CAPITOLO V

La ferita emotiva

I chirurghi richiudono, strato dopo strato, la ferita del cesareo sull’utero, sul ventre, sulla pelle. Punti o graffe e una medicazione che ricopre la ferita. La cicatrice ci impiegherà poco a formarsi, qualche giorno appena. I medici o le infermiere spiegheranno dettagliatamente alla madre come curare la ferita e probabilmente, quando lascerà l’ospedale, le avranno già tolto i punti. Una sottile linea rosa è solitamente ciò che rimane dell’intervento.


Tuttavia, il cesareo lascia spesso un’altra ferita molto più difficile da sanare e che nessun chirurgo può ricucire. La ferita emotiva si forma non appena la donna entra in sala operatoria per l’intervento e può rimanere aperta per molti anni se non per tutta la vita. In alcuni casi si può trattare di una ferita minima, appena un graffio; altre volte può essere talmente dolorosa da ostacolare seriamente il benessere affettivo della madre se non di tutta la sua famiglia.


È una ferita mutevole e silenziosa, che può passare inosservata per molto tempo e che, come tutte, può riaprirsi e sanguinare di nuovo inaspettatamente. È, soprattutto, una ferita difficile da curare poiché raramente se ne scopre l’esistenza. Nella maggior parte dei trattati di ostetricia vengono indicate tutte le complicazioni e ripercussioni del cesareo, ma di prassi si omettono i risvolti psicologici o affettivi. Nemmeno gli specialisti, quando spiegano alla donna i rischi dell’intervento, menzionano di solito questo aspetto.


Il maggior ostacolo per la guarigione della ferita emotiva è proprio il silenzio che la circonda, la minimizzazione se non addirittura la negazione della sua esistenza. Alcune madri riescono a esprimere il loro sentimento riguardo al cesareo nelle prime settimane, ed è frequente che trovino come risposta il tipico “Di cosa ti lamenti se hai avuto un bambino sano?” o perfino un “I bambini nati col cesareo soffrono meno e nascono più belli”. Ma la verità è che la maggior parte delle madri non riesce nemmeno ad esternare il dolore emotivo che ha causato loro il cesareo, sia perché si sentono colpevoli di stare male (“Dovrei essere felice per mia figlia”) oppure perché non riescono a identificare l’origine del loro malessere (“Sapevo di amare mio figlio, ma allo stesso tempo sentivo che non mi interessava”). La ferita emotiva può manifestarsi con diversa intensità nel tempo. Molte madri cominciano a riconoscere il dolore causato dal precedente cesareo quando, anni dopo, prendono in esame la possibilità di affrontare una nuova gravidanza.

Perché chiamarla ferita emotiva?

Chiamiamo ferita emotiva l’impatto psicologico che il cesareo ha su una donna. Dal momento in cui le si pratica un taglio nell’addome e nell’utero per far nascere suo figlio, vale a dire quando nascere implica un’alterazione così importante dell’integrità fisica della donna, sappiamo che vi sarà un impatto psicologico. Ciò non significa assolutamente che il cesareo danneggi tutte le donne allo stesso modo, nulla di più lontano dalla realtà. Infatti uno stesso intervento può essere vissuto in modi diversi se non addirittura opposti. Se in alcuni casi il cesareo si trasforma in un’esperienza appagante, è il caso di parlare di ferita emotiva? Riteniamo di sì, la ferita emotiva sarà sempre presente. Solo che a volte l’assimilazione è relativamente semplice. Anche quando il cesareo è assolutamente necessario ed effettuato con rispetto, resta comunque un intervento chirurgico al momento del parto, un sacrificio dell’integrità della madre, che accetta di venire operata per non mettere a rischio la vita di suo figlio, nella maggior parte delle occasioni, o la propria in rari casi. Il cesareo rappresenta una rinuncia e una perdita di molti aspetti relativi all’immagine che abbiamo di noi come madri. La ferita emotiva sarà quindi molto simile ad un lutto, all’elaborazione della perdita non solo del parto sognato ma, in molte occasioni, anche del primo abbraccio, delle prime ore o addirittura dei primi giorni di vita del bambino, della salute nel post-parto, di un utero intatto, di essere considerata una donna normale o sana nelle gravidanze successive…

Quali fattori influiscono sulla ferita emotiva?

Per alcune donne questo intervento non implica alcun trauma apparente e lo descrivono addirittura come “meraviglioso”. Altre donne invece si sentono tristi dal momento stesso in cui viene detto loro che verranno sottoposte a un cesareo e si sentono male per mesi se non per anni. Perché sono così variabili le reazioni di fronte a uno stesso evento? Vi sono una serie di fattori che possono far inclinare l’ago della bilancia in un senso o nell’altro.


In primo luogo i fattori ostetrici, vale a dire i motivi che hanno portato alla decisione di praticare il cesareo e come si è svolto l’intervento. Se il tuo è stato un cesareo d’urgenza e motivato da una situazione di sofferenza fetale, è più probabile che tu abbia difficoltà nel post-parto1. Avrai bisogno di tempo per poter interiorizzare quanto hai vissuto e integrare l’esperienza. Ma può anche darsi che, se ti è stato praticato un cesareo dopo un lungo e doloroso travaglio, ti sia sembrato un enorme sollievo. Se viene somministrata un’anestesia generale, il malessere psichico è solitamente maggiore rispetto a quando è possibile, invece, veder nascere il proprio bambino grazie all’epidurale. Molte donne si sono svegliate sole, in una sala di rianimazione, senza nessuno che dicesse loro come erano andate le cose e come e dove si trovasse il loro bambino. Così racconta una madre: “È triste svegliarsi sola, percepire il proprio ventre cucito e vuoto e non sapere dov’è tuo figlio…”.


Ci sono madri che hanno subìto un cesareo con un’anestesia non adeguata o senza che questa avesse fatto loro effetto, e lo ricordano come un’esperienza terrificante.

La situazione di urgenza vitale, temere per la propria vita o per quella del proprio bambino, può scatenare una vera sindrome da stress post-traumatico, una reazione psicologica che inizialmente era stata osservata solo su persone vittime di guerre o di situazioni molto violente. Oggi si sa che potrebbe manifestarsi anche dopo situazioni stressanti legate al parto2. La comparsa della sindrome implica una ri-esperienza, vale a dire che si rivivono mentalmente i momenti di nervosismo come se si trattasse di un film, e qualsiasi piccolo evento che ricorda il parto (come passare davanti all’ospedale o vedere una donna incinta) dà luogo ad una reazione di ansia (con sensazione di soffocamento, tachicardia, sudorazione e nausea…). Pare che, se si è trattato di un cesareo urgente, aumenti il rischio di soffrire di stress post-traumatico3.


Al contrario, i cesarei programmati possono consentire alla donna di prepararsi meglio psicologicamente all’intervento e di sentire, arrivato il momento, di avere un certo controllo della situazione. Tuttavia, questo aspetto da solo non può giustificare la programmazione del cesareo senza che vi sia stato prima un travaglio, poiché è quasi sempre possibile aspettare che inizi il parto in modo spontaneo e poi effettuare l’intervento. In questo modo la donna ha potuto farsene una ragione e può evitare molti dei rischi associati ai cesarei programmati.


La qualità delle cure ricevute è un aspetto cruciale nel recupero dopo un cesareo4. Il parto, anche se mediante cesareo, è un momento molto intimo, ed è necessario che i sanitari lo rispettino sempre. Se ti sei sentita rispettata e partecipe della decisione, se sei stata bene informata circa le opzioni e, soprattutto, se hai avuto la sensazione di mantenere un certo controllo durante la nascita del tuo bambino, è più probabile che ti riprenderai bene psicologicamente dopo il cesareo. Al contrario, se ti hanno maltrattata verbalmente, se non sei stata seguita emotivamente e se l’indicazione del cesareo è stata dubbiosa o chiaramente arbitraria, il malessere psicologico potrebbe essere evidente o crescente con il passare del tempo. Sfortunatamente le situazioni di violenza psicologica nel parto non sono affatto eccezionali e l’effetto che producono sulla donna si protrae per molto tempo5. Come se non bastasse, da un punto di vista sociale non c’è ancora una consapevolezza chiara del fatto che il maltrattamento delle partorienti sia una manifestazione particolarmente grave di violenza contro la donna, poiché accade in un momento in cui si è molto vulnerabili.


Dopo avermi somministrato l’anestesia spinale, mi hanno lasciata completamente nuda sul tavolo operatorio, mi sentivo come una bestiola intrappolata dai cacciatori, contai almeno dieci persone che entravano e uscivano o stavano nei locali attigui separati da vetri. Che mancanza di umanità!
A.M.

Essere esposta, sentire commenti dispregiativi sul proprio corpo, chiedere che qualcuno ti dia una mano e che non vi sia una risposta o essere trattate come bambine capricciose per aver tentato un parto vaginale dopo un cesareo non sono, purtroppo, esperienze isolate. Alcune donne si sono sentite molto maltrattate e addirittura punite per aver preteso di mantenere un certo controllo durante il parto:


Mi dissero che non potevo fare la saputella, che loro sapevano quello che stavano facendo, che io ero un’irresponsabile: il tutto per aver nominato le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.


Per altre madri il cesareo si è svolto in un contesto di massimo rispetto, il che ha facilitato enormemente il recupero emotivo. Andrea è riuscita ad avere un cesareo rispettoso con il suo secondo figlio in un ospedale britannico. La qualità del trattamento ricevuto è evidente nella sua testimonianza.


Per tutto il tempo in cui sono stata in ospedale non è mai stato fatto nulla senza il mio consenso. Per il cesareo la ginecologa parlò con me di tutto quello che sarebbe successo. Mi chiesero quasi scusa perché dovevano radermi per poter fare il taglio in corrispondenza della cicatrice precedente (pensai che mi avrebbero rasata tutta e invece no, rasarono solo il necessario e niente più). Un’ostetrica mi diede sostegno durante tutta la preparazione. Mio marito entrò con me e un’altra ostetrica rimase fuori con Gabriel. Non appena tirarono fuori il bambino, lo misero accanto al tavolo operatorio; l’unica cosa che fece il pediatra (con mio marito accanto) fu verificare che respirasse e pulire un po’ il naso all’esterno (nessuna aspirazione, nessun tubo, nessuna pulizia né iniezione). Mio marito tagliò il cordone. E mi misero subito Daniel sul petto (non mi hanno mai legata) e lì rimase fino a che finirono di richiudermi. Poi mi portarono venti minuti in sala di risveglio e il bambino rimase in braccio a mio marito in camera. Fu lì che lo pesarono (non lo misurarono nemmeno, due giorni dopo venne il pediatra a visitarlo). Non mi addormentarono come la volta precedente, mi diedero immediatamente il bambino e rimanemmo insieme tutto il tempo. Io stessa lo cambiai e lo vestii (dopo che era rimasto alcune ore nudo sul mio petto a sua volta nudo). Anche se comunque non intendevo farlo, loro stessi si raccomandarono di non fare il bagno al bambino, poiché questo lo avrebbe reso più indifeso verso i germi esterni. Nessuno mai si propose di portarlo via, di cambiargli posto o di allontanarlo da me.
Andrea Anguera

La reazione psicologica è notevolmente influenzata dalle aspettative che avevi del parto come pure dalla tua visione della nascita, dal rapporto con il tuo stesso corpo o addirittura dalla tua esperienza di sessualità. Quanta più distanza c’è fra l’esperienza vissuta e quella che ti aspettavi, maggiore sarà la percezione di perdita e la reazione di lutto. È per questo che molte donne sono contente del loro cesareo se lo confrontano con i parti vaginali di altre amiche o donne della propria famiglia che hanno subìto il maltrattamento o la violenza in ospedale e che hanno avuto come ricordo un’enorme episiotomia. Non conoscere l’esperienza di donne che hanno avuto parti naturali senza interventi e che hanno potuto vivere il parto rispettando i propri tempi, con gioia e trasporto, fa sì che non possano immaginare cosa si siano perse o cosa sia stato rubato loro.


Molte donne sono cresciute con una visione negativa del loro corpo, hanno appreso che la cellulite è una malattia, che il ciclo mestruale è sempre doloroso, che se non controllano il loro corpo ingrasseranno e verranno rifiutate… La sensazione di potere e di energia che altre donne provano durante un parto naturale è possibile che appaia loro come qualcosa di irraggiungibile o inimmaginabile. La semplice idea di partorire nude e senza inibizioni può apparire loro sgradevole o inopportuna: una reazione logica dopo tanti anni trascorsi ad alzare barriere contro il loro stesso corpo. Il parto in sala operatoria può essere vissuto come qualcosa di più evoluto, controllato o sicuro. E, giustamente, è solo quando vengono a conoscenza o ascoltano la storia di una donna che ha vissuto un parto gioioso che cominciano a mettere in dubbio la versione ufficiale del loro parto e a capire che avrebbe potuto essere simile e invece questo è stato loro impedito.


Gli aspetti socioculturali possono favorire la soddisfazione di una madre riguardo la procedura, come solitamente accade nei circoli sociali nei quali il cesareo viene percepito come un privilegio delle classi elevate (fenomeno descritto in alcune società sudamericane)6. Per contro, possono anche incrementare l’isolamento e la sofferenza interiore, poiché se l’ambiente circostante non consente di esprimere la delusione della madre riguardo alla nascita del suo bambino, si fomenta la repressione del lutto, la non identificazione del malessere e, pertanto, il suo mancato superamento. Se alcune delle donne più famose partoriscono con un cesareo programmato e raccontano che “tutto è stato perfetto, mi sono ripresa meravigliosamente”, come possono permettersi molte donne di dire che per loro il recupero è stato difficile o doloroso? Come esternare la propria delusione?

La ferita che non cessa

Non c’è da meravigliarsi se molte donne si sorprendono delle difficoltà che trovano nel “superare” il proprio cesareo. In ospedale, tutti quanti si complimentano per la nascita del loro splendido bambino, e dicono loro addirittura che “i bambini nati con un cesareo nascono più belli” o che “sono bambini che soffrono meno”. Proprio quando dovrebbero esser più felici, queste donne percepiscono una dissonanza, una contraddizione, a volte addirittura un abisso fra la felicità che immaginavano di provare come madri e quello che sentono in realtà. Di certo non si tratta di una contraddizione che sentono esclusivamente le madri che hanno subìto un cesareo. In realtà la maternità in sé genera molti sentimenti ambivalenti, di solitudine e tristezza; tuttavia il recupero emotivo da un cesareo ha delle caratteristiche proprie e diverse.


Il cesareo può essere vissuto in mille modi, con tristezza o con rassegnazione, con gratitudine, con emozione. Le reazioni sono complesse e vengono influenzate da vari fattori. In ogni caso, l’esperienza di questo intervento è un processo che muta nel tempo e che varia in funzione del sostegno emotivo che la donna percepisce intorno a sé, dalla durata dell’allattamento e dallo stato di salute del suo bambino.

Nessuna reazione psicologica va considerata buona o cattiva. I sentimenti di una donna che accetta il proprio cesareo senza alcun malessere psicologico sono validi al pari di quelli di una donna che accusa una forte depressione. In questo capitolo cercheremo di dare senso e voce alla sofferenza di molte donne che hanno sofferto dopo un cesareo. Riteniamo che siano queste donne ad avere bisogno di supporto. Magari il tuo cesareo è stato necessario e assolutamente rispettoso, hai potuto avvalerti di un sostegno familiare e sociale, e il tuo recupero non è stato problematico. Magari fosse questa la situazione di tutte le madri che hanno vissuto questa esperienza7! Ciononostante, le testimonianze che abbiamo raccolto, ci confermano che per molte madri il cesareo è stato più difficile da accettare di quanto si aspettassero.


“Perché soffro tanto? È normale che mesi dopo il parto io sia ancora così ossessionata e continui a rivivere il mio cesareo? Perché non posso dimenticarlo se, in definitiva, mia figlia è bellissima e tutto va bene?” Sono domande che si pongono le madri che, mesi dopo un cesareo, continuano a essere, in un certo senso, tormentate dal parto.


La risposta non è semplice, ma per comprendere perché il cesareo resta così impresso, è bene ricordare tutto quello che accade al momento del parto da un punto di vista ormonale. L’ossitocina, conosciuta comunemente come “l’ormone dell’amore”, non solo fa sì che l’utero si contragga durante il travaglio, ma agisce nel cervello della madre preparandola appositamente per il primo incontro con suo figlio. Quando, dopo il travaglio di un parto naturale, il piccolo esce, il suo cervello è saturo di ossitocina ed endorfine, come quello di sua madre. Si verifica quindi quello che gli scienziati chiamano imprinting e che equivale ad una sorta di colpo di fulmine o di sigillo del legame più forte di noi esseri umani. Subito dopo la nascita, madre e figlio si guardano negli occhi, stupefatti, si scoprono poco a poco, si contemplano a lungo. Tutto ciò che accade in questi momenti rimarrà scolpito nel cervello di entrambi per molto tempo, impresso per sempre; è l’inizio del legame. Una splendida prova di tutto ciò è che se chiediamo a una donna anziana come sono stati i suoi parti, li ricorda nei dettagli, nonostante abbia perso il ricordo di altri eventi molto importanti della sua vita.


Altri ormoni come le endorfine e la prolattina raggiungono a loro volta livelli massimi. Le endorfine fanno sì che in quel momento la madre non senta più i dolori del parto e che, al contrario, si ritrovi assisa su di una nuvola di appagamento, una sensazione di piacere che da un certo lato crea dipendenza: così la madre finisce per “assuefarsi” alle proprie creature. La prolattina risveglia gli istinti materni e rende sensibili alle necessità del proprio cucciolo, facendo sì che la madre se lo appoggi sul petto quasi senza pensarci.


Che accade quindi se, nel momento in cui il cervello è pronto a memorizzare i particolari del bambino, la madre si ritrova in una sala operatoria in preda alla paura? Ciò che rimane impresso saranno quelle immagini e quelle sensazioni. Per questo il parto può far scatenare una sindrome da stress post-traumatico (PTSD). Proprio come in un film del terrore, alcune donne rivivono continuamente la nascita traumatica nei mesi che seguono il parto. Invece di ricordare un momento di amore, ricordano i commenti dei sanitari e la loro sensazione di impotenza, di voler scappare di corsa, di paura di morire o che il bambino muoia. Quanto è triste cominciare così la maternità!

La psicologa Cheryl Beck ha analizzato i racconti di donne che accusavano una sindrome da stress post-traumatico relativa al parto8. Ha riscontrato che le madri che ne soffrono:

  1. Ricordano e rivivono continuamente il parto tramite flash-backs e incubi per settimane o mesi.
  2. Si sentono distaccate o lontane dal loro bambino e dissociate dalla realtà, come se non fossero lì o come se non si sentissero le stesse di prima.
  3. Il trauma ancora vivo fa sì che sentano il bisogno di ascoltare e parlare continuamente di quanto è successo e che cerchino informazioni mediche sul loro parto in modo ossessivo (ossessione e monotematicità).
  4. Si sentono arrabbiate con i medici, con il loro familiari e con loro stesse. Presentano sintomi di ansia e depressione. La PTSD rende difficili anche i rapporti fra le madri e il personale sanitario.
  5. La loro esperienza di maternità viene compromessa. Spesso si sentono lontane dai propri bambini. Creano molti impedimenti al momento di mettersi in relazione con le altre madri e non possono evitare di confrontare il loro parto con quello delle altre. La sindrome può causare un rifiuto verso la sessualità e verso la possibilità di avere altri figli o può far sì che la madre chieda un cesareo programmato nella successiva gravidanza.

Se il cesareo è programmato e ha luogo senza un precedente travaglio, questa sensazione di distacco può essere ancora più intensa. In altri casi, quello che la madre sente è il vuoto, proprio per non aver potuto trascorrere quelle prime ore con suo figlio. Come raccontava una madre:


Io ho subìto un cesareo già deciso in anticipo, accettato e atteso. Per me la cosa peggiore, inaspettata, fu non sentire nulla per mia figlia, non riconoscerla come figlia, non provare alcun istinto per via del dolore che stavo provando, di tutte quelle flebo, di tutto quanto… È stato più potente il mio istinto di sopravvivenza come malata del mio istinto di madre.
Ana B.G.

Non essendosi prodotto il parto, nemmeno gli ormoni hanno potuto svolgere il loro compito, non vi è alcuna transizione: si passa dall’essere incinta al ritrovarsi in una sala di risveglio con la pancia cucita…


Alcune madri vivono un vero e proprio shock psicologico nei giorni successivi all’intervento. Esternamente appaiono normali, si occupano del loro bambino e ricevono le visite con naturalezza. Tuttavia, il processo è solitamente interiore e fanno fatica a credere che la gravidanza sia finita ma che tuttavia non ci sia stato un parto.


Non è quasi mai necessario separare la madre dal bambino subito dopo la nascita. Nonostante ciò, la maggior parte delle madri, dopo un cesareo, ha atteso ore se non giorni interi prima di poter conoscere il proprio figlio, nonostante lo chiedesse con insistenza. Questo alimenta in molte madri sentimenti di rabbia e tristezza, la sensazione di aver perduto ore preziose e assai speciali della vita del proprio bambino e che nessuno potrà mai restituire loro. Come ci racconta Caro, una madre argentina:


La cosa peggiore del cesareo è che io sognavo di dare a mio figlio il suo primo bacio, il suo benvenuto, e invece sono stata l’ultima della famiglia a baciarlo (dopo i cugini, gli zii e i nonni). Ancora oggi provo gelosia solo al pensiero. Non me lo fecero vedere quando nacque e lo vidi per la prima volta quando già era pulito e vestito. Sono due cose che non potrò mai più cambiare, per quanto io lo desideri e siano quelle che più mi angosciano.

L’impotenza è logica e comprensibile, pur avendo avuto un bambino sano, non si può negare che vi siano state una o più perdite.

La perdita del parto sognato

La sensazione più diffusa fra le madri che hanno subìto un cesareo è quella della perdita, vale a dire il lutto per non aver potuto vivere il parto sognato9. Si può esprimere in termini di delusione: “Non avrei mai immaginato di non poter partorire mia figlia”, o di tristezza profonda per non essere state presenti alla nascita:


Mi sono sempre immaginata mentre partorivo, piangevo emozionata mentre abbracciavo mio figlio tutto umido e appena nato. Quando penso a mio figlio in braccio a sconosciuti subito dopo essere nato, mentre io ero semi addormentata dall’anestesia, provo un grande dispiacere.

Sono anche frequenti i dubbi sul fatto che il bambino sia effettivamente il proprio figlio. Alcune donne hanno incubi nei quali scoprono che il bambino che hanno avuto non è realmente figlio loro, altre lo esprimono apertamente: “Sento che non l’ho partorita io, che non è davvero mia, razionalmente so che è mia figlia, ma è come se il mio corpo non la riconoscesse”. Un’altra madre racconta: “Per settimane ho provato una paura irrazionale che potesse bussare alla porta una donna che rivolesse indietro mio figlio dicendo che era stata lei a partorirlo”.


Il rapporto madre-figlio può essere difficile, soprattutto nei primi giorni. C’è chi sente immediatamente un forte legame con il proprio bambino nonostante il cesareo: “Vedere mia figlia, finalmente, così bella, mi faceva sentire che in fondo ne era valsa la pena, sentivo che l’amavo e che sarei stata capace di tutto per lei”. Altre, tuttavia, confessano: “Non ero nemmeno contenta di tenerla con me, dopo tanti mesi trascorsi sognando di vederla era finalmente lì e non provavo nulla, era come se tutto ciò non stesse accadendo in realtà”. Tutte le reazioni sono possibili, e le difficoltà nel vincolo iniziale non significano che una donna sia una madre peggiore né che ami di meno suo figlio.


A volte il sentimento è di estraneità:


Quando vidi mio figlio pensai solo che era bellissimo, perfetto, ma avevo paura di toccarlo perché non sentivo il bisogno di farlo. Gli diedi un bacio quando me lo avvicinò mio marito, ma c’era tanta gente che guardava in quel momento… E cosa avrei dovuto fare io? Non ero emozionata, non provavo nessun sentimento indescrivibile, mi sentivo solamente sola e dolorante e credevo che il bambino non avesse bisogno di me. Il senso di colpa per tutto questo è ancora molto forte.
Ainara

A questo di solito si aggiungono i problemi di identità come madre se non addirittura come donna: “Non so che razza di madre sono; non sono nemmeno stata capace di partorire i miei due figli”. Alcune madri si colpevolizzano in modo ossessivo del proprio cesareo: “Penso che la colpa sia stata mia per non aver sopportato il dolore e avere chiesto l’anestesia”. Tutto questo anche se nessuno ha dato loro la colpa! È anche frequente credere di avere deluso il proprio compagno: “Mi sento come se avessi tradito mio marito, il mio corpo ha fallito in un momento cruciale”. Noi donne possediamo la capacità innata di sentirci in colpa, purtroppo…

Alcune donne riferiscono di sentirsi violentate o mutilate10. L’atteggiamento verso la cicatrice è solitamente il riflesso di queste emozioni. Ci sono madri che confessano di non riuscire a guardare la cicatrice ed evitano di farlo anche in bagno: “la mia cicatrice è un ricordo permanente di quello che è successo” o, come racconta un’altra madre: “Ho coperto la parte inferiore dello specchio con della carta per non dovermi vedere la cicatrice ogni volta che faccio la doccia”. Alcune donne ci impiegano anni prima di poter accarezzare la propria cicatrice o permettere che qualcuno la guardi. Per loro, essere rimaste nude e sole in una sala operatoria ed essere state visitate davanti a molte persone rappresenta un’esperienza molto traumatica e della quale è per loro molto difficile parlare con franchezza, soprattutto quando non è facile che le persone care lo percepiscano come un abuso o una violazione della sessualità.


Anche la rabbia o il rancore verso i medici è piuttosto comune, soprattutto se la donna percepisce l’intervento come una misura inutile: “Mi sento ingannata, furiosa, piena di rabbia, quello che doveva essere il più bel giorno della mia vita è stato uno dei peggiori”; “difficilmente potrò fidarmi ancora dei medici”. Questa reazione si verifica anche quando la madre subisce un maltrattamento psicologico da parte del personale sanitario. Di fatto, si tratta di una situazione frequente, purtroppo, in molti parti e in molti cesarei perché alcuni specialisti non tengono conto di quanto sia vulnerabile la donna in quel momento. E benché anche il personale sanitario sia spesso vittima di stress da lavoro o si senta a sua volta esaurito, questo non dovrebbe mai giustificare che si tratti una partoriente con freddezza o ironia.


La depressione post-parto è la malattia materna che più frequentemente colpisce le madri dopo il parto; si calcola che ne soffra il 15 per cento circa delle madri e si sa che il cesareo aumenta il rischio che si manifesti. Quando una madre soffre di una depressione dopo un cesareo possono venirle molti dei pensieri qui riferiti. A questo si aggiungono sintomi fisici come l’insonnia (non poter dormire nemmeno quando il bambino riposa), la perdita di appetito, la sensazione di stanchezza e un certo blocco o rallentamento mentale. Le madri che soffrono di una depressione post-parto sono costantemente preoccupate per salute del bambino o perché si sentono incapaci di rimanere sole con il neonato. Possono non avere un solo momento di piacere o di sollievo in tutto il giorno. In questi casi è fondamentale cercare un aiuto medico e psicologico urgente: la depressione è una vera malattia che può provocare un’enorme sofferenza. Il medico di famiglia avrà l’incarico di diagnosticarla e di escludere che vi sia un’anemia o un problema tiroideo (che può essere la causa della depressione). Con l’adeguato trattamento (sostegno familiare, aiuto domestico, psicoterapia, esercizio fisico e, nei casi più gravi, farmaci11) nella maggior parte dei casi si può curare. È possibile continuare ad allattare anche se è necessario seguire un trattamento con antidepressivi o ansiolitici poiché la maggior parte dei farmaci non arriva nemmeno al latte materno.

È stato necessario?

Molte donne che all’inizio si sentono soddisfatte del proprio cesareo, cambiano a poco a poco opinione con il passare del tempo. Trascorsi i primi mesi, cominciano a porsi delle domande. Magari proprio quando una sorella o un’amica partoriscono naturalmente, cominciano a chiedersi: “Perché io non ne sono stata capace?”. Oppure, è forse il confronto di alcuni dettagli – come venire a sapere che ad un’altra madre è stato consentito di attendere la dilatazione camminando mentre lei è dovuta rimanere sdraiata – che inizia ad instillare il dubbio. Una volta che il sospetto si instaura, aumenta il malessere. Farsi la domanda “Il mio cesareo è stato veramente necessario? Era davvero l’unica opzione?” è solitamente uno dei momenti più dolorosi nel recupero dall’intervento. La possibilità che forse tutto era perfettamente evitabile, provoca una grande sofferenza.


Fintanto che si pensa che tutto è accaduto per il proprio bene, almeno si può dare un senso alla perdita, ma nel momento in cui si comincia a immaginare che forse il cesareo è stato fatto per colpa di una cattiva gestione del parto se non addirittura per una maggiore comodità medica, il dolore e la rabbia possono essere tremendi. Alcune donne affermano: “Anche se dentro di me io lo sapevo, ci ho messo anni prima di riuscire a farmi questa domanda a voce alta”. A volte la risposta alla domanda “è stato necessario?” assume delle sfumature più profonde.


Oggi credo che abbiano fatto davvero la cosa migliore per me, e che soffermarmi a pensare se avevo o meno la pressione alta, equivale a tenere in considerazione solo la millesima parte della storia e delegare ad altri spiegazioni che in nessun modo corrispondono a quanto è successo. Oggi so che io avevo bisogno che tutto questo accadesse. Che non ho saputo chiedere né vivere qualcosa di diverso e che questo in sé non è né un bene né un male. Semplicemente è. Ma oggi so che lavorerò giorno e notte affinché nessun’altra donna viva una cosa simile, oggi so che quello che ho vissuto si chiama abuso, e che tutto ciò si sarebbe potuto evitare, se quelli che avevano l’obbligo di assistermi e curarmi, lo avessero fatto invece di anteporre la comodità delle loro agende, o la pigrizia di non essersi aggiornarti professionalmente come avrebbero dovuto.
Maria Paula Cavanna

Azzardarsi a mettere in discussione la storia ufficiale dei nostri parti, cominciare a cercare informazioni e concedersi di provare rabbia non è solo doloroso. È anche l’inizio di un processo di liberazione dalle conseguenze inimmaginabili. Fortunatamente quando ci si pongono domande a voce alta, si possono trovare regali inaspettati lungo il percorso, soprattutto se in questa traversata del deserto si cerca la compagnia di altre donne che vivono circostanze simili.

La ferita della femminilità

Il parto è molto più della venuta al mondo di un figlio. È anche un momento cruciale per la femminilità di molte donne. Quasi sempre si dimentica un cosa fondamentale riguardo al parto: è un momento singolare, unico della nostra vita sessuale. In realtà, buona parte del malessere di molte madri nei confronti del proprio cesareo viene proprio da lì, perché intuiscono che è mancato qualcosa. Nella parte più profonda di se stesse si sentono derubate, ferite. Come può sapere cosa si è persa una donna che non ha mai avuto un orgasmo? E come è possibile che alcune – poche – donne riferiscano che nei loro parti vaginali hanno provato un piacere di intensità simile se non superiore a quella dell’orgasmo12?


Per molte madri parlare del proprio cesareo, esprimere la loro delusione, raccontare l’abuso a cui sono state sottoposte in occasione del parto, equivale ad iniziare a percorrere un cammino di riconciliazione con il proprio corpo e con la propria sessualità. Un cammino duro e a volte inaspettato, ma pieno di belle sorprese. Molte madri scoprono, lungo questo tragitto, l’incomparabile supporto di altre madri, amiche, sorelle. Il piacere di allattare consente a molte donne di conoscere sensazioni nuove del proprio corpo. Il dolore emotivo del cesareo fa riflettere sul tipo di madre che si vuole essere. Madri che sono rimaste separate ventiquattro o quarantotto ore dal loro bambino dopo la nascita, imparano a mettersi a confronto con i pediatri in modo molto più assertivo ed efficace. Donne che non si sono mai sentite soddisfatte del loro corpo, cominciano a riconciliarsi con esso, ad accettare con orgoglio le curve o i chili di troppo che la maternità ha lasciato loro. Alcune decidono di attivarsi, aiutare altre madri, cercare di cambiare le cose affinché le nostre figlie non debbano vivere la stessa esperienza, affinché il nostri bambini ereditino un mondo migliore.


Questo cammino di autoriconoscimento a volte infonde paura. Molte donne si trovano sole e sentono il desiderio di tornare indietro, di negare la propria sofferenza e si dicono: “Sono esagerata, sicuramente non è poi così grave”. Jeanine Parvati-Baker, terapeuta americana, ci spiega:


Quando una madre che è stata aperta comincia a sentire che il suo cesareo è stato un viaggio iniziatico e si concede di esplorare gli aspetti più profondi della guarigione, libera un’enorme quantità di energia psichica. Reprimere o negare il trauma richiede molta energia, ma una volta che l’esperienza si integra (vale a dire che si sente, si esprime e si libera) tutta l’energia che prima veniva utilizzata per difendersi, si libera verso un’azione creativa13.

E il padre?

Il cesareo compromette il rapporto di coppia. Nonostante il sollievo e la felicità di avere avuto un figlio sano, i padri solitamente provano un senso di incompetenza, di isolamento, tristezza, paura, stress, rabbia, preoccupazione, nervosismo, delusione e insuccesso per non avere svolto il ruolo che ci si aspettava da loro come sostegno attivo durante il parto14. Queste sensazioni si intensificano se il padre non è potuto rimanere accanto alla sua compagna mentre le praticavano il cesareo. In realtà, un semplice modo per ridurre al minimo la sofferenza emotiva dell’intervento è permettere la presenza del padre o di un altro accompagnatore scelto dalla madre durante l’operazione, pratica che è ormai consolidata in altri paesi europei.


Spesso il padre non può capire perché la sua compagna stia così male dopo avere avuto un bambino così bello. Juan, padre di un bambino di diciotto mesi, si esprime così:


Per più di un anno non ho potuto capire perché Maria fosse così ossessionata dal suo parto, perché continuava a cercare informazioni ovunque, perché piangeva o si indignava tanto quando parlava del suo cesareo, visto che il nostro bambino è bellissimo ed era felice e sano. Solo ora, dopo un anno e mezzo, comincio a capire che quello che ha passato deve essere stato davvero grave per farla stare male per così tanto tempo

Gli uomini sono a loro volta vittime della violenza con la quale vengono trattate le loro compagne durante il parto, anche se in modo diverso. È difficile per loro comprendere il malessere della madre riguardo al cesareo o l’indignazione che alcune di loro provano verso i medici che le hanno seguite. Solo grazie a un sincero dialogo di coppia, ascoltandosi reciprocamente su come ci si è sentiti senza giudicarsi a vicenda e senza contraddirsi, si potrà avanzare verso il superamento. Diversamente la ferita del cesareo può diventare una ferita insanabile nel rapporto di coppia.

Curare la ferita emotiva

Il cammino verso il recupero emotivo da un cesareo può sembrare complicato o difficile, ma accettare la validità dei propri sentimenti e utilizzarli come guida verso una guarigione rappresenta di solito il primo passo. Il processo è doloroso, tuttavia a lungo termine può produrre un’accettazione del trauma e un benessere inimmaginabile all’inizio.


Lascia che il tuo dolore ti guidi. Nella società in cui viviamo, la sofferenza tende a essere minimizzata. La prima regola, quando analizzi il tuo malessere o il tuo dolore, è considerarlo valido senza bisogno di fare confronti. Solo il tuo dolore ti può guidare. Devi rispettarlo, onorarlo, accettarlo, probabilmente ti accompagnerà fino a che non curerai le tue ferite. Il giorno in cui saranno guarite il dolore probabilmente ti abbandonerà o forse si trasformerà in un vecchio amico che ti ha permesso di imparare una straordinaria lezione.


Parlare di tutti i sentimenti riguardanti il cesareo (o parto traumatico) facilita la guarigione della ferita emotiva. È molto importante scegliere l’interlocutore giusto: è più facile che altre donne che hanno vissuto esperienze simili alla tua possano capirti e aiutarti. I gruppi di sostegno all’allattamento e all’allevamento naturale dei figli sono spazi molto accoglienti dove le madri possono raccontare il loro parto e sentirsi ascoltate e comprese. I forum di Internet permettono anche di mettersi in contatto con madri che hanno vissuto parti traumatici o cesarei.


La scrittura è una delle terapie più semplici e salutari. Scrivere una storia del proprio parto può essere un passo necessario e riparatore. Alcune madri impiegano mesi se non anni prima di essere in grado di scrivere tutto quello che hanno vissuto in quel momento, ma quando terminano il loro racconto, si sentono solitamente sollevate. Una volta riuscita in questo intento, puoi cominciare un esercizio: scrivi il parto sognato, quello che non è potuto essere, l’incontro desiderato, come avresti voluto la nascita di tuo figlio. Consideralo un modo per recuperare quei sogni e riconoscere la bellezza che vi era in loro, quello che ti sarebbe piaciuto offrire al tuo bambino al momento della sua venuta al mondo, e conservalo come un regalo per tuo figlio.


Una volta scritta, puoi usare la storia del parto in diversi modi. Alcune madri decidono di condividerla con il loro compagno o con familiari affinché questi possano comprendere quello che hanno vissuto. Altre volte si può condividere con i gruppi di sostegno su Internet. Se ritieni che il trattamento ricevuto da parte del personale sanitario non è stato corretto, puoi inviare il tuo racconto ai primari di ostetricia o alle ostetriche dell’ospedale affinché sappiano come ti sei sentita e possano riflettere su come migliorare il trattamento riservato alle partorienti.


Il recupero emotivo è di norma lungo e laborioso. Alcune madri si sentono troppo ossessionate dal proprio cesareo anche mesi o anni dopo l’evento. Cercano continuamente informazioni o non smettono di pensarci. È normale, ma così come è un bene dedicare tempo ad analizzare la propria storia e i propri sentimenti, ci si può anche prendere una “vacanza” ogni tanto.

Il lavoro emotivo è diverso da caso a caso. Se tenti di ascoltare i tuoi sentimenti, senza giudicarli né rifiutarli, poco a poco vedrai che questi ti guideranno nel tuo processo di guarigione. Allo stesso modo la tristezza iniziale può lasciare spazio a sentimenti di rabbia e rancore, che si possono tradurre in gelosia o invidia verso altre madri che hanno vissuto parti rispettosi apparentemente con poco sforzo15. Altre volte la rabbia lascia spazio al senso di colpa, al sentire di avere fallito verso nostro figlio e verso noi stesse… Bisogna a poco a poco riconoscere tutti i propri meriti e che si è fatto ciò che si riteneva più giusto. Non bisogna incolparsi bensì fare la pace con se stesse, prendendo atto che la maternità a volte significa anche accettare i propri errori senza che per questo si amino meno i propri figli. Al contrario, riconoscere i propri limiti, consentirà di insegnare proprio ai figli ad amare se stessi. Non è facile essere madre oggigiorno, siamo piene di contraddizioni e spesso viviamo conflitti nel lavoro o nella coppia. Àmati, senza giudicarti, con tutti i tuoi difetti e le tue virtù e stai sicura che i tuoi figli non ti scambierebbero mai con un’altra mamma.


Magari ti può sembrare strano, ma prova a fare una lista di dieci cose buone che ti ha portato il cesareo. È possibile che ne trovi solo una o due, magari ci metterai del tempo prima di completarla; non c’è fretta. Anche nelle esperienze più dolorose ci sono particolari belli che ci aiutano ad accettarle; permetti a te stessa di cercare quanto di buono ha portato il cesareo nella tua vita. Alcune di queste cose positive che a volte il cesareo ci dà – anche quando non è stato necessario – sono: essere più consapevole della necessità di ascoltare il proprio corpo o di seguire i propri criteri anche quando non coincidono con quelli degli altri, dare più valore all’allattamento, partecipare in modo attivo e responsabile nelle decisioni che riguardano la salute propria e dei propri figli, scoprire un altro modo per confrontarsi con il proprio corpo…


Lavorare sulla tua anatomia e sulla tua mente può essere di grande aiuto: i massaggi, la terapia cranio-sacrale, la bioenergetica e altre tecniche che favoriscono la connessione con il corpo facilitano la guarigione della ferita emotiva e consentono di riacquistare fiducia.


E il bambino? Se permetti a te stessa di esprimere le tue emozioni, vedrai come ti sarà più facile stabilire un rapporto con il tuo bambino. Puoi raccontargli come ti sei sentita, i nostri figli ci ascoltano e ci capiscono molto meglio di quanto pensiamo. Digli che anche se lo ami con tutto il tuo cuore, sei triste perché non hai potuto riceverlo come sognavi. Cerca di spiegargli che ti dispiace che abbia dovuto vivere le sue prime ore o giorni circondato da estranei, e tranquillizzalo raccontandogli che non succederà mai più nulla di simile. Puoi confessargli che lo ami e lo stimi per come si è comportato durante il parto, per avere protestato quando è stato separato da te o per aver voluto stare sempre con voi. Non avere paura delle conseguenze su tuo figlio a causa del cesareo o per la separazione durante le prime ore: fortunatamente la capacità di recupero degli esseri umani è infinita. Se gli offri amore e affetto crescerà stupendamente.


Se il cesareo è stato traumatico, potrebbe risultarti difficile festeggiare i primi compleanni del tuo bambino. Tranquilla, non sarai la prima madre che alla vigilia di quel giorno si ritrova a piangere ricordando tutto quello che è successo un anno prima alla stessa ora. L’esperienza di molte madri sotto questo aspetto è molto confortante: mano a mano che passano gli anni si può sostituire il dispiacere del cesareo con la felicità di vedere quanto velocemente crescono i propri figli. Il primo anniversario può essere più difficile, ma i successivi saranno migliori, stanne certa.

Quando al cesareo si sommano altre perdite

Alcune madri, oltre ad avere avuto un cesareo, hanno subìto anche un’immensa perdita: hanno perduto il bambino, prima o dopo la nascita, o hanno perso l’utero e con esso la possibilità di avere altri figli. In questi casi lamentarsi del cesareo può sembrare assolutamente fuori luogo. In realtà il dolore per la perdita viene di solito messo a tacere nella nostra società. Ad alcuni genitori viene proibito abbracciare i propri bambini gravemente malati, dicendo loro “che tirarli fuori dall’incubatrice potrebbe destabilizzarli ancora di più”. Ci sono bambini che muoiono a una o due settimane di vita senza che i loro genitori abbiano mai potuto abbracciarli per colpa delle regole dell’ospedale. In nome di quale medicina si può permettere una cosa simile? Se muore anche solo un bambino senza che i suoi genitori lo abbiano abbracciato, non sta forse fallendo il sistema sanitario? Per quale motivo vogliamo una sanità se non perché si prenda cura di quanto di più fragile e prezioso abbiamo nella vita? È una disgrazia immensa che si neghi sistematicamente che l’amore dei genitori per i propri figli possa curare o migliorare molte condizioni mediche. Se un bambino sta per morire, avrà bisogno di farlo circondato da amore e pace. Poter stare accanto ai propri figli in un momento simile è molto doloroso per i genitori, ma farà loro più male sapere che il bambino è morto solo. E se il piccolo è molto malato e riceve tutto l’amore dei suoi genitori, è possibile che la sua prognosi migliori miracolosamente. Per questo è importante la messa in pratica del metodo canguro per tutti i bambini prematuri e per i neonati ricoverati, così come raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità.


Le convinzioni religiose o spirituali hanno aiutato molti padri e madri a sentire nel parto successivo la presenza di un figlio che è morto troppo presto, aiutando suo fratello o sua sorella a nascere.


Si può perdere un figlio e soffrire sapendo inoltre che è nato con un cesareo. Proprio per questo amore verso il figlio si possono piangere entrambe le perdite: fa male perché lo si amava. Perché la nascita e la morte dovrebbero avvenire sempre circondati da amore.

Il parto cesareo
Il parto cesareo
Ibone Olza, Enrique Lebrero Martinez
Solo se indispensabile, sempre con rispetto.Spesso il parto cesareo viene proposto senza una reale scelta da parte della mamma. Come è possibile renderlo il meno tecnologico possibile? Negli ultimi anni alcuni Paesi hanno registrato un allarmante incremento dei parti con taglio cesareo, al punto che per molti costituisce addirittura il modo più frequente di nascere. Senza alcun dubbio questa cultura non tiene conto delle conseguenze psicologiche, oltre che fisiche, tanto per la madre quanto per il figlio. Contro questa tendenza, il saggio Il parto cesareo di Enrique Lebrero Martinez e Ibone Olza intende incoraggiare le madri a ritrovare la fiducia nel proprio corpo e a recuperare la dignità della nascita. Il libro si rivolge quindi sia alle donne e alle famiglie, sia agli operatori sanitari, e tutti coloro che hanno a che fare con l’evento della nascita. Conosci l’autore Ibone Olza, nata in Belgio nel 1970, è madre di tre figli. È laureata in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Navarra e dottoressa in Medicina presso l'Università di Saragozza, specializzandosi in Psichiatria e svolgendo la sua attività professionale nel campo della psichiatria infantile, giovanile e perinatale. Attualmente lavora come psichiatra infantile presso un Centro di Igiene Mentale di Madrid e appartiene all'associazione El Parto es Nuestro. Dal 1996 è socia del gruppo di sostegno all'allattamento "Via Lactea" di Saragozza e nel 2001 ha fondato, insieme a Meritxell Vila, il forum virtuale Apoyo Cesareas, che fornisce supporto psicologico a madri che hanno subito cesarei e parti traumatici.