prima parte

il fenomeno dell'orientamento ai coetanei

capitolo iIi

Perchè si è spezzato
il legame

Come si spiega che, nel mondo di oggi, i bambini trasferiscano così prontamente l’attaccamento dagli adulti che li allevano ai loro coetanei? La causa non risiede nel fallimento dei singoli genitori, quanto in un disastro culturale senza precedenti che i nostri istinti non riescono a compensare adeguatamente.


La società non riesce più a soddisfare i bisogni evolutivi delle nuove generazioni. Proprio mentre gli studiosi del ventesimo secolo scoprivano il ruolo chiave dell’attaccamento per una sana crescita psicologica, sottili trasformazioni sociali lasciavano senza difese l’orientamento agli adulti dei più giovani. Forze economiche e tendenze culturali dominanti negli ultimi decenni hanno smantellato il contesto sociale utile al funzionamento naturale sia degli istinti genitoriali, sia della spinta all’attaccamento nei bambini.


Benché i giovani esseri umani siano indotti all’attaccamento da una forte spinta genetica, nella mente del bambino non esiste un luogo dove sia radicato un archetipo della figura del genitore o dell’insegnante. Il cervello infantile è programmato solo per orientarsi, creare l’attaccamento e, infine, preservarlo con chiunque rappresenti la sua bussola di riferimento. Non vi è nulla che induca un bambino a cercare, in modo esclusivo, qualcuno che somigli a mamma o papà, né qualcuno che sembri capace, maturo e in grado di prendersi cura di lui. Non esiste alcuna preferenza innata che spinga verso la scelta di un adulto responsabile, nessun riferimento, nel primitivo cervello di attaccamento, a insegnanti con diploma di laurea. Nessun circuito congenito che riconosca ruoli e incarichi assegnati dalla società, o sappia che insegnanti, puericultori – e in definitiva anche i genitori – debbono essere seguiti, rispettati e tenuti vicini.


Nel corso della storia non vi è mai stato alcun bisogno di una simile programmazione: come per tutti i mammiferi e molti altri animali, era nell’ordine naturale delle cose che fosse la spinta stessa all’attaccamento, innata e istintiva nei piccoli, a creare un legame con chi avrebbe provveduto al loro accudimento fino alla maturità, ossia con gli adulti della stessa specie. È questo il sistema escogitato dalla natura per assicurare una sana sopravvivenza della prole fino all’età adulta; è il contesto nel quale per i piccoli è possibile la realizzazione completa del loro potenziale genetico, e nel quale ai loro istinti viene data piena e vigorosa espressione.


Nella nostra società l’ordine naturale delle cose è stato completamente sconvolto: sin dalla più tenera età, esponiamo fiduciosi i nostri figli a molte situazioni e interazioni che incoraggiano l’orientamento ai coetanei. Promuoviamo inconsapevolmente proprio quel fenomeno che, a lungo andare, eroderà le uniche solide fondamenta su cui poggiare un sano sviluppo infantile, ossia l’attaccamento dei bambini agli adulti che ne sono responsabili. Mettere i piccoli in una posizione in cui i loro istinti di attaccamento e orientamento sono diretti verso i coetanei è un’aberrazione. Non siamo pronti per questo; la nostra mente non è organizzata per adattarsi con successo a un tale stravolgimento delle previsioni naturali.

John Bowlby, psichiatra inglese e grande pioniere negli studi sull’attaccamento, scrisse che

l’equipaggiamento comportamentale di una specie può essere meravigliosamente adatto alla vita in un determinato ambiente, e condurre invece a sterilità e morte in un altro.

Ogni specie possiede ciò che Bowlby chiamava il suo “ambiente di adattabilità”, ossia quelle circostanze alle quali meglio si adattano la propria anatomia, la propria fisiologia e le proprie capacità psicologiche. In ogni altro ambiente non ci si può aspettare che l’organismo o la specie funzionino altrettanto bene, ed è probabile che esibiscano comportamenti

che nel migliore dei casi sono bizzarre e nel peggiore decisamente sfavorevoli alla sopravvivenza8.

Nella società postindustriale l’ambiente non incoraggia più i bambini a crescere lungo le linee naturali dell’attaccamento.

Una cultura di attaccamenti mancati

Il contrasto fra le culture tradizionali multigenerazionali e l’odierna società nordamericana è sconcertante. Nel moderno Nord America urbanizzato – e in altri paesi industrializzati dove lo stile di vita americano è diventato la norma – i bambini si trovano costantemente in situazioni di vuoto d’attaccamento, nelle quali manca uno stabile e profondo legame con adulti che si prendano cura di loro. Sono molti i fattori che promuovono questa tendenza.


Una conseguenza dei mutamenti economici avvenuti nel secondo dopoguerra è che i bambini trascorrono precocemente, a volte sin da subito dopo la nascita, gran parte della giornata in contesti nei quali si ritrovano gli uni in compagnia degli altri. La maggior parte del contatto avviene con altri bambini anziché con gli adulti che contano nella loro vita; e trascorrono molto meno tempo creando un legame con genitori e adulti. Mentre crescono, il processo non fa che accelerare.


La società ha generato una forte pressione economica che spinge entrambi i genitori a lavorare fuori casa quando i bambini sono ancora molto piccoli, ma ha provveduto ben poco al soddisfacimento del loro bisogno di nutrimento affettivo. Per quanto possa apparire sorprendente, gli educatori della prima infanzia, gli insegnanti e gli psicologi – per non parlare dei medici e degli psichiatri – molto di rado sono stati istruiti sull’attaccamento. Nelle strutture che si occupano di cura dell’infanzia e di educazione non esiste una coscienza collettiva riguardo all’importanza cruciale delle relazioni di attaccamento. Sebbene molti singoli insegnanti e puericultori comprendano intuitivamente il bisogno di formare un legame con i bambini, non è raro che si trovino in conflitto con un sistema che non sostiene il loro approccio.


Poiché alla cura dei più piccoli la nostra società non assegna il giusto valore, gli asili nido non ricevono sufficienti finanziamenti. È difficile per un adulto estraneo soddisfare pienamente i bisogni di attaccamento e orientamento di un singolo bambino, soprattutto se molti altri neonati e bambini rivaleggiano per attirare l’attenzione dello stesso adulto di riferimento. Per quanto molte strutture siano ben organizzate e il personale, seppur malpagato, si dedichi con impegno e passione al proprio lavoro, i livelli di qualità sono ben lontani dall’essere uniformemente soddisfacenti. Lo Stato di New York, ad esempio, prescrive che negli asili nido ci sia un addetto per non più di sette bambini, ma si tratta di un rapporto terribilmente pesante. L’importanza del legame con l’adulto non viene apprezzata: bambini che si trovino in tali circostanze non hanno altra speranza se non quella di formare relazioni di attaccamento gli uni con gli altri.


Non è il fatto che entrambi i genitori lavorino ad essere tanto dannoso; la chiave del problema è piuttosto la mancanza di considerazione che attribuiamo all’attaccamento nel gestire la separazione dai figli. Non ci sono abitudini culturali nella società corrente che mettano al primo posto fra i compiti delle puericultrici negli asili nido e degli insegnanti nella scuola materna quello di stabilire prima dei legami con i genitori e solo in un secondo tempo, grazie a un’amichevole presentazione, quello di coltivare un vivo ed efficace attaccamento con il bambino. Sia i genitori sia i professionisti dell’infanzia sono lasciati alla loro propria intuizione, e più spesso neppure a quella. A causa della mancanza di una coscienza collettiva, la gran parte degli adulti segue semplicemente la prassi corrente, pensata senza avere a mente i bisogni dell’attaccamento. Una prassi di attaccamento che veniva seguita da molte parti – quella degli insegnanti delle scuole materne e degli asili che andavano a far visita a casa dei futuri studenti – è stata largamente accantonata, tranne, forse, nelle scuole private con grandi disponibilità economiche. Al cospetto delle forbici che hanno tagliato i finanziamenti, nessuno è stato in grado di giustificare in modo adeguato la funzione vitale di una simile abitudine. I problemi economici sono più facili da comprendere di quelli dell’attaccamento.


Il nodo della questione non è tanto nel cambiamento sociale in sé, ma nella mancanza di compensazione a tale cambiamento. Se dobbiamo condividere con altri il compito di crescere i nostri figli, abbiamo bisogno di costruire il contesto giusto affinché ciò si possa realizzare, creando ciò che chiamo un villaggio di attaccamento, ossia diverse relazioni con adulti in grado di prendersi cura dei nostri figli per rimpiazzare ciò che è andato perduto. Esistono molti modi per farlo, come spiegherò nel capitolo 18.


Dopo l’asilo nido e la scuola materna i nostri bambini entrano nel mondo della scuola, dove vivranno per gran parte della giornata in compagnia dei coetanei, in un ambiente dove la supremazia degli adulti è destinata a scemare sempre più. Se mai esistesse una precisa intenzione di favorire l’orientamento ai coetanei, le scuole, così come sono gestite attualmente, sarebbero senz’altro il nostro strumento migliore. Inseriti in grandi classi con insegnanti esausti, i bambini creano legami gli uni con gli altri. Le regole e i regolamenti tendono a tenerli fuori della classe prima dell’inizio della lezione, facendo in modo che restino per conto loro senza un contatto con gli adulti. Trascorrono la ricreazione e l’intervallo del pranzo in reciproca compagnia. La formazione degli insegnanti trascura completamente l’attaccamento, ed è così che essi studiano come insegnare le varie materie, ma non sanno nulla dell’importanza cruciale che le relazioni di attaccamento e connessione rivestono per il processo di apprendimento dei giovani esseri umani. A differenza di qualche decennio fa, gli insegnanti oggi non si mescolano ai loro studenti nei corridoi o nei cortili delle scuole e viene scoraggiata un’interazione che sia più personale. In contrasto con quanto avviene nelle società tradizionali, la vasta maggioranza degli studenti in Nord America non torna a casa per pranzare con i genitori.


“Ci sono cinquecento studenti nella scuola che frequentano i miei figli”, dice Christina, madre di due bambini, rispettivamente in terza elementare e seconda media, “vado a prenderli ogni giorno per pranzo, ma sono solo dieci su cinquecento quelli che tornano a casa a mangiare, e gli insegnanti fanno anche pressione perché restino a scuola; forse pensano che sono un po’ strana, una mamma iperprotettiva. Eppure, trovo che quel tempo trascorso a casa sia essenziale, i bambini hanno così tanto da raccontare, tutto il resoconto di quello che è successo a scuola, di ciò che è sembrato loro difficile e di ciò che li ha eccitati”. “Mia figlia si precipitava in auto”, racconta un’altra mamma che aveva l’abitudine di riportare a casa la figlia per pranzo: “Mi sommergeva letteralmente di informazioni, tutto quello che le era successo, cosa aveva provato, come si era sentita facendo qualcosa di ‘sbagliato’ oppure qualcosa di molto buono”. Ci si domanda, ascoltando queste due mamme, quale moltitudine di esperienze e sentimenti resti inespressa e non rielaborata per molti degli altri bambini.

In generale, ci concentriamo maggiormente sul fatto che i nostri figli mangino, anziché sui rituali legati ai pasti che sono designati per il mantenimento della connessione. Nel suo libro pionieristico, The Sibling Society [La Società degli eterni adolescenti, N.d.T.], il poeta americano Robert Bly descrive molte manifestazioni dell’orientamento ai coetanei, e ne suggerisce le cause. Sebbene Bly non analizzi il fenomeno compiutamente, le sue intuizioni avrebbero dovuto ricevere maggiore attenzione. Egli scrive: “I pasti in famiglia, le chiacchierate, le passeggiate insieme non esistono più. Ciò di cui i giovani hanno bisogno – stabilità, presenza, attenzione, consigli, del buon cibo per l’anima e storie incontaminate – è esattamente tutto ciò che la società degli eterni adolescenti non potrà mai offrire loro”9.

Nella società contemporanea i vuoti di attaccamento abbondano; un vuoto crescente è stato creato dalla perdita della famiglia allargata, ai bambini spesso mancano relazioni con le generazioni precedenti – ossia con quelle persone che, per gran parte della storia umana, sono state spesso più adatte degli stessi genitori a offrire quell’accettazione amorevole e incondizionata che è alla base della serenità emotiva. Sono pochi i bambini che oggi possono godere della presenza costante e rassicurante dei nonni e degli zii, dell’abbraccio protettivo della famiglia multigenerazionale.


La crescente mobilità ha una forte influenza nel favorire l’orientamento ai coetanei, in quanto interrompe la continuità culturale. La cultura si sviluppa nel corso di generazioni che appartengono a una stessa comunità; non viviamo più in villaggi e piccoli paesi, perciò non siamo più uniti a coloro che ci vivono accanto. L’incessante sradicamento ci ha resi anonimi, creando esattamente l’antitesi del villaggio di attaccamento; i nostri figli non possono essere accuditi da persone di cui a stento conosciamo il nome.


A causa del dislocamento geografico e dei frequenti trasferimenti, nonché del crescente orientamento ai coetanei degli stessi adulti, i bambini di oggi hanno molte meno probabilità di godere della compagnia di anziani che si preoccupino per il loro benessere e la loro crescita. Si tratta di una mancanza che va ben oltre l’ambito familiare e caratterizza virtualmente le relazioni sociali nel loro complesso. Ciò che manca di solito sono gli attaccamenti con adulti che si assumano una qualche responsabilità verso il bambino. Un esempio di specie a rischio è quello del medico di famiglia, una persona che conosceva intere generazioni di una stessa famiglia, una figura stabile ed emotivamente presente nella vita dei suoi membri, e questo sia nei momenti critici, sia in quelli di festa. L’anonimo dottore dell’ambulatorio, non sempre reperibile, a stento può considerarsi un buon sostituto del vecchio medico di famiglia. In modo simile gli artigiani, i negozianti e i commercianti di quartiere sono stati rimpiazzati da generici esercizi commerciali senza alcun radicamento nel contesto locale e senza alcun legame personale con le comunità nelle quali operano. Il simpatico Mr. Hooper della serie televisiva “Sesame Street” è, al giorno d’oggi, solo una benevola finzione narrativa. Si tratta di questioni che vanno ben oltre l’aspetto economico, e che arrivano al cuore di ciò che è un villaggio di attaccamento. Dove sono i surrogati di nonni e zii che coadiuvavano e sostituivano la famiglia nucleare e allargata del passato? Dov’è la rete di sicurezza degli attaccamenti con adulti nel caso in cui i genitori non siano presenti? Dove sono gli adulti mentori in grado di assistere nell’orientamento dei nostri ragazzi? I nostri figli crescono con una ricchezza di relazioni con i coetanei e una povertà di relazioni con gli adulti.


Un altro vuoto di attaccamento è stato creato dalla secolarizzazione della società: a parte il discorso religioso, attorno alla chiesa, al tempio, alla moschea o alla sinagoga si coagulava una comunità che forniva un sostegno importante per i genitori e un villaggio di attaccamento per i bambini. La secolarizzazione ha significato molto più che la perdita della fede o del radicamento spirituale; ha infatti condotto alla perdita di un villaggio di attaccamento. Oltre a ciò, l’interazione con i coetanei è diventata una priorità per molte chiese. In molte di esse, ad esempio, non appena si varca la soglia, le famiglie vengono divise e i loro membri raggruppati per età. Ci sono luoghi dove lasciare i bambini piccoli, gruppi dedicati agli adolescenti, chiese per i più giovani e persino gruppi per gli anziani. Per coloro che sono inconsapevoli dell’importanza dell’attaccamento e ignari dei pericoli posti dall’orientamento ai pari, è scontato che le persone stiano con quelli della propria età. Le grandi organizzazioni religiose si sono trasformate e si dedicano solo ai giovani o ai giovani adulti, promuovendo così senza accorgersi la perdita della connessione multigenerazionale.

La frantumazione dei legami familiari

Si dice che la famiglia nucleare sia l’unità fondante della società, ma essa stessa è sottoposta a una pressione estrema. I tassi di divorzio sono saliti rapidamente; il divorzio è una doppia sciagura per i bambini poiché crea allo stesso tempo attaccamenti competitivi e vuoti d’attaccamento. Ai bambini, naturalmente, piace che tutti i loro vivi attaccamenti risiedano sotto uno stesso tetto. L’unità dei genitori consente loro di soddisfare il proprio desiderio di vicinanza e contatto con entrambi simultaneamente. Inoltre, molti bambini sono legati ai propri genitori come coppia. Quando i genitori divorziano, diventa impossibile restare vicino a entrambi contemporaneamente, almeno dal punto di vista fisico. I bambini più maturi, che hanno sviluppato appieno il loro attaccamento ai genitori, sono meglio equipaggiati per tenersi vicini a entrambi anche dopo una separazione: sono ancora in grado di appartenere a entrambi, di amarli e essere conosciuti da entrambi contemporaneamente. Ma molti bambini, anche quelli abbastanza grandi, non riescono a fronteggiare la situazione. I genitori che competono con l’altro genitore, o lo trattano come persona non gradita, mettono il bambino (o, più precisamente, il cervello preposto all’attaccamento del bambino) in una situazione impossibile: per essere vicino a uno, il bambino deve separarsi dall’altro, dal punto di vista fisico e anche psicologico.


Il problema degli attaccamenti rivali può esacerbarsi quando i genitori scelgono nuovi partner. Ancora una volta, i bambini eviteranno spesso per istinto il contatto con un genitore acquisito per preservare la vicinanza con il genitore originario. La sfida, per i genitori biologici e per quelli acquisiti, è di facilitare un nuovo attaccamento che non entri in conflitto, anzi – ancor meglio – sia di sostegno alla relazione già esistente. Solo quando le relazioni sono complementari il cervello preposto all’attaccamento del bambino può abbassare la guardia e diventare ricettivo alle proposte di legame che provengono da ambo le parti.


A causa dei conflitti coniugali che precedono il divorzio, i vuoti di attaccamento possono prender forma molto prima del divorzio stesso. Quando i genitori perdono il sostegno emotivo reciproco o sono preoccupati per la loro relazione, diventano meno disponibili per i bambini che, privati del contatto emotivo con gli adulti, si rivolgono ai coetanei. Inoltre, in condizioni di stress, è una tentazione per gli stessi adulti cercare sollievo alle responsabilità dell’accudimento, e uno dei modi più semplici per farlo è incoraggiare l’interazione con i coetanei. Quando i bambini sono in compagnia gli uni degli altri sono molto meno esigenti con i genitori.

Gli studi sui figli di divorziati hanno scoperto che questi, a livello di gruppo, incorrono più facilmente in problemi scolastici e aggressività, e sono anche più inclini a manifestare problemi comportamentali10. Tali studi, peraltro, non sono stati in grado di determinare perché ciò accada. Grazie alla comprensione dell’attaccamento, possiamo vedere come questi sintomi siano conseguenza diretta della perdita del legame emotivo con i genitori, con la conseguenza di dover fare eccessivo affidamento sulle relazioni con i coetanei.


Nessuna di queste considerazioni vuole suggerire che per i figli coinvolti sarebbe meglio che i genitori proseguissero in matrimoni martoriati dai conflitti11, però, ancora una volta, è necessario essere consapevoli dell’impatto che la conflittualità dei genitori ha sull’attaccamento dei bambini. Che ci si renda meno disponibili per i figli a causa di lotte coniugali o del divorzio, sarebbe sempre bene coinvolgere altri adulti nella cura e nell’accudimento dei figli, anziché utilizzare i loro coetanei per sollevarci dalle fatiche dei doveri parentali. Dovremmo far appello a parenti e amici perché entrino a riempire il vuoto di attaccamento e creare una rete di sicurezza.


Persino le famiglie nucleari ancora intatte sono vulnerabili ai vuoti di attaccamento. Oggi è spesso necessario che entrambi i genitori lavorino a tempo pieno per assicurare quel livello di vita che trenta o quaranta anni fa caratterizzava le famiglie monoreddito. L’approfondirsi delle tensioni sociali e il senso crescente di instabilità economica, persino in contesti di relativo benessere, sono tutti fattori che hanno contribuito alla creazione di un ambiente nel quale è sempre più difficile essere genitori tranquilli e connessi. È proprio nel momento in cui adulti e genitori avrebbero bisogno più che mai di formare attaccamenti e legami solidissimi con i propri figli che si ritrovano con poco tempo e poche energie per farlo.

Robert Bly nota che

Nel 1935, il lavoratore medio aveva 40 ore libere a settimana, incluso il sabato. Nel 1990 si era scesi a 17 ore. Le 23 ore libere a settimana perdute dal 1935 erano proprio quelle in cui un padre poteva prendersi cura del figlio, trovare un proprio centro dentro di sé; ed erano proprio le ore in cui una moglie poteva sentire di avere davvero un marito12.

Si tratta di modelli che caratterizzano non solo i primi anni di vita, ma tutta l’infanzia del bambino. Sebbene molti padri oggi siano più coscienziosi e condividano le responsabilità dell’accudimento, le tensioni della vita moderna e la cronica mancanza di tempo stravolgono le loro migliori intenzioni.

La nostra società assegna al consumismo un valore superiore di quello che attribuisce al sano sviluppo dei bambini. Per ragioni economiche i naturali attaccamenti dei bambini ai loro genitori vengono attivamente scoraggiati. Come medico di famiglia, il mio co-autore si è spesso trovato nella posizione grottesca di dover scrivere certificati per i datori di lavoro dove giustificava, per motivi di “salute”, la decisione di una donna di restare a casa ancora qualche altro mese dopo la nascita del figlio per poterlo allattare – un bisogno fisiologico essenziale per un bambino piccolo, ma anche una naturale e intensa funzione di attaccamento per tutti i mammiferi, soprattutto gli esseri umani. È per ragioni economiche che il compito dei genitori non ha il rispetto che dovrebbe, che si vive dove si lavora anziché dove risiedono i naturali gruppi di sostegno – amici, famiglia allargata e comunità di origine. Le ragioni economiche che portano a questo vanno spesso al di là del controllo dei singoli genitori, come nel caso in cui intere industrie siano chiuse o trasferite altrove. È sempre per motivi economici che costruiamo scuole troppo grandi perché possa generarsi il legame e che ci sono classi troppo numerose perché i bambini ricevano attenzione individualmente.


Come vedremo nella terza parte, l’orientamento ai coetanei esige costi immensi dalla società, alimentando l’aggressione e la delinquenza, rendendo gli studenti più difficili da istruire, e fomentando scelte e stili di vita non sani. Se dovessimo stimare la vera perdita economica per la società, a causa dell’orientamento ai coetanei, nelle aree della giustizia, dell’istruzione e della salute, senza ombra di dubbio ci renderemmo conto della nostra attuale miopia. Alcuni Paesi se ne sono resi conto e forniscono sgravi fiscali e persino un sostegno diretto ai genitori che scelgono di restare a casa più a lungo dopo la nascita o l’adozione di un figlio prima di tornare al lavoro.

Cambiamento frenetico e tecnologia impazzita

Più di ogni altra cosa, abbiamo perso le abitudini culturali e le tradizioni che tenevano unite le famiglie allargate, legando adulti e bambini in relazioni d’affetto che offrivano agli adulti amici dei genitori un posto nella vita dei loro figli. È il ruolo della cultura quello di coltivare i legami fra colui che dipende e colui dal quale si dipende, prevenendo così l’insorgere di vuoti di attaccamento.


Molte sono le ragioni per cui la cultura ci ha abbandonati, e due meritano di essere menzionate.

La prima è il rapido e stridente tasso di cambiamento che ha caratterizzato le società industriali del ventesimo secolo. Ci vuole tempo per sviluppare costumi e tradizioni che servano ai bisogni dell’attaccamento, centinaia di anni per creare una cultura attiva in sintonia con un particolare contesto geografico e sociale; la nostra società si è evoluta troppo rapidamente perché la cultura potesse svilupparsi in conformità. Lo psicanalista Erik H. Erikson dedicò un capitolo del suo Childhood and Society [Infanzia e Società, N.d.T.], vincitore del premio Pulitzer, a riflessioni sull’identità americana:

Questo paese dinamico”, scrisse, “nel corso di una generazione espone i suoi abitanti a contrasti più estremi e mutamenti più repentini di quanto accada normalmente in altre grandi nazioni13.

Tali tendenze non hanno fatto che accelerare da quando Erikson fece le sue osservazioni nel 1950: c’è ora più cambiamento in un decennio di quanto ce ne fosse prima in un secolo. Quando le circostanze mutano più in fretta rispetto alle capacità di adattamento della cultura, i costumi e le tradizioni si disintegrano: nessuna meraviglia che la cultura odierna fallisca nel suo compito tradizionale di sostenere l’attaccamento fra adulti e bambini.


La trasmissione elettronica della cultura è stata parte del rapido cambiamento, consentendo a una cultura, frammista a interessi commerciali e da questi influenzata, di essere trasmessa via etere direttamente nelle nostre case e nella mente stessa dei nostri figli. La cultura istantanea ha rimpiazzato ciò che veniva tramandato di generazione in generazione attraverso il costume e la tradizione. “Quasi ogni giorno mi trovo a lottare con la cultura della gomma americana a cui sono esposti i miei figli”, ha detto un padre frustrato intervistato per questo libro; non solo il contenuto è spesso estraneo alla cultura dei genitori, ma il processo della trasmissione ha escluso i nonni e li ha messi tristemente fuori portata. Anche i giochi sono diventati elettronici; sono sempre stati uno strumento culturale per collegare le persone fra loro, soprattutto i bambini agli adulti. Ora invece sono attività solitarie, guardati in parallelo con le telecronache sportive o fatti in solitudine al computer.


Il cambiamento più significativo degli ultimi tempi ha riguardato la tecnologia della comunicazione – prima la telefonia e poi internet con la posta elettronica e la messaggistica in tempo reale. Siamo innamorati della tecnologia della comunicazione, senza essere consapevoli che una delle sue funzioni principali è proprio quella di facilitare l’attaccamento. L’abbiamo consegnata involontariamente nelle mani dei nostri figli che, com’è ovvio, la utilizzano per connettersi con i coetanei. A motivo dei loro intensi bisogni di attaccamento, questo contatto crea una forte dipendenza, diventando spesso una delle loro principali preoccupazioni. La nostra cultura non è stata in grado di far evolvere i costumi e le tradizioni in modo che potessero contenere tale cambiamento, perciò siamo lasciati ancora una volta ai nostri congegni. Questa nuova meravigliosa tecnologia sarebbe uno strumento positivo molto potente per facilitare il contatto fra adulti e ragazzi – come ad esempio nel caso in cui facilita la comunicazione con i genitori degli studenti che vivono lontano da casa – ma, lasciata senza controllo, promuove l’orientamento ai coetanei.

Come funziona una cultura di attaccamento

Le mancanze della cultura nordamericana saltano immediatamente agli occhi quando osserviamo una società che onora ancora gli attaccamenti tradizionali. Ho avuto l’occasione di farlo quando, insieme a mia moglie Joy e ai nostri figli abbiamo recentemente trascorso del tempo a Rognes, un paesino della Provenza.


La Provenza richiama subito alla mente immagini di una cultura senza tempo. Il clima soleggiato, i vigneti, il fascino del vecchio mondo, il cibo, tutto evoca un senso di nostalgia. Ma è istruttivo guardare alla Provenza da un altro punto di vista, per ciò che può insegnarci in merito all’attaccamento. Come vedremo nel capitolo finale, persino nel contesto assai diverso della società postindustriale nordamericana non è impossibile mettere in pratica alcuni di questi insegnamenti, mentre ci accingiamo a ricreare quello che a me piace chiamare “un nostro villaggio di attaccamento”.


Quando arrivammo in Provenza, mi aspettavo già di poter osservare una cultura diversa ma, con in mente l’attaccamento, mi fu subito chiaro che era molto più che una cultura diversa: potevamo assistere alla cultura in azione, una cultura che funzionava davvero. I bambini salutavano gli adulti e gli adulti salutavano i bambini, la socializzazione coinvolgeva le famiglie intere, non gli adulti con gli adulti e i bambini con i bambini. Nel paese si svolgeva solo un’attività alla volta, così le famiglie non erano spinte in tante direzioni diverse; la domenica pomeriggio era dedicata alle scampagnate. Persino attorno alla fontana del paese, luogo di ritrovo per tutti, gli adolescenti si mescolavano ai più anziani. Le feste e le celebrazioni, di cui vi era abbondanza, riguardavano tutta la famiglia; la musica e i balli univano le diverse generazioni anziché separarle e la cultura aveva la precedenza sul materialismo. Era impossibile comprare anche solo una semplice baguette senza prima aver preso parte agli opportuni rituali di saluto. I negozi del paese restavano chiusi per tre ore a mezzodì mentre le scuole si svuotavano e le famiglie si riunivano. Il pranzo era consumato in modo congeniale, con gruppi multi generazionali seduti attorno a un tavolo, a condividere il pasto e la conversazione.


I rituali di attaccamento che si manifestavano attorno alla scuola primaria del paese erano altrettanto stupefacenti: i bambini erano personalmente accompagnati a scuola e ripresi dai genitori o dai nonni. La scuola era recintata e vi si poteva accedere da un’unica entrata. Al cancello, gli insegnanti, attendevano che i bambini venissero affidati loro: di nuovo, la cultura imponeva che si stabilisse una connessione attraverso opportune formule di saluto fra adulti accompagnatori e insegnanti e fra insegnanti e studenti. A volte, se una classe era stata radunata ma la campanella non era ancora suonata, l’insegnante conduceva la classe attraverso il cortile, come una mamma anatra seguita dai suoi anatroccoli. Mentre agli occhi di un nordamericano questo sembrerebbe un rituale da scuola materna, e persino assurdo, in Provenza era assolutamente evidente che fosse parte dell’ordine naturale delle cose. Quando i bambini uscivano da scuola era sempre una classe alla volta e la maestra in testa, che attendeva con gli studenti al cancello finché non fossero stati tutti prelevati da genitori o nonni. Le maestre rimanevano tali che si fosse a scuola, al mercato o alla festa del paese. Non c’erano molte crepe nelle quali inciampare e cadere, la cultura provenzale riduceva al minimo i vuoti di attaccamento.


Mi sono arrischiato a fare domande sul perché facessero questo o quello: non ho mai ottenuto risposta. Ne ho ricavato la sensazione che le mie domande fossero fuori luogo, come se ci fosse una specie di tabù riguardo all’analisi dei costumi e delle tradizioni. La cultura andava seguita, non messa in discussione. La saggezza dell’attaccamento risiedeva evidentemente nella cultura stessa, e non nella consapevolezza delle singole persone. Come aveva fatto, la società provenzale, a conservare il potere tradizionale delle vecchie generazioni di trasmettere ai figli la propria cultura e i propri valori? Perché i giovani della campagna francese erano in grado di formare attaccamenti con i coetanei che non sembravano in antagonismo con i loro attaccamenti agli adulti? La risposta ha a che fare con il modo in cui si forma l’attaccamento.

La via naturale all'attaccamento

In linea generale gli attaccamenti si formano in uno dei due modi seguenti: come frutto naturale di attaccamenti già esistenti o per riempire il nulla intollerabile di un vuoto di attaccamento. Il primo dei due si evidenzia già durante la prima infanzia; a sei mesi, gran parte dei bambini mostrano una resistenza al contatto e alla vicinanza con coloro a cui non sono legati da attaccamento. Il superamento di questa resistenza richiede un certo tipo di interazione fra l’attaccamento attivo del bambino e l’“estraneo”. Ad esempio, se la madre è coinvolta in un amichevole contatto con l’estraneo per un certo tempo, avendo cura di non spingere il piccolo al contatto, ma permettendogli semplicemente di osservare, generalmente la resistenza si ammorbidisce e il bambino diventa ricettivo alla relazione con il nuovo venuto. Deve esserci una presentazione amichevole, una “benedizione”, per dirla così. Una volta che gli istinti di attaccamento del piccolo siano stati coinvolti e si sia goduto di un momento di vicinanza, di solito il bambino sarà più propenso al contatto e accetterà che la nuova persona si prenda cura di lui. Colui che prima era un adulto “estraneo” – un amico di famiglia, per esempio, o una babysitter – avrà ora conquistato il “permesso” del bambino di poterlo accudire.


Il meccanismo è ingegnoso: quando un nuovo attaccamento nasce da una relazione attiva già esistente, è molto meno probabile che diventi una forza in competizione, è invece più probabile che il legame con il genitore venga rispettato. Il genitore resta come massimo punto di riferimento, e la relazione con lui continuerà ad avere la priorità. È molto difficile che i contatti con i fratelli, i nonni, la famiglia allargata e gli amici di famiglia strappino il bambino al genitore, anche nel caso in cui siano coinvolti dei coetanei.


La capacità dei legami vivi di attaccamento di generare nuove relazioni permette ciò che ho chiamato il “villaggio naturale di attaccamento”, originatosi essenzialmente a partire dai genitori. I legami dei genitori finiscono per diventare anche quelli dei figli e forniscono un contesto nell’ambito del quale il bambino può essere allevato. Ecco perché gli attaccamenti ai coetanei dei bambini di Rognes non sembravano in conflitto con l’attaccamento ai genitori, ed ecco perché i bambini di Rognes erano ricettivi e potevano essere guidati e accuditi da quasi ogni adulto del paese.

Attaccamenti che nascono da un vuoto

Nella società americana – e in altre società che funzionano seguendo il modello americano – molti attaccamenti ai coetanei non nascono naturalmente. Essi scaturiscono dall’incapacità del giovane di sopportare un vuoto di attaccamento: vuoto che si manifesta quando i legami tradizionali sono erosi e il bambino si ritrova privo di un naturale punto di riferimento. In tale situazione il cervello è programmato per cercare un sostituto, qualcuno che funzioni come attaccamento attivo. Per un bambino bisognoso, questa ricerca acquista la massima priorità.


Come la storia e la leggenda ci insegnano, gli attaccamenti che prendono forma per necessità sono indiscriminati e accidentali – il frutto della coincidenza e del disordine. I gemelli Romolo e Remo, mitici fondatori di Roma, furono gettati in un abisso di attaccamento e poi allevati da una lupa. Tarzan subì lo stesso destino ma fu adottato da alcune scimmie. Nel classico per bambini di Majorie Kinnan Rawlings, Il Cucciolo, un cerbiatto orfano è cresciuto da un ragazzo. Una gazzella può attaccarsi a un leone, un gatto a un cane, il mio galletto aveva scelto l’Harley-Davidson di mio fratello.


I vuoti di attaccamento, le situazioni dove gli attaccamenti naturali del bambino vengono a mancare, sono pericolosi proprio perché i loro esiti sono assolutamente indiscriminati. Come già sottolineato, se mamma anatra non è vicina quando l’anatroccolo esce dall’uovo, la giovane creatura formerà un attaccamento con l’oggetto in movimento a lei più vicino. Per i bambini, il processo dell’imprinting è di gran lunga più complesso, ma è molto probabile che il punto di riferimento per orientarsi diventerà la prima persona che sembrerà dare sollievo al vuoto di attaccamento. Il programma genetico che guida l’attaccamento umano è cieco di fronte a fattori quali l’affidabilità, il senso di responsabilità, la sicurezza, la maturità e la capacità di offrire attenzione e cure amorevoli. Non vi è alcuna intelligenza al servizio del processo di sostituzione, e molti attaccamenti, anche di noi adulti, ne sono una triste testimonianza. Per il bambino, non ha luogo alcun esame preliminare, non vi è alcuna riflessione interiore, la questione fondamentale dell’attaccamento non entra mai nella sua coscienza: la persona che scelgo come bussola di riferimento è in linea con i miei genitori? Sarò in grado di sentirmi vicino a entrambi contemporaneamente? Posso fare affidamento su questa persona? Questa relazione sarà in grado di offrirmi amore incondizionato e accettazione? Posso fidarmi della guida e dell’orientamento che questa persona mi offre? Mi inviterà a essere ciò che sono veramente e a esprimere il mio io autentico? Troppo spesso gli adulti capaci di dispensare le necessarie cure sono soppiantati in favore del gruppo dei coetanei. Ciò che ha inizio come una sostituzione temporanea in situazioni specifiche di vuoti d’orientamento, finisce per diventare uno scambio permanente.


La probabilità che un attaccamento diventi “un’infatuazione” che compete con l’attaccamento ai genitori è molto superiore quando nasce da un vuoto anziché da una relazione sana già esistente. Le relazioni con i coetanei sono più sicure quando scaturiscono in maniera naturale dagli attaccamenti con i genitori; sfortunatamente però, invece di prender vita da una connessione, esse traggono più spesso origine da una disconnessione.


Più i bambini formano attaccamenti con coetanei che non hanno legami con noi, e più è probabile che ne risulti un’incompatibilità. Il risultato è una spirale crescente di orientamento ai coetanei. I nostri genitori erano meno orientati ai coetanei rispetto a quanto lo siamo noi, e i nostri figli lo saranno molto probabilmente più di quanto non lo fossimo noi, a meno che non si riesca a fare qualcosa.


L’esperienza attuale dell’immigrazione in Nord America illustra vividamente come l’orientamento ai compagni pregiudichi le connessioni culturali avvalorate dal tempo. I vuoti di attaccamento vissuti dai bambini immigrati sono molto profondi: i genitori lavorano duramente e concentrano le proprie energie nel sostentamento economico e materiale della famiglia; inoltre, l’estraneità alla lingua e ai costumi della nuova società impedisce loro di orientare i figli con sicura autorevolezza. I coetanei restano spesso le uniche persone disponibili a cui i bambini immigrati possono legarsi. Catapultate all’interno di una cultura dei pari, le famiglie immigrate rischiano di disgregarsi rapidamente. L’abisso fra genitori e figli può aumentare fino a diventare incolmabile; i genitori perdono a questo punto ogni dignità, ogni potere e ogni facoltà di guida. Alla fine i coetanei sostituiscono i genitori e le bande prendono sempre più il posto delle famiglie. Ancora una volta, il problema non è nell’immigrazione o nella necessaria dislocazione geografica dovuta alla guerra o alla miseria: trapiantate nella società nordamericana orientata ai coetanei, le culture tradizionali soccombono. Non riusciamo a gestire i nostri immigrati proprio perché la nostra società ha fallito per prima nel preservare la relazione genitori-figli.


In alcune parti del Paese si vedono ancora famiglie, in genere di provenienza asiatica, riunirsi in gruppi multigenerazionali e uscire insieme: genitori, nonni, e persino bisnonni vacillanti, si mescolano, ridono e socializzano con i propri figli e i figli dei loro figli. Purtroppo questo avviene solo fra gli immigrati più recenti; quando la gioventù inizia a essere incorporata nella società nordamericana, i legami con i più anziani svaniscono; i ragazzi si allontanano dalle proprie famiglie. Le loro icone diventano le figure artificiose e ipersessualizzate create dal mercato hollywoodiano dei media e dall’industria americana della musica. Essi si estraniano rapidamente dalla cultura che, generazione dopo generazione, ha sostenuto i loro antenati. Osservare la rapida dissoluzione delle famiglie di immigrati sotto l’influenza della società dei pari, significa assistere, come fosse un video accelerato, alla catastrofe culturale che noi stessi abbiamo sofferto negli ultimi cinquant’anni.


Sarebbe incoraggiante credere che altre parti del mondo resistano con successo alla tendenza verso l’orientamento ai pari; ma è molto probabile che avvenga esattamente l’opposto mentre l’economia globale esercita la sua influenza corrosiva sulle culture tradizionali di altri continenti. I problemi dovuti all’alienazione degli adolescenti si incontrano oggi diffusamente proprio in quei Paesi che più da vicino hanno seguito il modello americano: la Gran Bretagna, l’Australia e il Giappone. Si potrebbe predire una fine analoga anche altrove, come risultato dei mutamenti economici e dei massicci spostamenti di popolazione. Ad esempio, i disturbi legati allo stress stanno proliferando fra i ragazzi russi. Secondo un rapporto del New York Times, dal collasso dell’Unione Sovietica, più di un decennio fa, quasi un terzo della popolazione russa stimata in 143 milioni di persone – quindi circa 45 milioni di persone – ha cambiato residenza. L’orientamento ai pari minaccia di diventare una delle più infauste fra tutte le eredità culturali esportate dall’America.

I vostri figli hanno bisogno di voi
I vostri figli hanno bisogno di voi
Gabor Maté, Gordon Neufeld
Perché i genitori oggi contano più che mai.La potente riscoperta del valore basilare dell’attaccamento tra genitori e figli. Più l’attaccamento è forte e sano e più i figli crescono sicuri. Il caos culturale dettato dal materialismo imperante e dalle infatuazioni tecnologiche dell’economia globalizzata minaccia la relazione con i propri figli: questi fattori appartenenti al nuovo mondo, infatti, allentano i legami di attaccamento fra i bambini e gli adulti che se ne prendono cura, distruggono il contesto appropriato perché i genitori possano svolgere il loro compito, menomando lo sviluppo umano e, inesorabilmente, erodendo le basi della trasmissione culturale e valoriale.Nel libro I vostri figli hanno bisogno di voi, un medico e uno psicologo uniscono le forze per trattare una delle tendenze più fraintese e allarmanti del nostro tempo: i coetanei (amici, cuginetti, compagni di scuola) che prendono il posto dei genitori nella vita dei figli.Questo fenomeno è definito come “orientamento ai coetanei”: tale termine si riferisce al fatto che, quando i bambini in età scolare e i giovani ragazzi hanno bisogno di un’indicazione, preferiscono rivolgersi ai coetanei anziché far riferimento al padre, alla madre e al rispetto dei valori naturali, al senso di ciò che è giusto o sbagliato, all’identità e ai normali codici di comportamento.Quando i coetanei sostituiscono i genitori, lo sviluppo dei bambini si arresta: non ci sono più sane figure educative di riferimento, l’orientamento ai pari crea una massa di giovani adulti immaturi, conformisti e inquieti, incapaci di integrarsi nella società corrente. Ora, questo continuo orientarsi ai coetanei non può che deteriorare la coesione familiare, impedendo uno sviluppo sano e equilibrato del bambino, avvelenando l’atmosfera scolastica e favorendo la crescita di una cultura giovanile aggressiva, ostile e prematuramente sessualizzata.Dal canto loro, i genitori sono a disagio, frustrati, e si acuisce la sensazione che lo sviluppo dei bambini sia sfuggito alla loro influenza. Perché si possa essere genitori efficaci, è necessario quindi che i bambini sviluppino la giusta relazione con i genitori.I ragazzi non stanno perdendo i genitori perché manca competenza o coinvolgimento, ma per mancanza di un attaccamento primario. La conservazione della cultura si basa proprio sui modelli di questo genere, e la conseguenza principale della loro perdita è la scomparsa del contesto appropriato per una sana crescita. L’attaccamento di un bambino ai genitori crea infatti un grembo psicologico necessario per dare vita alla personalità e all’individualità.Gli autori Gordon Neufeld e Gabor Maté aiutano i genitori, gli insegnanti e gli operatori sociali a comprendere questo fenomeno inquietante, fornendo soluzioni utili per ristabilire la giusta preminenza del legame che unisce i figli ai genitori e restituendo a questi ultimi il potere e la forza di essere una fonte vera di contatto, guida, calore e sicurezza. Un libro non finisce con l’ultima pagina!Questo titolo si arricchisce di contenuti “extra” digitali. Per consultarli è sufficiente utilizzare il QR code in quarta di copertina.