CAPITOLO VI

Il fallimento dell'ostetricia moderna

È universalmente riconosciuto che uno dei principali fattori che complicano il parto, e che pertanto incrementano la mortalità materna e infantile, è l’incapacità degli ostetrici di osservare e consentire lo svolgimento naturale del parto senza interferenze. Possono essere causate da un eccesso di zelo o di ansia frutto dell’ignoranza, ma è indubbio che le interferenze continuano a essere uno dei maggiori pericoli per la madre e il bambino durante il parto.
GRANTLY DICK-READ
Childbirth Without Fear 1933

I progressi scientifici del XX secolo hanno prodotto un effetto paradossale sulla salute delle madri occidentali. Da un lato la mortalità materno-infantile è diminuita raggiungendo valori bassissimi. Dall’altro è quasi impossibile che una madre e il suo bambino escano indenni dal parto. Il fatto che una donna dia alla luce senza nemmeno un graffio è un evento alquanto eccezionale. Nei più prestigiosi ospedali del mondo occidentale, quasi tutte le donne escono dalla sala parto con un taglio nella vagina più o meno grande, oppure sull’addome. Inoltre molte di esse non riescono nell’intento di allattare il proprio figlio per colpa delle pratiche ospedaliere che ostacolano l’inizio dell’allattamento. Le madri che hanno avuto un parto gioioso, che non hanno avuto bisogno nemmeno di un punto di sutura, i cui bambini non hanno subìto pratiche di rianimazione e che inoltre hanno potuto allattare sin dal primo momento, sono una infima minoranza.


Esiste una legione di donne che esce dal parto con punti nella vagina o ferite nell’addome, con bambini che hanno subìto pratiche di rianimazione oppure non hanno potuto avere una madre in piena forma nei loro primi giorni di vita e che, sin da subito, hanno dovuto optare per un allattamento misto o artificiale.


L’epidemia di “innecesarei” è il riflesso più evidente del fallimento dell’ostetricia moderna. Il cesareo, l’intervento principe dell’ostetricia moderna, il vero salvavita per i casi più gravi, quello che probabilmente potrebbe essere considerato il maggior successo della chirurgia moderna, si è trasformato a sua volta nella più grave aggressione per le madri e i bambini quando viene praticato in modo indiscriminato e senza motivo, o quando diventa tristemente l’unica opzione per risolvere i danni prodotti dall’uso generalizzato di altre tecniche ostetriche (induzione, rottura artificiale del sacco, stimolazione sistematica con ossitocina, monitoraggio elettronico fetale continuo) che dovrebbero essere impiegate solamente nella minoranza dei casi.


In questo modo il cesareo, un’operazione di chirurgia maggiore, è diventato una questione primaria relativa alla salute delle madri, che sono per la maggior parte persone giovani e sane. È oggetto di numerosi dibattiti etici, che vanno dalle posizioni che ritengono i cesarei inutili una forma di violenza contro la donna, fino a quelle che difendono il diritto della donna a richiedere l’intervento anche quando non è assolutamente indispensabile, nonostante i rischi superino ampiamente quelli del parto vaginale.

Negli ultimi trent’anni, il cesareo ha cessato di essere un intervento eccezionale per diventare un modo abituale di venire al mondo. Nella maggior parte dei Paesi, il tasso di cesarei non ha smesso di crescere. Fino al 1990 l’aumento del numero degli interventi nei paesi più sviluppati, è stato associato a una riduzione parallela della mortalità perinatale. Tuttavia, a partire da quella data, il tasso di cesarei ha registrato un aumento senza che si siano rilevati miglioramenti nella prognosi perinatale1.


In Spagna, la percentuale di cesarei è passata dal 9,7 per cento del 1984 al 18,2 del 1998; nel 2001 la percentuale si aggirava già intorno al 23. Negli Stati Uniti nel 2003 si è superato il 27 per cento di cesarei. In Messico, Cile e Brasile le percentuali sono addirittura maggiori2. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (nella dichiarazione di Fortaleza del 1985 e in tutte quelle successive) è esplicita in merito: “Alcuni dei Paesi con minore mortalità perinatale nel mondo hanno una percentuale di cesarei inferiore al 10 per cento. Non si può giustificare che un Paese abbia una percentuale superiore a un 10 o 15 per cento”3.


È sufficiente confrontare il tasso di cesarei di luoghi diversi (siano essi ospedali, province o regioni) per comprendere che le indicazioni che danno luogo a ciascun intervento superano ampiamente i motivi strettamente medici.


Questa disparità fra le percentuali raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e quelle attuali dà un’idea della dimensione del problema: migliaia di donne vengono sottoposte ad un intervento di chirurgia maggiore addominale inutile in uno dei momenti che si suppone debbano essere fra i più gioiosi e cruciali della loro vita. Un intervento che mette in pericolo la loro salute e quella dei loro bambini, con una sofferenza incommensurabile e numerose ripercussioni. Il costo è tremendo, non solo economico o sociale, ma anche personale e intimo, sociale e familiare. È vero che la mortalità del cesareo si è ridotta mano a mano che sono migliorate le tecniche chirurgiche e anestetiche, ma nonostante tutto la mortalità continua a essere da quattro a sei volte superiore rispetto ad un parto vaginale. Come siamo arrivati a questa situazione?

Teorie sull’aumento di cesarei inutili

Perché si fanno tanti cesarei? Che motivi ci sono per cui almeno una donna su quattro dà alla luce mediante cesareo? Probabilmente non possiamo trovare un’unica risposta, ma possiamo invece rivedere le spiegazioni che sono state proposte in àmbiti molto diversi come l’ostetricia, la sociologia, l’economia e addirittura la filosofia. Vediamo in primo luogo quali sono i motivi medici.


Nel nostro Paese [Spagna], secondo l’inchiesta nazionale per la base dati perinatali del 2000, le indicazioni più frequenti per un cesareo4 erano:


CAUSA

%

Distocia5

39,55

Sospetto di rischio di perdita del benessere fetale

20,50

Precedente cesareo

15,52

Presentazione podalica (natiche)

15,74

Altro

8,69


Gli stessi ginecologi che pubblicano questi risultati si riconoscono preoccupati dal fatto che “queste quattro cause siano responsabili del 75-90 per cento dell’aumento della percentuale dei cesarei negli anni ’70 e del 98 per cento dell’aumento negli anni ’80, trattandosi di diagnosi che spesso apportano un beneficio meno evidente”6. Questo coincide con quanto accade in altri Paesi. Un recente editoriale del “British Medical Journal” segnala:


La maggior parte dei cesarei viene eseguita sulla base di tre indicazioni: sofferenza fetale, distocia e cesareo pregresso. Ci sono pochissimi studi controllati che dimostrano i benefici o i rischi del cesareo in questi casi. Un obiettivo chiaro dovrebbe essere quello di effettuare tali studi. Tuttavia ciò richiederà molto tempo.

Un altro obiettivo, pertanto, dovrebbe essere quello di intavolare un dibattito completo e onesto sugli aspetti etici del ruolo di medico, delle preferenze del paziente e del consenso informato nei cesarei7.


Ma figuriamoci! Gli ostetrici dicono che la maggior parte dei cesarei viene praticata per distocia e/o sofferenza fetale senza che siano chiari i reali benefici di un cesareo fatto per tali ragioni. Distocia significa che il parto non avanza come dovrebbe. Che cosa sta succedendo per cui così tanti parti non progrediscono come dovrebbero? Perché tanti bambini soffrono durante il parto?


La maggior parte dei parti nel nostro Paese e in quasi tutti i Paesi del mondo occidentale si svolge in ospedale. Se vogliamo indagare le cause che stanno dietro all’aumento dei cesarei, è logico analizzare la gestione del parto nella maggior parte degli ospedali. Quindi, la domanda che forse dovremmo rivolgerci è “Perché è tanto difficile partorire (bene) in ospedale? (partorire bene significa senza distocia né sofferenza fetale). Possiamo solo rispondere a questa domanda ripassando la fisiologia del parto, vale a dire comprendendo come funziona.

Il parto è un atto sessuale

Il parto e la nascita sono atti sessuali e come tali richiedono intimità e rispetto dei ritmi di ciascuno, in questo caso della donna. Alla maggior parte di noi comuni mortali risulterebbe alquanto difficile fare l’amore davanti a quattro o cinque sconosciuti che ci guardano sotto una potente lampada e che ci dicono continuamente a che punto ci troviamo. Perché molte coppie cercano la penombra per fare l’amore o semplicemente chiudono gli occhi? Perché una telefonata può interrompere il rapporto sessuale fino al punto che dopo sia quasi impossibile ritrovare l’eccitazione? Perché a volte un paio di bicchieri di vino fa sì che sia molto più piacevole e semplice lasciarsi trasportare e godere del sesso? La risposta è semplice. Per fare l’amore è necessario, in un certo senso, smettere di pensare. Insomma, detto in altri termini, “scollegare” la corteccia cerebrale, la cosiddetta neocorteccia, la parte del cervello con la quale pensiamo e che ci differenzia dal resto dei mammiferi. Abbiamo bisogno che il nostro cervello si lasci guidare dai segnali del corpo per “sentire” con intensità, sia per fare l’amore sia per poter partorire.


Il parto è un atto sessuale, se non addirittura il suo culmine dopo nove mesi di gestazione. Noi umani siamo mammiferi e partoriamo come tali. Il parto è un momento amoroso nel quale intervengono gli stessi ormoni di quando facciamo l’amore. Non esiste un modo giusto o sbagliato di fare l’amore, ci sono infiniti modi e preferenze; l’importante è rispettare il ritmo e le necessità di ciascuno. Tuttavia, per avere un rapporto piacevole, abbiamo bisogno di sentirci sicuri e rispettati (l’estremo opposto sarebbe uno stupro). Lo stesso accade con il parto.


Questi ritmi, durante l’amore e il parto, sono marcati dai medesimi ormoni: ossitocina, endorfine, prolattina e adrenalina. Se ripassiamo gli effetti degli ormoni principali che agiscono durante il parto, possiamo comprendere meglio la sua fisiologia e la necessità di un ambiente propizio che potenzi l’espressione del cervello mammifero. Gli ormoni sono i messaggeri del nostro corpo, coloro che hanno l’incarico di coordinare tutte le funzioni. Vediamo uno schema pratico delle diverse azioni prodotte, nei mammiferi, dall’ossitocina, la prolattina, l’adrenalina e le endorfine:


- Ossitocina. Conosciuta anche come “l’ormone dell’amore”. Viene prodotta in grande quantità nei preliminari dell’amore e nell’orgasmo maschile e femminile. L’ossitocina provoca le contrazioni uterine che facilitano la fecondazione e il parto. Presenta un picco ormonale in gravidanza e durante il parto, ma anche dopo quest’ultimo, quando inizia il legame con il bambino. La sua secrezione (o iniezione) stimola le azioni del comportamento materno: una maggiore cura verso la prole, l’azione di cullare il bambino, ecc., anche nei soggetti vergini. Questa risposta si ha sia nei maschi sia nelle femmine, in tutte le specie di animali sociali. Viene considerato l’ormone dell’altruismo, della dimenticanza di se stessi. È significativo che l’ossitocina reprima la memoria. Questo ormone aumenta prima e durante la poppata al seno. Il bambino, pertanto, beve l’ossitocina in quantità significativa.


- Prolattina. È l’ormone che produce il latte materno. Un’alta secrezione spinge l’animale a fare il nido. Genera stati di aggressività, in alcune circostanze, nelle madri che allattano. Inibisce la libido (il desiderio sessuale) in entrambi i sessi. Genera stati di sottomissione, di subordinazione e di ansia: tutti questi atteggiamenti sono vantaggiosi ai fini della sopravvivenza. La prolattina, con questa azione e in associazione all’ossitocina, orienta la madre verso le attenzioni e la cura del neonato.


- Adrenalina. È l’ormone dello stress, dell’allerta. Aumenta la pressione arteriosa in modo significativo. Durante il travaglio, se vi sono alti livelli di adrenalina, si indurisce il collo dell’utero, ritardando così la dilatazione e rendendola più dolorosa. Nella fase espulsiva, si registra un aumento dei livelli di adrenalina che favorisce il riflesso di espulsione fetale e il successivo inizio del legame.


- Endorfine. Sono le sostanze del piacere, con effetto simile alla morfina, rilasciate dal cervello in determinate circostanze, soprattutto in situazioni che causano dolore. Se ne registrano livelli molto alti durante il parto, ma variano molto a seconda dello stato fisico, psichico ed emotivo della donna. La loro secrezione è favorita da una situazione di parto tranquillo, rassicurante e con scarsi stimoli sensoriali (luci, rumore, conversazioni…). In questo caso il bambino nascerà impregnato di alte dosi di endorfine, che renderanno più facile la sua esperienza del parto. Le endorfine provocano anche il rilascio della prolattina.

Come si svolge il parto normale

Alcuni giorni prima del parto, il corpo si prepara: sono i cosiddetti prodromi del parto, una sorta di riscaldamento dei motori, una messa a punto. La donna può continuare ad avere sensazioni più o meno fastidiose, che a volte le fanno credere che il parto sia iniziato. Sono contrazioni un po’ intense e irregolari, che esercitano una certa pressione sul bacino e che fanno maturare il collo dell’utero migliorando la posizione del bambino. Ma non si tratta del travaglio. Queste contrazioni possono durare varie ore o vari giorni, in modo intermittente, prima che inizi il parto propriamente detto.


È il bambino che dà inizio al parto: è lui che invia il segnale al corpo della madre avvertendo di essere pronto a nascere, colui che scatena la cascata di ormoni che provocano il parto. Il travaglio inizia quando la donna ha contrazioni ogni 3-4 minuti che durano 40-60 secondi, e presenta 3-4 centimetri di dilatazione del collo dell’utero. Mano a mano che avanza il travaglio, il collo si annulla, si stira e si apre, si dilata. Arriva un momento in cui la donna non può più continuare a fare ciò che sta facendo. Tutto ciò che la circonda le inizia ad apparire molto bello (effetto dell’ossitocina). Se lasciati al loro corso naturale, quasi tutti i parti avverrebbero in piena notte.


La donna ha bisogno di sentirsi a proprio agio, senza interferenze esterne né stimoli che la disturbino nel suo viaggio interiore. Respirando rilassata durante la contrazione, assopita fra una contrazione e l’altra, riuscirà a produrre una grande quantità di endorfine che allevieranno il suo dolore e le faranno perdere la nozione del tempo. In questo modo, questa sorta di “ubriacatura” ormonale potenziata in un ambiente intimo, al buio e in silenzio, senza sentirsi osservate e circondate da chiacchiere inutili, rende possibile una buona evoluzione del parto. Si perdono le inibizioni, il corpo si esprime e si muove a suo piacimento, le contrazioni risultano efficaci e il bambino scende aiutato dalla posizione verticale.


A un certo punto la donna sente il desiderio di spingere. Senza fretta e senza misurare il tempo, il bambino continua a scendere attraverso la vagina, e la donna si abitua alla sensazione di aprirsi, di spalancarsi… E all’improvviso la madre, aiutata da un repentino impulso di adrenalina, sente un irrefrenabile desiderio di spingere con il bambino già nella vulva. È quello che viene detto riflesso di eiezione finale. Sente la vulva aprirsi e la pelle bruciare, se non le è stata praticata l’episiotomia. Le labbra vaginali si stirano progressivamente e, dopo alcune contrazioni, la testa del bambino affiora dalla vulva e, con delicatezza, scivola fuori. Dolcemente esce anche il resto del corpo. Allora il bambino viene messo fra le braccia della madre. Il cordone ombelicale solitamente continua a pulsare, ossigenando il bambino come prima, in modo tale che il piccolo non abbia l’urgenza di respirare. Apre gli occhi e così rimane se la luce non lo disturba. Inizia la respirazione poco a poco, senza fretta. A volte, quando il cordone ombelicale prolassa, piange un po’ perché deve ormai iniziare a usare i polmoni per sempre. Magari starnutisce per espellere il muco, poiché raramente è necessario aspirarlo. E dopo 15-30 minuti di vita sul petto della mamma, ormai adattato alle sue nuove funzioni vitali, cercherà il capezzolo per giocarci, riconoscerlo e, finalmente, succhiare con piacere e trasporto il colostro, la ricca manna della vita che tanti benefici apporta alla salute.


Così funziona il parto. Questi sono i meccanismi naturali del corpo. È ovvio che ciò non significa che tutti i parti vadano bene. Ma nella stragrande maggioranza dei casi il parto può iniziare in modo spontaneo, naturale. E proseguire nelle stesse condizioni descritte in precedenza, che ne facilitano il decorso ed evitano patologie, spesso causate dall’applicazione sistematica dei protocolli medici.

Ma cosa accade in ospedale? Accade che molte delle pratiche mediche quotidiane ostacolano l’evoluzione fisiologica e naturale del parto.


In primo luogo, spesso si ricovera la donna quando presenta i prodromi del parto. A questo punto si mette già in funzione il cronometro: si spera che il bambino nasca in un momento determinato. Ciò che accade è che i prodromi del parto possono durare alcuni giorni, le contrazioni possono cominciare e fermarsi dopo qualche ora per ripresentarsi solo un giorno o due più tardi. Un articolo della Sociedad Española de Ginecología y Obstetricia SEGO afferma che un modo per ridurre i cesarei è quello di “non ricoverare la donna se non ha iniziato il travaglio”8.


Essere dilatata di quattro centimetri senza contrazioni, non significa avere iniziato il travaglio, e nemmeno avere espulso il tappo o avere contrazioni moderate e irregolari per ore, anche se sono fastidiose, e neppure avere rotto le acque…


Il ricovero in ospedale potrebbe essere fatto quando il travaglio è già evidente, è iniziato da tempo e non si confonde con il pre-parto. Ad ogni modo, è stato provato che quando la donna in travaglio cambia di posto, le contrazioni si riducono temporaneamente. La ragione è che il fatto di arrivare in uno spazio nuovo, con persone sconosciute, è qualcosa che induce un atteggiamento di attesa e allerta. A questo si aggiunge il dover rispondere a domande e compilare documenti. Pertanto, sapendolo, bisogna ridurre al minimo queste circostanze e favorire che la donna torni a sentirsi quanto prima in un ambiente rassicurante, accogliente, intimo e senza esigenze razionali. Una volta ottenuto questo e trascorso un po’ di tempo, il travaglio si rimetterà in moto. Spontaneamente e seguendo il suo ritmo. Durante questa pausa, qualsiasi iniziativa medica non necessaria può risultare controproducente. Rompere il sacco amniotico o stimolare con l’ossitocina, sono interventi che possono provocare distocia da parto obbligando il bambino a un incanalamento forzato o a dover sopportare contrazioni eccessive per le quali non è ancora pronto. Meglio aspettare, senza intervenire, che si rimetta in moto favorendo le condizioni affinché ciò accada.


La condotta dei sanitari ha un effetto molto importante sull’evoluzione del parto. Ina May Gaskin, una delle ostetriche più esperte degli Stati Uniti, riassume tutto questo in una frase: “Basta uno sguardo ostile per inibire il parto”. Si riferisce alla necessità di fidarsi e di abbandonarsi; la partoriente non deve sentirsi osservata né manipolata. Deve stare in compagnia di persone care, poche, che vivano il parto con discrezione, che parlino poco ma che sentano molto. Il processo di dilatazione e di parto deve avvenire in un ambiente domestico, vicino, con elementi evidenti di intimità: poca luce, poco rumore, ecc. La partoriente deve essere libera di deambulare e di adottare le posizioni che il corpo stesso le richiede, come pure le espressioni emotive – piangere, cantare. Ottenere una condizione di intimità è fondamentale affinché la donna raggiunga uno stato di consapevolezza che potenzi i suoi istinti mammiferi. La discrezione dei sanitari durante il travaglio è fondamentale per ottenere questa intimità. Tuttavia, di solito, non si impiegano metodi che favoriscono l’evoluzione naturale del parto, come ad esempio il sostegno continuo, incoraggiare la donna a camminare e a muoversi durante il parto, garantire che la partoriente riposi e si alimenti come si deve.


I protocolli ospedalieri sono interventi che si praticano su tutte le partorienti, anche se la maggior parte di esse non ne ha assolutamente bisogno. Molte di queste pratiche si sono dimostrate obsolete, senza alcun rigore scientifico o addirittura rischiose. Altre, medicalmente accettabili, vengono spesso utilizzate in modo inopportuno (Vedasi appendice: Classificazione dei protocolli nel parto normale, Organizzazione Mondiale della Sanità).


Il clistere e la rasatura del vello pubico. Anche se si continua a praticare entrambi d’abitudine, tutte le prove scientifiche dicono che sono completamente inutili.


In Spagna9, le cure ostetriche di routine comprendono i clisteri, la rasatura del vello pubico e l’episiotomia, procedimenti che non si basano su alcuna evidenza scientifica e che ignorano le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul trattamento delle partorienti10.


I monitoraggi di controllo fetale. Si utilizzano abitualmente a partire dalla trentasettesima settimana e durante il parto. La rivista “Lancet”, nel dicembre del 1987, pubblicò uno studio multicentrico su decine di migliaia di parti, nel quale si confrontava l’assistenza a gruppi di donne con monitoraggio continuo e gruppi di donne assistite con un’auscultazione intermittente dei battiti fetali. La conclusione finale è che l’unico effetto significativo dell’uso del monitoraggio fetale continuo è l’aumento del numero di cesarei e dell’uso del forcipe11. Molteplici esperienze internazionali ne avvallano attualmente l’inutilità in un parto che evolve normalmente. Il controllo periodico del bambino durante una contrazione, può essere sufficiente. Questo controllo periodico si può realizzare adattandosi alla posizione assunta in quel momento dalla donna, per mezzo di un doppler fetale o del monitoraggio; esiste addirittura un doppler fetale acquatico.

La flebo. C’è una tendenza crescente presso gli ospedali a prendere una via venosa in tutte le donne in fase di dilatazione per poter applicare le flebo, anche se la maggior parte delle partorienti non ne ha bisogno durante il travaglio. Questo si fa “nel caso fosse necessario”. L’applicazione di una flebo comporta un rischio di flebite, limitazione della mobilità durante il parto e, ancor più triste, la percezione di essere malata, di sentire che da sole non si è in grado di partorire il proprio bambino. L’OMS ritiene che prendere una via venosa e somministrare infusioni intravenose di routine durante il parto “siano pratiche pregiudizievoli e inefficaci che dovrebbero essere eliminate”.


La rottura del sacco (amnioressi o amniotomia). Il sacco di liquido amniotico agisce come protezione del bambino durante tutta la gravidanza come pure durante il parto. Non si dovrebbe rompere senza motivo. E, in effetti, vi sono poche ragioni per farlo. Mantenere il sacco integro durante il parto previene possibili infezioni fetali, evita il prolasso del cordone ombelicale e, soprattutto, riduce l’incidenza di malposizionamento e il cattivo incanalamento fetale che sono causa di molti cesarei e interventi col forcipe.


L’ orologio. Quanti cesarei sono stati fatti per non avere aspettato? La maggior parte delle nascite avverrebbe di notte, se fosse consentito. Invece, si fanno cesarei alle cinque del pomeriggio “perché si era bloccata la dilatazione…”.


Le induzioni. In Spagna, nelle cliniche private, si praticano il doppio dei cesarei rispetto agli ospedali pubblici. Questo mistero apparente ha una ragione molto chiara: l’uso indiscriminato dell’induzione del parto. Il medico privato, probabilmente, non guadagna molto più denaro facendo un cesareo, ma ci guadagna in tranquillità e orari di parto più comodi. Più della metà delle primipare finisce per partorire con un cesareo a causa di questo abuso dell’induzione. Inoltre non vengono informate di questi risultati. La sequenza è conosciuta da molte donne che hanno vissuto questa esperienza. Il ginecologo, al termine della gravidanza, dice loro: “Il bambino è molto grande”, “la placenta si sta deteriorando”, “il monitoraggio fetale va bene, però…” “guardi, meglio se provochiamo il parto, così dopo non ci saranno problemi”. La donna va all’ospedale di primo mattino, le somministrano una flebo di ossitocina, soffre per alcune ore delle contrazioni con le quali ha tempo di maturare solamente il collo dell’utero. A mezzogiorno, il medico le dice che non si dilata e che bisogna fare un cesareo. Il pomeriggio, con suo figlio in braccio (o al nido), la donna è convinta che il suo corpo non sia stato in grado di dilatarsi, mentre il medico sta facendo le sue visite private.


Bisogna sapere che se è necessario indurre un parto per qualche ragione medica, le cose vengono fatte in modo diverso. In primo luogo, per far maturare il collo dell’utero, si somministra un gel di prostaglandine sul collo o in vagina. A volte ciò è sufficiente anche per produrre buone contrazioni da parto. Se non le produce, alcune ore dopo la sua applicazione viene somministrata una flebo di ossitocina. Quando si ottengono le contrazioni forti ogni 3-4 minuti e il collo ha una dilatazione di 2-3 centimetri, si inizia a valutare la progressione della dilatazione per altre 8-10 ore, che è quanto solitamente dura un primo parto. Non si rompe inutilmente il sacco. In questo modo è più facile che un’induzione termini in un parto vaginale. La medicina fondata sull’evidenza scientifica dice che non è necessario indurre più del 10-15 per cento di tutti i parti.


La somministrazione indiscriminata di ossitocina intravenosa. Alla maggior parte delle partorienti viene somministrata una flebo di ossitocina, anche in presenza di buone contrazioni da parto; è ciò che viene detto “aumento”. Questo eccesso di contrazioni provocate medicalmente, è un’altra causa dell’aumento dei cesarei.


Se le induzioni del parto evitabili aumentano i cesarei per “mancata dilatazione”, la somministrazione generalizzata di ossitocina è la responsabile di molti cesarei per “sofferenza fetale”. La ragione è facile da comprendere. Il bambino e la madre formano una squadra durante il parto e vi è un travaso continuo di informazioni fra di loro attraverso gli ormoni. Il bambino solitamente può sopportare le contrazioni spontanee della madre, soprattutto perché è lui stesso ad influire su di esse. Sono contrazioni un po’ “su misura”. Ma se aumentiamo l’intensità e la frequenza delle contrazioni uterine con ossitocina artificiale, il bambino può stancarsi, crollare, cominciare ad avere problemi che preludono alla sofferenza. Succede a tutti. Ciascuno, seguendo il proprio ritmo, può raggiungere la meta, ma obbligati ad andare a passo svelto, stanchi e sfiniti, quasi nessuno arriva alla fine.


Inoltre, l’uso della flebo di ossitocina in modo generalizzato e indiscriminato provoca nella madre un dolore esagerato a seguito delle contrazioni da parto, cosa che ha portato a un abuso dell’anestesia epidurale.


L’anestesia epidurale è estremamente utile in alcuni parti e, a volte, consente di evitare un cesareo. Ma l’uso generalizzato dell’epidurale mette molte donne sulla strada dell’interventismo inutile: sospensione del parto, flebo di ossitocina, rottura artificiale del sacco, malposizionamento… e in questo modo aumentano i cesarei.


Litotomia (partorire da sdraiate con le gambe alzate). Sono anni ormai che l’Organizzazione Mondiale della Sanità spiega che non si dovrebbero mettere le donne in questa posizione per partorire.Viene addirittura considerata una pratica pericolosa che dovrebbe essere abbandonata.


È ovvio! Questa posizione fa sì che molti bambini non scendano. E alla madre viene praticato un cesareo “per bacino stretto”. La sedentarietà quotidiana di cui siamo vittime, rende spesso difficile il corretto posizionamento fetale. Per questo è importante, per una donna incinta, fare esercizio ogni giorno. Ma anche la sistematica rottura artificiale del sacco e l’uso generalizzato di ossitocina nelle induzioni e nel resto dei parti stimolati, favoriscono a loro volta lo scorretto incanalamento fetale, impedendo lo svolgimento di un parto normale. Il bambino si presenta con un diametro della testa più ampio nel bacino della madre, non ci sta o non scende. Ma il bacino della madre non è stretto. È un normale bacino con un bambino malposizionato.


La verità è che, analizzando le pratiche di alcuni ospedali riguardo al parto, appare sorprendente che almeno un 75 per cento di madri riesca a dare alla luce per via vaginale!


Le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono molto chiare per quanto riguarda l’assistenza al parto (si veda l’appendice). Come è possibile che non vengano applicate nella maggior parte degli ospedali del nostro Paese? Perché il parto è stato medicalizzato fino a questi estremi?

Una delle cose che appaiono abbastanza chiare, è che la percentuale di cesarei dipende da chi assiste al parto. Gli studi dimostrano, perfino negli Stati Uniti, che i cesarei diminuiscono se sono le ostetriche a seguire le partorienti12. Per questo nei paesi come gli Stati Uniti o il Canada, dove sono i ginecologi ad assistere ai parti a basso rischio e non le ostetriche, si ha un indice così alto di cesarei. Ma anche quando l’ostetrica assiste al parto, se deve attenersi ai protocolli dettati da società di ginecologi, è più facile che si finisca per fare un cesareo. Il potere dei ginecologi è cresciuto parallelamente alla sottomissione o perdita della saggezza e indipendenza delle ostetriche.


A questo si aggiunge il progressivo deterioramento della formazione dei ginecologi ostetrici. Per ridurre il numero di cesarei, va considerato anche l’apprendimento delle alternative mediche che i ginecologi ostetrici devono praticare per risolvere determinate distocie, come l’uso del forcipe o della ventosa, la versione fetale esterna, l’assistenza al parto vaginale di natiche… Tutte tecniche mediche che si stanno perdendo nel corso della formazione e della preparazione delle nuove generazioni di specialisti. Le nuove leve di ginecologi ostetrici a volte non ricevono una formazione adeguata né sul parto in casa né sul quello in acqua; durante la specializzazione non hanno mai visto nemmeno una donna partorire accovacciata, mostrano poco rispetto verso la fisiologia del parto normale… Si crea così un circolo vizioso che stimola l’intervento per mezzo del cesareo.


La diffusione della medicina difensiva si deve a un progressivo deterioramento del rapporto medico-paziente nella nostra società, dovuto a diverse cause. Fra queste la negazione della morte come realtà della vita, la falsa convinzione che la medicina può tutto, le scarse informazioni che trasmette il medico e il paternalismo che esercita sul paziente, in questo caso la donna. Tutto questo rende impossibile che i cittadini possano decidere in libertà, con maturità e conoscenza delle azioni mediche che riguardano la sua salute. Questo complica la loro partecipazione attiva al processo di guarigione, creando pazienti passivi e diffidenti verso i medici. Questi ultimi, a loro volta, non si fidano dei pazienti. Di fronte al degrado dell’atto terapeutico e alla reciproca sfiducia, il medico applica la medicina difensiva, con esplorazioni tecniche e interventi non necessari che nascondono l’incomunicabilità, la mancanza di empatia e l’impossibilità di personalizzare un caso clinico compatibilmente con i protocolli.


Attualmente, un medico può avere problemi legali per non avere effettuato un cesareo che forse avrebbe potuto migliorare il risultato ostetrico, ma è quasi impossibile che subisca denunce per aver praticato un cesareo inutile, nonostante aumenti il rischio di mortalità sia della madre che del bambino.

Gli aspetti economici possono a loro volta favorire l’aumento di cesarei in alcuni luoghi. Nelle cliniche private si guadagna di più praticando un cesareo, ed è probabile che questo abbia influito in paesi come Brasile o Cile, dove alcune cliniche arrivano ad avere un 80 per cento di cesarei. Ma, più indicativo ancora è che con la programmazione dei cesarei, a volte mascherata da induzioni immotivate, il medico sa quanto dura il parto (un’ora circa), sceglie il momento compatibile con il suo orario di visite e si assicura di avere libere le notti e i fine settimana. Con questo procedimento quasi automatico, lo specialista applica il suo criterio di medicina difensiva e comoda. E alla donna comunica che il parto è fallito e che il suo corpo non è in grado di partorire. Il Brasile è un esempio paradigmatico in tal senso. Nel 1981, i cesarei in Brasile erano il 31 per cento dei parti totali (un bambino su tre nasceva con un cesareo). Uno studio nel 1985 riscontrò ragioni di vario genere per giustificare una percentuale così alta: praticare un cesareo per effettuare una legatura di tube, asserire che la donna non è psicologicamente preparata per un parto vaginale, la convenienza e la tranquillità dei ginecologi che inoltre portano a termine un’azione di medicina difensiva… I ginecologi brasiliani, invece, attribuiscono la causa al culto del corpo da parte delle donne, che pensano che le funzioni sessuali finiscano per deteriorarsi in seguito a un parto vaginale13. Ma questa opinione non proveniva originariamente dalle donne, bensì veniva promossa da influenti ginecologi nel corso di conferenze e attraverso i mezzi di comunicazione… Per questo, a seconda del livello sociale, i cesarei in Brasile continuano ad aumentare. Nei segmenti di popolazione a basso reddito economico, rappresentano un 20 per cento che è in crescita progressiva in base alla classe sociale, fino a raggiungere un 60 per cento di interventi per i ceti più abbienti. Secondo la SEGO, un cesareo senza complicazioni costa più del doppio rispetto a un parto vaginale14. In Spagna, una riduzione dell’1 per cento dei cesarei farebbe risparmiare novecento milioni di pesetas (più di cinque milioni di euro).

Il parto è nostro

Dal dolore del parto rubato all’indignazione per la situazione generale dell’assistenza alle donne durante il parto. Dal pianto nascosto all’incontro con altre donne. Dalle mailing list all’attivismo del parto. Dalle riflessioni individuali al dibattito collettivo. Dalla clandestinità e la resistenza al grande pubblico. Nel luglio del 2001, io e un’altra madre fondammo il forum virtuale apoyocesareas, una sorta di mailing list per aiutare altre madri, che avevano subìto uno o più cesarei, le quali desideravano avere un VBAC (Vaginal Birth After Cesarean, ovvero un ‘parto vaginale dopo un cesareo’) o che avevano avuto difficoltà ad allattare dopo un cesareo. Nei mesi successivi, iniziarono ad arrivare messaggi di madri “cesarizzate” che esprimevano il proprio sollievo nel vedere che altre madri avevano sofferto o erano rimaste deluse a causa del cesareo, che non erano pazze né tantomeno sole. Poco a poco sono arrivate madri che, senza aver subìto un cesareo, soffrivano a causa dei loro parti vaginali, che in alcuni casi erano stati, a loro volta, molto traumatici. Sono arrivate anche altre madri che avevano avuto parti meravigliosi e rispettati, in casa o in ospedale. Alcune di loro hanno condiviso i loro progetti di parto. Tutte noi esprimevamo uno stesso desiderio: che nessuna madre venisse maltrattata durante il parto, che tutti i bambini potessero avere una nascita trattata con rispetto. Fra le partecipanti al forum c’erano molte donne di paesi di lingua spagnola, Argentina, Messico, Cile… Negli anni successivi approdarono al nostro forum alcuni specialisti desiderosi di ascoltare le donne, di imparare da loro e anche di condividere le proprie esperienze nella lotta per migliorare l’assistenza ostetrica. Molte ostetriche e alcuni ginecologi si iscrivevano al forum, la maggior parte in anonimato. Passò il tempo e molte donne si sono ritrovate di nuovo incinte. Alcune sono riuscite ad avere il parto sognato, altre hanno avuto un altro cesareo più o meno necessario e sono state più o meno rispettate. Molte sono riuscite ad allattare per la prima volta i loro secondogeniti.


Alcune di queste madri hanno cominciato ad andare al di là del loro impegno nel proteggere le madri dal maltrattamento nel parto. Alcune hanno preparato volantini con le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità da distribuire per strada. Altre hanno scritto lettere a giornali e riviste o hanno partecipato a programmi radiofonici e televisivi raccontando le proprie esperienze. Alcune hanno partecipato a conferenze riservate a donne gravide presso centri ospedalieri o nelle scuole di ostetricia.


Dall’unione di tutte queste donne nel 2003 è sorta una nuova associazione, con un obiettivo: che tutte le donne abbiano il parto rispettato che si meritano. È stata chiamata El Parto Es Nuestro (Il parto è nostro). Fra i suoi fini vi è il supporto psicologico alle madri, l’applicazione in tutti i centri sanitari delle raccomandazioni dell’OMS riguardo al parto, la promozione dell’indipendenza delle ostetriche, il conseguimento della copertura sanitaria per il parto in casa, il sostegno all’allattamento naturale…


Questo movimento coincide con quanto accade in altri paesi occidentali dove le madri si stanno a loro volta unendo al personale specialistico, consapevoli della necessità di umanizzare l’assistenza al parto15.

Dopo più di 30 ore di travaglio, Bohdi nasceva con un cesareo rispettoso il 9 luglio del 2005 alle 11 e 21 del mattino. Jill Sawchuck, sua madre, ha potuto abbracciarlo appena nato insieme al padre, Daniel Gravilla Flores (la foto è stata scattata alle 11 e 23) e dopo pochi minuti dalla nascita di Bohdi, Jill poté parlare con la sua famiglia in Canada per raccontare che teneva Bohdi fra le sue braccia. Ancora un dettaglio che dimostra che il cesareo può essere una festa familiare e una nascita rispettata.


Ostetrico: Dott. José Luis Grefnes. Doula: Joni Nicols


Foto: Joni Nicols – Guadalajara, Messico

Nascita mediante cesareo di Karaly. Il padre di Karaly, Carlos Gutierrez, è rimasto in sala operatoria accanto alla moglie, Iliana Gascon, per tutto il tempo. Iliana ha potuto abbracciare sua figlia appena nata e non si è più separata da lei. Karali è nata il 22 maggio 2004 a Guadalajara, Messico.


Foto: Joni Nicols, Grupo Plenitud

Il parto cesareo
Il parto cesareo
Ibone Olza, Enrique Lebrero Martinez
Solo se indispensabile, sempre con rispetto.Spesso il parto cesareo viene proposto senza una reale scelta da parte della mamma. Come è possibile renderlo il meno tecnologico possibile? Negli ultimi anni alcuni Paesi hanno registrato un allarmante incremento dei parti con taglio cesareo, al punto che per molti costituisce addirittura il modo più frequente di nascere. Senza alcun dubbio questa cultura non tiene conto delle conseguenze psicologiche, oltre che fisiche, tanto per la madre quanto per il figlio. Contro questa tendenza, il saggio Il parto cesareo di Enrique Lebrero Martinez e Ibone Olza intende incoraggiare le madri a ritrovare la fiducia nel proprio corpo e a recuperare la dignità della nascita. Il libro si rivolge quindi sia alle donne e alle famiglie, sia agli operatori sanitari, e tutti coloro che hanno a che fare con l’evento della nascita. Conosci l’autore Ibone Olza, nata in Belgio nel 1970, è madre di tre figli. È laureata in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Navarra e dottoressa in Medicina presso l'Università di Saragozza, specializzandosi in Psichiatria e svolgendo la sua attività professionale nel campo della psichiatria infantile, giovanile e perinatale. Attualmente lavora come psichiatra infantile presso un Centro di Igiene Mentale di Madrid e appartiene all'associazione El Parto es Nuestro. Dal 1996 è socia del gruppo di sostegno all'allattamento "Via Lactea" di Saragozza e nel 2001 ha fondato, insieme a Meritxell Vila, il forum virtuale Apoyo Cesareas, che fornisce supporto psicologico a madri che hanno subito cesarei e parti traumatici.