Bisogna sottoporre a esami chi fa scuola familiare?
L’opinione secondo la quale i genitori che praticano la scuola familiare siano in qualche modo limitati nel giudicare i progressi dei figli, e di conseguenza si renda necessario esaminare i loro progressi, dipende dal fatto che l’apprendimento in casa avviene al di là del confine scolastico, e la sua filosofia e i suoi metodi non sono sempre ben compresi. Due domande, implicite nella volontà del legislatore, riguardano i genitori che praticano la scuola familiare:
1. Come fanno a sapere se i figli imparano?
La risposta, in parole povere, è l’osservazione diretta. Ho un figlio unico. Se un insegnante con un solo studente nella classe non riuscisse a valutare il suo livello di lettura non ci crederemmo: come fa un insegnante che passa tutti i giorni a fianco di un solo allievo a non capire una cosa così evidente? Eppure molti che non hanno dimestichezza con la scuola familiare pensano che i genitori, che sono in contatto continuo con i loro figli, abbiano necessità di esami esterni per stabilire tali progressi. Per i genitori che fanno scuola familiare è inconcepibile immaginare che possa sfuggirgli una cosa tanto interessante come la natura dell’apprendimento dei loro bambini.
Nessun genitore ha 25 bambini da seguire, quindi possiamo concentrarci sui miglioramenti dell’apprendimento dei figli che abbiamo senza le continue inevitabili interferenze presenti in una classe scolastica con varie situazioni e perdite di tempo non legate all’insegnamento stesso. Questa libertà da interferenze è una componente primaria per un clima che permetta un apprendimento vivo, felice e creativo.
Quasi tutti i genitori che mandano i figli all’asilo sanno fino a che cifra sa contare il loro bambino o quanti colori conosce, non certo attraverso esami e test, ma grazie a tutto il tempo trascorso ad ascoltare i discorsi e le domande del bambino e osservando come si comporta. Nella scuola familiare questo tipo di osservazione prosegue fino alla maggiore età e all’apprendimento delle nozioni più complesse.
Può succedere anche molte volte al giorno che un bambino ragionevolmente curioso chieda che cosa significhino certe parole che ha letto sui libri, sui giornali, al computer o alla televisione, nelle istruzioni dei giocattoli, sulle etichette dei prodotti, nella posta appena arrivata e così via. Se l’autostima del bambino è intatta, non esiterà a chiederci il significato di tutte quelle parole. Man mano che le domande di questo tipo diminuiscono e quando inizierà a leggere a voce alta certe parole (“Papà guarda, questo pacco è per te!”) è ragionevole desumere che l’alfabetizzazione stia progredendo. A un osservatore esterno potrà sembrare un po’ impreciso, ma i genitori che fanno scuola familiare imparano con l’esperienza come una valutazione più specifica e intrusiva sia inutile e dannosa.
Se lo stato volesse imporre esami obbligatori per determinare se tutti i bambini fanno progressi nell’imparare a camminare, secondo un preciso programma, tutti penseremmo che è una cosa assurda. Si sa che tutti i bambini in buona salute alla fine imparano a camminare e sarebbe inutile e frustrante cercare di accelerare questo processo. Sarebbe folle tanto quanto cercare di accelerare la fioritura di una rosa. Tutte le rose in buona salute fioriscono quando è il loro momento, e così tutti i bambini in buona salute cammineranno quando saranno pronti a farlo, e tutti i bambini di una famiglia in cui si legge prima o poi saranno capaci di leggere, dovesse anche succedere più tardi della media. Non c’è bisogno di accelerare o misurare questo progresso.
Il progresso di un bambino non è sempre costante; ci possono essere salti improvvisi da un livello al successivo. Una valutazione formale fatta appena prima di un tale salto fornirebbe un’informazione scorretta e fuorviante. Una sera, quando già sapevo che mio figlio Jason progrediva nella lettura (dalla diminuzione delle domande che mi faceva sulle insegne, le etichette, ecc.), che però non era ancora molto fluida, gli dissi che non potevo leggergli una storia perché non mi sentivo bene. Lui mi rispose: “Allora riposati, ti leggerò io un libro”, e iniziò a leggere, molto bene, un libro con un livello di difficoltà superiore a quanto mi aspettassi.
Così accade nel corso della vita di ottenere informazioni dirette e precise sui progressi dei figli. Fa parte integrante del modo naturale di “favorire” l’apprendimento del bambino ed è quasi sempre controproducente richiedere una prova. Se avessi chiesto a Jason di leggermi quel libro avrebbe potuto rifiutarsi, sentirsi in ansia come chiunque venga interrogato. Ma dal momento che lui stesso aveva scelto di leggere e la sua capacità non era sotto esame, non c’è stato alcun fattore ansiogeno negativo.
I genitori che fanno scuola familiare si fanno una buona idea di massima dei progressi del bambino nella lettura o in altre materie. Senza esami specifici per valutare l’apprendimento si possono sottostimare le capacità che il bambino ha sviluppato fino a un certo punto, ma quello che più conta sono le straordinarie scoperte che si faranno lungo il loro percorso.
2. Se i genitori che praticano la scuola familiare non misurano, non esaminano e non sorvegliano i progressi dell’apprendimento, come fa il bambino a sapere quando può passare a un livello successivo?
Se chiedessimo a un floricoltore come fa una rosa a sapere quando sboccerà, non saprebbe rispondere; diamo per scontato che questo miracolo sia racchiuso nel progetto di vita contenuto nel seme. Il processo della crescita intellettuale di un bambino è come lo sbocciare di una rosa; sarà anche un processo misterioso, tuttavia esiste in forma innata in ogni bambino fin dalla nascita. Non c’è ragione di imporre un programma estraneo a tale processo con cui nessuno, tranne il bambino, è in contatto diretto. Ogni imposizione di qualsiasi struttura artificiale sarà meno fruttuosa del permettere l’autodeterminazione al bambino. Ogni tentativo di imporre scelte dall’esterno rappresenta solo una presunzione che è poco probabile che coincida con l’autentico dischiudersi degli interessi e delle capacità nel bambino.
Come notava John Holt, i bambini non sono treni. Se un treno non arriva in orario a tutte le stazioni sarà in ritardo sulla destinazione finale. Ma un bambino può essere in ritardo a ogni “stazione” e può anche cambiare l’intero percorso del suo apprendimento e riuscire a raggiungere la piena padronanza di tutte le materie che studia in tempo utile per la sua vita.
Il bambino che studia in famiglia non solo sa cosa imparare, ma anche il modo migliore per farlo. Jason ha sempre escogitato metodi ingegnosi per apprendere quello che lo interessava di più. Il suo metodo per imparare le potenze e radici quadrate ad esempio, con righe e colonne di punti su un foglio, non mi sarebbe mai venuto in mente, nemmeno se avessi pensato che il mio bambino poteva essere pronto a imparare quei concetti in così tenera età. Verso i sei anni, quando già osservava il mappamondo, ha inventato un gioco che consisteva nell’accoppiare i Paesi e cercare di indovinare qual era il più grande, quale il più popoloso ecc. Ha giocato a lungo in questo modo; la sua creatività nel progettare modi curiosi per apprendere aveva di gran lunga sorpassato la mia e non ho mai dovuto dirgli una sola parola di incoraggiamento. Mio figlio non è un caso isolato; molti genitori che fanno scuola familiare possono confermare questo tipo di creatività e la gioia di conoscere dei loro bambini.
Jason non ha mai preso lezioni, nel senso convenzionale del termine. Ha imparato da solo a leggere e a scrivere, la matematica e le scienze tramite l’aiuto che chiedeva e di cui aveva bisogno. Tuttavia queste materie non sono state affrontate come categorie separate ma come parte dell’argomento che lo interessava sul momento. Il mio ruolo è stato più di agevolare che di insegnare, pur non essendo stata solo un’osservatrice passiva. Quando mi faceva domande, cosa che accadeva molte volte al giorno, gli rispondevo come meglio sapevo. Se non conoscevo le risposte facevo io stessa le ricerche: telefonavo, lo aiutavo a consultare un’enciclopedia, lo accompagnavo in biblioteca o cercavo qualcuno che fosse abbastanza esperto e potesse aiutarlo a cercare le risposte o a imparare una certa materia. In questo modo non solo rispondevo alle sue domande più specifiche, ma gli mostravo vari modi in cui poteva cercare informazioni. Di qualunque materia si trattasse, il nostro curriculum migliore consisteva nel “come imparare” e “come ottenere informazioni”.
Nell’era dell’informazione, poi, non ha neanche più senso ed è completamente fuori dalla realtà pretendere un meccanico nozionismo. Non solo è insignificante per un bambino, a meno che non coincida con i suoi attuali interessi, ma le nozioni sono troppo numerose e molte saranno obsolete quando sarà adulto. Se invece impara come cercare le informazioni, potrà applicare questa capacità di ricercare e aggiornarsi per tutta la vita.
Noi non pratichiamo la scuola familiare per motivi religiosi, eppure abbiamo sempre apprezzato la possibilità di porci domande di etica personale e di incoraggiare qualità umane come la gentilezza, l’onestà, la fiducia, la collaborazione, la creatività (soprattutto quando serve a risolvere problemi) e la compassione per gli altri. Questa è una parte significativa del nostro curriculum. Abbiamo apprezzato le mattine trascorse a parlare dei sogni che avevamo fatto di notte e a pianificare la giornata che avevamo davanti, invece di preoccuparci di aiutare Jason a prepararsi per andare a scuola. La vita moderna è già abbastanza frenetica senza che dobbiamo rinunciare a trascorrere più tempo possibile, serenamente, in famiglia.
Quella che ho appena descritto viene anche chiamata “descolarizzazione”, nel senso che sono gli interessi attuali del bambino a determinare il corso degli studi e i genitori non agiscono come insegnanti ma come assistenti e bibliotecari. Tra i vari metodi di scuola familiare questo è spesso incompreso, perché ha premesse molto diverse da quelle che implica la scolarizzazione convenzionale. Ci vedono più per quello che non facciamo che per ciò che facciamo con i nostri figli:
- Non “insegniamo”.
- Non imponiamo nessun arbitrario e artificiale programma di studi.
- Non strutturiamo gli orari dei “giorni di scuola”.
Quello che invece facciamo:
- Rispondiamo alle loro domande. Molti di noi pensano che questo sia l’aspetto più critico ed essenziale di un valido programma di scuola familiare.
- Incoraggiamo le soluzioni creative e collaborative dei problemi che insorgono.
- Andiamo alla ricerca di tutte le risorse e le informazioni utili per andare incontro a qualsiasi interesse che il bambino stia esplorando in un certo momento.
- Cerchiamo di mostrare, attraverso le scelte familiari quotidiane, i benefici delle qualità morali individuali come l’amicizia, l’onestà e la responsabilità.
- Coltiviamo la gioia di imparare attraverso gli esempi che nascono dalle nostre conversazioni, letture e ricerche.
Sebbene non sia impossibile seguire il percorso che ho descritto anche nelle famiglie che mandano i figli a scuola, è molto difficile farlo se genitori e figli hanno meno tempo per stare insieme e se le ore successive alla scuola sono occupate da progetti, compiti a casa e altre incombenze poste dalla scuola. In più i bambini scolarizzati si abituano a cercare un sostegno emotivo prevalentemente tra i loro compagni, e questa propensione difficilmente cambia quando non sono a scuola.
Piuttosto che guardare con sospetto gli studenti descolarizzati o che fanno scuola familiare, insegnanti ed educatori farebbero bene a considerarci come colleghi e possibili fonti di informazione sulla natura dell’apprendimento e della motivazione. In fondo trascorriamo quasi tutto il giorno a osservare, studiare e partecipare a questa straordinaria impresa. Inoltre, a differenza degli insegnanti tradizionali, abbiamo il lusso della continuità: osserviamo lo stesso bambino per molti anni, e assistiamo al fiorire del suo apprendimento anno dopo anno. Questo ci permette di capire la natura dello sviluppo intellettivo individuale a lungo termine.
Scuola familiare, descolarizzazione e insegnanti delle scuole pubbliche o private condividono gli stessi obiettivi. Il fatto di intraprendere percorsi diversi verso i medesimi obiettivi non andrebbe visto in modo conflittuale, ma come un’opportunità di esplorare, con spirito di collaborazione, le scoperte uniche che ciascun percorso è in grado di offrire.