CAPITOLO VI

In difesa dei bambini

C’è posto per i bambini nella società?

La nostra cultura è strutturata principalmente per gli adulti, e i bambini sono spesso malvisti o addirittura esclusi. I nostri figli passano la maggior parte del tempo a scuola e in attività extrascolastiche in cui i genitori non sono benvenuti. Anni fa, quando mio figlio piccolo e io cercavamo qualcosa che potessimo fare insieme, qualcuno gli ha detto che lui non aveva bisogno di me e a me dissero sarei stata contenta di trascorrere un po’ di tempo da sola. Il fatto che noi due fossimo buoni amici e volessimo solo dedicarci a qualche piacevole attività insieme non era neanche preso in considerazione.


Questo atteggiamento sprezzante verso i bambini appare in tutta la sua evidenza al momento di fare la spesa. Molti commessi sembrano vedere i bambini come una potenziale fonte di guai. Sono tollerati finché stanno tranquilli, non toccano nulla e non danno l’impressione di farsi del male. Sospetto che non sia tanto il fatto che un bambino possa farsi male a preoccupare i negozianti, ma che il problema riguardi piuttosto loro stessi, che temono di essere trascinati in giudizio. Questa paura può arrivare al limite del ridicolo. All’età di sette anni mio figlio fu richiamato sonoramente in una libreria: “Scendi da quel gradino che ti fai male!” Il gradino era alto appena 12 centimetri. Se osserviamo da vicino i loro giochi notiamo come i bambini abbiano lo stesso istinto di conservazione degli adulti e una buona percezione di quello che stanno facendo. Per quale motivo allora ci si fida così poco di loro?


Tutte le volte in cui è necessario dire qualcosa a un bambino in pubblico riguardo al suo comportamento, lo si fa quasi sempre con un tono critico, severo e spazientito. Eppure anche gli adulti a volte si comportano in modi sconvenienti in pubblico, per esempio fumando dove non si dovrebbe. Se si redarguisce un adulto, il richiamo di solito è accompagnato dalla massima cortesia. Gli adulti meritano più considerazione dei bambini? Quando i bambini si avventurano tra la gente, invece, raramente si rivolge loro la parola, tranne che per chiedergli nome e classe, un po’ come si chiede nome e grado ai soldati. Se si mostrano in pubblico durante le ore di scuola viene chiesto loro in tono per lo più malevolo: “Perché non sei a scuola?” Cosa risponderebbe un adulto se gli chiedessero: “Perché lei non è a lavorare?”


Ci si aspetta che i bambini siano infinitamente pazienti durante noiose commissioni e conversazioni. Non devono mai interrompere gli adulti, anche se le conversazioni dei bambini sono di gran lunga più affascinanti.


Malgrado le loro maniere amabili, i bambini in luoghi pubblici sono trattati come se fossero trasparenti e i loro bisogni vengono spesso considerati irrilevanti. Sono svantaggiati in particolare quando devono comunicare le proprie necessità agli altri. Chi non ha mai visto un bambino o un neonato stravolto e le cui lacrime vengono ignorate da genitori arrabbiati e passanti indifferenti? Se un adulto piangesse in pubblico, non si preoccuperebbero tutti di lui? Se un animale stesse visibilmente soffrendo, passeremmo oltre?


Le chiese, che predicano l’amore in famiglia, in molti casi impediscono ai bambini di partecipare alle funzioni più significative. La discriminazione immobiliare a discapito delle famiglie è ancora un problema in molte zone, in cui chi affitta classifica i bambini alla stessa stregua di animali molesti, una via di mezzo tra pappagallini e boa constrictor.


È diverso altrove? Sì, in altre culture. In un’erboristeria cinese, anni fa, quando mio figlio era piccolo, io venni ignorata, mentre lui fu ricoperto di affettuose attenzioni. Riguardo a me, i negozianti, tutti e tre cinesi, si limitarono a chiedermi se avessi altri bambini. Superfluo dire che mio figlio si sentì totalmente accettato e benvoluto e il suo comportamento in quel negozio fu impeccabile.


Tutti i bambini si comportano così come vengono trattati, proprio come gli adulti. Perché è tanto difficile capirlo? In fondo siamo stati tutti bambini! Come abbiamo potuto dimenticare tanto presto cosa volesse dire essere bambini in un mondo di grandi? Il fisico e scrittore Richard Feynman scrisse una volta: “Gli esseri umani vanno trattati come esseri umani”. Siamo tutti esseri umani e, in un certo senso, siamo tutti bambini. Alcuni di noi sono solo nei paraggi da un po’ più di tempo.

Intervenire in difesa di un bambino nei luoghi pubblici

È adorabile a tre anni, con quel ciuffo di riccioli marroni e grandi occhi blu. Ha appena scoperto cosa sono le tasche. Allunga la manina, afferra un piccolo oggetto su un ripiano e lo tiene in mano, sopra la tasca. Studia un po’ l’oggetto e poi lo lascia cadere nella tasca. Plop! Con un risolino di soddisfazione. Infila la mano nella tasca per provare ancora. Ma questo sta succedendo in un negozio e l’oggetto che ha in mano, da 25 centesimi, non è stato pagato.


Il padre lì vicino è stato a guardare l’incidente con rabbia crescente. Furioso, si avventa sulla bambina, le strappa l’oggetto dalle mani e urla: “Se rubi un’altra cosa ti spezzo le dita!” L’orrenda minaccia si schianta contro il riso della bambina che rimane lì silenziosa e impietrita.


Questa scena non è inventata, purtroppo. È successo in un grande magazzino canadese. Si tratterà pure di un caso estremo ma non è l’unico, ne vediamo di simili dappertutto. Un genitore stanco alla fine di una giornata stressante perde la calma e un bambino soffre. Molti bambini subiscono maltrattamenti fisici ed emotivi ogni giorno, e nei luoghi pubblici sempre sentiamo minacce, comandi spazientiti, frasi umilianti, parole di rabbia rivolte ai bambini e orecchie da mercante alle loro lacrime. Vorremmo fare qualcosa, ma esitiamo. Sono faccende che ci riguardano? E se reagiamo mettiamo in imbarazzo e provochiamo il genitore, mettendo ancor più a repentaglio il bambino? Sbagliamo se diciamo con severità al genitore che deve trattare il figlio con gentilezza? È meglio passare facendo finta di niente? In fondo nessun genitore è perfetto.


Sembra ci sia un comune pregiudizio nella società, e cioè che intervenire in difesa di un bambino in un luogo pubblico debba necessariamente mortificare il genitore. Ma c’è una gran differenza tra una mortificante contestazione (“Come si permette di trattare così suo figlio?”) e un intervento che cerca di aiutare (“A volte non è facile stare dietro ai loro bisogni se si ha da fare, posso aiutarla in qualche modo?”). Intervenire non implica necessariamente modi offensivi. Agire per aiutare un genitore o difendere un bambino non è di per sé offensivo.


Sono intervenuta con successo in più occasioni: aiutando una madre a scegliere la verdura, aiutando un bambino a raccogliere i giocattoli che gli erano caduti, aiutando una mamma a vestire un bimbo irrequieto. Tutte le mamme erano sinceramente grate, mi hanno ringraziato per l’aiuto e hanno ricominciato subito a trattare i loro bambini con gentilezza. Porto sempre con me degli adesivi colorati: ho scoperto che distraggono un bambino annoiato, stanco o irrequieto, i cui genitori sono troppo affaticati e poco pazienti. Quando un bambino è contento per il regalo inaspettato (non solo per l’adesivo ma anche per gli sguardi e le attenzioni affettuose che riceve) il genitore molte volte si sente più rilassato, addirittura rigenerato: possiamo intervenire in modo positivo comunicando che ci importa sia del bambino che del genitore.


Dato che nessuno di noi è un genitore perfetto, può aiutarci pensare a quali risposte noi stessi vorremmo ricevere qualora ci vedessero trattare i nostri figli in modo meno gentile del dovuto. In quest’ottica, quando ci imbattiamo in situazioni simili nei luoghi pubblici, potreste seguire questi quattro consigli:

  1. Bisogna dimostrare comprensione verso il genitore: “A volte è difficile con i bambini piccoli che non sanno ancora come comportarsi nei negozi”.
  2. Possiamo confidare qualcosa di noi e dei nostri figli: “Ricordo che una volta – avevo 4 anni i miei mi hanno vista prendere una cosa in un negozio, ma io proprio non capivo cosa volesse dire rubare”.
  3. Dobbiamo poi entrare in sintonia con il bambino: “Ti ha spaventato papà così arrabbiato”. E aggiungere: “Che bel giocattolo. Ti dispiace lasciarlo lì vero?”.
  4. Infine si possono dare dei consigli utili: “Con mio figlio compiliamo una lista dei desideri con tutte quelle cose che non possiamo ancora comperare. Potrebbe andar bene anche per voi”.

Non è facile trovare le risposte giuste in un momento di conflitto, ma il semplice gesto di erigersi a difesa del bambino incide in modo importante su di lui, anche se l’intervento provoca le difese o la rabbia del genitore. Molti adulti durante le sedute di psicoterapia si ricordano ancora vivamente, e con gratitudine, di quella volta in cui uno sconosciuto si è fermato a difenderli, e quanto questo sia stato significativo: a qualcuno importava di loro, i loro sentimenti di paura, confusione e rabbia erano compresi e accettati. Queste persone hanno rivelato a me e ad altri psicologi che quel singolo intervento aveva cambiato la loro vita e dato loro speranza. Possiamo rimanere indifferenti davanti alla possibilità di fare una tale profonda differenza nella vita di un bambino?


Può essere d’aiuto pensare a come ci comporteremmo se si trattasse di un nostro amico in quella situazione. Penseremmo il meglio possibile, che quell’episodio sia eccezionale e legato a un momento difficile della vita di quel genitore. Il primo passo, esprimere comprensione per il genitore, aumenta la possibilità di essere ascoltati dimostrandogli le nostre buone intenzioni. Questo approccio riesce a evitare più facilmente possibili ritorsioni sul bambino.


Anche nei malaugurati e rari casi in cui un genitore si offenda, l’intervento funzionerà sempre da promemoria: capirà che deve fare più attenzione al modo in cui tratta i suoi figli. In un secondo momento di calma potrà ricordare l’episodio e riflettere su ciò che inizialmente non aveva potuto accettare.

Intervenire può essere difficile, specialmente in una società in cui esistono tabù che vietano di fare osservazioni sul modo in cui altri fanno i genitori. Per questo motivo anche gli adulti che sanno riconoscere un maltrattamento e solidarizzano con il bambino a volte preferiscono passare oltre. Purtroppo anche ignorare un bambino turbato contiene un messaggio. Un messaggio che dice al bambino che a nessuno importa della sua sofferenza, e ai genitori che approviamo il loro comportamento.


Non consiglio di intervenire in ogni caso di maltrattamento potenziale, non intervengo quando un bambino sembra solo triste. I bambini piangono per molte ragioni; di fronte solo a prove indiziarie non bisogna presumere che sia colpa dei genitori. Anche se un bambino piange per ragioni sconosciute, un genitore potrebbe tuttavia apprezzare il nostro interessamento. Una semplice offerta di aiuto, espressa cordialmente, non implica giudizi e, per quel che riguarda la mia esperienza personale, è sempre benvenuta. Quanto è negativo e dannoso il tabù che vieta di intervenire in pubblico impedendo ai genitori di aiutarsi l’un l’altro in situazioni difficili!


D’altra parte io e miei amici siamo stati anche testimoni di gesti davvero dannosi: schiaffi, percosse, spintoni, strattoni, bambini sbattuti contro il muro, pesanti insulti verbali, appellativi sprezzanti, paragoni umilianti tra fratelli e altri comportamenti dello stesso livello. I bambini subiscono perché sono troppo deboli e privi di esperienza per difendersi. Dovremmo noi che siamo più grandi e saggi fare finta di niente? Fino a che punto si deve arrivare per intervenire? Dobbiamo aspettare che il bambino diventi vittima di un’aggressione fisica più pesante? Un’aggressione può avere tante forme. La violenza emotiva non lascia cicatrici sulla pelle, ma sfregia dentro un bambino. Chi tra noi è capace di riconoscere i comportamenti distruttivi ha l’obbligo di intervenire in modo gentile e soccorrevole.


Casi psichiatrici dimostrano con evidenza che gli adulti psicopatici di oggi sono i bambini feriti di ieri. Non possiamo usare una macchina del tempo per aiutare i bambini di ieri, ma possiamo aiutare i bambini di oggi a diventare adulti saldi e responsabili che tratteranno i propri figli con sensibilità, amore e dignità. Possiamo “deporre” a favore dei bambini in pubblico. Possiamo far sapere loro che li consideriamo importanti e non vogliamo che siano trattati male. Se la comunità non fa chiarezza sul fatto che i maltrattamenti sui minori sono inaccettabili, questi si tramanderanno da una generazione all’altra. Se cerchiamo di intervenire con sensibilità anche verso il genitore, abbiamo compiuto quello che volevamo.


Se il padre della storia che ho raccontato voleva dare un’alta lezione morale a sua figlia, è certo che la sua reazione, per ironia della sorte, ne avrà abbassato l’autostima e reso il vero furto una possibilità concreta. Come fa a sapere quella bambina piccola che le parole di suo padre erano solo una minaccia a cui nessun individuo sano di mente avrebbe mai dato corso? Le sue piccole dita non sono state violate, ma la sua visione del mondo non sarà più la stessa. Forse un giorno qualcuno si farà avanti e parlerà a suo nome, e lo farà in modo tale che anche il padre potrà ascoltare.

Intervenire può salvare una vita umana

Statisticamente è un fenomeno raro, molto più raro di quanto si creda, ma è l’incubo peggiore dei genitori: un figlio rapito da uno sconosciuto e mai più ritrovato. Può succedere alla luce del sole in un luogo pubblico, un parco, un supermercato, in strada sotto casa. Come prevenire una tale tragedia?

  1. Non bisognerebbe mai dare per scontato che l’adulto che vediamo camminare a fianco di un bambino sia il genitore o qualcuno che si prende cura di lui. Se fosse un bambino rapito come apparirebbe la situazione? Molto probabilmente lo vedremmo piangere e divincolarsi per scappare. Purtroppo il pianto di un bambino il più delle volte non viene preso sul serio nella nostra società. Ma in quale altro modo potrebbe reagire un bambino in quella situazione?
  2. Dobbiamo spiegare a tutti i bambini che cosa intendiamo esattamente con “estraneo”. Alcuni sondaggi dimostrano che molti bambini, se non tutti, credono che gli estranei siano persone dall’aspetto pericoloso, con abiti scuri o maschere sul volto.1 Dobbiamo spiegare che estraneo è una persona che non conoscono. Un estraneo può anche sembrare “normale”, amichevole e ben vestito.
  3. Dobbiamo insegnare ai bambini a diffidare dei trucchi più frequentemente usati dai rapitori, come le richieste d’aiuto.
  4. Ogni bambino dovrebbe conoscere una parola chiave, da tenere segreta e da chiedere a ogni persona (anche a chi conosce già) che gli venga a dire che il papà o la mamma l’hanno mandato a prenderlo.
  5. Ai bambini più grandi bisogna insegnare a gridare: “Questa non è la mia mamma/il mio papà!” Il rischio è che un bambino che si limita a piangere e gridare venga ignorato.

Anche se non fosse un rapimento quello a cui assistiamo, un bambino che piange necessita sempre di essere ascoltato e aiutato. Lamenti e lacrime sono il tentativo del bambino di comunicare qualcosa di importante. Quando vedete un bambino che piange ignorato da tutti, fermatevi. Se riuscirete a dare una risposta altruistica e pacifica, avrete fatto sì che il messaggio vitale del bambino sia ascoltato. E potreste anche aver salvato una vita.

La discriminazione per età fa male a giovani e anziani

Indovinello: “ha pochi capelli, gli mancano i denti, ha difficoltà a camminare, ha bisogno di aiuto per vestirsi, molte volte è incompreso e qualche volta indesiderato. Chi è?”


Se avete detto “il bambino”, avete indovinato, se avete risposto “l’anziano” pure. Questi due gruppi di persone hanno molto in comune, ma con una differenza importante. Gli anziani hanno dei portavoce che fanno conoscere le loro esigenze agli altri, i bambini non hanno questo supporto. Quando tentano di farci sapere, nei soli modi per loro possibili, che i loro diritti umani sono violati, raramente vengono presi sul serio; al contrario vengono spesso ridicolizzati o addirittura puniti.


I più piccoli e i più anziani non sono autosufficienti in molte delle loro necessità fisiologiche, e hanno bisogno, e meritano, di ricevere un aiuto rispettoso. La prima volta che ho realizzato la somiglianza tra i più giovani e gli anziani, è stato nel 1982. Con Jason e sua nonna Anabel Hunt eravamo andati a trovare i suoi bisnonni, i genitori di Anabel, che a quel tempo avevano superato gli ottanta anni. Al momento di andar via, ho preso le scarpe di Jason e l’ho aiutato a rimettersele. Mi sono guardata intorno e non ho potuto non sorridere: anche Anabel era in ginocchio che allacciava le scarpe a suo padre.


Ma le somiglianze vanno oltre l’aiuto materiale. Qualche anno fa, nella mia città, una donna di ottanta anni affetta da osteoporosi e artrite stava facendo una delle sue rare passeggiate in città; china e affaticata, camminava lungo la strada. All’inizio era ignorata dai passanti, sola tra la folla. Poi qualcuno l’ha notata e ha gridato: “Guarda la gobba!” Scossa dentro, non ha detto niente. Tornata a casa è scoppiata in lacrime, ha raccontato il fatto a suo figlio e ha aggiunto sconsolata: “Una volta mi dicevano tutti che ero carina”.


A un raduno pubblico ho visto una giovane mamma rimproverare il figlioletto di un anno dicendogli: “Mettiti la maglietta, sembri uno stupido!”


In un negozio di frutta e verdura un bambino di quattro anni ha cercato vanamente di sollevare un oggetto pesante, che suo padre aveva appena comprato. Invece di aiutare il figlio il padre si è arrabbiato e l’ha insultato.


Bambini e vecchi vengono spesso criticati per cose che non sono in grado di controllare e per le quali meriterebbero comprensione. L’anziano non va colpevolizzato per la sua fragilità o la giovinezza perduta, e nemmeno i bambini vanno colpevolizzati per le cose che non hanno ancora imparato a fare. Ma le somiglianze su come la società tratta entrambi i gruppi vanno ancora oltre. Entrambi vedono messi da parte i loro bisogni se interferiscono con quelli degli altri. Gli anziani lottano contro le discriminazioni per età sul lavoro, le famiglie lottano contro le discriminazioni del tipo “non si affitta a famiglie con bambini”. Quando bambini o anziani danno voce alle loro idee, difficilmente ricevono attenzione. È come se ci si aspettasse che i bambini debbano stare “al loro posto”, a casa, a scuola o negli asili, mentre per gli anziani ci si aspetta solo che “svaniscano” senza disturbare dal resto della società. Quando non sono “al loro posto”, ma in un gruppo di persone di età diverse, ci si aspetta che bambini e anziani se ne stiano quieti, si comportino bene e non chiedano niente. È una cosa strana che tutto questo succeda, dato che siamo stati tutti bambini e, se saremo fortunati, ci attende la vecchiaia nel nostro futuro.


I programmi per l’infanzia e per gli anziani riflettono automaticamente questi atteggiamenti negativi e tendono a servire gli interessi delle istituzioni, che mirano a isolare i due gruppi, trascurando i bisogni individuali. I governi stanziano sempre fondi per case di riposo per anziani piuttosto di quanto sarebbe necessario per offrire le stesse cure permettendo loro di stare a casa propria, come vorrebbero in maggioranza. Ugualmente i politici promettono più asili nido invece di dare contributi o detrazioni fiscali ai genitori che tengono a casa i bambini, come questi ultimi vorrebbero. Sia i più giovani che gli anziani hanno l’inalienabile diritto di scegliere come e dove trascorrere il loro tempo di vita e non dovrebbero trovarsi del tutto alla mercé di decisioni altrui. In ogni caso la necessità di scegliere per la propria vita è più accettata nel caso degli anziani, nella società, dell’idea di una maggior libertà per i bambini, che sono guardati come se avessero una natura diversa dal resto del genere umano, più come una proprietà che esseri umani degni dei propri diritti. In effetti molti hanno paura che il concetto stesso di “diritti dell’infanzia” sia un attentato all’autorità dei genitori. Per rispondere a questa paura scrive John Holt:

“Se dovessi stabilire una sola regola per convivere e lavorare con i bambini, sarebbe questa: fate molta attenzione a non dire o fare a un bambino qualcosa che non fareste a un altro adulto al cui affetto e considerazione tenete. Ovviamente se vediamo qualcuno che va verso un tombino aperto o un altro grave pericolo gli grideremmo ‘attento!’ Con questo spirito interveniamo spesso e giustamente per proteggere la vita dei bambini. Ma questo non ha pressoché niente a che vedere con ‘l’autorità degli adulti’, quella sottospecie di diritto-dovere di dire ai bambini cosa devono fare. Sarebbe altrettanto giusto e doveroso se un bambino di otto anni, esperto sciatore, dicesse a un altro sciatore adulto che quella pista è troppo difficile per lui e che deve starne alla larga. In questo caso a parlare non è l’autorità dell’età, ma l’autorevolezza dell’esperienza e comprensione, che non hanno necessariamente a che fare con l’età”.2


Non solo un bambino esperto sciatore può darci consigli in merito; anche un neonato che rifiuta il biberon ci avverte, nell’unico modo che gli è possibile, della superiorità dell’allattamento al seno; un bambino che piange quando viene “messo giù” è un’autorità in materia dell’importanza vitale del legame affettivo tramite il contatto fisico; un bambino che piange di notte ci ricorda la secolare saggezza di quando tutti i membri della famiglia dormivano insieme.

Dobbiamo liberarci dell’epoca degli stereotipi e ricominciare ad apprezzare e rispettare gli altri esseri umani di qualsiasi età siano. Ma fino a quando non raggiungeremo quella meta, abbiamo bisogno di leggi e rappresentanti dei più piccoli e degli anziani.


La repulsione verso bambini e vecchi prevale in modo particolare nel nord America; in altre culture vengono accolti con molto più calore umano e sono ben accetti. In Scandinavia contributi statali permettono agli anziani di restare a casa propria, dove ricevono pasti e assistenza gratuiti; per i bambini hanno leggi che proibiscono le percosse e il bullismo, che incoraggiano l’allattamento al seno e addirittura regolamentano i progetti delle nuove abitazioni da un punto di vista che tenga conto delle esigenze dei bambini. La Norvegia ha un Commissariato per l’Infanzia, il primo al mondo, una voce pubblica indipendente a salvaguardia degli interessi dei minori.


Il successo di questi programmi fa ben sperare ed è un esempio del lavoro che ci aspetta. Abbiamo iniziato a legiferare a favore dei diritti dei cittadini anziani, ma c’è ancora molto da fare. Dobbiamo considerare anche i diritti dei bambini, che non possono parlare per loro stessi e di conseguenza sono il gruppo più vulnerabile nella società.


Come ricorda il dottor Seuss: “Una persona è una persona, non importa quanto è piccola”, o vulnerabile. Bisogna trattare il prossimo con rispetto e amore, senza biasimo e aspettative legate all’età. Quando giovani e anziani saranno considerati per il loro spirito, e non per la loro età, vivremo tutti più liberi e felici.

The Kids’ Project: rompere il cerchio degli abusi

Una domenica sera d’agosto del 1986, Rick Lahrson di Portland, nell’Oregon, era seduto in un ristorante. Stava bevendo un caffè quando, alzando lo sguardo dal menù, vide dei genitori rimproverare i loro bambini. Col cuore in gola ascoltava lo sfogo incalzante di insulti e minacce con la tensione che cresceva a ogni parola. Per Lahrson era evidente che non si trattava della solita momentanea perdita di pazienza che capita a tutti i genitori. Piuttosto la situazione rispecchiava il modo abituale in cui i genitori trattano i figli. Quei tre bambini di età dai tre ai sei anni sembravano aver già perso una parte della loro vitalità.


Quella visione era così penosa che Lahrson non poté più ordinare il pranzo e se ne andò dal ristorante. In seguito avrebbe descritto la scena: “Quei bambini erano assolutamente fantastici, ma i genitori non se ne rendevano conto. Soffocavano la vita in quei bambini, era così ingiusto… Ho visto la stessa scena tante di quelle volte che non potevo più sopportarlo”.


Lasciando il ristorante, Lahrson notò che la cameriera guardava la scena imbronciata. “Qualcuno deve farla finita…” le disse Lahrson. Pochi passi dopo si rese conto del peso di ciò che aveva appena detto, conscio di aver appena assunto un impegno personale. Nell’autunno di quell’anno inaugurò l’organizzazione no profit “The Kids’ Project, dedicata a favorire un mondo in cui i bambini vengano trattati con dignità e rispetto. L’obiettivo di Lahrson era quello di rompere il cerchio dei maltrattamenti cambiando la percezione che gli adulti hanno dei bambini. Come spiegava all’epoca: “Gli esseri umani non vengono al mondo con dubbi sul proprio valore. I bambini hanno molta di ciò che chiamiamo autostima. Sono disinibiti, imparano avidamente senza nessun programma e bisogno di compensare alcuna perdita di autostima o di ingannare e manipolare gli altri”.3

Lahrson sperava di provocare un cambiamento di rotta nel modo di pensare e interagire con i bambini affinché “ogni uomo, donna e bambino sia riconosciuto come essere umano completo e degno d’amore, con la capacità e il desiderio di contribuire al bene degli altri. Criminalità, guerre, povertà e paura diventeranno cose del passato”. Possono sembrare intenti presuntuosi e fuori luogo. Molti psicologi tuttavia ritengono che droga, alcol, dipendenze e comportamenti sociopatici provengano dai bisogni ignorati nei primi anni di vita. Trattare con amore e rispetto i bambini è fondamentale per la loro felicità futura e il benessere sociale nel suo insieme. Ma i genitori che non hanno ricevuto amore e rispetto nella loro infanzia non hanno imparato a trattare gli altri con amore e rispetto. Siamo dunque condannati a tramandare una genitorialità inadatta e violenta di generazione in generazione? Cosa può fare la società per liberarsi di questo modello infelice?


Lahrson elenca alcuni princìpi per iniziare a cambiare la nostra consapevolezza sull’infanzia:


– Prima ancora della nascita i bambini hanno le stesse facoltà di pensare e sentire degli adulti, tranne l’esperienza in funzione dei vari stadi di sviluppo.


– I bambini hanno un’insaziabile fame di sapere, e imparano meglio ciò che imparano prima. I bambini come gli adulti imparano soprattutto tramite gli esempi e l’esperienza.


– I bambini hanno una naturale pulsione a voler bene alle persone intorno a loro e a donarsi agli altri.


– I bambini hanno il gusto e la gioia di vivere e menti fresche.


– I bambini sono scienziati empirici di prim’ordine. La logica di un bambino è impeccabile, in base alla sua esperienza e stadio di sviluppo.


– I bambini sono il più delle volte incompresi nei loro primi tentativi di comunicare: si tende a zittirli invece di ascoltarli con attenzione.


– Il cattivo comportamento è il tentativo di comunicare quando ogni altro modo fallisce.


Come scriveva John Holt: “La sostanza del mio pensiero può riassumersi in ‘abbiate fiducia dei bambini’. Non c’è nulla di più semplice, o più difficile. È difficile perché per fidarci dei bambini dobbiamo prima fidarci di noi stessi e a molti di noi è stato insegnato, da bambini, che non ci si poteva fidare di noi”.4


Le interpretazioni che diamo delle intenzioni dei bambini avranno ripercussioni importanti sulla relazione con loro e sulla visione che avranno di sé. Se crediamo nelle buone intenzioni dei nostri figli, produrremo un circolo virtuoso di buone intenzioni: più ci fidiamo di loro e più diventeranno affettuosi e capaci di cooperare, e sempre più facile per noi fidarci di loro nel futuro.

Genitori con il cuore
Genitori con il cuore
Jan Hunt
I bambini si comportano così come vengono trattati.L’amore senza condizioni, la gentilezza affettuosa, l’assenza di minacce e castighi, così come di ogni modalità manipolatoria nella relazione con i figli. Non esistono genitori perfetti, ma possiamo riconoscere l’importanza cruciale di come ci comportiamo nei confronti dei nostri figli.La propensione all’aggressività è legata, infatti, ai bisogni non corrisposti; dobbiamo, quindi, scegliere di accettare i bisogni umani dei nostri figli aprendoci a loro con il cuore.I bambini trattati con amore risponderanno con amore: per fare questo dobbiamo avere fiducia in loro e in noi stessi.Genitori con il cuore può indicarci la strada giusta per un’educazione più equilibrata: una guida tenera e illuminante in cui Jan Hunt, psicologa e terapeuta specializzata nel rapporto tra genitori e figli, coniuga i princìpi dell’attaccamento parentale ai diritti del bambino e alla filosofia dell’homeschooling, seguendo un approccio moderato e coerente per educare un bambino affettuoso, sicuro di sé, altruista e determinato. Conosci l’autore Jan Hunt, B.A. Psychology, M.Sc. Counseling Psychology, è direttrice del Natural Child Project e consulente editoriale del trimestrale “Empathic Parenting”, pubblicato dalla Canadian Society for the Prevention of Cruelty to Children (CSPCC).È membro della direzione del CSPCC e dell’Alliance for Transforming the Lives of Children, è presente sull’Advisory Board del The Child-Friendly Initiative and Attachment Parenting International e consulente per il Northwest Attachment Parenting.