SECONDA parte

Sabotati: come l’orientamento ai coetanei mette a rischio il legame con i genitori.

capitolo V

Da aiuto a ostacolo:
quando l'attaccamento
lavora contro di noi

L’attore Jerry Seinfeld, neopadre a quarantasette anni, ha commentato quanto fosse sconcertante avere accanto un altro essere umano che ti guarda allegramente negli occhi e nello stesso tempo se la fa addosso: “Immaginate un po’, mentre la fa vi guarda dritto negli occhi!”. Ciò che permette al genitore di stare al gioco è l’attaccamento. Dedizione e valori possono fare molto, ma se si trattasse solo di questo, il compito del genitore resterebbe un mero lavoro. Se non fosse per l’attaccamento, molti non sarebbero in grado di cambiare pannolini senza nausearsi, perdonare il sonno interrotto, sopportare i pianti e il chiasso, adempiere a quei compiti per cui non ci sarà apprezzamento né riconoscimento. Né, col passar del tempo, potrebbero tollerare le sfide poste dai comportamenti irritanti e persino odiosi della loro prole.


L’attaccamento, come abbiamo già visto, svolge il suo lavoro restando invisibile. Coloro che grazie al puro istinto hanno creato una buona relazione di attaccamento con i figli saranno genitori efficaci e competenti, pur non avendo mai appreso formalmente neppure una singola “abilità” genitoriale.


Esistono sette modalità significative attraverso le quali l’attaccamento sostiene in modo efficace il lavoro del genitore. Ciò avviene assicurando innanzitutto la dipendenza del bambino al genitore, dipendenza che è la vera sorgente del potere parentale. Purtroppo, quando gli attaccamenti del bambino sono disallineati, queste stesse sette modalità lavorano per indebolire l’autorità del genitore. Il lettore troverà utile far nuovamente riferimento a questo elenco quando dovesse intraprendere il compito di riaffermare la connessione con i propri figli.


Per i genitori che sono ansiosi di avere consigli sul da farsi, ribadisco ancora una volta che una comprensione attenta e sincera dell’attaccamento è il primo requisito. La mia esperienza nel fornire aiuto a migliaia di genitori e bambini mi ha convinto che, se non si comprende perfettamente come e perché le cose non funzionano – e anche il modo in cui invece dovrebbero funzionare –, qualunque tentativo di soluzione, per quanto ben intenzionato, non farà che aggravare il problema.

L'attaccamento ordina gerarchicamente genitori e figli

Il primo compito dell’attaccamento è quello di ordinare gerarchicamente adulti e bambini. Quando gli esseri umani stabiliscono una relazione, il loro cervello preposto all’attaccamento ordina in modo automatico coloro che ne sono partecipi stabilendo un ordine di dominanza. Esistono posizioni archetipiche, innate e profondamente radicate nel nostro apparato cerebrale congenito, che dividono a grandi linee fra dipendente e dominante, fra colui che accudisce e colui che viene accudito, fra chi riceve e chi provvede. Questo è vero anche per l’attaccamento fra adulti, come nel matrimonio, sebbene le relazioni sane, dove esiste reciprocità, siano caratterizzate da un buon numero di spostamenti avanti e indietro fra le modalità dell’essere accuditi e del dare, a seconda delle circostanze e anche di come i coniugi hanno scelto di dividersi le responsabilità. Rispetto gli adulti, è previsto che i bambini siano nella modalità dipendente, in quella di chi viene accudito.


Finché il bambino sperimenta se stesso nella modalità dipendente, è ricettivo e si farà accudire e guidare: bambini che siano posizionati adeguatamente nell’ordine gerarchico dell’attaccamento vorranno per istinto che ci si prenda cura di loro. Si orienteranno spontaneamente verso i genitori, si rivogeranno a loro per ottenere risposte e si rimetteranno al loro giudizio. In tale dinamica risiede la natura stessa dell’attaccamento: è ciò che ci rende capaci di svolgere il nostro compito. Senza quel senso di dipendenza è difficile gestire i comportamenti.


L’orientamento ai coetanei attiva lo stesso tipo di programmazione, però con conseguenze negative; sovverte il lavorìo istintivo del cervello preposto all’attaccamento, progettato per i legami fra adulti e bambini. Anziché mantenere il piccolo in una relazione sana con l’adulto che se ne prende cura, la dinamica dominanza/dipendenza dà il via a una condizione morbosa e pericolosa di dominanza e sottomissione fra coetanei immaturi.


Un bambino il cui cervello preposto all’attaccamento selezioni la modalità di dominanza si assumerà la responsabilità dei compagni spadroneggiando e comandando. Se il bambino dominante è sensibile e responsabile, riuscirà anche a dimostrarsi affettuoso e capace di cure, ma se invece è frustrato, aggressivo e egocentrico, ecco che avremo la prepotenza del bullo (come vedremo meglio nei capitoli dedicati all’aggressività e al bullismo). Ma il disastro maggiore prodotto dall’orientamento ai coetanei è l’appiattirsi della naturale gerarchia genitore-figlio: i genitori perdono l’autorità e il rispetto che, nell’ordine naturale delle cose, sono legittimamente propri del loro ruolo dominante.


Un bambino orientato ai coetanei non ha un senso interiore dell’ordine o del rango, nessun desiderio che il genitore mostri superiorità e autorità. Al contrario, ogni atteggiamento del genere nel genitore dà al bambino l’impressione di essere artificioso e innaturale, come se il genitore cercasse di tiranneggiarlo o volesse umiliarlo.


I tre ragazzi del capitolo precedente erano stati tutti allontanati dai loro attaccamenti parentali, sedotti dall’orientamento ai coetanei. Sebbene Kirsten avesse solo sette anni, i suoi genitori avevano perso la loro posizione dominante. Ciò spiegava la sua mancanza di rispetto e la sua sgarberia, specialmente in presenza dei coetanei. Lo stesso accadeva a Sean e Melanie. L’indebolimento dell’attaccamento ai genitori aveva portato con sé il collasso dell’ordine gerarchico – che avrebbe dovuto facilitare il compito del genitore –, proprio quel che il padre di Melanie sentiva in modo così acuto e a cui si ribellava con tanta veemenza. Melanie trattava il padre e la madre come fossero suoi pari, senza alcun diritto di immischiarsi nella sua vita, di controllarla e guidarla. Per istinto il padre di Melanie cercava di mettere la figlia al suo posto, ma purtroppo non si tratta di qualcosa che un genitore possa fare senza l’aiuto dell’attaccamento. Senza attaccamento, il massimo che un genitore riesca a fare è costringere un figlio all’obbedienza intimorendolo, a prezzo di un grave danno per la relazione che li lega e per lo sviluppo a lungo termine del bambino.

L’orientamento ai coetanei non è l’unico modo in cui la gerarchia dell’attaccamento può essere sovvertita. Può accadere, ad esempio, a causa di bisogni irrisolti dei genitori che vengono proiettati sul bambino. Nelle nostre rispettive pratiche come psicologo e medico, entrambi abbiamo visto genitori che si appoggiavano ai figli scegliendoli come confidenti, lamentandosi dei problemi che avevano con il coniuge: il bambino diventa, in questi casi, un sostegno per lo sfogo emotivo delle angosce del genitore. Anziché poter confidare ai genitori le proprie difficoltà, impara a sopprimere i suoi bisogni e a servire i bisogni emotivi di altri. Un tale rovesciamento nella gerarchia dell’attaccamento è anche dannoso per un sano sviluppo. Nell’ormai classico Attaccamento e Perdita. L’attaccamento alla madre, il primo volume della trilogia in cui lo psichiatra John Bowlby esplora l’influenza delle relazioni genitore-figlio sullo sviluppo della personalità, si legge che “lo scambio dei ruoli fra un bambino, o un adolescente, e un genitore, a meno che non sia molto temporaneo, è quasi sempre non soltanto un segno di patologia del genitore, ma causa stessa di patologia nel bambino.”15 Lo scambio dei ruoli con un genitore distorce la relazione del bambino con il mondo intero. Si tratta di una potente causa di successivo disagio fisico e psichico.
In breve, il cervello preposto all’attaccamento del bambino orientato agli adulti lo rende ricettivo nei confronti di un genitore che se ne prenda cura e se ne assuma la responsabilità. A questo tipo di bambino sembra giusto che il genitore sia in posizione dominante. Se la gerarchia si inverte, o se si appiattisce a causa dell’orientamento ai coetanei, essere guidato da un genitore sarà contrario ai suoi istinti, non importa quanto sia grande il suo bisogno.

L'attaccamento evoca gli istinti dei genitori, ne aumenta la tolleranza e rende il bambino irresistbile

Come illustrato dalla battuta di Jerry Seinfeld, l’attaccamento non solo prepara un bambino perché accetti di farsi accudire, ma evoca anche l’istinto dell’accudimento in un adulto. Nessuna formazione o educazione potranno mai fare ciò che può l’attaccamento: suscitare gli istinti di cura. Inoltre, l’attaccamento rende i bambini ancor più irresistibili di quanto non sarebbero altrimenti. Aumenta la tolleranza alle difficoltà insite nel compito del genitore e all’abuso involontario che si potrebbe subire.


Nulla è più adorabile e accattivante del comportamento di attaccamento che si manifesta nel bambino piccolo: gli occhi che catturano, il sorriso che tocca le corde del cuore, le braccia protese, il tenersi stretto e accoccolato quando viene preso in braccio. I nostri istinti di attaccamento dovrebbero essere completamente sordi e induriti per restare indifferenti. Un siffatto comportamento ha il compito di risvegliare il genitore che è dentro di noi. Non è studiato dal bambino, ma scaturisce dai riflessi di attaccamento che sono spontanei e automatici. Se tocca il genitore che è in noi, ci sentiremo attratti e vorremo stargli accanto, tenerlo in braccio, saremo pronti ad assumercene la responsabilità. È questo il modo in cui lavora l’attaccamento: il comportamento impulsivo del piccolo suscita gli istinti di attaccamento di un potenziale genitore.


I comportamenti incantevoli e seducenti possono affievolirsi e sparire nel bambino più grande, ma il loro impatto sui genitori continua a esercitare la sua influenza durante tutta l’infanzia. Quando i nostri figli esprimono a parole o a gesti il desiderio di legarsi a noi, ciò rende più dolce e facile stabilire l’attaccamento. Esistono centinaia di piccoli gesti ed espressioni, tutti inconsci, che hanno lo scopo di intenerirci e farci avvicinare. Non è certo una manipolazione da parte del bambino; siamo invece sotto l’influsso delle forze di attaccamento, e per un’ottima ragione. Per sopportare le fatiche di essere genitori, abbiamo bisogno di qualcosa che allevi e addolcisca il nostro fardello.


L’orientamento ai coetanei stravolge tutto questo. Il linguaggio del corpo che ci attrae e crea attaccamento non è più rivolto a noi: gli occhi non ci catturano più, il volto non ci incanta. I sorrisi che scaldavano il nostro cuore è come se fossero di gelo, e ci lasciano ormai freddi o provocano una punta di dolore. Il nostro bambino non risponde più al nostro contatto. Gli abbracci diventano meccanici e a senso unico. Nostro figlio non ci piace più. Non più sollecitati dall’attaccamento verso di noi, possiamo fare affidamento solo sul nostro amore e il nostro impegno, nonché sul senso di responsabilità e per qualcuno questo può bastare, ma per molti altri no.


Per il padre di Melanie non bastava: sua figlia gli era sempre stata molto vicina, ma da quando il suo affetto e le sue attenzioni si erano rivolte ai coetanei, il cuore di suo padre si era raggelato. Egli era il tipo di persona che avrebbe fatto qualsiasi cosa, molto più di altri genitori, per il bene di sua figlia, ma si scoprì che ciò dipendeva soprattutto dal lavoro dell’attaccamento anziché dalla natura del suo carattere. Il suo linguaggio rifletteva il mutamento del suo cuore: abbondavano affermazioni come “Ne ho abbastanza, non ce la faccio più”, “Nessuno può sopportare questa merda”. Fioccavano gli ultimatum, il padre di Melanie si sentiva usato, maltrattato, dato per scontato e sfruttato.


In realtà tutti i genitori sono usati, maltrattati, dati per scontati e sfruttati; la ragione per cui non la viviamo così è sempre legata al lavoro dell’attaccamento. Prendete ad esempio mamma gatta che allatta i suoi gattini: le camminano sopra, la mordono, la graffiano e la spingono ma, per la gran parte del tempo, resta straordinariamente tollerante. Se invece un gattino che non fosse suo venisse aggiunto alla figliata, quella stessa tolleranza verrebbe aspramente meno, a meno che non si riuscisse a formare un attaccamento. Mamma gatta punirà severamente il gattino per la minima infrazione, non importa quanto inevitabile e involontaria. La nostra maturità di esseri umani e il nostro senso di responsabilità possono aiutarci a trascendere dalle reazioni istintive, tuttavia abbiamo sempre molto in comune con le altre creature di attaccamento. Anche noi scattiamo più facilmente se l’attaccamento si è indebolito. La mancanza di un mutuo attaccamento sorto in modo spontaneo è forse all’origine della pessima reputazione goduta da patrigni e matrigne nei racconti di favole per bambini.


La maggior parte di noi ha bisogno dell’aiuto che può offrire l’attaccamento per sostenere il normale logoramento fisico che accompagna la vita di un genitore. I bambini di solito non hanno idea del loro impatto su di noi, delle ferite che possono averci inflitto o dei sacrifici che possiamo aver fatto per loro, e neppure dovrebbero, almeno finché non abbiano compreso attraverso una propria matura riflessione ciò che è stato fatto per loro. È parte del nostro compito l’essere dati per scontati. Perché si riesca a sentire quanto valga la pena di fare tutto ciò, abbiamo bisogno dei gesti di affetto, dei segnali di connessione, del desiderio di vicinanza, non necessariamente dovuti all’apprezzamento per la nostra dedizione e i nostri sforzi, ma scaturiti invece dall’attaccamento puro e semplice.


D’altro canto, quando questo attaccamento è sviato, il peso può sembrare insostenibile. Quando si ha di fronte un bambino orientato ai coetanei, molti percepiscono che i propri istinti di genitori si affievoliscono. Il calore spontaneo che ci piace sentire verso un figlio si raggela, e potremmo provare persino un senso di colpa per non “amarlo” abbastanza.


Nello scenario innaturale delle relazioni orientate ai coetanei, questo stesso potere che ha l’attaccamento di far sopportare i maltrattamenti ha un effetto indesiderato. Inteso ad alleviare il peso della genitorialità e a far sì che il genitore stia al gioco, fra i coetanei favorisce invece il maltrattamento. I bambini possono infatti arrivare a tollerare la vessazione per mano dei loro coetanei. I genitori sono spesso costernati vedendo che i figli, insofferenti a casa verso la minima correzione o la più piccola forma di controllo, sopportano le richieste assurde dei compagni e accettano persino di essere maltrattati. Incapaci di riconoscere che un amico o un compagno di scuola non può averli a cuore tanto da prenderne in considerazione i sentimenti, i bambini orientati ai pari chiuderanno gli occhi e troveranno scuse per giustificare le prepotenze e preservare l’attaccamento.

L'attaccamento suscita l'attenzione del bambino

Trattare con un bambino che non ci presta attenzione è frustrante oltre ogni dire. Far sì che un bambino guardi e presti ascolto è fondamentale per ogni genitore. Tutti i genitori nel gruppo dei nostri nove personaggi avevano difficoltà a conquistare l’attenzione dei figli. La madre di Melanie lamentava il fatto che a volte le sembrava di non esistere neppure. I genitori di Sean erano stanchi di essere ignorati. Quelli di Kirsten avevano difficoltà a farsi ascoltare e farsi prendere sul serio dalla figlia di sette anni.


I problemi di questo gruppo di genitori nel suscitare l’attenzione dei propri figli non sono rari. In realtà, l’attenzione non è affatto qualcosa che possa essere imposto a qualcuno. La mente del bambino assegna le priorità su ciò a cui prestare attenzione attraverso dinamiche per la maggior parte inconsce. Se la fame è preminente, il cibo attirerà la sua attenzione; se il bisogno di essere orientato è il più pressante, allora il bambino cercherà qualcosa che gli sia familiare. Se è spaventato, la sua attenzione verrà distratta dall’analisi di ciò che lo turba. L’attaccamento, comunque, è ciò che conta di più nel mondo del bambino e perciò ha un ruolo centrale nell’orchestrare la sua l’attenzione.


In buona sostanza, l’attenzione segue l’attaccamento: più è forte l’attaccamento, e più è facile assicurarsi l’attenzione del bambino. Quando l’attaccamento è debole, l’attenzione sarà del pari difficile da suscitare. Uno dei segni rivelatori che il bambino non presta attenzione è il fatto che il genitore debba di continuo alzare la voce o ripetere le cose. Alcune delle nostre più insistenti richieste hanno a che fare proprio con questo: “Ascoltami!”, “Guardami quando ti parlo”, “Ora guarda qui!”, “Cosa ti ho detto?”, o, più semplicemente: “Fai attenzione!”.


Quando i bambini si orientano ai coetanei, d’istinto la loro attenzione si rivolge ad essi. Sarà contro i naturali istinti di un bambino orientato ai compagni prestare attenzione ai genitori o agli insegnanti. I suoni prodotti dagli adulti sono considerati dai meccanismi di attenzione del bambino al pari di fastidiose interferenze, mancando di significato e rilevanza per i bisogni di attaccamento che governano la sua vita emotiva.


L’orientamento ai coetanei crea deficit nell’attenzione verso gli adulti perché per questi bambini gli adulti non sono in cima alle priorità nella gerarchia dell’attenzione. Non è un caso che il disturbo da deficit di attenzione fosse considerato all’inizio un problema scolastico, quello del bambino che non riesce a stare attento all’insegnante. Non è neppure casuale che l’esplosione nel numero di casi diagnosticati come disordine da deficit di attenzione (ADD) segua la tendenza sociale dell’orientamento ai coetanei e sia peggiore dove l’orientamento ai coetanei è predominante: i centri urbani e le scuole nei quartieri degradati delle grandi città. Con questo non si vuole suggerire che tutti i problemi di attenzione abbiano questa origine e non vi siano altri fattori coinvolti nell’ADD. D’altro canto, non riconoscere il ruolo fondamentale dell’attaccamento nel governare l’attenzione significa ignorare la realtà di molti bambini a cui venga diagnosticato tale disturbo. Un deficit nell’attaccamento agli adulti contribuisce in modo significativo al deficit di attenzione: se l’attaccamento è disturbato, lo sarà anche l’attenzione.

L'attaccamento tiene il bambino accanto ai genitori

Forse il più ovvio dei compiti dell’attaccamento è quello di tenere il bambino accanto al genitore. Quando prova il bisogno di vicinanza fisica, come accade ai più piccoli, l’attaccamento funziona come un guinzaglio invisibile. I piccoli dell’uomo hanno questo in comune con molte altre creature di attaccamento che devono tenere un genitore a portata di vista, di ascolto e di olfatto.


A volte troviamo che il bisogno di vicinanza sia un po’ soffocante, soprattutto quando il piccolo, di uno o pochi anni, va nel panico anche solo se chiudiamo la porta del bagno. Perlopiù, comunque, questo programma di attaccamento ci consente una grande libertà. Invece di dover dare continuamente un’occhiata al bambino, possiamo permetterci di andare avanti e confidare nei suoi istinti affinché ci segua. Come mamma orsa con il suo cucciolo, mamma gatta con i gattini o mamma anatra e i suoi anatroccoli, possiamo lasciare che l’attaccamento faccia il lavoro di tenere i piccoli accanto a noi, invece di doverli radunare o metterli in un recinto.


L’istinto del bambino di tenersi stretto a noi può essere d’intralcio e provocare la nostra frustrazione: non apprezziamo il lavoro dell’attaccamento quando, per qualche motivo, desideriamo la separazione: che sia per il lavoro, per la scuola, per l’intimità sessuale, per la propria salute mentale o per il bisogno di dormire. La nostra società è talmente sottosopra che potremmo davvero arrivare ad apprezzare il desiderio di separazione del bambino più del suo istinto a restarci accanto. Purtroppo non possiamo avere entrambe le cose. I genitori i cui figli non sono attaccati nel modo appropriato devono affrontare uno scenario da incubo anche solo per non perderli di vista. Dovremmo essere grati dell’aiuto che l’attaccamento ci fornisce nel tenere i figli stretti a noi. Se dovessimo occuparci di questo da soli, senza aiuto, non saremmo mai in grado di andare avanti con i diversi altri compiti che l’essere genitori comporta. Dobbiamo imparare a fare i genitori in armonia con questo disegno piuttosto che combatterlo.


Se tutto procede per il meglio, il bisogno di prossimità fisica gradualmente evolve in un desiderio di legame e contatto emotivo. Il grande impulso ad avere il genitore sempre a vista d’occhio muta nel bisogno di sapere dove si trovi. Persino gli adolescenti, se il loro attaccamento è buono, chiederanno: “Dov’è papà?” e “Quando torna a casa la mamma?”, mostrando spesso ansia quando non riescono a restare in contatto.


L’orientamento ai coetanei stravolge questo istinto. Il bisogno di contatto e connessione è altrettanto forte, ma stavolta si rivolge ai compagni. Ora, ciò che rende ansioso il ragazzo è dove si trovino i nostri sostituti. La società ha sviluppato una potente tecnologia per non perdere il contatto, dai cellulari alle e-mail e alle chat-line di internet; la tredicenne Melanie, ossessionata dal contatto con i coetanei, era completamente presa da questa ricerca. Il bisogno assillante di restare in contatto interferisce non solo con la vita familiare, ma anche con gli studi e con lo sviluppo di un talento, e di sicuro con la solitudine creativa che è tanto essenziale alla maturazione. (Per approfondire il discorso sulla maturazione e la solitudine creativa si veda il capitolo 9).

L'attaccamento trasforma il genitore in un modello

Gli adulti restano spesso sorpresi e persino addolorati quando i bambini di cui hanno cura non li seguono nel modo di comportarsi e di vivere la propria vita. Una tale delusione scaturisce dalla falsa credenza secondo cui genitori e insegnanti sono modelli automatici per figli e studenti. In realtà, il bambino accetta come suo modello solo coloro a cui è fortemente attaccato. Non sono le nostre vite a renderci dei modelli, per quanto esemplari, né il nostro senso di responsabilità verso il bambino o il fatto di accudirlo e averne cura. È l’attaccamento che rende il bambino desideroso di somigliare a un’altra persona, di assumerne le caratteristiche. In breve, prendere qualcuno ad esempio fa parte delle dinamiche di attaccamento. Emulando colui a cui è legato il bambino conserva la vicinanza psicologica con quella persona.


Il desiderio di somiglianza con importanti figure di attaccamento conduce ad alcune delle più significative e spontanee esperienze di apprendimento per un bambino, anche se è la vicinanza, e non l’apprendimento, la motivazione sottostante. Un tale apprendimento avviene quando il genitore non ha un intento molto consapevole di insegnare, né il bambino quello di studiare. In assenza di attaccamento, l’apprendimento è il frutto della fatica e l’insegnamento è forzato. Si pensi al lavoro che sarebbe necessario se ogni parola acquisita dal bambino avesse dovuto essere insegnata di proposito dal genitore, ogni comportamento modellato consciamente, ogni atteggiamento inculcato apposta. Il peso di essere genitori sarebbe schiacciante. L’attaccamento adempie a questi compiti in automatico, con uno sforzo abbastanza ridotto da parte del genitore e del bambino. L’attaccamento provvede a quello che si potrebbe definire un “apprendimento assistito” – com’è dolce, e molti lo hanno provato, studiare una nuova lingua quando si è innamorati dell’insegnante! Che lo si sappia o meno, in veste di genitori e insegnanti ci affidiamo pesantemente all’attaccamento per trasformarci in modelli da seguire.


Quando i coetanei rimpiazzano i genitori come figure principali di attaccamento, essi diventano esempi da seguire per i nostri figli senza, naturalmente, assumersi alcuna responsabilità del risultato finale. I bambini e i ragazzi si copiano l’un l’altro nel linguaggio, nei gesti, nelle azioni, negli atteggiamenti e nelle preferenze. L’apprendimento è ancora straordinario e impressionante, ma il contenuto non è più sotto il nostro controllo. Il cortile della scuola è il luogo dove avviene per lo più questo “apprendimento assistito”. Ciò che si apprende in questo modo può risultare accettabile se i modelli sono bambini che ci piacciono, ma diventa penoso se i bambini presi a modello hanno comportamenti o valori che riteniamo problematici o inaccettabili. Peggio ancora, ogni insegnamento che volessimo offrire ai nostri figli risulterebbe ora faticoso, forzato e dolorosamente lento. Il lavoro del genitore diventa incommensurabilmente più complicato se non siamo noi il modello che il bambino desidera emulare.

L'attaccamento elegge il genitore come guida primaria

Uno dei compiti fondamentali del genitore è di guidare i propri figli e indicare loro la direzione da prendere. Ogni giorno offriamo direttive su ciò che può andar bene e ciò che non va, su ciò che è bene e ciò che è male, su quello che ci si aspetta o che invece è inappropriato, su ciò a cui aspirare e ciò che va evitato. Finché il bambino non è in grado di autodirigersi e di seguire le proprie spinte e i propri suggerimenti interiori, avrà bisogno di qualcuno che gli mostri la strada. I bambini sono costantemente in cerca di suggerimenti su come essere e cosa fare.


La questione critica non riguarda quanto sia astuto il nostro insegnamento, bensì a chi venga assegnato il ruolo di guida da parte del programma di attaccamento. È importante saper trasmettere le direttive nel modo appropriato, ma tutta la nostra sapienza e chiarezza di espressione non serviranno a molto se non siamo noi quelli a cui si rivolge il bambino in cerca di indicazioni. Ed è qui che la letteratura per genitori cade in errore. La premessa implicita, non più garantita, è che i bambini siano orientati agli adulti e prendano le mosse da genitori o insegnanti. Pertanto la letteratura si concentra sul modo in cui fornire guida e direttive – per esempio sullo stabilire con chiarezza quali siano le aspettative, sul definire limiti precisi e ragionevoli, sull’articolazione delle regole, sulla coerenza nel mettere in atto le conseguenze, sull’evitare messaggi contrastanti. Se i bambini non seguono le nostre direttive, è facile pensare che il problema risieda o nel modo in cui trasmettiamo le nostre aspettative, oppure nella capacità del bambino di ricevere i messaggi. In alcune situazioni potrebbe anche essere così, ma è molto più probabile che il problema nasca dal profondo: come risultato della perdita di attaccamento, il bambino non segue più la nostra guida.


Procurare indicazioni e offrire una guida non dovrebbe essere tanto difficile né frustrante; può – e dovrebbe – avvenire in maniera spontanea. Chiunque sia una figura di riferimento, sarà anche colui da cui il bambino prenderà le mosse; è tutto parte del riflesso di orientamento. La mente del bambino automaticamente effettuerà un’esplorazione attenta alla ricerca di suggerimenti e indicazioni provenienti da chiunque sia il suo attaccamento primario. Se la sua mente è orientata al genitore, le indicazioni proverranno dal volto di questi, dalle sue reazioni, dai suoi valori, dai gesti e dalla comunicazione. Il genitore sarà letto e studiato con attenzione per individuare segnali che possano mostrare la direzione voluta o attesa. L’attaccamento rende semplice la trasmissione delle direttive, a volte fin troppo.


Quando non siamo al meglio e ci comportiamo o parliamo in modi di cui non siamo orgogliosi, potremmo desiderare che i nostri figli non seguano la nostra guida in modo tanto preciso e automatico. Il potere a volte è un fardello, ma qualcuno dovrà pur farsene carico, e se non noi allora chi? Almeno, come esseri adulti e responsabili, abbiamo la capacità e il dovere di riflettere sulle nostre azioni e, se necessario, di riparare ai danni che potremmo aver causato. Quando il potere è nelle mani dei coetanei, essi non si assumono alcuna responsabilità, né provano mai alcun rimorso per l’impatto negativo che potrebbero avere. A differenza dei genitori, non si sforzano di crescere nell’ambito del ruolo che l’attaccamento ha assegnato loro. Per quanto si possa essere adulti inadeguati e immaturi, la straordinaria responsabilità di essere un modello da offrire alla prole è un potente stimolo alla crescita personale e all’impegno.


Se i coetanei sostituiscono i genitori nella funzione di guida, il bambino seguirà le loro aspettative, così come le percepisce. Obbedirà ai compagni tanto prontamente quanto farebbe con un genitore, se fosse orientato agli adulti.


Alcuni genitori eviteranno di fornire direttive nell’ingenua convinzione di lasciar spazio affinché il bambino possa sviluppare una sua propria guida interiore. Ma le cose non funzionano così. Solo la maturità psicologica può garantire una genuina autodeterminazione. Mentre è importante per il loro sviluppo che ai bambini venga data una possibilità di scelta, appropriata alla loro età e grado di maturità, i genitori che evitano per principio di fornire indicazioni e direttive finiscono per abdicare al loro ruolo. In assenza di direttive parentali, la maggior parte dei bambini andrà in cerca di una guida da altre fonti, per esempio i coetanei.


Gestire un bambino che non segue le nostre istruzioni è già abbastanza difficile, ma cercare di controllare un bambino che obbedisca a qualcun altro è pressoché impossibile. Ciò che ci sostituirà, nel progetto della natura, non è qualcun altro che dia disposizioni, bensì la maturità, ossia la capacità propria di una persona cresciuta di prendere decisioni e scegliere il corso migliore da assegnare alla propria vita.

L'attaccamento fa sì che il bambino desideri farsi apprezzare dal genitore

L’ultimo e fondamentale modo in cui siamo sostenuti e aiutati dall’attaccamento è il più significativo di tutti: il desiderio del bambino di far piacere al genitore. Merita uno sguardo approfondito.


L’impazienza di compiacere dà al genitore un potere formidabile. Le difficoltà create dalla sua assenza sono altrettanto formidabili. Possiamo vedere quest’impeto di compiacenza nei cagnolini che con foga ubbidiscono ai comandi dei loro padroni, restando invece impassibili e indifferenti di fronte ai comandi degli estranei. Tentare di dare ordini a un cane che non abbia interesse a compiacerci ci dà un piccolo sentore di cosa si debba affrontare quando questa motivazione è assente in un essere molto più complesso emotivamente e vulnerabile come un piccolo essere umano.


Questo desiderio di essere apprezzati è una delle prime cose che ricerco in un bambino i cui genitori stiano incontrando difficoltà. Vi è una serie di ragioni che inducono un figlio a non accontentare il genitore, ma la più cruciale è di gran lunga l’assenza stessa del desiderio. È triste a dirsi, ma alcuni bambini non riescono mai a far fronte alle aspettative perché gli standard richiesti dai genitori sono disperatamente irrealistici. Ma se è il desiderio stesso del bambino a mancare, non ha più importanza che le attese siano realistiche oppure no. Quando interrogai i genitori di Sean, Melanie e Kirsten, riferirono tutti che la motivazione dei figli era carente. Tuttavia ognuno di loro ricordava un tempo non troppo lontano in cui il desiderio di farsi apprezzare dal genitore era stato molto più evidente.


La realizzazione suprema di un attaccamento che funzioni bene è quella di instillare nel bambino il desiderio di far piacere ai genitori, e questo è finalizzato agli obiettivi della crescita. Quando diciamo di un particolare bambino che è “bravo”, pensiamo di descrivere una sua caratteristica innata. Ma ciò che non vediamo è che è l’attaccamento del bambino all’adulto a promuovere quell’atteggiamento appagante. In tal modo, si resta ciechi al potere dell’attaccamento. Il pericolo nel credere che la personalità innata del bambino dia vita al suo desiderio di “fare il bravo” è che egli verrà rimproverato e biasimato – e verrà visto come “cattivo” – se si scoprirà la mancanza di un tale desiderio. L’impulso a fare “il bravo” deriva molto meno dal carattere del bambino che non dalla natura della sua relazione con il genitore. Se un bambino fa il “cattivo”, è la relazione che dobbiamo correggere e non il bambino.


L’attaccamento evoca il desiderio di far piacere all’altro in vari modi diversi, ognuno con la sua specifica sfera di influenza. Insieme, rendono possibile la trasmissione dei modelli di comportamento accettabile e dei valori da una generazione all’altra. Una delle fonti del desiderio di condiscendenza è quella che definisco “coscienza di attaccamento” – una sorta di allarme che è innato nel bambino e lo mette in guardia verso quelle condotte che susciterebbero lo sfavore del genitore. La parola coscienza deriva dal verbo latino conscire, essere consapevole. Viene usata qui nel suo significato di base, non come codice morale, bensì come consapevolezza interiore che ci protegge da una rottura con il genitore.


L’essenza della coscienza di attaccamento è l’ansia da separazione. Poiché l’attaccamento è tanto cruciale, vi sono degli importanti centri nervosi nel cervello preposto all’attaccamento che funzionano da allarme, creando un senso di disagio e agitazione quando ci troviamo a dover affrontare una separazione da coloro cui siamo legati. All’inizio è l’anticipazione della separazione fisica che provoca questo tipo di risposta nel bambino. Quando invece l’attaccamento diventa di natura essenzialmente psicologica, sarà l’esperienza della separazione emotiva a generare ansia. Il bambino starà male anticipando o sperimentando la disapprovazione e il disappunto del genitore. Tutto ciò che potrebbe disturbare il genitore, allontanarlo o alienarlo provocherà ansia nel bambino. La coscienza di attaccamento manterrà il comportamento del bambino entro i confini stabiliti dalle aspettative parentali.


La coscienza di attaccamento può, infine, evolvere nella coscienza morale del bambino, ma la sua funzione originaria è di preservare la connessione con chiunque serva da attaccamento primario. Quando l’attaccamento muta, la coscienza di attaccamento sarà opportunamente ricalibrata per evitare qualsiasi cosa possa provocare distanza o disappunto nella nuova relazione. Finché il bambino non abbia sviluppato una personalità abbastanza forte da dar vita a valori e giudizi indipendenti, non si evolve una coscienza più matura e autonoma, coerente in tutte le situazioni e le relazioni.


Se è un bene che il bambino stia male quando prevede una perdita di connessione con coloro che gli sono affezionati e si dedicano con amore al benessere del suo sviluppo, è di importanza cruciale per i genitori comprendere che non è saggio sfruttare continuamente tale coscienza. Non dobbiamo mai farlo stare male di proposito, suscitare in lui vergogna e sensi di colpa per indurlo a comportarsi bene. Abusare della coscienza di attaccamento risveglia una profonda insicurezza e potrebbe indurre il bambino a chiudersi per paura di essere ferito. Le conseguenze non valgono affatto la conquista di eventuali risultati a breve termine relativi al comportamento.


La coscienza di attaccamento può avere delle disfunzioni per ragioni diverse dall’orientamento ai coetanei, ma il motivo più comune per cui essa perde la giusta mira è proprio il fatto di essere deviata lontano dai genitori e rivolta ai compagni. In tali circostanze essa è ancora funzionante, ma il suo obiettivo naturale è stravolto. Ne derivano due conseguenze indesiderabili: i genitori perdono il suo aiuto nell’influenzare il comportamento dei figli e, allo stesso tempo, la coscienza di attaccamento si azzera e si ricalibra per servire le relazioni con i coetanei. Se siamo scioccati dai mutamenti di comportamento che arrivano sulla scia dell’orientamento ai coetanei, è perché ciò che è accettabile per loro è estremamente diverso da ciò che è accettabile per i genitori. Analogamente, quel che inimica i coetanei è molto lontano da ciò che aliena i genitori. La coscienza di attaccamento serve un nuovo padrone.


Quando un bambino ricerca l’approvazione dei compagni anziché quella dei genitori, la motivazione a compiacere i genitori ha un calo significativo. Se i valori dei coetanei differiscono da quelli dei genitori, il comportamento del bambino muterà del pari. Questo cambiamento ci rivela che i valori dei genitori non sono mai stati davvero interiorizzati; il bambino non li ha mai fatti autenticamente suoi: essi funzionavano soprattutto come strumenti per suscitare l’apprezzamento delle persone verso cui si orientava.


I bambini non interiorizzano i valori, cioè non li fanno propri, fino all’adolescenza. Perciò la variazione del comportamento non significa mutamento dei valori, ma solo che la direzione degli istinti di attaccamento ha mutato corso. I valori dei genitori, come studiare, impegnarsi per raggiungere un obiettivo, aspirare all’eccellenza, il rispetto per la società, lo sviluppo delle potenzialità e del talento, seguire le proprie passioni, l’apprezzamento della cultura, sono spesso sostituiti dai valori dei coetanei, molto più immediati e a breve termine. L’apparenza, l’intrattenimento, la lealtà verso i compagni, il trascorrere del tempo insieme, il conformarsi a una sottocultura, uscire in gruppo, saranno considerati più importanti dell’istruzione e della realizzazione personale. I genitori spesso si trovano a discutere dei valori, senza capire che per i loro figli orientati ai coetanei i valori non sono altro che gli standard da soddisfare per poter ottenere l’accettazione da parte del gruppo dei pari.


Accade perciò che perdiamo la nostra influenza sulla vita dei figli proprio quando sarebbe più appropriato e necessario riuscire ad articolare i nostri valori e incoraggiare l’interiorizzazione di ciò in cui crediamo. L’educazione ai valori richiede tempo e dialogo, ma l’orientamento ai coetanei priva i genitori di questa opportunità, arrestando in tal modo lo sviluppo morale dei bambini.


L’impulso a comportarsi male è il rovescio del desiderio di far bene. Indicare che apprezzeremmo questo o quest’altro, o che qualcosa che ha fatto nostro figlio ci ha resi felici e orgogliosi può in realtà ritorcersi contro di noi. La natura bipolare dell’attaccamento, discussa nel secondo capitolo, è tale che quando l’aspetto negativo è attivo può provocare comportamenti opposti a quelli desiderati. Questo era senz’altro vero con Melanie e sua madre. Quando un bambino resiste al contatto con noi invece di volerci far piacere, gli istinti sono quelli di respingere e irritare: Melanie si era spinta molto oltre nel contrariare sua madre. Può sembrarci che il bambino orientato ai coetanei voglia provocarci, e in un certo senso questo è vero, però viene fatto in modo istintivo e non intenzionale. Le creature di attaccamento sono creature di istinto e di impulso. Per loro non va bene, né sembra loro giusto o conveniente venire apprezzati da coloro che vogliono tenere a distanza. Se cercano l’approvazione dei coetanei, sarà per loro insopportabile compiacere gli adulti.


Un’avvertenza finale. Il desiderio del bambino di essere apprezzato è una motivazione forte che rende molto più semplice il compito del genitore, e richiede fiducia e una dedizione amorevole e attenta. Rappresenta una violazione della relazione non credere al desiderio del bambino quando questo di fatto esiste, per esempio accusandolo di nutrire cattive intenzioni quando disapproviamo il suo comportamento. Tali accuse possono far scattare facilmente le sue difese, danneggiare la relazione e farlo sentire sbagliato. È anche molto rischioso per il bambino continuare a volersi far apprezzare da un genitore o un insegnante che non ha fiducia nelle sue buone intenzioni e pensa, perciò, che egli debba essere stuzzicato con ricatti e lusinghe o minacciato con sanzioni. È un circolo vizioso. Gli stimoli esterni come le ricompense e le punizioni possono distruggere la preziosa motivazione interiore a far bene, rendendo infine necessario l’uso di queste leve comportamentali artificiose. Il miglior investimento per facilitarci il compito di genitori è proprio quello di confidare nel desiderio del bambino di far bene.


Molti metodi attuali di gestione del comportamento, facendo affidamento su motivazioni imposte dall’esterno, agiscono senza rispetto nei confronti di questa delicata spinta innata. La dottrina delle cosiddette “conseguenze naturali” ne è un esempio. Questo metodo disciplinare intende inculcare nel bambino la consapevolezza che a seguito di specifici comportamenti indesiderati egli incorrerà in specifiche sanzioni scelte dal genitore, secondo una logica che ha senso nella mente del genitore ma di rado in quella del bambino. Ciò che ai genitori sembra naturale, dai bambini è vissuto come arbitrario. Se le conseguenze fossero davvero naturali, che motivo ci sarebbe di imporle al bambino?


Per alcuni genitori, la fiducia ha a che fare con il risultato finale anziché con la motivazione di fondo. Ai loro occhi la fiducia è qualcosa da conquistare piuttosto che un investimento per il futuro. “Come posso fidarmi di te”, direbbero, “se non fai quello che avevi promesso o se mi hai detto delle bugie?”. Anche se un bambino non è mai stato all’altezza delle nostre aspettative, né ha mai realizzato le sue proprie intenzioni, è tuttavia ancora molto importante aver fiducia nel suo desiderio di far bene e di farsi apprezzare da noi. Togliergli la nostra fiducia significa soffiar via il vento dalle sue vele e ferirlo profondamente. Se non facciamo tesoro e non custodiamo con cura il suo desiderio di far bene, il bambino perderà la motivazione che lo spinge a sforzarsi per essere all’altezza. È il suo desiderio di farsi apprezzare che sarà a garanzia della nostra fiducia, non la sua abilità nel soddisfare le nostre aspettative.

I vostri figli hanno bisogno di voi
I vostri figli hanno bisogno di voi
Gabor Maté, Gordon Neufeld
Perché i genitori oggi contano più che mai.La potente riscoperta del valore basilare dell’attaccamento tra genitori e figli. Più l’attaccamento è forte e sano e più i figli crescono sicuri. Il caos culturale dettato dal materialismo imperante e dalle infatuazioni tecnologiche dell’economia globalizzata minaccia la relazione con i propri figli: questi fattori appartenenti al nuovo mondo, infatti, allentano i legami di attaccamento fra i bambini e gli adulti che se ne prendono cura, distruggono il contesto appropriato perché i genitori possano svolgere il loro compito, menomando lo sviluppo umano e, inesorabilmente, erodendo le basi della trasmissione culturale e valoriale.Nel libro I vostri figli hanno bisogno di voi, un medico e uno psicologo uniscono le forze per trattare una delle tendenze più fraintese e allarmanti del nostro tempo: i coetanei (amici, cuginetti, compagni di scuola) che prendono il posto dei genitori nella vita dei figli.Questo fenomeno è definito come “orientamento ai coetanei”: tale termine si riferisce al fatto che, quando i bambini in età scolare e i giovani ragazzi hanno bisogno di un’indicazione, preferiscono rivolgersi ai coetanei anziché far riferimento al padre, alla madre e al rispetto dei valori naturali, al senso di ciò che è giusto o sbagliato, all’identità e ai normali codici di comportamento.Quando i coetanei sostituiscono i genitori, lo sviluppo dei bambini si arresta: non ci sono più sane figure educative di riferimento, l’orientamento ai pari crea una massa di giovani adulti immaturi, conformisti e inquieti, incapaci di integrarsi nella società corrente. Ora, questo continuo orientarsi ai coetanei non può che deteriorare la coesione familiare, impedendo uno sviluppo sano e equilibrato del bambino, avvelenando l’atmosfera scolastica e favorendo la crescita di una cultura giovanile aggressiva, ostile e prematuramente sessualizzata.Dal canto loro, i genitori sono a disagio, frustrati, e si acuisce la sensazione che lo sviluppo dei bambini sia sfuggito alla loro influenza. Perché si possa essere genitori efficaci, è necessario quindi che i bambini sviluppino la giusta relazione con i genitori.I ragazzi non stanno perdendo i genitori perché manca competenza o coinvolgimento, ma per mancanza di un attaccamento primario. La conservazione della cultura si basa proprio sui modelli di questo genere, e la conseguenza principale della loro perdita è la scomparsa del contesto appropriato per una sana crescita. L’attaccamento di un bambino ai genitori crea infatti un grembo psicologico necessario per dare vita alla personalità e all’individualità.Gli autori Gordon Neufeld e Gabor Maté aiutano i genitori, gli insegnanti e gli operatori sociali a comprendere questo fenomeno inquietante, fornendo soluzioni utili per ristabilire la giusta preminenza del legame che unisce i figli ai genitori e restituendo a questi ultimi il potere e la forza di essere una fonte vera di contatto, guida, calore e sicurezza. Un libro non finisce con l’ultima pagina!Questo titolo si arricchisce di contenuti “extra” digitali. Per consultarli è sufficiente utilizzare il QR code in quarta di copertina.