Il segreto del potere genitoriale
Molta gente ha tratto la conclusione che non ci si può aspettare che i genitori sappiano cosa fare senza un’opportuna formazione. Esistono ogni specie di corsi per genitori, e persino lezioni che insegnano loro come leggere le filastrocche ai figli più piccoli. Tuttavia gli esperti non sono in grado di insegnare ciò che è veramente fondamentale per una genitorialità efficace. Il potere dei genitori non risiede nelle tecniche, per quanto bene intenzionate, bensì nella relazione di attaccamento. In tutti e tre i nostri esempi, quel potere mancava.
Il segreto del potere dei genitori è nella dipendenza del bambino. I bambini nascono completamente dipendenti, incapaci di farcela da soli in questo mondo. La loro impossibilità a esistere come esseri separati e autonomi fa sì che si affidino interamente agli altri per farsi accudire, guidare e sapere cosa fare; per ricevere sostegno e approvazione, per avere un senso di appartenenza e sicurezza. È lo stato di dipendenza del bambino che in un primo momento rende necessaria la presenza dei genitori; se i nostri figli non avessero bisogno di noi, noi non avremmo bisogno del potere che serve per fare i genitori.
A un primo sguardo, sembrerebbe che un tale stato di dipendenza possa di fatto bastare, ma qui sta l’intoppo: essere dipendenti non garantisce che si dipenda dalla persona giusta. Ogni bambino nasce con la necessità di essere accudito, ma dopo i primi mesi e anni, non tutti i bambini si rivolgono per forza ai genitori affinché si prendano cura di loro. Il nostro potere di fare i genitori risiede non tanto nella misura della loro dipendenza, bensì in quanto siano specificamente dipendenti da noi. Il potere di esercitare le nostre responsabilità parentali non riposa nella natura bisognosa dei figli, ma nel fatto che essi guardino a noi come risposta ai propri bisogni.
Non possiamo davvero prenderci cura di un figlio che non fa affidamento su di noi per i suoi bisogni di cura, o che dipende da noi solo per il cibo, il vestire, per avere un tetto sulla testa e altre preoccupazioni di ordine materiale. Non possiamo sostenere emotivamente un bambino che non si appoggia a noi per i suoi bisogni psicologici. È frustrante dare direttive a un ragazzo che non accoglie la nostra guida, è tedioso e controproducente assistere qualcuno che non cerca il nostro aiuto.
Questa era la situazione che si presentava ai genitori di Kirsten, Sean e Melanie. Kirsten non si affidava più ai genitori per i suoi bisogni di attaccamento o per trarre ispirazione su come essere e cosa fare; alla tenera età di sette anni, non si rivolgeva più a loro per avere cure, educazione e conforto. L’atteggiamento di Sean andava oltre: egli aveva sviluppato una profonda resistenza a dipendere dal padre e dalla madre. Le resistenze di Sean e Melanie, infatti, si estendevano persino all’essere nutriti o, più precisamente, al rituale del nutrimento che ha luogo durante i pasti in famiglia. Melanie, appena entrata nell’adolescenza, non guardava più ai genitori per garantirsi un senso di calore familiare o di connessione. Non aveva alcun desiderio di essere compresa o che loro la conoscessero intimamente. Nessuno di questi tre bambini si sentiva dipendente dai genitori, e questo era alla radice di tutte le frustrazioni, le difficoltà e i fallimenti sperimentati dalle loro madri e dai loro padri.
Certo, tutti i figli iniziano la propria vita dipendendo dai genitori, ma qualcosa era cambiato lungo la strada per questi tre ragazzi, così come accade per molti bambini di oggi. Non si tratta del fatto che non avessero più bisogno di essere accuditi e guidati; finché un bambino non è in grado di vivere in modo indipendente, avrà sempre bisogno di dipendere da qualcuno. Qualsiasi cosa questi bambini avessero potuto provare o pensare, di sicuro non erano affatto pronti a reggersi sulle proprie gambe. Erano ancora dipendenti, solo non si percepivano più dipendenti dai genitori. I loro bisogni non erano svaniti; ciò che era mutato riguardava solo quali fossero le persone scelte per soddisfarli. Il potere di fare i genitori viene trasferito su colui dal quale il bambino dipende, che sia o meno una persona competente, responsabile, amorevole e comprensiva, su cui poter fare reale affidamento; addirittura che sia o no una persona adulta.
Nella vita di questi tre bambini, i compagni avevano sostituito i genitori come oggetto di dipendenza emotiva. Kirsten aveva un gruppo affiatato di tre amici che le servivano come bussola di riferimento e come base affettiva. Per Sean, il gruppo dei pari in generale era diventato il suo attaccamento attivo, l’entità alla quale connettersi in luogo dei genitori. Tutti i suoi valori, interessi e motivazioni erano investiti nei coetanei e nella loro cultura. Per Melanie, il vuoto di attaccamento creato dalla morte della nonna era stato riempito da un’amica. In tutti e tre i casi le relazioni con i coetanei erano in competizione con l’attaccamento ai genitori, e in ognuno la connessione ai pari aveva preso il sopravvento.
Un tale slittamento di potere è una doppia sciagura per i genitori. Non solo vengono lasciati senza il potere di guidare i propri figli, ma gli innocenti e incompetenti usurpatori acquisiscono il potere di fuorviarli. I coetanei dei nostri figli non hanno cercato questo potere in modo attivo: è una cosa che viene al seguito del bisogno di dipendenza. Questa sinistra frattura nel potere genitoriale arriva spesso quando meno ce lo aspettiamo, e in un momento nel quale avremmo più bisogno della nostra naturale autorità.
I semi della dipendenza dai coetanei di solito hanno attecchito durante i primi anni della scuola elementare, ma è durante gli anni successivi che la crescente incompatibilità fra l’attaccamento ai coetanei e quello ai genitori manda a monte il nostro potere genitoriale. È appunto durante l’adolescenza, proprio nel momento in cui ci sono più elementi da gestire come mai prima, e proprio quando la nostra superiorità fisica inizia a scemare, che il potere ci sfugge di mano.
Quello che a noi appare come indipendenza, è in realtà niente altro che un trasferimento di dipendenza. Abbiamo una tale fretta che i nostri figli siano in grado di fare le cose da soli che non riusciamo a vedere quanto sia dipendente la loro natura. Analogamente a quanto è avvenuto per la parola “potere”, anche la parola “dipendenza” ha assunto una connotazione negativa. Vogliamo che i nostri figli siano autonomi, indipendenti, sicuri di sé, che possiedano autocontrollo, facciano affidamento su se stessi, si sappiano orientare da soli e abbiano proprie motivazioni. Abbiamo assegnato un tale valore all’indipendenza che abbiamo perso completamente di vista ciò in cui consiste l’infanzia. I genitori lamentano i comportamenti oppositivi e indisponenti, ma di rado si accorgono che i figli hanno smesso di rivolgersi a loro per avere sostegno, conforto, assistenza. Sono disturbati che i ragazzi non si conformino più alle loro ragionevoli aspettative, ma sembrano inconsapevoli del fatto che non cerchino più il loro affetto, la loro approvazione e il loro apprezzamento. Non si accorgono che i figli si rivolgono ai coetanei per avere sostegno, amore, legame e senso di appartenenza. Quando l’attaccamento si trasferisce, si trasferisce anche la dipendenza e, insieme ad essa, il potere genitoriale.
La sfida più grande per i genitori di Kirsten, Sean e Melanie non era quella di rinforzare le regole, indurre all’obbedienza, o porre fine a questo o quel comportamento; era invece quella di reclamare i propri figli, di riallineare le forze di attaccamento ai genitori. Dovevano promuovere nei propri figli quella dipendenza che è la fonte del potere genitoriale. Per riconquistare la naturale autorità, dovevano sostituire e occupare la giurisdizione illegittima dei loro ignari e inconsapevoli usurpatori: gli amici dei figli. Per quanto ristabilire l’attaccamento con i propri figli sia molto più facile a dirsi che a farsi, è comunque il solo modo per riconquistare l’autorità parentale. Gran parte del mio lavoro con le famiglie, e molti dei consigli che darò in questo libro, sono volti ad aiutare i genitori a riguadagnare la loro naturale posizione di autorità.
Cos’è che all’inizio rende i coetanei capaci di prendere il posto dei genitori, visto che una tale permuta sembra essere del tutto contraria alle vere necessità? Come sempre, esiste una logica nell’ordine naturale delle cose. La capacità di un bambino di creare un attaccamento con persone che non siano i genitori biologici svolge un’importante funzione, poiché nella vita la presenza dei genitori non è affatto garantita: potrebbero morire o dileguarsi. Il nostro programma di attaccamento richiedeva la flessibilità di trovare dei sostituti a cui legarsi e da cui dipendere. Gli esseri umani non sono soli in questa capacità di trasferimento. Ciò che rende alcune creature degli ottimi animali da compagnia è proprio la loro capacità di trasferire l’attaccamento dai propri genitori agli umani, permettendo a noi uomini di gestirli e averne cura.
Poiché gli esseri umani hanno un lungo periodo di dipendenza, gli attaccamenti devono poter essere trasferiti da una persona a un’altra, dai genitori ai parenti e ai vicini o ai più anziani del villaggio e della tribù. La natura prevede che tutti costoro, a turno, giochino il loro ruolo nel crescere il bambino fino alla piena maturità. Questa notevole adattabilità, che è stata utile a genitori e figli per migliaia di anni, ha finito per perseguitarci in epoche recenti. Nelle condizioni attuali, è un’adattabilità che consente ai coetanei di prendere il posto dei genitori.
La maggior parte dei genitori è in grado di percepire la perdita di potere nel momento in cui i propri figli si orientano ai coetanei, anche se non sa riconoscere la vera natura dell’evento. Infatti l’attenzione dei bambini di questo tipo è più difficile da dirigere, il rispetto inizia a venir meno, l’autorità genitoriale viene erosa. Ognuno dei genitori dei tre casi citati nel nostro esempio, interrogato in merito, disse di essere in grado di identificare il momento in cui il proprio potere aveva iniziato a svanire. L’erosione della naturale autorità viene notata all’inizio dai genitori come una sensazione impercettibile che qualcosa stia andando per il verso sbagliato.