e difficilmente verrà loro spontaneo (dall’età in cui sono in grado di comprendere le conseguenze delle proprie azioni) di inquinare un ambiente, sporcare un parco, lanciare cartacce a terra; anzi potranno mostrare fastidio se qualcuno lo farà. Potrà capitare che vi pongano domande e riflessioni circa i cicli della natura, preoccupazioni rispetto all’inquinamento, saranno più ricettivi di altri bambini alla necessità di fare ad esempio la raccolta differenziata. Ai bambini e agli adulti altamente sensibili tutto questo importa e sta a cuore, perché percepiscono la profonda connessione che ci lega a questa terra, e la necessità di occuparcene, invece che occuparci solo di noi stessi. Ricordo molto bene un cartone animato che mi colpì molto e che mi stimolò parecchie riflessioni per la tenera età che avevo: Ferngully. Suggerisco ad ogni famiglia “in ascolto” di cercarlo e guardarlo insieme ai vostri bambini perché è un cartone prodotto apposta per trasmettere questo necessario senso di rispetto per la natura, del resto anche un po’ come il film molto più recente e più profondo Avatar.


Natura per l’ipersensibile significa percepire il senso di interconnessione e interdipendenza con tutto ciò che ci circonda, e sentirlo a un livello di intensità molto potente. La Aron esprime di frequente pubblicamente le sue profonde paure rispetto al surriscaldamento globale, al maltrattamento (ed estinzione) degli animali, ai cambiamenti spaventosi che ci accingiamo ignari ad affrontare mentre stiamo rovinando il nostro pianeta. Nel suo film afferma: “Tutto il mondo ha bisogno di questi cuori e di queste menti sensibili, per studiare e riflettere sul mondo come è ora e sui suoi spaventosi cambiamenti”. L’ipersensibile non rimane indifferente. Neanche da bambino.


Il rapporto privilegiato di questi bambini con gli animali non si riferisce quindi solo ai tipici animali domestici, esperienza che comunque consiglierei a tutte le famiglie con figli, ma anche agli animali apparentemente meno comuni e “strani”, come pappagallini, criceti, mucche e maiali (se in fattoria), cavalli e asini. Gli animali preferiti dei bambini e altamente sensibili che ho incontrato finora mi hanno sempre incuriosito: il lupo, l’aquila, la tartaruga, la farfalla… In alcune foto che una mamma mi ha mostrato emerge l’enorme cura e delicatezza anche di un bambino così piccolo, di 6 o 7 anni, nel tenere sulla mano una farfallina, preoccupandosi di proteggerla e osservarla con attenzione.


La predisposizione all’ipersensibilità non si limita inoltre agli esseri umani, ma è presente anche nel mondo animale. Avere al proprio interno alcuni esemplari dotati di particolare sensibilità torna a vantaggio della sopravvivenza del branco: sono loro a percepire per primi i pericoli e allertare gli altri. Sinora sono stati effettuati studi su almeno 100 specie diverse e in ciascuna è stata confermata la presenza di un simile tratto, in termini di “particolare lentezza/prudenza” nell’entrare in nuove situazioni, analisi più approfondita dei dettagli (anche sociali del gruppo) e percezione più rapida dei pericoli, anche nei pesci e negli invertebrati.


L’animale maggiormente in connessione con l’ipersensibilità umana sembra essere il cavallo, protagonista di molti laboratori tenuti dalla Aron in America, e che molto spesso ho sentito citare anche da pazienti ipersensibili. Altri studi stanno approfondendo questa caratteristica nel rapporto con i cani, in particolare i pastori tedeschi, e con i primati (scimmie macaco).


Quindi, in conclusione, lasciate ai vostri figli sensibili il maggior margine possibile di contatto con la natura e con gli animali e valorizzate la loro capacità di sentire questa connessione, coltivate insieme a loro l’amore e il rispetto per tutto ciò che ci circonda e nutre il nostro pianeta, attraverso l’attenzione per il verde, per il mare, per le risorse riciclate e rinnovabili.

7. Limiti

I bambini ipersensibili vogliono fare tutto senza l’aiuto di nessuno, e bene. Anzi, più che bene, e non smettono di tormentarsi con le pretese di perfezione. Spesso rimuginano all’infinito sugli errori compiuti. Ed è spesso in base alle pretese dei genitori che potranno o meno imparare col tempo a diventare più indulgenti con se stessi e accettare di avere dei limiti.


Come ipersensibili spesso possiamo sentirci sovrastimolati, ma qualche volta non ce ne rendiamo conto; d’un tratto ci sentiamo esausti e realizziamo solo dopo il perché: può sembrarci che qualcosa ci faccia sentire particolarmente “su” a livello consapevole, e invece a lungo andare ci butta giù. Questo accade sin da piccoli, quando, magari entusiasti di un’attività o un gioco, non ci accorgiamo che diventiamo sempre più stanchi e i nostri genitori se ne accorgono per il nervosismo e l’irritabilità. Un bambino ipersensibile può avere difficoltà a percepire e rispettare i propri limiti da solo, per questo ha bisogno che siate voi a tenerne conto e rispettarli, per insegnarlo a lui.


Questo potrà risultare assai importante per la vostra serenità familiare, perché quando un ipersensibile si spinge oltre i propri limiti, si trasforma in maniera radicale. Da un momento all’altro tramuta la sua estrema sensibilità nel suo perfetto opposto: se prima era una persona empatica, disponibile, indulgente, comprensiva e benevola, tollerante e riguardosa, gentile e accorta, all’improvviso non lo è più e passa alla totale assenza di sensibilità. Bambini dolci, comprensivi e quieti diventano bruschi, provocatori e oppositivi, e arrivati a tale punto può essere più faticoso gestirli, anche perché arrivano a mettere alla prova i nostri limiti come genitori. Una volta con due genitori accennai proprio con un sorriso che “è proprio il compito preferito dei figli: testare i vostri limiti”. E quando questo accade, ad esempio nell’adolescenza, è una dura prova per ogni genitore che, se non ha lavorato a sufficienza sui propri limiti per esserne consapevole e gestirli, rischia di finire per lottare per la sopravvivenza tra due territori come in una guerra con tanto di minacce, ricatti, ostaggi e feriti. Soprattutto in vista del difficile periodo adolescenziale, sarà buona norma conoscere e definire in modo adeguato i reciproci limiti sin da piccoli, e con i figli ipersensibili vi sarà richiesta una maggiore attenzione nel farlo, poiché da soli fanno più fatica.


La tendenza a superare i propri limiti si manifesta nelle pretese eccessive, nei continui approfondimenti, nelle infinite riflessioni, nel non accontentarsi mai di ciò che si è fatto (“potevo fare meglio”). Con i bimbi ipersensibili è dannoso compiacere questo perfezionismo proprio perché cela la loro incapacità di tenere conto di limiti e carenze come di qualcosa di naturale e imprescindibile in ogni essere umano. Ci viene facile pensare ai comuni proverbi “nessuno è perfetto”, “sbagliando si impara”, ma dovremmo forse fermarci più spesso a riflettere se davvero lo stiamo mettendo in pratica. Accettare che nostro figlio non sia perfetto, non sia sempre al massimo, non sia il migliore, non si spinga sempre verso i risultati più elevati, che non sia sempre felice o entusiasta, che possa sbagliare e fallire, e cadere, sarà fondamentale per trasmettergli che se sbaglia lo amiamo lo stesso, lo amiamo per come è, imperfetto, perché anche noi lo siamo (anche se siamo “adulti”), che non è importante che vinca o che sia il migliore o che abbia i migliori risultati. Che potrà capitare di non essere sempre felici e si può cadere, ma poi ci si rialza. I bambini ipersensibili devono inoltre elaborare più cose degli altri, e per farlo servirà loro più tempo. Non meravigliatevi quindi se riscontrerete ritmi diversi rispetto ad altri bambini e se avranno spesso bisogno di frequenti pause, o a volte periodi lunghi di apparente passività e ritiro, che non deve essere scambiata per pigrizia. È importante che non pretendiamo da loro che si adeguino al nostro ritmo o a quello di altri.


Nelle professioni creative e scientifiche, tanto per fare un esempio, l’atteggiamento analitico e preciso che l’ipersensibile possiede potrà comunque portare a risultati positivi. Ma se la scrupolosità diventa eccessiva può portare a perdite di tempo ed energia, e continua insoddisfazione, tutte cose che rischieranno paradossalmente di allontanarlo dalla sua possibile realizzazione. Mi viene in mente un ragazzo che, da sempre eccellente a scuola, si trovò a mollare al secondo anno l’università perché non riusciva più a reggere il peso di questa aspettativa così elevata, finendo per fare come professione qualcosa di totalmente diverso da ciò che avrebbe voluto e per cui era portato.


Per gli ipersensibili è importante affrontare le cose in modo consapevole, evitando di perdersi in ciò che si sta facendo. A livello pratico questo significa concentrarsi brevemente prima di iniziare un compito o un lavoro, in modo da indirizzare l’attenzione sui compiti da svolgere, porre dei limiti a quello che c’è da fare e contenere le proprie pretese e quelle degli altri. Fare i compiti appena tornati a casa è controproducente per un bambino. Ha bisogno di momenti di stacco totale e poi di indicazioni di massima per regolarsi con i tempi per lo studio. Può quindi risultare controproducente non concordare prima i limiti temporali al momento di studio giacché è meglio un’ora produttiva che tre inefficaci.


La corrente ideologia culturale del “no limits”, come spesso accenna la Aron, certo non aiuta l’ipersensibile a rispettare i propri limiti e accettarli. Filosofia che io riassumerei con il famoso motivetto “You can get it if you really want” (“puoi farcela se lo vuoi davvero”), che veicola il pericoloso messaggio che i risultati raggiungibili sono illimitati, i punti di partenza identici per chiunque, e se non ci riesci è perché non sei all’altezza. Mi torna in mente un’efficace immagine che rende questa idea applicata all’educazione scolastica: ci sono un elefante, una scimmia, un pesce, una giraffa, e un animale “insegnante” chiede di svolgere il compito in classe “uguale per tutti”: salire sopra un albero. Si può considerare una rielaborazione originale della meravigliosa frase di Einstein:


“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.”


Equità è fornire le stesse possibilità e le stesse occasioni considerando i differenti punti di partenza, ed è cosa diversa da uguaglianza, ovvero dare gli stessi strumenti a tutti a prescindere dalle caratteristiche individuali, e sia la scuola sia la famiglia dovrebbero considerarlo. L’equità comporta la valutazione di ciascuno in base alle proprie risorse di partenza e quindi attraverso strategie e strumenti adeguati, e al risultato relativo che raggiunge rispetto al sua percorso individuale. Un bambino che ha meno potenzialità o predisposizione in una certa materia o secondo certi criteri, il quale mette un grande impegno merita un riconoscimento secondo il suo criterio, a prescindere dal confronto con gli altri compagni che magari mostrano più talento per la medesima materia o più adeguamento ai criteri richiesti. La misura del “traguardo” non si considera solo per lo standard esterno cui si arriva, ma in base alla quantità di strada che si è percorsa. Spesso con i pazienti mi capita di fare l’esempio delle gare di moto GP o Formula Uno: sono in 20 e ciascuno parte da una casella di partenza diversa, e chi parte già nelle prime posizioni è ovviamente molto più avvantaggiato per arrivare sul podio. Eppure la maggior parte dei piloti parte già consapevole di non riuscire ad arrivarci ma gareggia comunque. Il loro obiettivo non sarà quindi quello “oggettivo” del podio, ma quello relativo di fare ciò che gli piace e guadagnare dei punti, superando qualcuno davanti a lui. Può sembrare banale, ma se lo riportiamo alle nostre vite in genere l’esempio risulta efficace e realistico: ciascuno di noi, per fortune acquisite o ereditate, per eventi di vita o genetica, si trova in diversi “blocchi di partenza”. Non partiamo tutti nelle prime 5 posizioni. E va bene così. Ciascuno troverà i suoi personali obiettivi, e sarà vincente nel raggiungerli, senza credere di dover rincorrere per forza “il podio” come se fosse un criterio oggettivo. La ricerca costante della perfezione è una ricetta infallibile per sentirsi sempre insoddisfatti e infelici. Condizioni ideali illimitate si scontreranno sempre con condizioni reali limitate.


Chi ama se stesso è più in grado di rinunciare all’approvazione dell’altro. È sicuro di sé e pronto a soddisfare le proprie esigenze, accetta se stesso e, di conseguenza, le personali capacità, carenze e limitatezze.

R. Sellin

8. Confini
Non è l’ipersensibilità in sé a produrre conseguenze fastidiose, bensì la lotta contro la percezione di se stessi e l’adeguamento agli altri. Ci sono ipersensibili che percepiscono i bisogni altrui ancor più dei propri, che non si prendono cura di sé e poi ne pagano le conseguenze e sono scontenti. Quelli che evitano il conflitto e non sono capaci di difendere la propria posizione, finendo per vivere in conflitto con gli altri tutta la vita”.
R. Sellin

Il confine è quello spazio personale di una persona che definisce la “certa distanza” che essa mantiene tra sé e gli altri, secondo il tipo di rapporto e situazione. Vi è come un’invisibile barriera che circonda ciascuno di noi, all’invasione della quale reagiamo con un vago senso di disagio e con un tentativo automatico di ristabilire la distanza precedente. I nostri confini vengono “invasi” ogni volta che qualcuno ci chiede di essere diversi da come siamo, fare altrimenti da ciò che vorremmo, negare un nostro bisogno o sminuirlo, ogni volta che qualcuno pretende che per esaudire le sue esigenze dobbiamo rinunciare alle nostre. Può essere banalmente qualcuno che ci passa davanti in una fila, “rubando” il nostro posto, qualcuno che ci sbatte contro noncurante di chiedere scusa, un’amico o un partner che ci chiede di fare come vuole lui o lei senza cercare compromessi, di dire o non dire in base a ciò che ritiene lui, senza però riservarci la stessa premura, un genitore che vuole imporre delle scelte al figlio, o le famiglie allargate che impongono le loro “formalità” sul comportamento da tenere. Le invasioni accadono ogni qualvolta un individuo non è lasciato libero di scegliere, pensare, agire nel suo territorio legittimo, quando si presuppone che subisca le scelte di qualcun altro, ovviamente nei margini della legalità e del non nuocere ad altri. Nelle quotidiane situazioni sociali ci troviamo tutti sempre nella condizione di dover gestire i confini, dato che l’essere civili implica saper rispettare i propri ma anche quelli degli altri. Quando emergono conflitti di norma è perché sono stati superati determinati confini e qualcuno si è spinto in un territorio senza averne avuto il permesso.


Quando i nostri confini sono minacciati lo notiamo:

  • Dalla respirazione più rapida e superficiale
  • Dall’innalzamento della pressione sanguigna
  • Dall’accelerazione del battito cardiaco
  • Dall’aumento dell’elasticità cutanea
  • Dall’aumento del tono muscolare

In famiglia i confini assumono però sfumature del tutto soggettive, e gli oggetti, gli spazi e le scelte vengono governati da regole del tutto peculiari per ciascun nucleo familiare. Una cartina tornasole efficace che utilizzo per farmi un’idea di come in una famiglia vengono gestiti i confini consiste nel chiedere: “Quali abitudini avete nella vostra casa rispetto all’uso delle porte?”. Riguardo all’apparente semplicità di questa domanda vi sorprenderebbe davvero scoprire quante possibili risposte vi siano, e quanto risultino sempre coerenti con la gestione dei confini in senso più psicologico. Provate a porvi ora questa domanda e cercate di rispondere prima di leggere oltre.


Forse una parte di voi avrà l’abitudine di tenere le porte sempre aperte, o di chiuderne solo alcune, o solo in certe situazioni, o di tenerle tutte chiuse, anche di giorno o solo di notte. Potreste non accorgervi ad esempio se bussate prima di entrare oppure no, se il bagno è utilizzato da tutti nel medesimo tempo o viene concessa più riservatezza (almeno lì). Ci sono le chiavi sulle porte? Solo su alcune? Sarebbe utile chiedervi cosa provate ad esempio se vostro figlio o figlia “si chiude in camera” se non siete abituati; è probabile che vi capiti, soprattutto se è in piena adolescenza.


Se i vostri figli si chiudono ogni tanto in camera (non intendo a chiave), soprattutto dalla preadolescenza, sappiate che è più che legittimo, poiché così sperimentano il loro diritto di avere e sperimentare un loro spazio, perché è da lì che costruiscono il loro senso di confine. Il confine riguarda anche gli oggetti, e gli spazi sociali o psicologici (come il gruppo di amici), per cui ciò che ritengo di mia proprietà entra a far parte del mio senso di territorio personale. Senza entrare in polemiche culturali, si ha diritto di avere le proprie cose, di poterne disporre come si crede, in modo giusto, e di non dovere per forza sempre dividerle tutte con fratelli o sorelle. Nella difficile gestione del rapporto tra fratelli, per cui le liti sono di norma all’ordine del giorno, è importante considerare la lettura del problema rispetto al tema dei confini: ogni discussione e lotta tra fratelli o sorelle è riconducibile a una lotta per definire i propri confini, perché ciascuno sente il bisogno di definire e gestire il proprio confine rispetto all’altro, di avere il proprio spazio, le proprie cose, le proprie amicizie, le proprie attenzioni. Nella gestione di questi conflitti, secondo la mia esperienza, la strategia migliore è sempre la chiarezza delle regole condivise e il compromesso: ci saranno giochi, oggetti, spazi che saranno da condividere, per imparare anche lo scambio con l’altro, ma che sarà meglio siano ben definite e chiare a priori, ad esempio nella suddivisione del tempo concesso a uno e all’altro. La cosa importante ritengo sia non dare mai per scontato che tutte le cose di uno possano essere a disposizione libera anche dell’altro, e fornire invece regole precise riguardo al rispetto delle cose dell’altro, ad esempio chiedendo sempre il permesso e rispettando le sue condizioni. Di norma quando le cose vengono gestite così avviene un paradosso quasi “miracoloso”: nel momento in cui legittimo il suo spazio, i suoi giochi, le sue cose e il fratello o la sorella li rispettano, allora gli verrà molto più facile prestare volentieri le proprie cose, perché sentirà di essere rispettato e di potersi fidare.


Un altro aspetto importante della gestione del confine è riconoscere ai figli la libertà di non parlare necessariamente di ciò che si prova o si sente, o di non avere voglia di sorridere per forza, di compiacere i parenti, o di essere accoglienti indiscriminatamente. Un fraintendimento frequente e ingiusto è giudicare il fatto di volere spazi, oggetti, momenti per sé come un atto di egoismo. Il buonismo, quello che implica la costante rinuncia di sé per fare piacere ad altri non è un insegnamento funzionale, soprattutto con i figli ipersensibili.


Lo stesso “comandamento” cristiano per eccellenza chiarisce questo storico fraintendimento: Ama il prossimo tuo come te stesso, vale a dire “come” e non di più. Rispetta l’altro come rispetti te stesso, ascolta l’altro come ascolti te stesso, rispetta il suo spazio come rispetti il tuo. Non è “Ama l’altro più di te stesso, quindi sacrifìcati sempre per l’altro, ponilo sopra di te, dàgli più valore di quello che dài a te”.


Quando non proteggiamo o non difendiamo per tempo e in modo consapevole i nostri confini non riusciamo a impedire che si provochi stress, sia in senso psicologico che fisiologico. E se anche di fronte alle avvisaglie di disagio non iniziamo a dire dei “no”, arriva un punto in cui anche di fronte a sconfinamenti del tutto innocui reagiamo in modo sproporzionato, scegliendo una delle tre possibilità:


a) Attacco: esplosione di rabbia fuori contesto e sproporzionata (distruttiva).


b) Fuga: interruzione improvvisa di attività, relazioni, impieghi spesso senza dare spiegazioni.


c) Paralisi: implosione, rassegnazione, impotenza, congelamento.


Quello cui vi potrà essere capitato di assistere nei momenti difficili con vostro figlio altamente sensibile probabilmente aveva a che fare con questi aspetti. Nei momenti di esplosione si rimane sorpresi e sopraffatti dallo sfogo dell’energia accumulata. In quei momenti i bambini non sono in condizione di controllarlo e quando si rendono conto di cosa hanno combinato si mortificano, magari tendendo a sottomettersi e sforzandosi di riparare il danno adeguandosi ancora di più all’altro. Armati delle migliori intenzioni contribuiscono a permettere che vengano di nuovo superati i loro confini. Nei casi invece in cui l’ipersensibile tende a implodere non lo dà a vedere, e opta in un certo senso per la fuga all’interno, lasciandosi spingere da parte in tutta consapevolezza. In genere impallidisce, perde ogni energia e lo sguardo si spegne, opta per il silenzio e a volte sfoga in sintomi psicosomatici.


La linea di confine segna non solo la fine del nostro spazio personale ma anche l’inizio del mondo esterno. Se non siamo in grado di essere pienamente noi stessi e di definire bene i nostri confini corriamo il pericolo di perderci nel mondo esterno o nell’incontro con l’altro.


Nel momento in cui entriamo in contatto con l’altro, l’arte del giusto adattamento consiste nell’adeguarsi quel tanto che basta rimanendo nel contempo fedeli a se stessi. Il modo ideale per farlo è essere consapevoli di ciò che si vuole (bisogni, interessi, direzione). Sovente invece, se siamo ipersensibili, accade che ci sentiamo costretti ad anticipare l’adattamento all’altro, vivendo un conflitto interiore tra l’automatismo dell’adeguamento e una parte di noi che vi si oppone, finendo poi per sostenere che gli altri non ci permettono di essere noi stessi.


Quando non si è centrati non si percepisce il proprio corpo e non è possibile individuare i propri limiti e difendere i propri confini. Se invece insegneremo a nostro figlio sin da piccolo a percepire se stesso, a esprimere ciò che prova, a dire anche di no, assieme al corpo avvertirà anche i propri bisogni e imparerà a rispettarli, evitando di perdersi nell’altro e quindi poi esplodere, implodere o fuggire. Le emozioni rappresentano importanti sensori della nostra situazione sociale e psicologica e se si arriva a situazioni difficili è perché sono state troppo a lungo ignorate. Insegnate ai vostri bambini altamente sensibili a non ignorare mai le emozioni.

9. Regole

La gestione delle regole in famiglia è un argomento tra i più sottili, difficoltosi e importanti su cui lavorare. I bambini hanno bisogno di regole, come dicevamo, per sentire il confine, l’argine, per rendersi conto di ciò che è buono fare e perché, e cosa è meglio evitare e perché. I bambini non hanno bisogno invece delle regole che rischiamo di dargli per le nostre preferenze, per la nostra pigrizia o stanchezza, per le nostre paure. Per essere efficaci le regole devono essere realistiche, comprensibili, chiare, univoche, costanti, coerenti, ed espresse in forma lucida, concreta e calma. Il bambino ipersensibile è in realtà “più grande” della sua età cronologica, e in particolare ha un forte spirito d’osservazione, una gran memoria e una spiccata capacità associativa; i genitori spesso mi riportano anche una grande precisione e rigidità, per cui noterà all’istante, e vi farà notare, se non avete mantenuto qualcosa che avevate detto, o se farete altrimenti da come dite, e la vostra autorevolezza ai loro occhi dipenderà molto dalla vostra coerenza.


Un altro aspetto importante, soprattutto nell’ipersensibilità, è la tempistica: le regole vanno definite in momenti di calma, e vanno ripetute più volte in svariate occasioni in cui possano essere vissute nelle situazioni concrete. Vanno spiegate e discusse in anticipo rispetto alle situazioni, in modo che sia chiaro al bambino come dovrà comportarsi e quali saranno le conseguenze se dovesse venirne meno, ma soprattutto il perché è importante che le segua. Per essere più chiari: se la regola è una preferenza personale del genitore – ad esempio sui vestiti – è ovvio che il bambino non sarà così portato a rispettarla, perché più che una regola è un’imposizione personale che gli toglie il diritto di scegliere in base alla sua personalità. Se invece la regola riguarda la sicurezza in automobile – ad esempio rispetto al seggiolino e alle cinture e si spiega adeguatamente quali sono i rischi – per lui avrà un senso molto diverso. I bambini sentono questa differenza, e le regole che non rispettano sono molto spesso quelle che seguono più che altro preferenze, pigrizie o paure del genitore. Devono avere un senso per loro, non le accetteranno se gliele imponete come una vostra richiesta soggettiva. “Lo sai che a me non piace quella maglia”; questa non è una regola, è un’opinione.


Anna Bassi Sabatelli ha scritto un libro molto semplice ed efficace, che suggerisco sempre ai genitori che vengono da me in consulenza; è intitolato I bambini hanno bisogno di regole – Per crescere sicuri di sé e capaci di rispettare gli altri, in cui l’autrice scrive: “Le regole proteggono i bambini da eventuali pericoli, ma soprattutto offrono le coordinate per orientarsi in un mondo che per loro è ancora sconosciuto. E ciò che è ignoto, per la sua imprevedibilità, genera paura. Poter disporre di un sistema chiaro di valori, regole e limiti, dà sicurezza e fiducia e alimenta la confortante sensazione di esercitare un controllo sulle cose. È per questo che i nostri figli hanno bisogno di regole ferme, grazie alle quali imparano a governare la loro vita delle loro azioni. Ma quali regole sono davvero ragionevoli e necessarie? Perché alcuni bambini faticano tanto ad accettarle? E come convincerli a collaborare senza scatenare continue battaglie per tutti?”


Ho molto apprezzato che il titolo della prima parte del libro fosse in realtà “Anche i genitori hanno bisogno di regole”: perché noi stessi siamo l’esempio, e se diciamo parolacce non possiamo pretendere che loro non le dicano, se urliamo non possiamo pretendere che non urlino, se li malmeniamo non possiamo meravigliarci se diventano aggressivi e maneschi. L’implicito “Ma io sono l’adulto e lui il bambino, quindi io posso, lui no” rischia di diventare una perfetta via per un disastro assicurato, fondato su una controproducente differenza di potere più che di esperienza e autorevolezza.


I bambini altamente sensibili hanno particolare bisogno di sentirsi coinvolti nella formazione delle regole, di poter discutere eventuali compromessi e sapere con chiarezza in anticipo cosa accadrà e perché, hanno bisogno che rispettiate sempre ciò che promettete, ad esempio orari e tempistiche, perché tenderanno ad essere più precisi di voi con l’orologio. Risulterà molto controproducente invece imporgli la vostra volontà, utilizzare ricatti e rinfacciamenti, cambiare le regole in base ai vostri stati d’animo. Sono i vostri bambini ma anche delle persone, cercate di considerare come reagireste voi se qualcuno vi imponesse le cose o fosse incoerente.


In ambito scolastico la situazione è resa complicata dal fatto che gli ipersensibili a volte vivono come in un mondo parallelo rispetto ai coetanei e spesso arrivano a sentirsi molto “diversi”. Non solo percepiscono la realtà in maniera diversa dagli altri, ma pensano anche in modo differente, costretti a collegare più informazioni tra loro e quindi ad un maggior lavoro mentale. In genere un bambino è lasciato solo con il suo modo di pensare, e il rischio nella tendenza all’omologazione è che si sforzi di adottare il modo di pensare di chi ha di fronte. Pensare in modo diverso dalla maggior parte dei compagni di scuola può far soffrire, e difatti molti scolari ipersensibili vorrebbero tanto essere e pensare come tutti gli altri e questo si può ripercuotere anche sulle lezioni scolastiche. Uno scolaro ipersensibile può avere maggiori difficoltà a seguire sincronicamente il piano di studi, può interessarsi ad approfondire aspetti particolari degli argomenti o ignorarne altri, percepisce con maggiore intensità e partecipazione interiore per cui l’atmosfera emotiva che lo circonda giocherà sovente un ruolo molto importante nell’apprendimento e nella sua difficoltà a stare nelle regole standard.

In conclusione

Per aiutare e sostenere vostro figlio o vostra figlia altamente sensibile nel vivere al meglio questa sua importante caratteristica è fondamentale che in generale lo aiutiate a preservare alcuni suoi diritti fondamentali:

  • Il diritto di essere accettato, accolto e compreso nella sua particolarità.
  • Il diritto di essere ascoltato profondamente e sentirsi in connessione con voi.
  • Il diritto di essere creduto dal suo punto di vista, anche nei suoi malesseri.
  • Il diritto di regolare le sue sfide e la sua socialità senza superare i propri limiti.
  • Il diritto al compromesso nelle regole e nelle discussioni, per sentirsi partecipe.
  • Il diritto di provare ed esprimere le sue emozioni per quelle che sono, anche se ci preoccupano.
  • Il diritto al contatto fisico, al contatto con la natura e con gli animali.
  • Il diritto di essere stanco, di ritirarsi, di sospendere, anche rispetto a scuola e compiti.
  • Il diritto di sbagliare, mollare, riprendere.
  • Il diritto di dire NO.
  • Il diritto di sostenere le proprie idee e avere la possibilità che vengano considerate.
  • Il diritto di sentirsi protetto dalla vostra sicurezza, coerenza e consapevolezza.

Il tesoro dei bambini sensibili
Il tesoro dei bambini sensibili
Elena Lupo
Conoscerlo, gestirlo, valorizzarlo.Un libro per aiutare genitori e operatori a riconoscere l’ipersensibilità nei bambini e a valorizzarla nel modo migliore. Le persone altamente sensibili sono quel 20% della popolazione che vive “diversamente” ciò che le circonda, in modo più profondo, emotivo, empatico.Gli studi su questo tratto del carattere sono piuttosto recenti e chiariscono dinamiche interpersonali spesso vissute male o con imbarazzo. Il libro Il tesoro dei bambini sensibili della psicologa e psicoterapeuta Elena Lupo si rivolge primariamente a genitori e operatori. Ha un taglio teorico e pratico insieme, per riconoscere l’ipersensibilità nei bambini e valorizzarla nel modo migliore. Conosci l’autore Elena Lupo è psicologa e psicoterapeuta a indirizzo Biosistemico.Persona Altamente Sensibile, nel 2014 ha fondato un progetto di diffusione su territorio nazionale delle conoscenze relative agli studi della dott.ssa Elaine Aron, con l’obiettivo di aiutare le Persone Altamente Sensibili (PAS) a comprendersi e accettarsi.È la prima psicoterapeuta italiana inserita nella lista internazionale “Licensed Therapist HSP- Knowledgeable”.