CAPITOLO IV

Educare i bambini

La regola d’oro per i genitori

Tratta gli altri come vorresti essere trattato tu.

La regola d’oro ha sempre dimostrato la sua eccelsa validità di precetto morale fin dai tempi più antichi. Filosofi greci, ebrei, Gesù, Confucio e altri maestri di etica hanno insegnato a tutti questa regola, che viene chiamata anche “regola d’oro” per esprimere quanto sia tenuta in considerazione come massima legge di vita. Quale insegnamento migliore possiamo applicare quotidianamente come genitori? Una possibile variante della regola d’oro applicata ai genitori sarebbe: “Tratta i tuoi figli come vorresti essere trattato tu al loro posto”.


È illuminante mettere alla prova i metodi disciplinari in voga alla luce di questa “regola d’oro per i genitori”, provando a mettere marito e moglie al posto di genitore e bambino. Per esempio:

  1. Punizioni corporali.
    La moglie versa accidentalmente il caffè sulla giacca nuova del marito. Lui la picchia.
    Starà più attenta la prossima volta? O potrebbe farlo arrestare per violenza coniugale?
  2. Castigo.
    Il marito litiga con un ospite. Sua moglie gli dice: “Non è bello litigare così col tuo amico! Non si fa così! Vai nella tua stanza e restaci per mezz’ora!”
    Il marito diventerà meno litigioso? L’imbarazzo della situazione lo correggerà? Si sentirà di chiedere scusa all’amico?
  3. Logiche conseguenze.
    La moglie esce con l’auto ma si dimentica di far benzina e rimane a secco. Chiama casa e chiede al marito se può prendere la sua auto, andare a riempire una tanica di benzina e portargliela. Lui rifiuta, spiegandole che deve imparare a “trarre le logiche conseguenze” ed essere più responsabile.
    La prossima volta che il serbatoio sarà agli sgoccioli la moglie ricorderà di fare benzina? O sarà troppo assorta a meditare sul divorzio per pensare a cose di minore importanza come la manutenzione dell’auto?
  4. Conto alla rovescia.
    Una moglie ricorda al marito, che sta leggendo il giornale, che è il suo turno di lavare i piatti. Lui mormora “Hm…” e continua a leggere. La moglie si incaponisce: “Devi andare a lavare i piatti adesso! Dieci… nove… otto… sette…”
    Il marito se la sentirà di collaborare con sua moglie? O penserà di aver sposato una pazza? E si sentirà amato anche solo un po’?

Tutti questi metodi disciplinari appaiono ridicoli, visti in questo modo. Ma si è stabilito, a un certo punto nella nostra società, che adulti e bambini reagiscono in base a diversi princìpi comportamentali. È stato un gravissimo errore. Ci siamo posti la domanda sbagliata: “quali regole funzionano con i bambini e quali con gli adulti?” La realtà è molto più semplice: tutti gli esseri umani si comportano come vengono trattati. L’unico “metodo” che abbia senso nelle relazioni umane, siano essi adulti o bambini, è l’amore incondizionato.


I genitori che vogliono aiutare i loro figli a crescere e diventare adulti affettuosi e responsabili non possono fare di meglio che ricordare la regola d’oro dei genitori: “Tratta i tuoi figli come vorresti essere trattato tu al loro posto”. Semplice, chiara ed efficace. Non dobbiamo perdere tempo a chiederci l’età di una persona per applicare questa regola: è su misura per tutti.

Le “buone maniere” nascono dal cuore

In una lettera a un giornale dell’Oregon, una lettrice esprimeva una critica molto frequente: molti bambini ai quali aveva offerto i dolcetti di Halloween si erano dimenticati di dire “grazie”. E continuava dicendo che le buone maniere sono quanto di più importante ci sia e i genitori dovrebbero ricorrere alla forza, se necessario, per inculcargliele.


È normale sentirsi urtati quando sentiamo che la nostra gentilezza è data per scontata. Ma forse dovremmo guardare più in profondità. Ci sono due ragioni, completamente diverse, del perché un bambino dica “grazie”. Può ringraziarci perché apprezza sinceramente la nostra gentilezza nei suoi confronti e perché ha sentito pronunciare varie volte espressioni di ringraziamento in famiglia, specialmente nei suoi confronti. Un altro bambino invece dirà “grazie”, ma sarà una parola vuota, pronunciata per paura di un rimprovero. Il buon comportamento che viene dall’intimidazione e dalla scarsa comprensione dei gesti rituali, non solo è privo di significato ma è anche inutile, dato che non otteniamo ciò che vogliamo.


Sotto la minaccia dei rimproveri si può obbligare un bambino a dire “grazie”, ma non possiamo forzarlo a esprimere quell’autentica gentilezza che vorremmo. La vera gentilezza si sviluppa nel bambino solo se viene trattato, lui per primo, con gentilezza. Non si può comandare al cuore di nessuno, estorcendogli belle parole. Che soddisfazione c’è nell’ascoltare parole di cortesia dette da un bambino intimidito? Sono parole che perdono ogni magia se non provengono dal cuore.


Il pedagogista John Holt raccontava di aver ricevuto una volta un “vero” ringraziamento spontaneo da una giovanissima amica, descritto come “un amabile piccolo dono fatto di parole, colmo di delizia, amore e gratitudine”. E proseguiva:

“Che io ricordi, è stata la prima volta che mi ha ringraziato… a questa piccola persona nessuno aveva mai insegnato a dire “grazie”. Quindi come mai con me l’ha fatto se nessuno le aveva mai detto di dirlo? Come l’ha imparato? Perché noi grandi le dicevamo sempre “grazie”, e perché lo sentiva dire tra di noi. Osservandoci attentamente ha capito che quando una persona fa un gesto buono verso qualcuno, quello è un piccolo dono d’amore, e chi riceve quel dono ricambia con un piccolo dono. Dato che voleva fare come noi, si è comportata nello stesso modo. Nel tempo diventerà naturale come il respiro.

Com’era diversa questa scena da altre a cui ho assistito molte volte: un bimbo con gli occhi spalancati sul suo regalo, tutto preso dal desiderio, dall’eccitazione e dalla curiosità, quando una voce adulta irrompe, spesso in tono severo e adirato: ‘Cosa si dice?’ Il piccolo viene strappato dal suo mondo di contemplazione e piacere e fatto improvvisamente sprofondare nella vergogna e nel senso di colpa. Ode quella che sa bene essere una minaccia: se non dice ‘grazie’ gli capiterà qualcosa di male. A quel punto l’incanto è svanito, forse odia il regalo che l’ha messo in quella situazione dolorosa, e imbronciato, malvolentieri, dice ‘grazie’”.1


Per la festa di Halloween i bambini scelgono con estrema cura la loro maschera, la indossano e camminano di casa in casa un’ora e anche più. Quanti tra noi si preoccupano di dire: “Grazie per avermi mostrato il tuo bel costume”? Non è questione di buone maniere, questo è davvero il miglior metodo di insegnamento, perché la vera cortesia proviene soprattutto dall’imitazione. I bambini imparano a trattare gli altri con cortesia guardando gli adulti intorno a loro che si relazionano con il prossimo con modi cortesi, e ascoltano le nostre spiegazioni, date con sensibilità, delle ragioni per cui preferiamo certi comportamenti. Invece di preoccuparci della scortesia dei ragazzini, dovremmo ricordare che si comportano come vengono trattati e ci osservano come trattiamo gli altri.

Il problema dei premi

Un recente articolo su una rivista per genitori consigliava una “coppa dei premi” per incentivare i bambini. La coppa va riempita di piccoli giocattoli o premi da estrarre se i bambini portano a termine determinati compiti o cambiano comportamento quando il genitore glielo chiede.


I genitori che usano i premi sono spinti a cercare un metodo che non sia punitivo per aiutare i figli a imparare alcune cose importanti. Tuttavia il metodo è solo meno-punitivo, invece di non-punitivo, perché un sistema basato sui premi comporta sempre la possibilità di fallimento – dichiarato o no – che sia nel meritare la ricompensa o nell’accontentare il genitore. Inevitabilmente la possibilità di sbagliare comporta la paura di fallire.


I premi, per quanto di primo acchito sembrino gradevoli rispetto alle punizioni, comportano alcuni rischi e problemi. Il problema peggiore è il messaggio occulto in base al quale, se non ci fosse la ricompensa, un bambino non vorrebbe mai svolgere un certo compito. Si potrebbe anche dire che non ricevere una ricompensa è un castigo.


Quando offriamo loro dei premi, i bambini recepiscono i seguenti messaggi:

  • Che non sanno comprendere e apprezzare a modo loro le cose che bisogna imparare nella vita, ma devono solo imparare quelle cose per le quali qualcun altro li premia. Potrebbero essere indotti a disprezzare e a mettere in discussione i propri gusti personali e i propri interessi.
  • Che non devono fidarsi del proprio giudizio, ma cercare l’opinione di un “esperto” prima di cimentarsi in un progetto, e che è imprudente credere alle proprie percezioni e intuizioni sul mondo che li circonda. Potrebbero iniziare a non fidarsi più delle proprie scelte e decisioni.
  • Che un dato compito debba per forza essere difficile o sgradevole, altrimenti per quale motivo qualcuno offrirebbe una ricompensa? Nessuno ha mai dovuto offrire un premio a un bambino per fargli mangiare un gelato!

Oltre ai messaggi occulti ci possono essere altre conseguenze negative:

  • Se il genitore assume un ruolo autoritario e stabilisce come vanno risolti i problemi del figlio, quest’ultimo perde un’occasione d’oro per imparare a risolverli e la famiglia non si accorge di soluzioni potenzialmente migliori che un bambino avrebbe potuto inventare se ne avesse avuto la possibilità.
  • Le ricompense esteriori deviano l’attenzione dalle scoperte interiori. Il bambino allettato da un premio potrebbe non capire mai le vere ragioni per cui conviene fare una certa cosa e non scoprire la gratificazione intrinseca che quel compito può riservare. Per esempio, un bambino che legge un libro solo per ricevere in omaggio un adesivo dalla biblioteca, non scoprirà mai il vero piacere di leggere. In quel senso, avrà una visione falsa del mondo.
  • Cosa più importante, si trascurano i veri bisogni del bambino, che rimangono insoddisfatti per riemergere in seguito. L’intero comportamento di un bambino può essere visto come una manifestazione esteriore di un legittimo bisogno interiore. Fino a quando quel bisogno non sarà pienamente corrisposto ci saranno solo cambiamenti esteriori. I bisogni interiori non si possono soddisfare con ricompense artificiali e arbitrarie. Il fatto che un bambino sia restio ad andare a letto potrebbe sottintendere una condizione di solitudine, rifiuto o una malattia incombente, ma quel bisogno non sarà mai riconosciuto se il problema è offuscato dalle ricompense. Al contrario, il bambino potrebbe recepire il messaggio involontario che ai suoi genitori non importano i suoi veri sentimenti e bisogni, ma vogliono solo che lui si conformi ai loro bisogni.

Personalmente, quando voglio aiutare un bambino a imparare una cosa nuova, preferisco puntare sulle gratificazioni intrinseche. Tutte quelle esteriori, che siano premi, voti scolastici, regali, elogi intenzionali e manipolatori, sono arbitrarie; ossia non hanno nessuna relazione diretta con la questione. Anche le sanzioni hanno lo stesso problema. Per esempio, se si cerca di insegnare a un bambino l’importanza di tenere pulita e in ordine la sua cameretta, focalizzarsi sulla cosa in sé significa aiutare il bambino ad apprezzare i vantaggi intrinseci di una cameretta ordinata: è più facile trovare le cose, è più difficile rompere i giocattoli o fare altri danni e per molti è più facile riuscire a fare o pensare in un ambiente ordinato.


Questo modo di spiegare, se comunicato in modo gentile, sembra più sensato a un bambino di qualunque premio esteriore, e voi gli mostrate che vi fidate delle sue motivazioni e capacità. Questo approccio serve anche al genitore: parlando delle cose da fare con i figli ci si accorge delle priorità. Se non siete capaci di spiegargli le ragioni per cui è bene o necessario fare una certa cosa, può anche darsi che non valga la pena di farla! Per un bambino tener sempre in ordine la cameretta non è così importante come giocare in tutta tranquillità e senza fretta con i genitori, un fratello o una sorella.


Un approccio che metta in evidenza i vantaggi intrinseci delle cose permette anche di dare dei consigli pratici e un aiuto vero. Se genitore e bambino stanno dalla stessa parte, entrambi possono contribuire insieme con le loro idee per scoprire come rendere più semplici certi progetti. Ricorrendo a premi o sanzioni è più facile credere che il bambino debba arrangiarsi da solo.


Quando mio figlio era piccolo ho avuto la fortuna di scoprire i libri di John Holt e di vari autori che spiegavano l’importanza di concentrarsi sui valori intrinseci. Da allora ho sempre creduto che i bambini siano in grado di apprezzare i vantaggi di cose come tenere una cameretta ordinata, e ho aiutato mio figlio a scoprire l’utilità intrinseca dell’ordine. Da parte sua era libero di chiedermi aiuto e consigli, mentre io mi sentivo libera di aiutarlo ogni volta che aveva bisogno. Col tempo ha scoperto che ogni sforzo che faceva per pulire la stanza, come per ogni attività sensata, comportava un intrinseco vantaggio e ha imparato che quei vantaggi sono automatici e immediati. A vent’anni la sua capacità e le sue abitudini nello svolgere faccende domestiche sono decisamente superiori alle mie. Sto ancora lavorando su questo aspetto psicologico della mia vita, in parte a causa delle sensazioni opprimenti associate alle pulizie che ho da quando ero giovane.

Una valida regoletta nell’educazione, come in qualsiasi relazione umana, è che stare dalla stessa parte dei figli è più rispettoso e di conseguenza più efficace di qualunque gerarchia imposta, che genera distacco e freddezza tra noi e loro, come succede con certi stereotipi educativi fatti di ricompense esteriori per pretendere un certo comportamento. Stando dalla stessa parte dei figli esprimiamo la fiducia che sappiano capire i valori intrinseci delle cose e diventare adulti che sanno badare a se stessi, scegliendo i propri modelli di vita e priorità, e identificare ogni possibile premio intrinseco derivante dal loro impegno. Come faceva notare la mia amica e collega Mary Van Doren: “Allevare i figli con attenzione ai valori intrinseci delle cose non è una tecnica, un metodo o un trucco per far fare ai bambini quello che i genitori vogliono da loro, con mezzi subdoli, ma è uno stile di vita, un modo di vivere con i bambini con un vero rispetto della loro intelligenza e del loro modo di essere!”2


La domanda chiave è: che cosa vogliamo ottenere? Se vogliamo solo una cameretta pulita, l’otterremo in fretta con ricompense e sanzioni, ma con risultati imprevedibili: timori e associazioni sgradevoli instillate nel bambino, danneggiamento del legame tra genitori e figli e un messaggio occulto che esprime la sfiducia che un figlio non sappia imparare senza ricorso a incentivi esterni. Gli incentivi sono una forma di controllo, un modo di manipolare i bambini perché si conformino al nostro ordine del giorno. Tutti i metodi che si basano sul controllo comportano un prezzo da pagare: da parte del figlio, del genitore e della loro relazione. Il prezzo più alto è il danno alla propria autostima e consapevolezza di sé.


Se desideriamo qualcosa di più di una stanza pulita, se vogliamo che il bambino apprezzi i valori intrinseci delle cose, che abbia fiducia nel suo giudizio, che creda alle sue capacità di stabilire che cosa è giusto fare senza andare alla ricerca di una figura autoritaria, ci potranno volere più anni ma sarà valso tutto l’impegno e la pazienza che gli abbiamo dedicato.


I genitori che scelgono la via più lunga, di aver fiducia e aiutare i figli a scoprire le loro motivazioni, con la capacità di valutare le gratificazioni e i valori intrinseci, scoprono i vantaggi che ci sono anche per loro. È assai più gratificante per i genitori veder crescere un figlio indipendente, sicuro di sé, realista e con motivazioni sue personali, che non vedere una cameretta ordinata all’età di sei anni! Se invece delle ricompense e sanzioni usiamo la fiducia, la pazienza e la gentilezza nello spiegare, i bambini diventano liberi di appropriarsi del loro apprendimento e della loro crescita personale. Meno autoritari cerchiamo di essere, senza abbandonare il nostro ruolo di guide sagge e comprensive, più importanti e durevoli saranno i progressi del loro apprendimento.

Lodare i bambini: complimento o manipolazione?

Negli ultimi tempi vari esperti di salute mentale consigliano ai genitori di astenersi sia dalle lodi che dalle critiche. Nelle lodi intravvedono una forma di manipolazione del comportamento infantile, più sottile dei rimproveri e delle critiche ma pur sempre dannosa. Certo mi è successo di vedere dei genitori che fanno quel tipo di complimenti, ma ne ho visto anche che li usavano in modo normale e sano. Dopo averci pensato su a lungo e averne parlato con i miei colleghi, ho concluso che evitare ogni complimento sia eccessivo. Se da un lato bisogna astenersi dal fare complimenti falsi e manipolatori, ci sono lodi, tuttavia, che scaturiscono dal cuore in modo gioioso e che comunicano ai nostri figli ciò di cui hanno più bisogno: il nostro genuino incoraggiamento affettivo.


Con “falsi complimenti” o lodi, intendo quelle parole che vengono dette intenzionalmente per spingere i figli a tenere un certo comportamento in funzione degli obiettivi del genitore, ma non necessariamente nell’interesse del bambino. Tra i vari complimenti manipolatori ci sono, per esempio:

– “Di’ grazie alla nonna. Brava bambina!”

– “Fai il bravo e dài il giocattolo a tua sorella… bene così!”


Con “lodi sincere” intendo quelle parole affettuose che nascono dal cuore dei genitori senza alcuna intenzione di condizionare il comportamento del bambino, per esempio:

– “Che bellissimo biglietto di auguri che hai fatto per me! Grazie!”

– “Oh, hai pulito il pavimento! Che magnifica sorpresa!”


La differenza chiave tra questi due tipi di complimento sta nelle intenzioni. Esprimiamo i sentimenti di apprezzamento che emergono in quel momento oppure vogliamo indirizzare il comportamento, meticolosamente dispensando o privando il bambino della nostra approvazione? È prendersi una grave libertà esercitare il potere sui figli dispensando amore e lodi quando sono “buoni” e privandoli di questi quando sono “cattivi”. Così comunichiamo lo stesso deleterio messaggio di tutte le punizioni: il bambino è amato a condizione che faccia solo quello che vogliamo. Tutti i genitori hanno la responsabilità di evitare questo tipo di manipolazioni, tuttavia se per evitarlo ci freniamo dal pronunciare qualsiasi buona parola, nascondendo il nostro vero sé, perdiamo l’opportunità di vivere una relazione autentica con i figli. In un certo senso rischiamo che ci percepiscano come persone assenti nella loro vita, perdendo i momenti più felici di qualunque relazione: quell’istintivo scambio di gesti e parole che celebrano l’amore e la felicità tra di noi.

I bambini non devono soffrire3

L’uso della verga scaturisce dall’ira e dalla debolezza,
essendo la verga un castigo servile che degrada l’animo,
e anche quando corregge, se mai corregge,
ha come effetto l’indurimento.
San Giovanni Battista de La Salle, Sulla condotta nelle scuole cristiane (1570)

Alla fine del 2007 sono già 24 i paesi in cui è illegale per genitori, insegnanti o chiunque altro picchiare un bambino: Svezia, Finlandia, Norvegia, Austria, Cipro, Italia, Danimarca, Lettonia, Croazia, Bulgaria, Germania, Israele, Islanda, Romania, Ucraina, Ungheria, Cile, Grecia, Olanda, Nuova Zelanda, Portogallo, Spagna, Uruguay e Venezuela. In alcuni stati e province del nord America picchiare è illegale per gli insegnanti, ma in tutto il resto del continente le punizioni corporali da parte dei genitori, quando non cruente, vengono ancora viste da molte persone come una disciplina necessaria e tollerata, se non addirittura incoraggiata.


Da decenni tuttavia molti psichiatri, sociologi e genitori raccomandano di mettere al bando le punizioni corporali dei bambini. La ragione più importante secondo il Dr. Peter Newell, fondatore dell’organizzazione End Punishment Of Children (EPOCH), è che “tutti i cittadini hanno uguale diritto alla protezione della propria integrità fisica, e anche i bambini sono cittadini”.4


Ci sono molte altre ragioni per mettere al bando scapaccioni e punizioni corporali:

  • Picchiare i bambini insegna loro a diventare adulti violenti. Da numerosi studi e ricerche è emersa una diretta correlazione tra le punizioni corporali subite nell’infanzia e il comportamento violento o aggressivo di giovani e adulti. Praticamente tutti i peggiori criminali sono stati regolarmente minacciati e percossi quando erano piccoli. È nell’ordine naturale delle cose che i bambini imparino atteggiamenti e comportamenti attraverso l’osservazione e l’imitazione dei loro genitori, nel bene e nel male, e le punizioni corporali suggeriscono che picchiare sia un modo lecito di esprimere i sentimenti e risolvere i problemi. Se un bambino non vede che il genitore sa risolvere i problemi in un modo più umano e costruttivo sarà difficile per lui imparare a fare altrettanto. Di conseguenza l’incapacità educativa si tramanderà alla generazione successiva. È quindi responsabilità dei genitori dare un esempio di empatia e saggezza.
  • I castighi impediscono a un bambino di imparare a risolvere i conflitti in modo umano e costruttivo. Un bambino castigato è completamente assorto nei propri sentimenti di dolore, rabbia e vendetta, quindi deprivato della possibilità di risolvere i problemi in maniera creativa e imparare come affrontare o prevenire quelle situazioni in futuro. Non esiste nessun insegnamento nelle percosse e nessuna parola di spiegazione più o meno costruttiva può essere recepita da un bambino impaurito, arrabbiato e risentito. Il momento adatto per imparare qualcosa è andato perduto.

  • La massima “Chi non usa la verga, vizia suo figlio”, malgrado sia citata spesso, è un’interpretazione distorta dell’insegnamento biblico. Sebbene la verga sia citata molte volte nella Bibbia, solo nel libro dei Proverbi questo termine è associato a un genitore. In realtà i severi metodi disciplinari di re Salomone condussero suo figlio Roboamo a diventare un tiranno oppressore, a stento sfuggito alla lapidazione e alla morte per colpa della sua crudeltà. Nella Bibbia nessuna disciplina severa è approvata, tranne che nei Proverbi di Salomone. Gesù diceva che i bambini sono vicini a Dio e hanno bisogno di amore, mai di castighi.5 La Bibbia descrive l’amore come indulgenza e gentilezza6; picchiare un bambino non è indulgente né gentile.
  • Le punizioni interferiscono con il legame tra genitori e figli perché è contro natura provare amore per chi ci ferisce. L’autentico spirito di collaborazione che tutti i genitori vorrebbero può scaturire solo da un profondo legame di amore e comprensione reciproca. I castighi, anche quando sembrano funzionare, producono solo un buon comportamento esteriore basato sulla paura, che può durare solo fino al giorno in cui il bambino sarà abbastanza cresciuto per riuscire a ribellarsi. Al contrario, la collaborazione basata sul rispetto dura per tutta la vita, regalando anni di felicità reciproca mentre il bambino diventa grande e i genitori più anziani.
  • I castighi non conseguono gli obiettivi preposti; producono sentimenti d’ira, rancore e scarsa autostima, non la collaborazione autentica che il genitore si aspetta. Anche gli adulti è possibile che collaborino con chi li minaccia o li picchia, ma lo fanno per paura e solo se l’altro dispone di una forza maggiore. La collaborazione autentica viene dal cuore. La sola collaborazione che vale è quella spontanea, non perché il bambino è intimidito dall’ubbidienza, ma perché si sente amato, rispettato e capito e quindi desidera trattare i suoi genitori con lo stesso amore e rispetto.
  • Molti genitori non hanno imparato nella loro infanzia che ci sono modi positivi di trattare con i bambini. Quando non sortiscono gli effetti voluti e il genitore non conosce altri metodi, le punizioni possono crescere di livello, fino a portare ad atti sempre più gravi e frequenti contro il bambino. A volte i genitori si giustificano dicendo che picchiano solo quando “sono calmi”. Pur non auspicando certamente mai che un genitore colpisca un bambino, preferirei che dicessero che picchiano solo quando sono arrabbiati; almeno la cosa avrebbe un minimo senso logico per il bambino, essendo più coerente con quello che sta imparando sulla natura umana. Infatti un genitore calmo dovrebbe riuscire a pensare in modo abbastanza lucido per trovare modi migliori e più costruttivi di risolvere un problema.
  • Se un bambino non può esprimere rabbia e frustrazione in modo sicuro, questi sentimenti vengono repressi interiormente. La rabbia accumulata per anni sarà uno shock per i genitori quando il figlio si sentirà abbastanza forte per esternare la sua collera. I castighi sembrano produrre un buon comportamento nei primi anni di vita, ma sempre a caro prezzo, pagato da genitori e dalla società quando un figlio sarà adolescente e non appena diventerà adulto.

  • Tutte le punizioni sono emotivamente dannose e mentalmente fuorvianti. Associare “amore” col dolore inflitto intenzionalmente ha l’effetto di confondere profondamente il bambino, che dentro di sé sa che amore e dolore sono opposti tra loro. Gli scapaccioni sul sedere, una zona erogena nell’infanzia, possono generare nella mente del bambino una connessione tra dolore e piacere sessuale che creerà problemi alla persona adulta. Gli annunci su riviste e siti alternativi in cui si cercano partner da cui essere sculacciati, dimostrano le tristi conseguenze di tale confusione tra dolore e piacere.7 Se un bambino riceve poca attenzione dai genitori se non quando viene punito, nella sua mente questo atteggiamento confonderà ancora di più i concetti di dolore e piacere. Un bambino che si trova in una tale situazione avrà poca stima di sé e penserà di non meritare niente di meglio.
  • Anche gli scapaccioni lievi possono arrecare danni al fisico. Le percosse inferte alla base della colonna vertebrale producono uno shock che si trasmette lungo tutta la spina dorsale e che può provocare lesioni a un bambino. L’incidenza nella popolazione adulta di mal di schiena lombari potrebbe avere origine nelle punizioni infantili. Alcuni bambini sono stati colti da paralisi a causa di lesioni ai nervi provocate dalle sculacciate, altri sono morti in seguito a leggere pacche sul sedere per via di complicazioni mediche non diagnosticate.
  • Le punizioni corporali affermano il vigliacco e pericoloso principio della “legge del più forte”: è ammesso fare del male agli altri purché siano più piccoli e indifesi di noi. Il bambino concluderà che è tollerabile maltrattare i più piccoli. Quando sarà adulto avrà poca compassione per quelli meno fortunati di lui, ma temerà i potenti. Sarà difficile per lui instaurare relazioni significative, così importanti perché la vita sia emotivamente appagante.
  • I castighi comunicano un messaggio di rifiuto del bambino. Il dolore insopportabile nell’essere respinti da quelle persone che sono tanto importanti per la sua sopravvivenza lo porterà a rinnegare i suoi veri sentimenti. Poiché è troppo doloroso pensare che il genitore che ama gli voglia fare del male intenzionalmente, il bambino preferirà credere che la punizione sia un comportamento buono e giusto per un genitore, e che lui si comporta male perché è “cattivo”, e che i “bambini cattivi” meritano di essere trattati male. È in questo modo che l’incomprensione del comportamento infantile e di tutti i modi giusti di rispondere a quel comportamento si tramanda di generazione in generazione.
  • In molti casi il cosiddetto cattivo comportamento è il solo modo in cui un bambino è in grado di rispondere in base alla sua età, alla sua esperienza e al mancato soddisfacimento dei suoi bisogni fondamentali. È certamente sbagliato e sleale punire un bambino che reagisce solamente in modo naturale alla disattenzione nei confronti dei suoi bisogni importanti. Per questa ragione alla fine non solo la punizione è inefficace, ma è anche evidentemente ingiusta.

È bene riflettere sulle ragioni più comuni per cui un bambino si “comporta male”8:

  1. Il bambino cerca di soddisfare un bisogno legittimo a lungo trascurato. Può aver fame, sete, essere stanco, o aver solo bisogno di un abbraccio tranquillizzante o di attenzione da parte di un genitore senza altre distrazioni. Questi bisogni si possono soddisfare molto facilmente se il bambino non è costretto ad aspettare troppo a lungo (difatti la maggioranza dei bambini è fin troppo paziente), ma se vengono continuamente rimandati possono sfociare in un conflitto prolungato fatto di strilli, pianti, pugni e calci e simili comportamenti problematici. Il detto “Un punto in tempo ne risparmia cento” è azzeccatissimo per i genitori.
  2. Il bambino non è informato. Il piccolo allunga la mano verso un oggetto che scotta perché non è ancora cosciente del pericolo; un bambino “prende” un oggetto in un negozio perché è ancora troppo piccolo per capire cosa vuol dire rubare. Un bambino corre in mezzo alla strada perché non ne comprende pienamente i pericoli. Se un bambino si comporta in modo sbagliato per mancanza di informazioni è nostra responsabilità fornirgli tali informazioni. Non è responsabilità del bambino sapere quello che non sa. È inutile e ingiusto punire un bambino perché non è informato, e un bambino punito sarà troppo distratto da risentimenti e fantasie di vendetta per imparare la lezione. In questo modo il castigo svia l’attenzione del bambino dall’argomento in oggetto e interferisce con l’apprendimento, proprio quando sarebbe il momento migliore per imparare.
  3. Il bambino sta soffrendo emotivamente o fisicamente. Potrebbe aver paura, essere confuso, geloso, deluso o provare altri sentimenti intensi. Potrebbe “comportarsi male” per cause nascoste come il malessere derivante da una malattia incombente o alti livelli di istamina associati a qualche allergia. Non è molto difficile capire le ragioni del comportamento di un bambino (come di un adulto) se ci mettiamo nei suoi panni. I bambini non sono una razza aliena; come gli adulti, si comportano così come vengono trattati.

Cercare di modificare il comportamento di un bambino senza badare a questi sentimenti e bisogni universali, comprensibili e naturali, non aiuta il bambino perché i problemi latenti non vengono affrontati. Limitarsi a costringere il bambino, grazie al fatto che siamo più grandi e più forti di lui, per soddisfare i nostri bisogni, non risolve i problemi legati al suo comportamento. Di qualunque comportamento si tratti, continuerà a ripetersi fino a quando non saranno soddisfatti i suoi bisogni legittimi, i suoi sentimenti non saranno accolti e compresi e si sentirà veramente amato e protetto.


È inevitabile che talvolta i bisogni del bambino siano in conflitto con i nostri, ma questo non è colpa sua più di quanto non lo siano i bisogni di un adulto in conflitto con un altro adulto. La differenza è che i genitori sono in una posizione di superiorità di cui possono, ma non dovrebbero, abusare.


È ingiusto e sleale che il più potente vinca sul più debole con la forza. Difatti ogni atteggiamento negativo o l’uso della forza nella risoluzione di qualsiasi conflitto crea solo un maggior conflitto. Per questo motivo i comportamenti problematici e le punizioni possono crescere rapidamente in un circolo vizioso che vede genitori e figli intrappolati in una continua prova di forza. Il genitore, forte della sua statura, del ruolo parentale e delle leggi a senso unico che proteggono l’adulto, ma non i bambini, dalle aggressioni fisiche, ne esce sempre vincitore, almeno fino a quando il figlio non raggiungerà la pubertà e sarà diventato fisicamente più forte per ribellarsi.


Dato che i bambini imparano meglio attraverso gli esempi, la vera educazione consiste nell’esprimere amore, pazienza, fiducia, approvazione e comprensione. I genitori sensibili che trattano i propri figli con rispetto e comprensione, che spiegano le cose con pazienza, si accorgono che questo “metodo” continua a funzionare per tutta l’infanzia, la fanciullezza, la pubertà e oltre fino all’età adulta. Quando un genitore in età avanzata avrà bisogno di aiuto, il figlio sarà felice di ricambiare tutto l’amore e l’assistenza che ha ricevuto durante l’infanzia.


Come dice lo psichiatra canadese Elliott Barker: “I bambini i cui bisogni siano precocemente appagati da genitori amorevoli soggiacciono totalmente e inesorabilmente alla più ferrea ‘disciplina’ possibile: non fanno ciò che non volete perché vi vogliono tanto bene!”.9

“Anch’io le ho prese e sto bene!”

Lo sentiamo ripetere tutte le volte che si parla di percosse. Qualcuno si fa avanti e dice: “E allora? Cosa sono tutte queste storie?! Anch’io le ho prese e sto bene. Sappiamo tutti che a volte le botte sono necessarie per risolvere i problemi con i ragazzini. E dal momento che sono necessarie e innocue andrebbero permesse, anzi incoraggiate!”


Sembra un argomento inattaccabile, una perfetta giustificazione dialettica delle percosse come strumento necessario per la disciplina dei figli. Ma è proprio così logico? Così necessario e innocuo come molti pensano? Esaminiamo un po’ l’argomento:


– “Io le ho prese” (fatto).

– “Io sto bene” (opinione).

– “A volte le botte sono necessarie per risolvere i problemi con i ragazzini” (falso).

– “Dal momento che sono necessarie e innocue andrebbero consentite e anzi incoraggiate” (conclusione errata).

Ora applichiamo la stessa logica provando a giustificare il fumo:

– “Il comico George Burns ha iniziato a fumare da ragazzo e ha fumato per tutta la vita” (fatto).

– “È stato in buona salute per tutta la vita e ha vissuto fino a cent’anni” (fatto).

– “A volte fumare è necessario per risolvere i problemi della vita” (falso).

– “Dal momento che fumare è innocuo e talvolta necessario, andrebbe consentito e anzi incoraggiato” (conclusione errata).


Questo paragone spiega in che modo la giustificazione delle percosse, come quella del fumo, si basi su false premesse che portano a conclusioni errate.


Alcuni bambini, come alcuni fumatori, sono meno influenzati di altri grazie a una naturale resistenza emotiva, simile alla resistenza fisica di George Burns. Alcuni bambini, come alcuni fumatori, subiscono meno danni di altri per via di fattori mitiganti che li rendono più resistenti come, nel caso dei bambini, la presenza di altri adulti che li trattano con affetto e considerazione. Al limite si può dire che un bambino picchiato “sta bene” malgrado, e non grazie, alle punizioni che ha subìto. Anche per George Burns ci saranno stati fattori mitiganti. Forse lo stretto regime di esercizio fisico quotidiano l’ha aiutato a vivere più a lungo di altri fumatori, oppure aveva una più forte costituzione ereditaria. Alcune ricerche dimostrano che ridere è un importante fattore di guarigione e che molti noti comici sono vissuti a lungo.


Per molte ragioni George Burns è sopravvissuto più a lungo di altri grandi fumatori. E per molte ragioni ci sono anche “sopravvissuti” alle percosse. Ma non sapremo mai quanto sarebbero stati più felici e appagati se educati con gentilezza anziché puniti, non più di quanto ignoriamo in quale forma migliore sarebbe stato George Burns se non avesse mai fumato un sigaro. Sarebbe vissuto ancora più a lungo, riuscendo a divertire molte altre persone e scrivendo altri bellissimi libri? Avrebbe potuto trasmettere gioia, allegria, fascino e saggezza a un’altra generazione?


Come il fumo, le percosse non solo sono dannose ma anche del tutto inutili, perché ci sono alternative molto più efficaci e sane a livello emozionale. Alternative che funzionano a lungo, al contrario del castigo, perché sono buoni esempi comportamentali che nascono da un autentico desiderio di affetto reciproco.


Il buon comportamento fondato sulla paura, invece, dura solo fino al giorno in cui il bambino sarà cresciuto abbastanza da non aver più paura di disobbedire al genitore. Il castigo esaspera la rabbia e il risentimento che si esprimerà inevitabilmente in un secondo tempo. Al contrario il buon comportamento basato sulla fiducia e sull’amore reciproco dura per tutta la vita e per tutta la relazione tra genitore e figlio. Non c’è ricompensa migliore per i genitori di uno stretto legame affettivo e duraturo con i propri figli per gli anni a venire. Alla luce di tutto quanto sopra, correggiamo le affermazioni sulle percosse:

– Le ho prese.

– Sto bene, ma avrei voluto essere più felice, più produttivo e più capace di amare e confidare nel prossimo.

– Dato che picchiare è un atto inutile e dannoso, non dovrebbe essere permesso. Il nostro governo, come i governi di altri Paesi europei, dovrebbe attivarsi con forza per scoraggiarlo.


Le percosse e altre punizioni, come la messa in castigo e il cosiddetto “trarre le logiche conseguenze”, producono come effetto solo un superficiale e temporaneo “buon comportamento” basato sulla minaccia e la paura. Picchiare è inutile, dannoso, umiliante e sleale. Un’educazione affettiva e sensibile è l’unica via efficace per aiutare un bambino a diventare un adulto capace di esprimere il suo pieno potenziale di affetto e fiducia.

I pericoli della terapia dell’abbraccio forzato

La terapia dell’abbraccio forzato è una pratica proposta e descritta per la prima volta nel libro Holding Time, di Martha Welch.10 Prevede che un terapeuta o un genitore immobilizzi con forza il bambino fino a quando questo smette di resistere o per un tempo prefissato. A volte il bambino non viene lasciato fino a quando non guarda negli occhi chi lo trattiene. Questa tecnica fu concepita in un primo tempo per adulti autistici ma è stata adottata anche su bambini autistici, adolescenti, bambini con “disordini emotivi” e lattanti con “traumi natali residui”.


I sostenitori di questa terapia la difendono dicendo che è “per il bene del bambino”, la stessa giustificazione che molti usano per sculacciare e infliggere altre punizioni. E siccome si definisce “terapia”, è difficile regolare l’uso professionale di questa pratica, come è difficile aiutare i genitori a riconoscerne i danni. Considero la terapia dell’abbraccio forzato totalmente in antitesi rispetto a un’educazione fondata sulla comprensione, che più di ogni altra cosa è una relazione basata sulla fiducia reciproca. È immensamente difficile per un bambino ritrovare piena e autentica fiducia dopo essere stato immobilizzato con la forza, al di là delle intenzioni del genitore e del “buon comportamento”, apparente, che ne deriva.


È nella natura umana soffrire e ribellarsi all’uso della forza. Se un genitore costringe il figlio a un abbraccio forzato susciterà di sicuro gravi sentimenti di paura, confusione, impotenza, rabbia e tradimento, umiliando i tentativi naturali di divincolarsi da quelle persone che amava e di cui si fidava. Bloccato con la forza, infine impara che la libertà si può avere solo arrendendosi a un controllo esterno: una lezione pericolosa per un bambino. L’abbraccio forzato può spezzare la sua volontà, ma è lungi dal potersi definire psicologicamente salutare.

La terapia dell’abbraccio forzato è considerata da taluni un metodo per ottenere progressi in adolescenti repressi, abilitandoli a esprimere la loro rabbia, ma al grave prezzo della perdita di fiducia nella persona che pratica l’abbraccio. Anche i progressi apparenti sono ingannevoli. I bambini che hanno subìto questa “terapia” riferiscono che cercavano solo di assumere un atteggiamento che ponesse fine alla seduta, fingendo di collaborare e sorridendo mentre in realtà erano arrabbiati e si sentivano umiliati interiormente. In questo modo si insegna che l’apparenza è quello che conta, non i sentimenti autentici, ponendo così le basi del futuro comportamento antisociale. Come per gli scapaccioni e le altre forme punitive, il bambino sembra conformarsi alle regole, mentre i suoi veri sentimenti interiori restano sommersi fino a quando potranno esprimersi più liberamente. Inoltre, quando si usa la forza qualsiasi “successo” sarà per sempre incerto. Se a un bambino non è permesso dire “no”, che significato potrà mai avere il “sì”? I soggetti psicopatici imparano a imitare i comportamenti confacenti a una data situazione ma che non sentono realmente. Il contrario di quello che avviene nelle personalità emotivamente sane che esprimono autentici e profondi sentimenti. Di conseguenza siamo in grado di affermare che la terapia dell’abbraccio forzato genera l’opposto di un comportamento psicologicamente sano.11


C’è sempre un fattore di rischio nel costringere un bambino con la forza e non è mai giustificato, a meno che la sua vita non sia in immediato pericolo e non ci siano alternative. Ma ci sono delle alternative, e anche molte, alla quasi totalità delle azioni di forza dei genitori. Per un bambino triste o irrequieto la miglior alternativa consiste nel soddisfare i suoi legittimi bisogni (offrendogli attenzione incondizionata, sufficiente nutrimento e riposo, individuando e trattando le allergie nascoste, alleviando le preoccupazioni familiari, ecc.). Qualora fosse inevitabile agire con la forza (per esempio se il bambino sta attraversando la strada da solo), va fatto il più rispettosamente possibile, poi scusandoci e spiegandogli gentilmente il perché della nostra azione.


Ritengo che trattenere con la forza senza che ci sia un pericolo imminente sia contestabile in base a princìpi umanitari. E lungi dall’essere salutare, come proclamato dai suoi sostenitori, pone addirittura un serio rischio psicologico:

“Una delle cose più importanti che abbiamo compreso della salute e delle malattie nel corso degli ultimi decenni… è di aver identificato il prototipo delle situazioni patogene nel fatto di trovarsi intrappolati in circostanze avverse o minacciose ed essere incapaci di combattere o fuggire. Quando non possiamo fare altro che sottometterci passivamente, la nostra salute tende a deteriorarsi”.12


Al contrario, essere in condizioni di prendere iniziative fa bene alla nostra salute.


Esiste anche un’altra ragione per opporsi a questa pratica. Come possiamo avallare un abbraccio forzato in una società che mette in guardia i bambini, e per buone ragioni, contro i toccamenti indesiderati? Che sia da parte di un genitore, un terapeuta o un estraneo, sopraffare fisicamente un bambino indifeso è sbagliato. Giustificare questi atti chiamandoli “amore” o “terapia” è una violazione della fiducia del bambino e della sua conoscenza della vita. Come per tutte le altre forme di accondiscendenza forzata, un abbraccio forzato associa l’amore alla sottomissione.


Approcci empatici e sensibili sono molto meno problematici di un abbraccio forzato; sono più efficaci a lungo termine e rispettosi del bambino, che merita il nostro amore e la nostra compassione. È triste vedere come una cosa così bella come tenere un bimbo tra le braccia, con desiderio reciproco, sia stata pervertita in una tale pratica crudele.

Dieci alternative ai castighi

Molti genitori si rendono conto di quanto siano gravi gli effetti delle punizioni corporali. Hanno imparato che schiaffeggiare, picchiare e sculacciare insegnano la violenza, distruggono l’autostima, suscitano odio, interferiscono con l’apprendimento e danneggiano la relazione tra genitori e figli.


Ma sapere cosa non si deve fare è solo il primo passo. I genitori che vogliono evitare castighi si chiedono piuttosto che cosa devono fare. Purtroppo molti libri di pedagogia e articoli per genitori raccomandano alternative che, osservate più in profondità, si rivelano nient’altro che punizioni, tra cui il “trarre le logiche conseguenze”, la messa in castigo e la sospensione di certi permessi.


Ciascuno di questi metodi ha molto in comune con le punizioni fisiche e tutti trasmettono lo stesso messaggio: che al genitore non importa capire i bisogni latenti che si esprimono con un certo comportamento, ma intende piuttosto servirsi della sua maggior forza e statura sul figlio. Soprattutto comunicano al bambino che le persone che ama e di cui si fida vogliono farlo soffrire. Questo messaggio genera forte confusione, una cosa del tutto estranea alla conoscenza istintiva del bambino di come dovrebbe essere l’amore. Infine tutti questi approcci vanificano l’opportunità di imparare, perché lo spingono verso fantasie di vendetta che lo assorbono troppo per concentrarsi sul problema. Le vere alternative ai castighi sono quelle che permettono al bambino di imparare e crescere in modo sano.


Ecco dieci alternative che comunicano al bambino positivi messaggi di amore:

  1. Prevenire il manifestarsi di comportamenti problematici venendo incontro alle necessità del bambino non appena le esprime. Questo è forse l’approccio migliore: non solo previene comportamenti problematici, ma trasmette a un figlio l’amore e la sollecitudine che proviamo per lui. Soddisfatti i bisogni del momento, il bambino è libero di superare la situazione e disponibile a imparare cose nuove.
  2. Predisponete un ambiente sicuro e adatto al bambino. Perché tenere oggetti preziosi a portata di mano di un bambino piccolo quando possono essere ritirati, fino a quando non sarà cresciuto abbastanza per maneggiarli con cautela? Ai bambini più grandi offrite opportunità di svago.
  3. Applicate la regola d’oro. Pensate a come vorreste essere trattati voi se vi trovaste nelle stesse circostanze di vostro figlio, e trattatelo in quel modo. La natura umana è sempre la stessa, a ogni età.
  4. Mostrate comprensione verso i suoi sentimenti. Anche quando un comportamento vi sembra illogico, i bisogni e sentimenti che stanno alla base sono reali e vanno presi sul serio. Dicendo “Cosa c’è che non va?” dimostrate che vi importa quello che sente o di cui ha bisogno.
  5. Confermate i sentimenti. Cercate di far sì che il bambino sappia che lo capite, che vi preoccupate per lui e che ogni sentimento che manifesterà non sarà mai rifiutato, di qualsiasi natura sia. Per esempio: “mi ricordo come questa cosa faceva star male anche me quando ero piccola”.
  6. Venite incontro innanzitutto a quei bisogni che provocano un certo comportamento. Se si punisce il comportamento esteriore, i bisogni che stanno dietro continuano a riemergere fino a quando non vengono presi sul serio. A volte è necessario indagare in profondità per scoprire quali sono. Per esempio un bambino potrebbe essere triste perché un suo amico si è trasferito con la sua famiglia, e questo potrebbe esprimersi sotto forma di un cosiddetto “comportamento problematico”.
  7. State dalla parte del bambino. Ogni volta che è possibile cercate una soluzione alla pari che soddisfi le necessità di entrambe le parti. Si può prendere in considerazione un corso di comunicazione non violenta13 per imparare delle tecniche di risoluzione dei conflitti.
  8. Rassicurate il bambino che lo amate e apprezzate. Il cattivo comportamento molte volte è un tentativo di esprimere il bisogno di più affetto e attenzione. Se potesse esprimersi in un modo più maturo lo farebbe. Per esempio, chiedete: “Vuoi guardare un libro con me? Così stiamo un po’ insieme…”.
  9. Proponete esperienze o attività alternative. Regalategli dei pennarelli, leggetegli una storia, fatelo giocare con l’acqua, in un mastello se il bambino è piccolo, oppure andate a fare una passeggiata. Potrete così distrarre l’attenzione per un po’ da una situazione divenuta troppo stressante e difficile da risolvere sul momento.
  10. Chiedetevi se un domani ripensando a quella cosa ci riderete sopra. Se così fosse, perché non riderci su fin da ora? Anche la situazione più esplosiva si può disinnescare con un pizzico di umorismo al momento giusto: “Oh no, tu e tuo fratello vi siete dipinti di verde? Aspettate che vi faccio una foto!”
    Pensando a queste alternative possiamo trovare la collaborazione sincera che vorremmo. Ma la ricompensa più grande sarà un legame di fiducia e amore reciproco che durerà per tutta la vita.

Genitori con il cuore
Genitori con il cuore
Jan Hunt
I bambini si comportano così come vengono trattati.L’amore senza condizioni, la gentilezza affettuosa, l’assenza di minacce e castighi, così come di ogni modalità manipolatoria nella relazione con i figli. Non esistono genitori perfetti, ma possiamo riconoscere l’importanza cruciale di come ci comportiamo nei confronti dei nostri figli.La propensione all’aggressività è legata, infatti, ai bisogni non corrisposti; dobbiamo, quindi, scegliere di accettare i bisogni umani dei nostri figli aprendoci a loro con il cuore.I bambini trattati con amore risponderanno con amore: per fare questo dobbiamo avere fiducia in loro e in noi stessi.Genitori con il cuore può indicarci la strada giusta per un’educazione più equilibrata: una guida tenera e illuminante in cui Jan Hunt, psicologa e terapeuta specializzata nel rapporto tra genitori e figli, coniuga i princìpi dell’attaccamento parentale ai diritti del bambino e alla filosofia dell’homeschooling, seguendo un approccio moderato e coerente per educare un bambino affettuoso, sicuro di sé, altruista e determinato. Conosci l’autore Jan Hunt, B.A. Psychology, M.Sc. Counseling Psychology, è direttrice del Natural Child Project e consulente editoriale del trimestrale “Empathic Parenting”, pubblicato dalla Canadian Society for the Prevention of Cruelty to Children (CSPCC).È membro della direzione del CSPCC e dell’Alliance for Transforming the Lives of Children, è presente sull’Advisory Board del The Child-Friendly Initiative and Attachment Parenting International e consulente per il Northwest Attachment Parenting.