CAPITOLO III

Estivill capitolo per capitolo

Esaminiamo ora Fate la nanna passo per passo, sia pure in sintesi, confrontandolo con alcuni pareri di esperti e di madri che hanno scritto su Internet.

Aggiungiamo che la proposta di Estivill non è molto diversa dal vecchio sistema “Lascialo piangere, prima o poi si abitua”, solo che qui si veste di (dubbia) scientificità, di rigore, di autorevolezza medica.

I Capitolo. Il bambino è sempre sveglio e noi con lui (pp. 9-20)

Si parte dallo spremiagrumi, dalle definizioni negative circa i bambini che non dormono e dalla presa in carico del disagio dei genitori – ma non del bambino – per affermare che il 35% dei piccoli sotto i cinque anni ha problemi di insonnia: non vogliono andare a letto, si svegliano almeno 3/5 volte per notte. Questo, secondo gli autori, danneggia gravemente la salute: dopo i sei mesi i bambini devono dormire da soli, nella loro stanza, al buio e per 11 o 12 ore filate. Se non lo fanno, qualcosa non va.


La percentuale non è sostenuta da alcun dato scientifico.


Sara L. ha trovato sulla Rete un’indagine1 secondo cui solo il 16% dei bambini dorme tutta la notte; il 50% si sveglia occasionalmente; il 9% quasi tutte le notti; il 5% una volta per notte, il 17% da due a otto volte per notte.

Il 61% dorme nella propria stanza, ma di questi il 15% viene portato nel letto dei genitori se si sveglia; dei bambini di sei mesi il 28% dorme regolarmente nella stanza dei genitori e il 34% saltuariamente.


I dati dunque sono più articolati: secondo Sara L. sapere che il proprio bambino ha un comportamento normale, in linea con lo sviluppo emotivo e fisiologico, permetterebbe a molti genitori di affrontare più serenamente la questione “risvegli notturni”. [Il tono di Estivill in questo capitolo è sprezzante, spregiativo nei confronti dei bambini, piccoli o grandi che siano].


Mariuccia P. osserva: “Estivill non manifesta interesse, attenzione, tanto meno empatia verso lo sviluppo della vita emotiva cui sono strettamente connessi le abitudini – positive o negative che siano – gli stessi rituali, né tiene conto del fatto che ogni relazione produce effetti e comportamenti diversi: un buon mangiare come un buon dormire sono fatti anche di nutrimento affettivo. I disturbi del sonno possono essere legati ad abitudini errate, ma anche nascondere difficoltà di attaccamento, di relazione.


In tal caso segnalano una certa difficoltà di relazione tra genitore e bambino: questi si chiude, evita di comunicare perché non trova ascolto adeguato al proprio disagio, né un aiuto a sostenere l’ansia. Il rischio maggiore è che il sintomo si sposti in altra area. Perché invece non sostenere il genitore aiutandolo a guardare il figlio con occhi diversi, a interpretare i suoi segnali?”


“Le coliche? Pretesti!”. “I denti? Scusa indimostrabile!”.


Estivill adotta un modo davvero sbrigativo per liquidare i segnali che vengono dal bambino.


Le coliche: è notorio che tale disturbo si presenta più facilmente nelle ore serali dei primi mesi – certo non in tutti i bambini – e che è molto più frequente nei piccoli nutriti al seno2. Le cause non sono sempre chiare, ma non per questo il fenomeno è da negare. Alcuni bambini si calmano se tenuti in verticale (la testa appoggiata tra viso e spalla dell’adulto), posizione che, superata la crisi, può favorire l’addormentamento. Altri si acquetano se si canta a mezza voce qualcosa di ritmico. Un effetto preventivo e tranquillizzante può avere il massaggio3 che in ogni caso stabilisce tra genitore e bambino quel contatto affettivo molto stretto di cui il piccolo ha estremo bisogno.

Il tema delle coliche4 viene affrontato in diversi testi (segnalati in Appendice come Libri significativi5): il disturbo sembra riguardare maggiormente bambini ad alto bisogno, cioè emotivi, ultra sensibili, irrequieti, precocemente attenti all’ambiente. Questo tipo di bambino sembra esigere maggiore contatto e quindi possono essere di aiuto l’allattamento materno a richiesta fin dalla nascita e senza separazioni, l’uso del marsupio a fascia o speciali forme di contatto come il massaggio infantile sopra ricordato e la ricerca di posizioni – su un avambraccio o sulle ginocchia – che spesso alleviano le sofferenze.


Si possono adottare anche aiuti indiretti come la classica boule di gomma con acqua calda (circa a 37° all’interno; far uscire il vapore perché non risulti rigida), messa in una piccola federa, sulle cosce, sotto al bambino. Un leggero dondolìo, come viene naturale fare, può essere di ulteriore aiuto.


Il medico tedesco Wilhelm zur Linden6 sostiene che il neonato va protetto al massimo dal freddo improvviso: scoprirlo di colpo durante il cambio fa scendere la zona inferiore del corpo dai 37° dei pannolini ai 18° circa della stanza, raffreddamento che, soprattutto quando non fa caldo, rischia di provocare nei più piccoli coliche addominali. Quindi tenere coperto il bambino mentre lo si pulisce, asciugarlo con cura e usare panni riscaldati. (Dopo i tre mesi, nella stagione calda il bambino può essere esposto nudo per alcuni minuti al sole, tenendo però coperta la testa).


I denti: il modo superficiale di esprimersi di Estivill fa pensare al malessere che molti anziani dicono di provare nelle giornate umide; secondo i medici non c’è alcuna prova che il cambiamento del tempo provochi di per sé dolori alle articolazioni, però è così che accade e per tanti il dolore è ben reale. Ci sono bambini che non risentono minimamente dei disturbi da dentizione e molti altri le cui gengive si gonfiano, provocano forte irritazione, tanto che un tempo, per alleviarne il fastidio, si comprava in farmacia la radice di ireos da mordicchiare, particolarmente efficace. Oggi i moderni dentaruoli di materiale sintetico sono… meglio di niente!


Dipendenza in eccesso a sei mesi: per questo tema, che trasformerebbe il bambino in “creatura timida, insicura, con pessimi risultati scolastici”7, rinviamo al nostro capitolo su “Che cos’è indipendenza”. Ma che dire dei genitori vittime dei bambini “manipolatori” a pochi mesi di vita? Altra prova del terrorismo psicologico più volte ripetuto.

II Capitolo. “Non addormentatelo voi, deve riuscirci da solo”(pp. 21-37)

Qui Estivill dà per scontato che il piccino mangi a orari prestabiliti e che il lungo intervallo notturno sia sostenuto da una poppata più abbondante delle altre8. Se non funziona, il pediatra dovrà indicare una dose maggiore, dirà in seguito9. Questo comporta che il bambino non sia allattato al seno né, come raccomandato da OMS e UNICEF, a richiesta – la sola modalità che assicuri una continua e abbondante produzione di latte – oppure che a sera gli si dia un’aggiunta di latte artificiale, altro modo sicuro per ridurre la produzione di latte materno in quanto la suzione al seno viene abbreviata.


Quarant’anni fa era in auge l’allattamento artificiale ed era la bottiglia a comandare, tanto che chi voleva allattare al seno lo faceva comunque a orario fisso, lottando poi con le fatiche dell’allattamento misto: il bambino sopravviveva, ma non era certo il meglio per lui10.


Estivill non fa cenno a questi argomenti: parla delle alternanze pasto/sonno ogni tre o quattro ore – e quindi sei o cinque poppate11 – con un sonno notturno più lungo che via via aumenterebbe, grazie all’atteggiamento fermo e sicuro dei genitori.


Il coraggio, uno non se lo può dare”, diceva umiliato Don Abbondio. Anche tanti adulti che si mostrano energici e fieri diventano incerti, spauriti di fronte al “birbante”12. Non sanno più come fare: adottare la rigidezza affermata da Estivill o invece opporre, pur senza durezza, alcuni punti fermi al bambino eccitato e confuso dai suoi stessi genitori, disattenti agli effetti dei loro interventi?.

Dopo aver detto che è naturale che un piccolino si svegli, Estivill elenca le cose che non si devono fare per riaddormentarlo13:

  • Cantare
  • Dondolarlo nella culla o cullarlo tra le braccia
  • Dargli la mano
  • Farlo passeggiare in carrozzina o in macchina
  • Toccare o lasciare che ci tocchi i capelli
  • Accarezzarlo
  • Dargli il biberon o allattarlo
  • Metterlo nel letto grande
  • Lasciarlo scavallare finché è distrutto
  • Dargli da bere.

Sono tutte azioni che implicano l’intervento di un adulto e che proprio per questo, secondo Estivill, vanno eliminate: per addormentarsi non deve ricevere alcun aiuto diretto, né al primo tentativo né ai successivi.


“Così, a priori. Se non si è adottata dalla nascita, come secondo l’autore sarebbe auspicabile, la nuova legge va introdotta al più presto, uguale per tutti, senza guardare a ‘nostro’ figlio, qualunque età abbia e senza colpevolizzarci perché la insegna l’esperto. Questi sarà anche tale, ma ha del bambino una visione molto riduttiva: afferma che ha ‘bisogni immaginari’14, che è un ‘autentico demonio’15, che vuole solo creare fastidi ai suoi genitori.


Estivill, che invece pretende di aiutare i genitori, nemmeno a loro rende un buon servizio: ne anestetizza la sensibilità naturale, li obbliga a ostentare un’indifferenza che non sentono e che è estranea alla cura della prole prevista dal nostro codice genetico” (Mariuccia P.).


Qui Estivill tira fuori la curiosa teoria secondo cui il bambino può rassicurarsi da sé nei frequenti, necessari risvegli (dovuti ai passaggi dal sonno REM al sonno lento: ne parleremo nel capitolo Perché dormiamo). Dato che va in crisi se non trova chi lo ha messo a letto, è indispensabile che l’adulto lo corichi sveglio – giù e basta – e vada subito via, lasciandogli qualcosa “che non scompaia”, ricordandogli che ha vicino un… santo protettore e che lo ritroverà in ogni momento: il pupazzo, cui non è legato da alcuna precedente esperienza o la collezione dei ciucci16 o altro ancora. Il bambino a ogni minirisveglio cercherà l’oggetto o gli oggetti e si rassicurerà da solo ritrovando il sonno.


Teoria suggestiva in apparenza ma priva d’ogni fondamento, afferma un altro medico spagnolo: Carlos Gonzàles, pediatra, presidente dell’Associazione Catalana per l’Allattamento Materno, docente nei corsi di formazione OMS e Unicef sull’allattamento17.


Attenti, aggiunge Estivill: se non “impara” a dormire entro i sei mesi, resterà insonne a vita (?). E se fosse vero? Quale genitore non si agiterebbe a priori, di fronte a una tale prospettiva? Meglio adottare subito il “suo” metodo!

III capitolo.“Chi va piano, va sano e va lontano”, ovvero come insegnargli a dormire bene fin dal principio (pp. 39-52)

Che cosa si deve fare? Assicurarsi che:

* mangi a sufficienza

La curva ponderale che il pediatra insegnerà a tracciare dirà se l’alimentazione è sufficiente. Ancora una volta, a suo dire, non serve guardare il bambino.

* distingua la notte dal giorno (luce-buio; rumore-silenzio)

* faccia un bagno quotidiano serale.

Tre idee di supporto, alquanto ovvie e facili da condividere

* luogo del sonno: non nel lettone perché altrimenti si abitua; in culla nella stanza dei genitori sì, ma al massimo per i primi tre mesi, per passare poi al letto a sbarre.

Qui si entra nell’idea del… pericoloso individuo che deve al più presto essere… imprigionato, escluso, isolato!.

* non farlo dormire troppo durante il giorno, pur senza eliminare i pisolini diurni.


Estivill si dice contrario al fatto che il bambino dopo l’anno e mezzo, andando al nido, non vada a dormire dopo mangiato18. Su questo siamo d’accordo, ma non c’è da preoccuparsi: nei nidi italiani i bambini vanno a riposare.

Accade invece nelle scuole dell’infanzia: qui il “pisolino postprandiale” viene eliminato per mancanza di spazio e quindi i bambini di due anni e mezzo o tre spesso si addormentano appoggiati al tavolino, costretti ad adattarsi all’istituzione scolastica, con buona pace della salute psicofisica e della prevenzione, tanto strombazzate da più parti.


Torniamo al diktat per il sonno: a 6-7 mesi ogni bambino deve:

* fare 4 pasti al giorno

* alla sera ricevere un rituale ben definito, breve, sempre uguale, non eccitante, da non allungare, solo perché piacevole, in modo che

1) vada a letto senza proteste e “con allegria”

2) si addormenti da solo

3) dorma per 11-12 ore filate

4) dorma nella sua culla e al buio.


Estivill lo ripete ancora una volta, poi – preoccupandosi delle relazioni tra bambino e genitori – afferma che cullare, cantare, tenere in braccio sono atteggiamenti da riservare esclusivamente ai momenti in cui è ben sveglio19 (p. 46). Quando ha mangiato e fatto il ruttino, sempre sveglio, lo si mette giù con un saluto affettuoso: di giorno con la luce, di notte nel buio totale (niente lucina!).


“Questo percorso è un altro di quelli a spinte anticipatorie e livellatrici che soffocano oggi l’esistenza quotidiana dei bambini. Come è possibile pretendere una modalità unica, valida a 5 mesi come a 5 anni, a prescindere da come si rivela questo o quel bambino? Secondo tale ottica non esistono differenze o, se ci sono, basta ignorarle.

Si liquidano i problemi psicologici in poche righe20: d’accordo non esagerarli, ma nemmeno ignorarli. Il fatto di parlare di “intervalli di vita sociale” dimostra una forte disattenzione alla qualità di vita del bambino. Non sarebbe meglio chiamarli occasioni di nutrimento della vita emotiva e relazionale?” (M.P.)


Secondo Estivill il bambino deve associare la culla solo al sonno: quando è sveglio, va subito tolto da lì, tenuto in braccio per dedicargli attenzione e svegliarlo completamente. Siamo assai lontani da proposte che rispettano i ritmi e le richieste individuali, come le esigenze psicomotorie21, spesso molto diverse da un bambino all’altro. In nessun conto sono tenute le iniziative personali, verso che cosa il bambino dirige lo sguardo, che cosa lo attrae, che cosa cattura anche per giorni consecutivi il suo interesse….


Deve anche imparare a dormire da solo, per cui di giorno, se durante le poppate si assopisce22, va tenuto sveglio, toccandogli il naso, facendogli solletico sotto i piedi, cambiandolo e così via.


“E se in quel momento non ne avesse bisogno o desiderio? E perché poi il solletico? È grave che ogni aspetto della relazione con il bambino venga ritmato in funzione del sonno e non come risposta ai segnali che egli invia.” (M.P.)

IV capitolo. Ripartire da capo, ovvero come rieducarlo al sonno (pp. 53-69)

Se il diktat non è stato realizzato intorno ai 6-7 mesi, occorre “ripartire da capo” con “l’imposizione”23; anche se si sveglia una sola volta, è bene “rieducarlo”. Come si fa? Per chi non avesse capito Estivill ripete:


* Si fissa l’orario dei pasti24 con buona pace dell’allattamento materno, anche se, a 6 mesi, sono per la maggior parte belli e svezzati; anche quando la madre non è costretta a riprendere il lavoro, la pressione sociale – e medica – è in tal senso fortissima.

* Se dorme con il succhiotto dunque non dorme da solo, gli serve il consolatore a buon mercato! compratene diversi, dice il nostro autore25, così che possa trovarne almeno uno da sé nel letto. Dunque si sveglia e deve cavarsela, imparando da subito a fare a meno dei genitori e a riaddormentarsi “da solo”. Quanto gli ci vorrà? Massimo due ore, è la pronta risposta.


Viene da chiedersi: come fa un bambino al di sotto dei 12 o anche 18 mesi a trovare “nel buio completo” gli oggetti che dovrebbero consolarlo, in particolare il succhiotto? Oppure si pensa a un bambino di 4 o 5 anni che ne abbia ancora bisogno per addormentarsi?.


La proposta di Estivill, coerente con l’idea che il bambino si tranquillizza solo se trova al risveglio le stesse cose che ha visto subito prima di addormentarsi, consiste in questo: il genitore sceglie un pupazzo, meglio se nuovo per rompere le vecchie abitudini. Non lo scelga il bambino che ormai deve imparare a obbedire “come un neonato incapace di badare a se stesso”26. Se il bambino ha già qualche anno può trattarsi di un oggetto inconsueto, ma semplice, costruito o disegnato insieme a lui, preparato appositamente. Al momento di andare a letto – un’ora stabilita, sempre uguale – e dopo il rituale previsto – un solo genitore, sempre lo stesso – Estivill ha scoperto che il bambino piccolo ha bisogno di continuità, tanto che afferma: “ripetizione è sinonimo di sicurezza”27, ma lui che uso ne fa? lo metterà nella culla o nel letto con gli oggetti, gli dirà che dormirà lì: “Da oggi questo o questi dormiranno sempre con te”. Spegnerà la luce e andrà via. Dunque l’addio viene dato alla luce e subito dopo si fa buio completo. Come reagirà il bambino al cambiamento improvviso? Se si addormenta subito e senza difficoltà, al risveglio non troverà un ambiente ben diverso, modificato dalla stessa oscurità? Di questi particolari il nostro autore non si occupa.


Il piccolo piange? Estivill non vuole che soffra di abbandono e quindi escogita una dettagliata tabella di minuti di attesa prima di intervenire, il che non significa consolarlo: si rientra un momento in camera, gli si ripete esattamente quello che gli è stato detto prima, senza alcun gesto consolatorio e subito dopo si esce.


Ricomincerà a piangere? È probabile. Si aspettano quindi tot minuti in base alla tabella e si ripete tutto daccapo, anche molte volte di seguito. I tempi di attesa cresceranno nel corso della serata e dei giorni successivi fino a circa 20 minuti in settima serata. Quanto impiegherà ad addormentarsi? L’abbiamo detto: al massimo due ore, e l’esperto raccomanda: non oltrepassate i tempi di attesa della tabella, sarebbe una crudeltà28!

Il diktat di Estivill richiama alla mente la tecnica del time out usata largamente negli Stati Uniti: quando un bambino fa bizze e si oppone, lo si fa sedere e gli si dice che non può muoversi fino a quando glielo permette l’adulto: lo si lascia lì guardandolo ogni tanto, ma senza rivolgergli la parola, salvo che tenti di alzarsi. Per quanto tempo? Un minuto per anno di vita. Funziona per calmare un bambino sovraeccitato, ma al tempo stesso è un’imposizione per lui penosa. L’importante, dicono, è usarlo di rado e mai con toni rabbiosi, prima di metterlo a sedere o subito dopo. Ma il bambino come si sente e che cosa impara? Il time out va usato davvero in casi estremi, di totale irragionevolezza.


* Se “l’autentico piccolo demonio”29 scavalcherà il letto, mettete un cancelletto a sbarre perché non esca dalla porta. No, non chiudete a chiave – dice Estivill – anche se qualche genitore, visto l’andazzo, potrebbe essere tentato di farlo.

* Ha paura del buio? Accertarsi che non abbia un “disturbo psicologico grave”: in realtà la cosa più probabile è che “stia manipolando la situazione”30.

* Non cedere “alle astuzie” né ai “trucchi”31 che inventerà: dal lancio di oggetti al vomito o al fare cacca e pipì32; in questi casi lo si cambia in silenzio e si ricomincia, senza lasciarsi commuovere.


Se seguiamo il “metodo”, “siccome è perspicace, si renderà conto che le sue azioni non servono e la farà finita”33. Quanto tempo durerà il “trattamento”? Dipende, non si possono fare previsioni. Infatti non esistono studi sull’estinzione graduale che superino le 6 settimane di trattamento. Insomma, occorre sforzarsi di diventare insensibili come sassi, ma senza farsene accorgere perché “lui” potrebbe capire quanto ci costa e inventare “diabolicamente” altri stratagemmi.


“Ma così gli avremo insegnato che anche i segnali più forti rimangono inascoltati, incompresi e si adatterà per forza di cose. Penso a bambini che vanno al nido dalle 8 alle 18, vedono pochissimo i genitori e possono rischiare di essere trattati così di notte, anche per settimane. Come non prevedere esiti minacciosi a un tale trattamento? A lungo andare non esprimeranno più disagio o malesseri, con il rischio di cristallizzare il trauma.” (Mariuccia P.)


Da sottolineare anche lo scarso valore dato all’attività del bambino, come è dimostrato ad esempio da termini quali “passatempi”34, dalle stesse proposte per il sonno35, simili a “contentini” di poco significato.


“Un’educazione così fatta appare artificiosa e superficiale: non sembra tener conto della vita intima del bambino, della necessità che qualcuno senta il suo disagio, che lo conforti e lo pacifichi. Soprattutto nel primo anno di vita la madre e il padre, se sono capaci di vivere sulla loro pelle ciò che il loro piccolo prova senza farsi travolgere dall’ansia, fanno da filtro alle impressioni emotive, troppo forti o sgradevoli che può provare. Le risposte positive che in tal modo egli riceve gli confermano che i suoi segnali vengono raccolti con tutto l’amore e la serietà (o senso di responsabilità) che meritano; questo lo acquieterà e non l’idea secondo cui “si renderà conto che le sue azioni non servono e la farà finita” espressa da Estivill.” (Mariuccia P.)

V Capitolo. Questioni orarie (pp. 73-76)

Ovvero come vincere la battaglia dell’orologio e modificare gli orari secondo le esigenze di famiglia: ecco un’altra “trovata”, un calendario con adesivi e altro; viene da chiedersi come possa farne uso un piccolino prima dei tre anni. Qui Estivill, che solitamente non sembra fare questione di età salvo indicare i 6 mesi come inizio di adozione del “metodo”, suggerisce di andare a comprare “dopo la scuola materna” (in questo caso avrebbe almeno due anni e mezzo!) un gioco nuovo per distrarlo e insegnargli a stare un po’ da solo… Imparerà così a non svegliare il genitore troppo presto al mattino, soprattutto nel fine settimana.


Commenta ironica Sara V. sulla Rete: “Ma, cari genitori, se volete dormire fino alle 10, non fateli i figli, compratevi una tartaruga d’acqua o un criceto! Secondo me l’incompetenza e l’assurdità di Estivill si capiscono molto bene riflettendo su questo suo esempio: non propone un metodo per educare al sonno, quanto il modo di far piangere i bambini per “ottenere” qualcosa che sia il sonno notturno o le due ore di gioco solitario…”


Meglio commentare solo in breve l’ultima proposta del capitolo: quella di “truccare” (le virgolette sono nel testo originale) l’orologio ovvero spostare le lancette di un’ora per dormire di più. Viene da chiedersi che età abbia questo bambino che non dorme per lasciarsi ingannare dal quadrante di cucina o del soggiorno. Ma – oltre a questo – è lecito ingannare un bambino, approfittando della sua fiducia e ingenuità?


L’onestà nei suoi confronti non dovrebbe essere al primo posto? Invece lo imbrogliamo per trovare facili scorciatoie, anziché cercare soluzioni che richiedano maggiore impegno e riguardo.

VI Capitolo. Altri problemi (pp. 77-82)

È la descrizione – alquanto sbrigativa – di vari problemi legati al sonno (sonnambulismo, incubi e fobie, bruxismo, sonniloquio, movimenti autocullanti, russamenti) che, se non sono da sottovalutare, non sarebbero di per sé preoccupanti, pur manifestandosi talvolta in modo vistoso. Nel capitolo si danno vari consigli, come al solito superficiali.

VII Capitolo. Domande e risposte (pp. 85-101)

Sono elencati chiarimenti sui dubbi più comuni relativi al “metodo”.

[Ancora un capitolo che scoraggia nei genitori la riflessione, l’autoanalisi, l’attenzione nei confronti del figlio. In ogni caso, se i problemi non si appianano, la responsabilità è tutta loro!].

Appendice e note. Come risolvere i casi più difficili

Ovvero i problemi sorti in quel 4% dei casi nei quali il “metodo” non ha funzionato per i seguenti motivi:


a) i genitori non hanno seguito alla lettera, non si sono accordati tra loro o hanno subìto interferenze da terzi,


b) accadimenti che hanno disturbato (malattia del bambino, spostamenti a fine settimana, trambusto per un fratellino o un cuginetto appena nato, trasloco, ingresso nella scuola infantile e simili),


c) “falsi” problemi, tipo “mio figlio è nervoso” oppure “non può stare senza mangiare o bere”.


“Come si risolvono?” chiede Estivill. “Se questo è il caso del vostro bambino, vi consigliamo di rileggere i capitoli II e IV di questo libro”.


Qui finisce il testo.


Nella già citata intervista a “Insieme” Estivill afferma:


“Il mio metodo funziona – e funziona in oltre il 90% dei casi – perché aiuta i genitori a correggere le abitudini del bambino e quelle degli stessi genitori, naturalmente. Certo, esige all’inizio forte determinazione e capacità di “ignorare” il pianto del bambino che a molti può apparire “spietata”. Ma non è così, secondo il medico spagnolo. In qualunque altro campo dell’educazione infantile è pacificamente ammesso che l’arrendevolezza nei confronti dei bambini produce effetti negativi sul loro carattere. Perché questo non dovrebbe essere vero anche nel caso del sonno?”.


[Chiediamoci che cosa significhi “arrendevolezza”. Ha senso parlarne in tale contesto? Un conto è debolezza o abdicazione e ben altro è educazione come aiuto allo sviluppo individuale, come risposta alle esigenze emotive con i necessari “no”. Semplificare sbrigativamente non giova al bambino e tanto meno ai suoi rapporti con i genitori].

La nuova edizione di Duérmete, niño (N.d.R.)

Nel febbraio del 2014, per la Penguin Random House, è uscita in Spagna, con la collaborazione di Irene Claver, una nuova edizione aggiornata e ampliata di Duérmete, niño, non ancora tradotta in italiano.


La sostanza del testo è rimasta, però, invariata; gli assiomi del metodo sono tuttora saldamente ancorati alla convinzione che il bambino non sia affatto competente e che ogni sua manifestazione di disagio, di sofferenza, ogni suo richiamo vadano ignorati con sistematicità. Innumerevoli i passaggi in cui con forza e determinazione l’autore insiste sulla necessità che i genitori pratichino un vero e proprio esercizio all’indifferenza verso il pianto o verso qualsiasi altro messaggio proveniente dal bambino durante l’applicazione del metodo. Anche le manifestazioni più evidenti di una sofferenza protratta, come il vomito, devono continuare a essere ignorate in quanto appartengono al vasto apparato di strategie che i piccoli sanno mettere in atto per richiamare l’attenzione. L’abilità mistificatoria dei bambini, anche di pochi mesi, si avvale di un ricco repertorio tattico ma il genitore non deve lasciarsi irretire: del resto, “questa situazione (il vomito) può essere molto angosciosa per i genitori, ma non lo è in assoluto per il bambino, che è in grado di ripeterla più volte36.

Il caposaldo del sonno come abitudine è rimasto incrollabile, pertanto si può insegnare a dormire attraverso l’applicazione ripetuta di schemi rigidi di comportamento. La ripetitività è importante perché rappresenta l’esercizio attraverso il quale si apprende. Per tutto il libro, con monotona insistenza, l’abitudine al sonno è messa sullo stesso piano dell’abitudine culturale all’uso del cucchiaio, dello spazzolino da denti o della bicicletta. Si impara a dormire come si deve, così come ci si esercita a usare il cucchiaio o lo spazzolino da denti. Eppure, nella seconda parte, quella in cui si chiama in gioco la ricerca e la scienza per descrivere la fisiologia del sonno, è Estivill il primo a non poter negare che il sonno è bisogno fisiologico primario di importanza cruciale sin dalla gestazione, affermazione che stride non poco con l’insistenza a volerlo trattare come frutto di un apprendimento strutturato.


Sebbene gli articoli riportati in bibliografia siano 148, nel corpo del testo approfondimenti e riferimenti scientifici sono quasi del tutto assenti, se si eccettua la descrizione dettagliata del sonno fetale e altri aspetti della fisiologia del sonno dopo la nascita; ma non vi è alcuna puntuale considerazione di natura scientifica avallata da riferimenti a studi e ricerche che possa sostenere l’utilizzo del metodo dell’estinzione graduale del pianto, o cry it out, che Estivill ha ripreso dal pediatra Richard Ferber (di cui sono riportati quattro lavori in bibliografia).


Estivill afferma che il bambino non subirà un trauma per essere stato costretto sin dalla nascita a dormire da solo in una culla (e dal terzo-sesto mese in poi anche in una stanza diversa da quella dei genitori), così come non rappresenta un trauma l’apprendimento all’uso del cucchiaio o dello spazzolino da denti. Del resto, anche al nido all’inizio i bambini si lasciano piangere, e la cosa è considerata del tutto naturale. Nessun bambino ha subìto traumi per essere andato al nido e, come dicono le nonne, piangere fa bene ai polmoni, intendendo che è una cosa del tutto naturale che non pregiudica il loro benessere37; è in fondo un vero peccato che non ve ne siano evidenze scientifiche, sembra voler intendere l’autore.

Quando Estivill si richiama alla scienza non sa fare molto di più che aggrapparsi alla strenua ripetizione che non è traumatico applicare il suo metodo perché imparare a dormire è come imparare a mangiare con il cucchiaio, lavarsi i denti con lo spazzolino o andare in bicicletta38. L’attesa di una convincente referenza scientifica in questa seconda edizione resta dunque disattesa. Per tutto il libro, a ogni possibile obiezione relativa alla validità del suo metodo, l’unico argomento in propria difesa resta quello secondo cui trasmettere un’abitudine corretta non può essere fonte di traumi.

Se nel triste e sconsolato universo estivilliano il bambino è una creatura incompetente da ammaestrare nei modi opportuni, un abile manipolatore la cui inventiva è ai danni del genitore, il genitore a sua volta deve aspirare a raggiungere – ahinoi! – una sorta di ottundimento dei propri sensi, dei propri istinti e, viene da dire, della propria umanità. Ricorrono spesso nel testo le parole “sordo”, “cieco” e “ignorare” riferite al compito del genitore che deve mostrarsi quanto più possibile indifferente, appunto sordo e cieco di fronte ai lamenti e all’“apparente” sofferenza del bambino. Le frasi di prammatica che si accompagnano al gesto di lasciare il piccolo nella sua stanza vanno ripetute sempre con lo stesso tono indifferente e con la stessa modalità, come una “litanìa”; il genitore le pronuncerà il numero di volte stabilito, come fosse un “automa39.

Negata validità alla competenza emotiva del bambino, le cui azioni volte a suscitare una reazione da parte dei genitori non hanno diritto di asilo nel mondo estivilliano, l’autore, nel proprio semplicismo ascientifico, dice di riconoscere senza fallo i segni del trauma: il pianto che segnala una sofferenza autentica foriera di traumi è quello a cui i genitori reagiscono sempre (per esempio quando il bambino è trascurato da ore). Al contrario, il pianto che di rado è accompagnato da lacrime e suscita solo la reazione materna (sic!)40 non è pianto di vero dolore, “il bambino non ha nulla”, vuole solo che i genitori reagiscano (che si risveglino dal loro automatismo disumano, diremmo noi). La dimostrazione di questo è nel fatto che se preso in braccio, accarezzato e ascoltato, il piccolo si calma.


La nuova edizione promette indicazioni per conciliare sonno e allattamento a richiesta, ma anche su questo tema tanto sensibile ogni speranza che un barlume filtri a rischiarare gli angoli bui del freddo universo estivilliano è puntualmente delusa. È necessario seguire fin dai primi momenti le regole d’oro del metodo, sia che si allatti, sia che si alimenti il neonato con formula, secondo i propri desideri e le raccomandazioni del pediatra (nessuna parola è spesa in favore dell’allattamento). Il piccolo non deve addormentarsi al seno, bensì va tenuto sveglio per ben 15 minuti dopo aver mangiato e mentre lo si cambia. Deve essere messo nella culla da sveglio e Estivill non esita a consigliare l’uso del ciuccio, ignorando quanti rischi comporti per la salute a lungo termine e per il buon esito dell’allattamento, soprattutto nei primi mesi41. Del resto, dopo aver negato al contatto con il corpo materno e all’allattamento, specie quello notturno, il ruolo cruciale di regolatore biologico delle funzioni metaboliche, endocrinologiche e respiratorie del neonato – avendolo invece assegnato alla rigida e algida routine di un addestramento in cattività – ciucci, piccoli peluche e analoghi oggetti di transizione affettiva diventano strumenti imprescindibili, fanno parte del “materiale per insegnare42. Non dimentichiamo che il metodo è denominato “dell’estinzione graduale”… e che sia solo il pianto a estinguersi è assai dubbio.

Facciamo la nanna - Seconda edizione
Facciamo la nanna - Seconda edizione
Grazia Honegger Fresco
Quel che conviene sapere sui metodi per far dormire il vostro bambino.Consigli, idee e suggerimenti per affrontare i problemi di sonno dei neonati, con un approccio dolce e rispettoso del bambino. Siamo sicuri che il bambino debba dormire quando lo decidiamo noi?Siamo certi che il suo pianto notturno sia un lamento?Dorme troppo? Dorme poco?A volte vorremmo la bacchetta magica per farlo addormentare?Ancora peggio, c’è chi ricorre a medicinali.Siamo fuori strada!Grazia Honegger Fresco, nel suo Facciamo la nanna, chiarisce le motivazioni che dovrebbero spingere a rigettare tutti i metodi “facili e veloci” per far dormire i bambini piccoli (come quello tristemente famoso di Eduard Estivill, noto agli specialisti per la violenza dell’impostazione e la potenziale dannosità nei confronti del bambino) e delinea al contrario quali siano gli approcci più dolci e rispettosi per affrontare i problemi del sonno. Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.