CAPITOLO IV

Perché dormiamo?

Qualche dato sulla fisiologia del sonno a questo punto ci sembra utile: è un’esperienza quotidiana per ognuno di noi, ma ne sappiamo davvero poco.


Il sonno è un bisogno fondamentale, non una perdita di tempo o un ostacolo all’efficienza, all’avida insaziabilità del nostro attuale modo di vivere. Non è neppure un mostro che ci assale a tradimento – come suggeriva una vecchia pubblicità – e tanto meno un mezzo per… togliersi di torno i bambini (i quali, essendo sensibili e intelligenti, si oppongono con ostinazione ai nostri incoerenti propositi).


Nessun organismo vivente può usare di sé in modo indefinito, senza ritmi: anche gli animali vivono cicli di attività e di riposo o di sonno vero e proprio (specie i mammiferi). Noi umani adulti, sapienti e organizzatissimi, crediamo a volte che dormire equivalga a “perdere tempo”, tanto che il “dormiglione” è preso di mira, ridicolizzato.


Si dice “lottare contro il sonno” e con questo diamo un pessimo esempio ai bambini che di rado vedono gli adulti abbandonarsi con piacere al sonno e ancor meno dormire. Eppure il sonno non è un nemico, né possiamo dominarlo con la volontà o con tazzine di caffè: il classico “colpo di sonno”, causa di tanti incidenti, è la prova manifesta che il riposo è rinviabile solo fino a un punto limite che non è possibile prevedere.


Il direttore d’orchestra di tutte le nostre azioni – fisiche, sensoriali, emotive, conoscitive, creative – e quindi anche del sonno, è il cervello che lavora intensamente (già prima della nascita) e ha bisogno di soste adeguate. Non tutto si gioca quando siamo svegli: il sonno svolge un ruolo essenziale per la nostra salute. Senza una dormita quotidiana ben presto impazziremmo e morremmo, proprio perché il tempo del riposo è indispensabile al cervello come forza di autoregolazione locale e generale: gli permette di disintossicarsi dai residui biochimici del suo incessante funzionamento e di ricaricarsi. Per questo è scarsamente controllabile con la ragione.


In altre parole, il cervello addormenta il corpo per proteggerlo e per proteggere se stesso.


È dunque la natura stessa a imporci un tempo per agire e un tempo per riposare: non basta il semplice “rilassarsi”, occorre il vero sonno secondo cicli che si ripetono in modo ritmico nel corso della notte. In ciascuno di essi c’è un tipo di sonno che permette di recuperare la fatica fisica e un altro che ripara l’impegno psichico ed emotivo. Nell’umano adulto tali cicli durano circa due ore: ogni notte ne viviamo almeno tre o quattro per un totale di sei oppure otto ore.

Come è stato possibile conoscere questi aspetti della fisiologia cerebrale?


Si è partiti anzitutto dalla scoperta, ad opera del fisiologo R. Caton nel 1875, dei fenomeni elettrici che si svolgono nel cervello e ne consentono il funzionamento; ne è seguita l’invenzione dell’elettroencefalogramma (EEG), apparecchio che misura le delicatissime variazioni di tale attività elettrica e le mette in evidenza su uno schermo televisivo o su un rullo di carta: il cosiddetto tracciato, che è anche strumento diagnostico di grande importanza per numerose malattie cerebrali.


Le prime ricerche sistematiche sul sonno risalgono al 1913 ad opera di Henri Pieron, portate avanti negli anni Venti dallo psichiatra tedesco Hans Berger e da altri, mentre l’inizio della cronobiologia – scienza che studia il rapporto tra il trascorrere del tempo e i fenomeni vitali – data dagli anni Cinquanta. Negli stessi anni Nathaniel Kleitman a Chicago mette a fuoco il ritmo-base del cervello (veglia/sonno), chiamato anche ritmo circadiano (cioè “intorno al giorno” o “giro del giorno”), in stretta relazione con il ritmo cosmico della rotazione terrestre che regola la nostra vita quotidiana, quella degli animali e dei vegetali. È il ciclo “giorno/notte”, il tempo delle 24 ore che la Terra impiega per ruotare su se stessa.


Al ritmo circadiano si aggiungono un tempo mensile – 28/30 giorni – di rotazione della Luna attorno alla Terra e un tempo annuale di rotazione della Terra attorno al Sole: altri cicli cosmici da cui hanno origine l’alternanza delle stagioni, i grandi fenomeni climatici, i flussi delle maree e molto altro ancora sul nostro pianeta vivente, ovvero un insieme di eventi planetari (cui anche gli umani sono legati – si pensi ad esempio ai cicli mestruali delle donne e i tempi di nascita, connessi con la rotazione della Luna!)1.

Che cosa succede durante il sonno di un adulto

L’attività cerebrale è ritmata in cicli, con una regolarità da orologio. In ogni ciclo i ricercatori hanno individuato fasi alquanto diverse: nella prima – di circa 20 minuti – ci si addormenta, passando dalla sonnolenza al sonno: si sbadiglia, gli occhi lacrimano leggermente, tendono a chiudersi, la testa ciondola, il corpo cerca una posizione confortevole e di abbandono – di solito una è preferita alle altre per “trovare il sonno” – si cerca l’oscurità e il silenzio. Verso la fine di questa prima fase la persona può facilmente risvegliarsi per un rumore, un pensiero, una voce, ma provare già una sensazione di riposo.


Se non c’è risveglio, l’addormentamento prosegue e si entra in un primo stadio di sonno leggero, detto lento, a onde alte e strette sul tracciato. Nel corso di successivi quattro stadi diventa via via più profondo e le onde si allargano: le percezioni esterne sono sempre più flebili, la respirazione si fa regolare, i globi oculari si girano verso l’altro (le palpebre semiaperte mostrano il bianco degli occhi ormai immobili). Il dormiente è calmo: non sente, né poi ricorderà nulla, nemmeno se parla o cammina da sonnambulo. Se qualcuno o qualcosa lo sveglia in questa fase, prova forte malessere (il bambino piange con forza!); il ciclo non è ancora completo. Dall’inizio dell’assopimento è trascorsa circa un’ora e mezza di sonno, riparatore della fatica fisica.


Segue un quinto stadio di sonno rapido. Di colpo le onde si fanno brevi, fitte e aguzze come denti di sega. È il sonno REM (Rapid Eye Movement = movimento rapido dell’occhio): infatti gli occhi del dormiente si muovono rapidi sotto le palpebre. La persona appare più agitata: il battito cardiaco accelera, la respirazione è irregolare, la pressione aumenta, gli organi genitali – pene e clitoride – vanno in erezione. Questo sonno viene anche chiamato “paradossale” perché la persona sembra sul punto di svegliarsi mentre è profondamente addormentata e nella fase più propizia al sogno. È il sonno che ripara la fatica psichica e dura circa 20 minuti: sul tracciato EEG si evidenzia una specifica attività elettrica cerebrale. Se alla fine di questo stadio la persona si sveglia, anche per poco, ricorda ciò che ha sognato.


Dopo lo stadio REM c’è un breve passaggio intermedio che somiglia alla fase iniziale di assopimento: le reazioni agitate scompaiono, si cambia posizione, si sbadiglia, forse ci si alza ad occhi chiusi per andare al bagno. Tornati a letto ci si riaddormenta facilmente: comincia un nuovo ciclo che riparte da un altro primo stadio.


Ovviamente questa distinzione in stadi che si susseguono senza interruzioni vale solo per motivi di studio. Un buon sonno si realizza quando si completano, come già detto, almeno tre o quattro cicli di sonno, con un numero pari di ore: sei o otto (ma ci sono persone, rare in verità, cui ne bastano regolarmente quattro in totale).


Quando si sente dire: “Non capisco: ho il sonno leggero, ma non mi sono accorta quando sei rientrato” oppure: “Che strano! Non ho sentito la sveglia” o anche: “Davvero stanotte ha tuonato?”, la spiegazione risiede nel fatto che questi fatti sono avvenuti durante la fase di sonno profondo in cui eravamo totalmente insensibili ai rumori, agli odori, alle luci. Appena mezz’ora più tardi, al termine della fase REM, la nostra reazione non sarebbe mancata.


Durante la gravidanza il bisogno di sonno della madre cambia: aumenta il tempo di sonno REM, al punto che intorno al quarto mese occupa il 25% del sonno totale. Alla fine della gravidanza può arrivare al 45%, che è lo stesso bisogno di sonno REM del feto. Le donne di solito non si accorgono di un tale cambiamento; eppure è utile prenderne coscienza, seguire senza risvegli artificiosi l’andamento del sonno, in quanto completare le fasi REM nella madre giuoca un ruolo importante nella costruzione del cervello del nascituro. Quindi, mamme in attesa, non abbiate timore di dire: “Ho più sonno di prima” e… dimenticate la sveglia!

E il bambino?

Prima di nascere, di cicli non ne ha solo tre o quattro, ma molti di più, ovviamente più brevi. Grazie a ricerche sui prematuri si è visto che, già tra i sei e i sette mesi prenatali, in ogni ciclo si distinguono due fasi di sonno: una calma, l’altra attiva o agitata, diverse tra loro come durata2. (Diverranno dopo la nascita rispettivamente sonno lento e sonno REM). Per ora i cicli non sono influenzati dall’alternanza giorno/notte: solo dopo la nascita il bambino si sincronizza – e molto gradualmente – con il ritmo cosmico circadiano né si può pretendere che si adegui di colpo alla differenza tra ore diurne e ore notturne. Ci arriverà per gradi con l’esperienza se questa gli sarà di aiuto.


Dopo la nascita il suo orologio biologico pian piano si modifica; in ciascuno dei cicli di sonno, della durata di 60 minuti o poco meno, le due fasi – sonno REM e sonno lento – durano circa lo stesso tempo. Il sonno REM si distingue, come nell’adulto, per vari segnali: mobilità dei globi oculari sotto le palpebre, sorrisi, movimenti del corpo. Tra le due fasi c’è un brevissimo passaggio, a volte evidente perché il neonato3 ha una sorta di scossa. (Per lui, più che mai, vale la regola di lasciargli completare ogni ciclo; se non è pronto quando lo si vorrebbe nutrire, lo stimolo della fame non scatta e non si sveglia affatto!).


Il tempo del sonno REM – maggiore nei bambini allattati al seno – dal 50% del sonno totale nelle prime due settimane diminuisce al 25% tra i due e i tre anni; circa due anni dopo scende al 20% come nell’adulto. Nell’anziano si ridurrà ancora fino a circa il 14%, mentre aumenta il sonno lento, riparatore della fatica fisica. È evidente che il bisogno di sonno REM, maggiore nei periodi di più intensa maturazione cerebrale, diminuisce nel corso della vita, dalla nascita alla vecchiaia estrema.

Secondo il pediatra americano William Sears il fatto che ogni ciclo di sonno dopo la nascita duri circa metà di quello adulto, comporta che un neonato o un bambino dei primi mesi abbiano circa il doppio di fasi REM. In altre parole, se l’adulto ha tre cicli (e quindi tre possibili risvegli) in sei ore complessive, il bambino nello stesso periodo di tempo ne ha sei con sei successivi passaggi dal sonno lento al sonno REM: in altre parole sei “periodi più vulnerabili” in cui può svegliarsi rispetto ai tre dell’adulto.


Altro fatto da considerare è la differenza di addormentamento tra gli adulti (che, prima di entrare nel sonno REM, attraversano vari stadi di sonno lento) e i neonati che cadono subito nel sonno REM. Alcuni piccoli, se risvegliati da uno stimolo esterno in questa prima fase, faranno fatica a ritrovare lo stadio iniziale; si addormenteranno più facilmente a mano a mano che riusciranno a passare dalla veglia al sonno lento e quindi al REM. Secondo alcune ricerche ci sono bambini che arrivano a questo stadio già a tre mesi, altri invece più tardi.


Intanto la madre durante il puerperio scopre una corrispondenza tra i propri risvegli e i movimenti del bambino messo a dormire vicino a lei.


Tutte queste variazioni la dicono lunga sulla necessità di adattamenti graduali ai ritmi dopo la nascita, ma non solo. È accertato che nei primi mesi la strutturazione cerebrale che presiede alle alternanze giorno/notte e veglia/sonno è indipendente dal modo in cui il bambino viene accudito, se nutrito al seno o alla bottiglia, se allevato in famiglia o in istituto. Si tratterebbe in partenza di un “programma” indipendente dalle condizioni ambientali che però si modifica a seconda di come si risponde alle richieste infantili.

Dorme poco? Dorme tanto?

Anche la durata complessiva del sonno cambia giorno per giorno nel corso dei mesi e degli anni. Le 16-17 ore quotidiane alla nascita e nella prima settimana calano progressivamente: a sei mesi sono già 15, a un anno circa 14; diventano 13 intorno ai due anni, 12 a tre anni. Nella seconda infanzia ne bastano 11 dopo i sei anni, 9 dopo i dieci anni, 8 nel giovane. Quanto al lungo sonno notturno, secondo una ricerca, a nove mesi il 90% dei bambini non dorme di continuo per più di otto ore. Con buona pace di Estivill che pretende che dormano fino a 12 ore consecutive!


Le cifre sopra indicate non sono ovviamente tassative: indicano piuttosto una media. Non c’è durata eguale per tutti gli individui e le differenze si fanno più evidenti a partire dai sei mesi. Molto dipende dal tipo costituzionale, dall’età, dalle situazioni (differenze stagionali, climatiche, ambientali). Inoltre non basta calcolare il numero totale di ore di sonno. Conviene seguire con pazienza per più giorni – e senza interventi da parte nostra – il normale andamento individuale e le relative quantità dei due tipi di sonno soprattutto per i tipi di cui si dice “Non dorme mai”: sarà poi vero? A volte i genitori, presi dall’ansia o dalla stanchezza, non riescono a vedere con chiarezza che cosa accade. Una buona soluzione è quella di annotare un promemoria accurato per circa due settimane, ad esempio:


Lun. Mar. Merc. Giov. Ven. Sab. Dom.
Ora serale di
addormentamento
N. risvegli






Ora di
risveglio
Durata
della veglia
Ore sonno
notturno
Ore sonno
diurno
Ore sonno
totali

Annotazioni puntuali di questo tipo permettono di valutare l’effettivo andamento delle notti4.


C’è però chi si preoccupa: “Non dorme abbastanza”, si dice di un bambino che appare sonnolento malgrado le molte ore passate a letto. È effettivamente così? Anche qui notazioni accurate prevengono l’errore di indurlo a dormire “il più possibile”, pensando che questo giovi alla sua salute. Il sonno eccessivo – quello che va ben oltre le durate medie delle varie età – può essere un segnale di fuga da una situazione di vita eccessivamente monotona e statica, favorito da movimenti autocullanti5, dall’uso continuo del ciuccio e persino da masturbazione precoce, sempre alla ricerca di autoconsolazione. Possono giocare in tale direzione anche confuse paure. Bisogna poi fare attenzione al bambino che dorme male perché russa e ha apnee notturne. In questi casi è necessario sentire il pediatra.


Anche per il risveglio si notano differenze a partire dai primi anni: c’è chi si alza al mattino senza fatica e chi non uscirebbe mai dal letto; chi ciondola assonnato già al calar del sole e chi invece non andrebbe mai a dormire. Degli adulti si parla di “allodole e gufi”, ma anche i bambini, prima di venire condizionati da abitudini familiari, mostrano forti differenze, proprie del loro organismo.

Addormentamento e influenze ambientali

Nell’avviare il sonno ci possono essere tante varianti per quanti sono… gli individui. Tutto è più semplice se, fin dai due o tre anni, al primo segno di sonnolenza si va a letto.


Mimma (2 anni e mezzo) sta mangiando: il sonno arriva, gli occhi cominciano a chiudersi, la testa ciondola… La posata cade a terra! Sarebbe il momento buono per accompagnarla a dormire. Non importa se non ha finito tutto: mangerà di più il mattino dopo. Accade anche a noi adulti a volte di avere tanto sonno da non poter mangiare!


E invece c’è subito qualcuno che, magari con tono di rimprovero, dice: “Su, su, finisci lo yogurt e poi vai a letto”. Basta questo per farla tornare indietro: Mimma si riscuote, obbedisce, ma il sonno è sparito e dopo pochi minuti eccola che corre e gioca!


“È come aver perso il treno, diceva Jeannette Bouton, il prossimo passerà circa due ore dopo!” Son dolori poi se un piccolino si abitua a procrastinare, a non rispondere al comando naturale che gli arriva dal proprio interno.

Altra variante: anche in famiglie molto unite e affettuose può accadere che un piccolino manifesti all’improvviso insospettate inquietudini e cominci a rinviare la sua andata a letto. L’importante non è far finta di nulla, ma accogliere, ascoltare.


D’un tratto Samuele (4 anni) per più sere rifiuta di spogliarsi e di entrare nel letto, dice che “ci sono i mostri” e che Elisa (la sorellina di due anni maggiore) lo lascia solo (ovvero si addormenta rapidamente prima di lui). Il padre gli suggerisce di portarsi a letto gli amati pupazzi, ma lui dice: ”Non basta, loro sono piccoli e i mostri molto grandi”. Ecco, l’ha detto e ridacchia. Prende un bel po’ delle sue bestiole e se le mette tutte intorno come una barriera protettiva. Si spegne la luce: il papà è nelle vicinanze, in silenzio, la mano sulla coperta. Il sonno arriva rapido. Nei giorni seguenti la paura sembra scomparsa.


Poter dire ciò che preoccupa – senza timore di essere preso in giro, ridicolizzato come un “bebè” – è di per sé rassicurante per superare un ostacolo: incoraggia a farcela da solo. E invece sono tanti i bambini che davanti a un genitore non osano parlare anche se sono in grado di farlo; figurarsi a due o tre anni quando ricevono nel sonno impressioni confuse e per questo minacciose.


L’addormentamento faticoso e il risveglio improvviso possono avere origini diverse. Ecco un elenco sommario di cause possibili:

  • fisiche: la stanza troppo calda – o il bambino troppo coperto – oppure al contrario un senso di freddo e di umidità (la temperatura ambiente dovrebbe essere compresa tra i 18° e i 20° al massimo);
  • aver mangiato troppo o non a sufficienza;
  • patologiche anche lievi: dolori da dentizione, otiti, coliche;
  • sensoriali non bene individuabili come l’oscurità inquietante, un rumore esterno, ombre e passaggi di luce su pareti e soffitto che fanno immaginare chissà che;
  • emotive: l’assenza di uno o di entrambi i genitori; aver fatto fino a poco prima giochi eccitanti o essere stato sgridato; aver assistito a discussioni accese tra adulti; trovarsi in una casa sconosciuta, in un letto diverso (ad esempio per le vacanze)…
  • stress da separazione dalla madre o da altra persona di riferimento stabile; trasloco; nascita di fratelli; morte di un familiare significativo per il bambino; vita disordinata in casa con continui imprevisti; ingresso al nido o alla scuola infantile senza un graduale ambientamento; fragilità e insicurezza dei genitori che li portano a non saper consolare il proprio bambino o a delegarne la cura ad altri in modo discontinuo…

Dormire di giorno

Premesso che la durata del sonno è del tutto individuale e dipende dall’ora a cui si va a letto e da quanto si dorme di giorno, non si può pretendere che un bambino dorma tanto di giorno e tanto di notte. Anche per i sonnellini si notano non poche differenze: nei primi due anni molti bambini tendono ad avere un lungo periodo di sonno durante la notte e due più brevi durante il giorno, a metà mattina e nel primo pomeriggio; verso i tre anni la maggior parte smette di dormire al mattino e abbrevia il riposo pomeridiano. Questo di solito viene sospeso spontaneamente intorno ai quattro anni, mentre altri ne mantengono l’abitudine, tanto che molti genitori, se i figli la sera faticano ad addormentarsi o hanno più risvegli notturni, pensano che sia meglio impedirlo.


Non sempre però questo torna a vantaggio loro e del piccolo, anzitutto perché il sonno non è un vaso da riempire e vuotare a piacere: è il cervello, come abbiamo detto, che risponde ad esigenze di natura biochimica.


In secondo luogo è essenziale che il bambino possa avere pieno recupero della fatica fisica come di quella psichica. Se viene svegliato a caso (ad es. al mattino presto per andare al nido) o si interrompe il sonnellino diurno solo perché, secondo i genitori, non deve dormire troppo o perché sono arrivati a prenderlo al nido in anticipo, il disagio può essere grande: se non ha completato la fase REM, non è pronto a svegliarsi e manterrà l’irritazione per tutto il tempo di veglia e a volte avrà anche mal d testa.


Come regolarsi allora? Jeannette Bouton, con la sua vasta esperienza di studiosa del sonno e di osservazione dei bambini soprattutto di 2-6 anni, suggerisce di non intervenire mai a precipizio. Intanto bisognerebbe conoscere la durata dei cicli di sonno del singolo bambino: è di due ore? Un po’ meno? Quindi valutare il tempo trascorso, avvicinarsi cautamente, fare qualche piccola carezza sui capelli o soffiare leggermente sul viso. Se il bambino resta del tutto immobile, lasciarlo stare; se invece si muove, sorride anche ad occhi chiusi, significa che ha completato la fase REM e che, di lì a poco, sarà pronto per il risveglio. Lo si può aiutare, chiamandolo con voce leggera, lasciandogli però il tempo di svegliarsi del tutto da sé.


Viceversa impedire il riposo pomeridiano su richiesta dei familiari non è saggio e bisogna discuterne insieme. I bambini che non dormono molto possono essere aiutati a riposare una ventina di minuti fino all’inizio del primo stadio lento e poi essere chiamati. È la cosiddetta pausa “parking”, suggerita da Jeannette Bouton, la famosa “pennichella” romana, quella stessa che sarebbe utile a chi guida l’auto o è stanco di studiare: piuttosto che un’ulteriore tazzina di caffè, meglio chiudere gli occhi appoggiati al volante o alla scrivania. Per i piccoli, essere tenuti tra le braccia di una persona nota o sdraiarsi su un cuscinone… Dopo un quarto d’ora circa ci si risveglia e si ha subito una sensazione di riposo.


Nelle scuole dell’infanzia, dove – lo abbiamo già accennato – sono aboliti quasi ovunque gli spazi per il sonnellino pomeridiano, occorre comunque provvedere ai piccoli che mostrino bisogno di riposare. Obbligarli a saltare la siesta perché vanno a scuola, è un altro segnale dell’accelerazione che imprimiamo alla loro vita quotidiana: si raggiunge solo il risultato di renderli più “nervosi”.

Privarsi del sonno secondo i giorni?

Tra i genitori è frequente l’idea di potersi privare impunemente di sonno per recuperarlo magari a fine settimana, e imprimono tale ritmo anche ai figli, piccoli o grandi. Questo è disastroso! Intanto perché adulti e bambini hanno ritmi diversi: la domenica i genitori vogliono dormire e i piccoli sono più arzilli che mai. La corrispondenza tra ritmo circadiano e ritmo sonno/veglia va preservata giorno per giorno, in primo luogo per i bambini, individui in crescita mentale e fisica, e altrettanto per gli adolescenti. Lo stato di irritabilità che molti lamentano e manifestano, non di rado è dovuto al modo irregolare e incompleto di dormire con tanto di sveglia (e un numero dispari di ore) o anche insufficienti cicli di sonno. Una persona che avrebbe bisogno di almeno quattro cicli per notte e riesca di solito a completarne tre a mala pena, finisce per vivere in un perenne stato di stanchezza.

La cornice di vita

Se in principio è il corredo genetico ad agire come guida originaria del neonato e a provvedere a tutti i ritmi vitali, sonno incluso, via via sul bambino aumenta – nel bene e nel male – l’influenza dell’ambiente. Da un lato questo è inevitabile, dall’altro i genitori dovrebbero prevenire il più possibile che ciò avvenga senza scontrarsi nella quotidianità con i ritmi interni dei loro figli.

Numerose indagini hanno dimostrato come sul sonno agiscano negativamente fattori quali un’abitazione troppo piccola e affollata6, cattivi rapporti tra i genitori con scoppi di violenza verbale e fisica, eccesso di televisione e di rumore, anonimo passaggio di persone, soprattutto insicurezza emotiva determinata da eventi diversi che i genitori non riescono a gestire con sufficiente onestà e tranquillità.


Bisognerebbe aiutare il bambino piuttosto che prendersela con lui, anche se questi, con i suoi risvegli notturni, rischia di aggravare la situazione7. Tanti elementi possono generare in lui angoscia, affollargli la mente di “brutti sogni” e di paure, compresa quella di addormentarsi (“Ha sempre dormito benissimo e adesso…”).


Di nuovo si tratta di considerare i disturbi del sonno come sintomo di disagi che possono essere dell’ambiente prima che nel bambino: non è il fatto di svegliarsi più volte nel corso della notte a determinare disturbi di comportamento – come invece afferma Estivill – ma piuttosto lo sfondo familiare, le situazioni ansiogene, in apparenza non motivate, a causare stati di profondo malessere e a impedire sonni distesi e prolungati. La fermezza aggressiva che il medico spagnolo propone non può che aggravare un vissuto doloroso che ci può essere a monte nel bambino.

Una buona esistenza durante il giorno

Muoversi, saltare, correre, arrampicarsi su un alberello o su un tronco a terra come su scogli o sassi: sono tutte azioni che suscitano nei bambini grande piacere, espresso in risa, allegria, effusioni. All’opposto si osserva a volte una certa pigrizia a muoversi che proviene da abitudini familiari, dall’accontentare ogni volta la richiesta “In braccio. Portami tu”, dallo spostarsi solo in automobile o in passeggino, tutti freni negativi alla vitalità infantile dei primi anni. Ci sono bambini cui vengono impedite persino le scale di casa per paura che cadano o perché gli adulti hanno sempre fretta, mentre salire e scendere da soli – magari con un adulto paziente dietro che lascia fare – sarebbe già di grande aiuto al benessere corporeo, non fosse che per realizzare quella “dose” di fatica fisica che nella notte verrà compensata negli stadi di sonno lento.


Gli spazi di città – persino in quelle di modeste dimensioni – si presentano come luoghi inospitali e malsani da percorrere a piedi; eppure con buona volontà è sempre possibile reperire zone tranquille: la piazza d’una chiesa, le scale d’un monumento, un viale alberato, il marciapiede attorno a un condominio, una stazione ferroviaria… Con tante cose da osservare, camminare significa anche nutrire la vita mentale che risulterà arricchita da tutto quello che il bambino vede, ascolta, annusa, tocca: il vasto campo delle attività sensoriali.


Ma non basta ancora: il bambino deve poter agire in prima persona, con le sue mani e il suo corpo, nelle posture che preferisce: sdraiato, in ginocchio, accovacciato, in piedi, su uno sgabello… a fare che cosa? Su un prato a cercare rametti, in casa a usare cose adatte a lui, lasciandolo esplorare di propria iniziativa8 e non metterlo di continuo sotto il controllo di un adulto (questi potrà sempre seguirlo con discrezione senza intervenire!), perché la conquista dell’indipendenza raggiunta in un’area protetta è alimento potente al senso di sicurezza individuale.

Né va dimenticato il piacere nei primi anni di partecipare alle attività domestiche come cucinare, lavare oggetti di cucina, un paio di calzine o un giocattolo sporco di terra oppure lavarsi le mani, farsi il bagno… all’insegna di quell’“Aiutami a fare da solo”, detto da un bambino e che Maria Montessori volle indicare come elemento essenziale per lo sviluppo infantile. Agli adulti il bambino chiede un piccolo aiuto iniziale per vedere come si fa, ma poi vuole provare lui, a suo modo, senza dover fare subito le cose in modo perfetto. (E questo vale anche per i piccoli, svantaggiati nei movimenti o nelle capacità sensoriali e cognitive).


Quanto più il bambino durante la giornata vive esperienze variate, interessanti – alcune realizzate con un adulto affettuoso e non invadente, molte come gioco personale, spontaneo e quindi di sicuro al suo livello, altre ancora con uno o più coetanei – tanto più si sentirà soddisfatto. Un ritmo quotidiano equilibrato lo predisporrà a sera, nel modo più naturale, ad abbandonarsi a un riposo ristoratore. L’energia psichica – impegnata in tante attività semplici ma per lui interessanti – sarà compensata, sulla bilancia dell’equilibrio vitale, dal sonno REM.


Quanto abbiamo detto fin qui è solo un “assaggio” relativo alla fisiologia del sonno: in ogni caso essa non è una sorta di meccanismo ad orologeria uguale per tutti, da comandare come si vuole e da condizionare a piacere, ma un sofisticato evento biochimico-psicologico con sfumature diverse da un individuo all’altro.


Tutti i “circa” i “quasi” i “forse” che accompagnano le informazioni precedenti vogliono ricordare che l’assestamento dei ritmi tra genitori e figlio non si ottiene di colpo: è un lento duplice percorso fino all’incontro e all’intesa con scansioni di tempo poco prevedibili.


Estivill dice “Dopo i sei mesi”, ma poi sottintende: perché non cominciare già prima? Non a caso l’intervista apparsa su “Insieme” sembra dare per scontato che possa esserci “insonnia precoce fin dalla culla”, “malattia molto particolare dalla quale si può guarire nel giro di pochi giorni”. Come? Basta leggere Fate la nanna e agire di conseguenza.

Facciamo la nanna - Seconda edizione
Facciamo la nanna - Seconda edizione
Grazia Honegger Fresco
Quel che conviene sapere sui metodi per far dormire il vostro bambino.Consigli, idee e suggerimenti per affrontare i problemi di sonno dei neonati, con un approccio dolce e rispettoso del bambino. Siamo sicuri che il bambino debba dormire quando lo decidiamo noi?Siamo certi che il suo pianto notturno sia un lamento?Dorme troppo? Dorme poco?A volte vorremmo la bacchetta magica per farlo addormentare?Ancora peggio, c’è chi ricorre a medicinali.Siamo fuori strada!Grazia Honegger Fresco, nel suo Facciamo la nanna, chiarisce le motivazioni che dovrebbero spingere a rigettare tutti i metodi “facili e veloci” per far dormire i bambini piccoli (come quello tristemente famoso di Eduard Estivill, noto agli specialisti per la violenza dell’impostazione e la potenziale dannosità nei confronti del bambino) e delinea al contrario quali siano gli approcci più dolci e rispettosi per affrontare i problemi del sonno. Conosci l’autore Grazia Honegger Fresco (Roma, 6 Gennaio 1929 - Castellanza, 30 Settembre 2020), allieva di Maria Montessori, ha sperimentato a lungo la forza innovativa delle sue proposte nelle maternità, nei nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e i loro genitori, ha dedicato molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all'estero.È stata presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e ne è stata Presidente onorario. È stata consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa) e nel 2008 ha ricevuto il premio UNICEF-dalla parte dei bambini.Ha pubblicato numerosi testi di carattere divulgativo.