Intervenire in difesa di un bambino nei luoghi pubblici
È adorabile a tre anni, con quel ciuffo di riccioli marroni e grandi occhi blu. Ha appena scoperto cosa sono le tasche. Allunga la manina, afferra un piccolo oggetto su un ripiano e lo tiene in mano, sopra la tasca. Studia un po’ l’oggetto e poi lo lascia cadere nella tasca. Plop! Con un risolino di soddisfazione. Infila la mano nella tasca per provare ancora. Ma questo sta succedendo in un negozio e l’oggetto che ha in mano, da 25 centesimi, non è stato pagato.
Il padre lì vicino è stato a guardare l’incidente con rabbia crescente. Furioso, si avventa sulla bambina, le strappa l’oggetto dalle mani e urla: “Se rubi un’altra cosa ti spezzo le dita!” L’orrenda minaccia si schianta contro il riso della bambina che rimane lì silenziosa e impietrita.
Questa scena non è inventata, purtroppo. È successo in un grande magazzino canadese. Si tratterà pure di un caso estremo ma non è l’unico, ne vediamo di simili dappertutto. Un genitore stanco alla fine di una giornata stressante perde la calma e un bambino soffre. Molti bambini subiscono maltrattamenti fisici ed emotivi ogni giorno, e nei luoghi pubblici sempre sentiamo minacce, comandi spazientiti, frasi umilianti, parole di rabbia rivolte ai bambini e orecchie da mercante alle loro lacrime. Vorremmo fare qualcosa, ma esitiamo. Sono faccende che ci riguardano? E se reagiamo mettiamo in imbarazzo e provochiamo il genitore, mettendo ancor più a repentaglio il bambino? Sbagliamo se diciamo con severità al genitore che deve trattare il figlio con gentilezza? È meglio passare facendo finta di niente? In fondo nessun genitore è perfetto.
Sembra ci sia un comune pregiudizio nella società, e cioè che intervenire in difesa di un bambino in un luogo pubblico debba necessariamente mortificare il genitore. Ma c’è una gran differenza tra una mortificante contestazione (“Come si permette di trattare così suo figlio?”) e un intervento che cerca di aiutare (“A volte non è facile stare dietro ai loro bisogni se si ha da fare, posso aiutarla in qualche modo?”). Intervenire non implica necessariamente modi offensivi. Agire per aiutare un genitore o difendere un bambino non è di per sé offensivo.
Sono intervenuta con successo in più occasioni: aiutando una madre a scegliere la verdura, aiutando un bambino a raccogliere i giocattoli che gli erano caduti, aiutando una mamma a vestire un bimbo irrequieto. Tutte le mamme erano sinceramente grate, mi hanno ringraziato per l’aiuto e hanno ricominciato subito a trattare i loro bambini con gentilezza. Porto sempre con me degli adesivi colorati: ho scoperto che distraggono un bambino annoiato, stanco o irrequieto, i cui genitori sono troppo affaticati e poco pazienti. Quando un bambino è contento per il regalo inaspettato (non solo per l’adesivo ma anche per gli sguardi e le attenzioni affettuose che riceve) il genitore molte volte si sente più rilassato, addirittura rigenerato: possiamo intervenire in modo positivo comunicando che ci importa sia del bambino che del genitore.
Dato che nessuno di noi è un genitore perfetto, può aiutarci pensare a quali risposte noi stessi vorremmo ricevere qualora ci vedessero trattare i nostri figli in modo meno gentile del dovuto. In quest’ottica, quando ci imbattiamo in situazioni simili nei luoghi pubblici, potreste seguire questi quattro consigli:
- Bisogna dimostrare comprensione verso il genitore: “A volte è difficile con i bambini piccoli che non sanno ancora come comportarsi nei negozi”.
- Possiamo confidare qualcosa di noi e dei nostri figli: “Ricordo che una volta – avevo 4 anni i miei mi hanno vista prendere una cosa in un negozio, ma io proprio non capivo cosa volesse dire rubare”.
- Dobbiamo poi entrare in sintonia con il bambino: “Ti ha spaventato papà così arrabbiato”. E aggiungere: “Che bel giocattolo. Ti dispiace lasciarlo lì vero?”.
- Infine si possono dare dei consigli utili: “Con mio figlio compiliamo una lista dei desideri con tutte quelle cose che non possiamo ancora comperare. Potrebbe andar bene anche per voi”.
Non è facile trovare le risposte giuste in un momento di conflitto, ma il semplice gesto di erigersi a difesa del bambino incide in modo importante su di lui, anche se l’intervento provoca le difese o la rabbia del genitore. Molti adulti durante le sedute di psicoterapia si ricordano ancora vivamente, e con gratitudine, di quella volta in cui uno sconosciuto si è fermato a difenderli, e quanto questo sia stato significativo: a qualcuno importava di loro, i loro sentimenti di paura, confusione e rabbia erano compresi e accettati. Queste persone hanno rivelato a me e ad altri psicologi che quel singolo intervento aveva cambiato la loro vita e dato loro speranza. Possiamo rimanere indifferenti davanti alla possibilità di fare una tale profonda differenza nella vita di un bambino?
Può essere d’aiuto pensare a come ci comporteremmo se si trattasse di un nostro amico in quella situazione. Penseremmo il meglio possibile, che quell’episodio sia eccezionale e legato a un momento difficile della vita di quel genitore. Il primo passo, esprimere comprensione per il genitore, aumenta la possibilità di essere ascoltati dimostrandogli le nostre buone intenzioni. Questo approccio riesce a evitare più facilmente possibili ritorsioni sul bambino.
Anche nei malaugurati e rari casi in cui un genitore si offenda, l’intervento funzionerà sempre da promemoria: capirà che deve fare più attenzione al modo in cui tratta i suoi figli. In un secondo momento di calma potrà ricordare l’episodio e riflettere su ciò che inizialmente non aveva potuto accettare.
Intervenire può essere difficile, specialmente in una società in cui esistono tabù che vietano di fare osservazioni sul modo in cui altri fanno i genitori. Per questo motivo anche gli adulti che sanno riconoscere un maltrattamento e solidarizzano con il bambino a volte preferiscono passare oltre. Purtroppo anche ignorare un bambino turbato contiene un messaggio. Un messaggio che dice al bambino che a nessuno importa della sua sofferenza, e ai genitori che approviamo il loro comportamento.
Non consiglio di intervenire in ogni caso di maltrattamento potenziale, non intervengo quando un bambino sembra solo triste. I bambini piangono per molte ragioni; di fronte solo a prove indiziarie non bisogna presumere che sia colpa dei genitori. Anche se un bambino piange per ragioni sconosciute, un genitore potrebbe tuttavia apprezzare il nostro interessamento. Una semplice offerta di aiuto, espressa cordialmente, non implica giudizi e, per quel che riguarda la mia esperienza personale, è sempre benvenuta. Quanto è negativo e dannoso il tabù che vieta di intervenire in pubblico impedendo ai genitori di aiutarsi l’un l’altro in situazioni difficili!
D’altra parte io e miei amici siamo stati anche testimoni di gesti davvero dannosi: schiaffi, percosse, spintoni, strattoni, bambini sbattuti contro il muro, pesanti insulti verbali, appellativi sprezzanti, paragoni umilianti tra fratelli e altri comportamenti dello stesso livello. I bambini subiscono perché sono troppo deboli e privi di esperienza per difendersi. Dovremmo noi che siamo più grandi e saggi fare finta di niente? Fino a che punto si deve arrivare per intervenire? Dobbiamo aspettare che il bambino diventi vittima di un’aggressione fisica più pesante? Un’aggressione può avere tante forme. La violenza emotiva non lascia cicatrici sulla pelle, ma sfregia dentro un bambino. Chi tra noi è capace di riconoscere i comportamenti distruttivi ha l’obbligo di intervenire in modo gentile e soccorrevole.
Casi psichiatrici dimostrano con evidenza che gli adulti psicopatici di oggi sono i bambini feriti di ieri. Non possiamo usare una macchina del tempo per aiutare i bambini di ieri, ma possiamo aiutare i bambini di oggi a diventare adulti saldi e responsabili che tratteranno i propri figli con sensibilità, amore e dignità. Possiamo “deporre” a favore dei bambini in pubblico. Possiamo far sapere loro che li consideriamo importanti e non vogliamo che siano trattati male. Se la comunità non fa chiarezza sul fatto che i maltrattamenti sui minori sono inaccettabili, questi si tramanderanno da una generazione all’altra. Se cerchiamo di intervenire con sensibilità anche verso il genitore, abbiamo compiuto quello che volevamo.
Se il padre della storia che ho raccontato voleva dare un’alta lezione morale a sua figlia, è certo che la sua reazione, per ironia della sorte, ne avrà abbassato l’autostima e reso il vero furto una possibilità concreta. Come fa a sapere quella bambina piccola che le parole di suo padre erano solo una minaccia a cui nessun individuo sano di mente avrebbe mai dato corso? Le sue piccole dita non sono state violate, ma la sua visione del mondo non sarà più la stessa. Forse un giorno qualcuno si farà avanti e parlerà a suo nome, e lo farà in modo tale che anche il padre potrà ascoltare.