Uno sguardo alla ricerca

1. Quali sono gli effetti a lungo termine sul bambino dell’uso di ossitocina sintetica al momento del parto?

La professoressa associata Aleeca Bell e la professoressa Sue Carter hanno studiato gli effetti a lungo termine sul bambino e i potenziali effetti transgenerazionali dell’uso di ossitocina sintetica alla nascita.


L’ossitocina sintetica è anche conosciuta come pitocina o “Pit” negli USA e Syntocinon nel Regno Unito e altrove. Talvolta viene chiamata semplicemente ossitocina dagli operatori sanitari, senza distinguere dunque la forma sintetica dell’ormone da quella prodotta in modo naturale nel corpo della donna durante il travaglio, il parto e il postnascita.


Quella che segue è una trascrizione dei momenti salienti delle interviste filmate realizzate da Toni Harman e Alex Wakeford a Bristol, in Inghilterra, nel luglio del 2013.

Aleeca Bell, professore associato, università dell'Illinois a Chicago

Sono particolarmente interessata al sistema dell’ossitocina in quanto si tratta dell’ormone critico per la nostra regolazione dello stress. Attutisce la reattività allo stress e favorisce un tono dell’umore positivo e salutare, regola inoltre i comportamenti sani di attaccamento. Perciò non solo fra madre e bambino, ma anche nelle nostre relazioni con chi amiamo, nella nostra cerchia di amici e persino in società. L’ossitocina svolge un ruolo cruciale nella regolazione dei comportamenti che sono davvero determinanti per la transizione verso la maternità. Nel periodo che circonda la nascita – il travaglio vero e proprio, l’immediato postpartum e l’esperienza dell’allattamento – l’ossitocina ha un enorme lavoro da compiere. Sappiamo, certo, come sia essenziale per le contrazioni e per l’emissione del latte.


L’ossitocina è un sistema vitale per il comportamento umano, messo a punto dai processi evolutivi. Siamo esseri sociali e l’ossitocina è un sistema che regola l’umore, l’attaccamento, lo stress – è davvero vitale. E nonostante questo, al momento della nascita manipoliamo questo meccanismo senza sapere quali possano essere le conseguenze.


Se quasi tutte le donne sono esposte a epidurale e pitocina, e di conseguenza anche i feti, è difficile studiare i meccanismi della fisiologia normale, perché sarebbero necessari gruppi di confronto. E non si possono fare studi randomizzati con gruppi di controllo su donne in travaglio. Per cui la sfida è davvero grande.


Negli studi sugli animali scopriamo che quando si manipola il sistema dell’ossitocina nel periodo che circonda la nascita possono esserci conseguenze drammatiche sui comportamenti di attaccamento durante la crescita del cuccciolo.


Non possiamo, però, studiare negli esseri umani lo stesso tipo di meccanismo, dobbiamo pertanto accontentarci di studi correlazionali. Servono studi sulla popolazione che siano di vasta portata, con i quali osservare le associazioni fra le esposizioni alla nascita e i risultati a lungo termine. È anche necessario investigare se i diversi tipi di esposizione durante la nascita possano trasformare i sistemi cruciali, come quello dell’ossitocina, da un punto di vista epigenetico. Sono tutte ricerche che devono essere effettuate.


Spererei davvero che ci fossero molti altri ricercatori di discipline diverse – scienze sociali, scienze neurali e scienza di base – che si interessassero a questo tema, perché stanno conducendo ricerche su modelli animali ma è necessario trasferirle agli esseri umani.


Questa è la prima volta nella storia dell’uomo in cui la maggioranza delle donne è esposta a droghe sintetiche durante il travaglio, e non abbiamo il minimo indizio di quali possano essere gli esiti sullo sviluppo dei bambini. Non abbiamo idea di quale tipo di impatto a lungo termine possano avere le droghe sintetiche sulla salute dei bambini quando crescono, e magari anche sui loro figli e nipoti. E se questo impatto implicasse processi epigenetici, con la possibilità di effetti intergenerazionali, rischieremmo di alterare il genoma umano.

Professoressa Sue Carter, Neurobiologa comportamentale, direttrice del Kinsey Institute e Rudy professor di biologia all'università dell'Indiana

La Carter ha studiato gli effetti dell’ossitocina sintetica durante il parto. Qui descrive la sua ricerca epocale effettuata utilizzando modelli animali, in particolare i topi di prateria.


Cerchiamo di studiare cosa avvenga nel piccolo alla nascita; cosa fa la Pitocina al neonato?


Nel primo esperimento che abbiamo condotto l’abbiamo somministrata direttamente al cucciolo, poiché quello che avviene alla nascita è talmente complesso che è molto difficile stabilire quale sia l’effetto e quale la causa. Ero interessata soprattutto agli effetti dell’ossitocina sullo sviluppo. Quando l’abbiamo somministrata ai piccoli abbiamo avuto ogni genere di effetto. E gli effetti differivano in base all’entità della dose somministrata. Se ne somministravamo una piccolissima quantità, sembrava che facilitassimo i comportamenti sociali nella prole. A dosi maggiori gli animali erano ancora sociali ma i topi della prateria formano legami di coppia permanenti e gli animali a cui davamo le grandi dosi non si legavano in coppia – preferivano gli estranei. È inquietante.


Abbiamo osservato cambiamenti nel cervello, nei recettori di questi ormoni peptidici. L’ossitocina ha una compagna detta vasopressina e noi abbiamo osservato dei cambiamenti nei recettori di questi ormoni che duravano per tutta la vita. Abbiamo visto cambiamenti nel comportamento che si conservavano per tutto il corso della vita. Cambiamenti permanenti che avvenivano con l’iniezione di una sola dose.


Alcune delle conseguenze potrebbero persino essere considerate positive. Gli animali erano molto sociali con i dosaggi bassi, ma con i dosaggi maggiori non formavano più dei normali legami di coppia. Si sarebbe detto che di fatto evitassero proprio gli animali familiari e andassero dagli estranei. Ancora non so spiegarmene il motivo.


Gli animali che non riuscivano a nascere, partoriti con quello che forse è l’equivalente di un cesareo, sono quelli che presentavano la trasformazione probabilmente più anormale nello schema dei recettori. Credo che dovremmo preoccuparci per questi risultati e condurre studi analoghi sugli esseri umani, visto che abbiamo accesso a grandi, immensi esperimenti.


Avvengono milioni di parti e alle donne vengono somministrate diverse quantità di Pitocina o ossitocina; ricevono dosi diverse di ormoni. Non abbiamo valutato in nessun modo se una piccola quantità abbia un effetto diverso rispetto a una quantità maggiore negli esseri umani. Se i dati sugli animali vengono confermati, è un aspetto importante da valutare.


È possibile che un uso corretto dell’ossitocina in quantità minime possa non essere troppo tossico. Ma se è un uso continuato o effettuato quando non necessario, o soprattutto se l’ossitocina viene somministrata a una donna che non è ancora davvero pronta ad entrare in travaglio, il cui organismo non è ancora predisposto e pronto, potrebbe avere effetti indesiderati. Davvero non lo sappiamo con sicurezza.


Abbiamo condotto uno studio sui topi di prateria, pubblicato qualche anno fa, nel quale ai maschi veniva somministrata una singola dose di ossitocina il primo giorno di vita. Quando crescevano, circa la metà manifestava dei comportamenti sessuali atipici, e nella metà di coloro che in realtà riuscivano ad accoppiarsi, moltissimi non producevano sperma nel seme. Si accoppiavano ma erano azoospermici – ossia privi di sperma. Abbiamo esaminato con attenzione cosa era successo – lo sperma veniva prodotto ma non fuoriusciva, veniva mandato indietro in una sorta di organo di stoccaggio, l’epididimo, il che è stato quasi uno shock.


Non conosco alcuno studio che abbia osservato, nei bambini esposti alla Pitocina, quali fossero gli esiti sulla riproduzione. Non so se è qualcosa di cui dovremmo preoccuparci, ma esiste una possibilità reale che nei bambini che abbiano subìto una simile esposizione si manifestino, in qualche grado, complicazioni riproduttive o infertilità. Poiché, tuttavia, nessuno ne ha ancora fatto uno studio sistematico, non lo sappiamo, semplicemente non lo sappiamo.


Le nostre ricerche sugli animali mostrano che questi interventi precoci, persino una sola esposizione all’ossitocina all’inizio della vita, oppure bloccare l’ossitocina, essenzialmente hanno cambiato la personalità di quell’organismo per il resto della sua vita. Non si tratta per forza di una cosa buona o cattiva, è un fenomeno adattativo in natura. Ma siamo ora in un periodo che è di una complessità estrema, in cui facciamo tantissime cose tutte allo stesso tempo, e per questo diventa davvero difficile andare a scoprire tutti gli strati di questa enorme cipolla davvero complessa che stiamo creando, e comprendere quello che abbiamo fatto.


Non credo che l’uso di ossitocina sintetica – Pitocina, Syntocinon – dovrebbe essere fermato, credo che dovrebbe essere studiato e usato con cautela. Esistono di certo alcuni casi in cui il male minore è facilitare il travaglio con una piccola dose extra di ossitocina, tuttavia ci troviamo ora in un periodo in cui è piuttosto comune usare la Pitocina per facilitare, indurre e intensificare il travaglio quando non è davvero necessario, e non esiste alcuna seria giustificazione medica. Si è stimato che circa la metà delle volte, nella medicina contemporanea, l’uso di Pitocina non abbia una giustificazione medica. Si tratta di un uso elettivo per altre ragioni, soprattutto per l’induzione del parto.


Non è incredibile che proprio in questo momento storico io mi trovi seduta qui a rispondere a una domanda sugli effetti a lungo termine dell’ossitocina e non sia in grado di offrire nessun’altra risposta al di fuori di quella che posso aver ottenuto da pochi studi condotti sugli animali?

2. Quali sono le diverse impronte batteriche della nascita vaginale rispetto al parto cesareo?

La professoressa Anita Kozyrskyj è parte di un importante programma di ricerca canadese sui batteri intestinali del neonato. Qui descrive la sua ricerca sul microbiota, che è una pietra miliare, alla scoperta delle differenze nelle impronte batteriche dei bambini nati per via vaginale rispetto a quelli nati con cesareo.


Quella che segue è una trascrizione dei punti salienti dell’intervista filmata condotta da Toni harman e Alex Wakeford a Edmonton, Alberta, Canada, nell’agosto del 2013.

La ricerca

La sinergia nel programma di ricerca sul microbiota si fonda sui dati della coorte di studi denominati CHILD, portati avanti in quattro luoghi diversi: Vancouver, Edmonton, Winnipeg e Toronto. Le donne sono state reclutate durante la gravidanza. Abbiamo ottenuto le prime feci di questi neonati, il meconio. Sono tutti bambini sani nati a termine (abbiamo escluso i nati pretermine) e abbiamo informazioni sulla loro salute e la salute delle madri in gravidanza e nel periodo postnatale. Possiamo far riferimento a tre campioni in nostro possesso: il meconio che sono le primissime feci, un campione di feci a tre mesi d’età e poi un altro a un anno.


L’ipotesi è che esista una sorta di configurazione diversa nel microbiota, capace di modificare lo sviluppo della tolleranza immunitaria. Il nostro sistema immunitario inizia a riconoscere le cose che non dovrebbe considerare pericolose come gli organismi patogeni. Perciò, solo perché non è possibile osservare visivamente un cambiamento nei termini di una sintomatologia, questo non vuol dire che il cambiamento non sia avvenuto e che non ci sia stata una sorta di trasformazione nell’organismo. Pertanto, riferendoci al microbiota intestinale del neonato, con questa nuovissima tecnologia e metodologia siamo ora in grado di identificare quelle trasformazioni perché possiamo determinare con maggiore accuratezza quale tipo di batteri siano presenti in vari momenti durante il primo anno di vita.

La metodologia

Abbiamo usato quello che chiamiamo ‘sequenziamento di ultima generazione’. È una nuova tecnica per determinare quali batteri siano presenti in questi campioni fecali. Prima di questa nuova tecnologia, per determinare quali batteri ci fossero in un campione era necessario prendere un tampone, metterlo in un piatto da coltura e incubarlo in un laboratorio di microbiologia per determinare di quale batterio si trattasse. Con questa nuova tecnologia, estraiamo prima il DNA dal campione fecale, poi facciamo copie del DNA (visto che non vogliamo utilizzarlo tutto) e in seguito, con le copie, determiniamo la sequenza del DNA e sulla base di questa sequenza stabiliamo di quale batterio si tratti.


Tutti i batteri hanno uno schema della sequenza che è comune fra loro in alcune regioni del DNA. Ci sono poi regioni che sono variabili e che noi chiamiamo regioni ipervariabili. Sono proprio queste le regioni che distinguono le diverse specie batteriche.


Nel nostro progetto, e in molti altri, l’obiettivo è di individuare quelle regioni variabili per non perdere tempo, energia e soldi nel sequenziare le regioni comuni. Si determina solo la sequenza delle regioni ipervariabili e si confronta con una banca dati grazie alla quale si può determinare con esattezza il tipo di batterio. Così, per esempio, potremmo determinare la presenza o meno di Lattobacilli e Bifidobatteri (i batteri dello yogurt), e potremmo anche determinare la presenza o meno del Clostridium difficile, uno dei batteri indesiderati.


Alla fine, questo progetto avrà a disposizione dati provenienti da 3.300 bambini. Abbiamo pubblicato di recente i dati pilota delle scoperte relative a 24 neonati, che è davvero un numero esiguo rispetto al target finale. Questo perché ha richiesto tempo reclutare le madri per lo studio CHILD e raccogliere i campioni. Ci vuole tempo per estrarre il DNA dai campioni e poi sequenziarlo – talvolta il sequenziamento può durare anche una settimana perché genera miliardi e miliardi di dati. Un altro punto ancora da considerare è che la tecnologia si evolve, perciò quando mi riferisco a questo sequenziamento di ultima generazione si tratta di qualcosa in continuo miglioramento, e ne esistono piattaforme diverse.


Io sono epidemiologa, non mi occupo di quella parte della ricerca, perciò collaboro con James Scott, microbiologo all’Università di Toronto. Il suo laboratorio si occupa dell’estrazione del DNA. Ho poi un altro collaboratore, David Guttman, per il sequenziamento dei campioni. Una volta completato il sequenziamento, abbiamo tutti questi miliardi e miliardi di sequenze e il passo successivo è quello di confrontarle con una banca dati. Si tratta di un passaggio che si effettua elettronicamente, con dei programmi sviluppati molto di recente e che allineano le sequenze secondo uno standard, il che richiede il coinvolgimento di un esperto in bioinformatica, per essere sicuri che le sequenze siano ben allineate. Il risultato finale è che per ogni neonato si ha una tabella, ciascuna colonna della quale è un batterio diverso.


Il vantaggio di questa nuovissima tecnica è che possiamo sequenziare tutto quello che si trova nel campione fecale. Negli studi precedenti, i singoli ricercatori potevano avere come obiettivo la rilevazione di batteri che ritenevano sarebbero stati presenti. Con questo nuovissimo tipo di sequenziamento possiamo invece sequenziare ogni cosa presente nel campione per identificare batteri mai identificati prima. Ecco perché queste serie di dati sono così ampie, anche se con i neonati non lo sono tanto come con gli adulti.


Quello che alla fine otteniamo in termini dei dati da analizzare è chiamato OTU, che sta per Operational Taxonomic Unit (Unità tassonomica operativa). Alcune di queste sequenze hanno identificato cose che potrebbero essere microbi di cui non sospettavamo l’esistenza prima d’ora. Si termina con uno status in base al quale ogni neonato viene classificato in funzione degli OTU presenti. Dopodiché, iniziamo ad analizzare quei dati in relazione a cose come gli antibiotici somministrati al bambino, la dieta (se viene allattato o meno) e la modalità del parto, se vaginale o cesareo.


Nel nostro particolare studio abbiamo l’opportunità di mettere in relazione la composizione del microbiota intestinale del neonato ai modelli microbici presenti nella polvere, per vedere se questa è una fonte importante. Immaginate il bimbo piccolo che gattona sul pavimento e mangia la polvere. Questo solleva tutta una serie di domande interessanti legate all’ambiente, e all’ambiente della casa nella quale egli è nato.

I risultati

Nel nostro studio pilota su 24 neonati, la dimensione del campione è troppo piccola per distinguere con precisione gli effetti dell’uso di antibiotici. Abbiamo commentato in merito a due aspetti principali, ossia le differenze rispetto alla modalità del parto e poi quelle rispetto all’allattamento esclusivo a tre mesi dalla nascita.


Nel nostro studio pilota, nell’ambito del progetto CHILD, sei, dei 24 bambini di cui abbiamo analizzato il microbiota a tre mesi, erano nati con il cesareo.

I nati con cesareo avevano meno probabilità di possedere questo particolare batterio appartenente al genere Bacteroides. E le nostre scoperte sono state analoghe anche rispetto all’allattamento. Questo particolare genere Bacteroides è meno abbondante nei bambini nati con cesareo, il che è stato confermato anche da altre ricerche.


Nonostante l’esiguità del campione, abbiamo visto che almeno era coerente con altri studi. Non ne esistono molti altri in verità, ve ne sono alcuni fuori dall’Europa, uno in Olanda e un altro in Svezia, che hanno pubblicato ricerche sul microbiota dei neonati utilizzando la tecnologia per il sequenziamento di ultima generazione.


Parliamo dei risultati in relazione all’allattamento, poiché immagino che la maggior parte delle persone apprezzeranno il fatto che l’allattamento possa cambiare la composizione di un microbiota intestinale infantile. E questo avviene perché alcuni di questi microbi provengono in effetti dal latte della mamma. È molto interessante. Tuttavia, abbiamo scoperto, come anche altri hanno già fatto, che in quei bambini allattati in modo esclusivo la ricchezza di specie – si tratta di una misura che usiamo per contare il numero di batteri diversi – era più bassa che nei bambini nutriti solo con formula. Dunque questi ultimi avevano una ricchezza di specie maggiore. I bambini che erano nutriti parzialmente con formula – quindi prendevano sia il latte sia la formula – avevano una ricchezza di specie a metà fra le due.


Si tratta di una scoperta interessante perché alcune altre pubblicazioni hanno identificato nella bassa ricchezza di specie un fattore di rischio per lo sviluppo, per esempio, delle malattie allergiche. Ma come potrebbe l’allattamento, che è associato a una bassa ricchezza di specie, essere un fattore di rischio per le allergie quando è evidente che non lo è?


Pertanto, il nostro gruppo di ricerca è molto interessato a queste scoperte e vuole senz’altro determinare se una ricchezza di specie batteriche minore nei bambini allattati porti o meno a malattie allergiche. Ma noi sappiamo che il minor numero di specie è plausibile rispetto ad alcune cose interessanti che stiamo imparando sul latte.


Esistono solo certi tipi di microbiota intestinale a cui piace mangiare i particolari zuccheri del latte, o che sono in grado di scinderli, rispetto alla formula. Vi è un più ampio spettro di batteri capace di sintetizzare gli zuccheri della formula. E dunque questo spiegherebbe il fatto che se i bambini vengono nutriti con formula avranno un maggior numero di specie batteriche in grado di proliferare, mentre se fossero allattati ci sarebbe un numero minore di specie in grado di utilizzare gli zuccheri del latte. Tuttavia, la nostra opinione è che questo non abbia nulla a che vedere con la previsione di un rischio di malattia in agguato dietro l’angolo, e sono necessari un maggior numero di campioni per dipanare queste questioni.”

Confronto dell’impronta batterica fra parto vaginale e cesareo

Nel nostro studio pilota, quando abbiamo confrontato i bambini nati con cesareo con quelli partoriti per via vaginale, i primi avevano meno probabilità di ospitare il genere Bacteroides. Crediamo che questa possa essere un’impronta. Perciò, a tre o quattro mesi d’età, questi bambini hanno una minore abbondanza di questo genere Bacteroides rispetto ai bambini nati con parto naturale.


La domanda successiva è: questa minore abbondanza persiste? Per esempio, man mano che il bambino cresce, abbiamo l’opportunità di fare una verifica a un anno di vita. Attualmente abbiamo una nuova serie di dati, informazioni aggiuntive su 200 bambini, e, a mano a mano, arriveremo al numero completo dello studio, 3.300.


In questi 200 bambini notiamo la medesima impronta e la consideriamo specifica dell’età. A un anno di vita lo schema è simile e la diversità non è più tanto marcata. Pertanto, a tre o quattro mesi d’età i bambini nati con cesareo avevano senz’altro una composizione batterica con una percentuale minore del genere Bacteroides. A un anno è ancora minore ma non più così tanto.


A proposito dell’impronta batterica, stiamo quindi ipotizzando che essa sia diversa ad ogni età. Quella che segue immediatamente la nascita sarà diversa da quella a poche settimane di vita, e poi sarà ancora diversa a tre mesi e a un anno.


Vi sono alcuni eventi o esposizioni che possono verificarsi alla nascita e che potrebbero influenzare la composizione del microbioma: l’uso di antibiotici somministrati alla madre, la modalità del parto, per via vaginale o con cesareo, o ancora ritardi nell’allattamento.


Se per caso il neonato è stato esposto a tutti e tre questi eventi [antibiotici, cesareo e allattamento avviato in ritardo, N.d.R] lo scenario è tale da avere un impatto sul suo microbioma sin dai primissimi istanti di vita, e questo potrebbe essere davvero importante perché lo sviluppo del microbioma intestinale del bambino avviene successivamente. I batteri che gettano le fondamenta del microbiota intestinale stabiliscono anche le basi per la colonizzazione dei batteri che arriveranno in seguito. I batteri che arrivano in un secondo momento sono gli stessi che avremo da adulti; i batteri del genere Bacteroides sono, per esempio, quelli che colonizzano in un momento successivo rispetto alla nascita.


Per quanto ne sappiamo, e la maggior parte dei dati proviene dalle vecchie tecniche microbiologiche (pur avendone alcune conferme anche con le metodologie più all’avanguardia), il neonato parte, dopo il parto vaginale, con un livello basso di Bacteroides, che si va incrementando nel corso del primo anno di vita. Se il parto avviene con cesareo, si parte con un livello ancora più basso che cresce nel tempo.


Pertanto la domanda è: dipende dal fatto che la colonizzazione fondante dell’inizio è diversa? se i microbi che si prendono dalla madre sono assenti, forse possono provenire da altre fonti? e magari quella composizione iniziale che è diversa crea un ambiente diverso per i batteri che arrivano dopo? Può darsi che non sia un ambiente tanto recettivo per la colonizzazione del genere Bacteroides. Sono solo ipotesi. Ma è per questo che, quando si parla di impronta microbica, non credo esista una risposta semplice del tipo: è importante il tipo di impronta a tre mesi, o è importante l’impronta a un anno. La nostra opinione – la mia e quella dei miei colleghi – è che sia importante l’andamento nel corso del primo anno di vita.


Vorremmo certo sapere se questi cambiamenti nell’impronta microbica, questi cambiamenti ambientali come li definiamo noi, sono importanti in termini di salute futura; ed è proprio uno degli obiettivi del nostro programma di ricerca. In particolare, ci interessa lo sviluppo delle malattie allergiche e dell’asma, oltre all’osservazione degli esiti legati al sovrappeso, visto che esiste una relazione fra sovrappeso e impronta microbica. Non posso ancora esprimermi appieno su questi temi perché non abbiamo ancora analizzato i dati. La maggior parte dei nostri sforzi all’inizio hanno riguardato le metodologie di lavoro, ci siamo concentrati sulle piattaforme per il sequenziamento e sulla tecnologia in grado di assicurare che il processo di sequenziamento funzioni e l’allineamento sia il migliore possibile per riuscire a identificare i batteri.”

Il prossimo passo nella ricerca

Basandoci sulle scoperte pilota effettuate sui primi 24 bambini, un risultato che vorremmo davvero approfondire, in quanto pensiamo che vi siano già delle conferme nel nostro più vasto gruppo di 200 bambini, è l’associazione fra cesareo e minore abbondanza del genere Bacteroides.


Da un punto di vista ideale, con il nostro campione più ampio, vorremmo dividere i parti cesarei in quelli che hanno avuto un’esposizione microbica con travaglio e quelli senza. L’esposizione durante il parto potrebbe essere importante. Credo sarebbe una buona misura da valutare – per vedere se l’associazione cambia.


Vorremmo porci questa domanda e considerare il periodo della gravidanza. Abbiamo il meconio, le prime feci. All’inizio molti pensavano che fosse sterile, che non contenesse nessuno di questi microbi intestinali, di questi batteri, e che tutto accadesse dopo la nascita. Ma vi sono state alcune nuove pubblicazioni che suggeriscono che persino nelle primissime feci vi sia un certo quadro batterico – e si tratta di impronte microbiche le cui differenze ci riportano al periodo della gravidanza e sono in relazione alla dieta e alla salute della madre.


Per i bambini partoriti con il cesareo, ma che hanno anche affrontato il travaglio – per i quali dunque c’è stata un’indicazione medica all’intervento – questo potrebbe essere il fattore determinante e cruciale – potrebbe essere qualcosa che è successo durante la gravidanza.


Ecco perché penso che sia molto importante non raggruppare tutti insieme i parti avvenuti con cesareo. Non sono tutti la stessa cosa. E le esposizioni microbiche non sono le stesse. Anche solo considerando qualcosa di molto semplice come l’uso di antibiotici. Se si tratta di un parto cesareo punto e basta, la madre avrà ricevuto una sola dose di antibiotico. Se invece ci fossero state delle complicazioni infettive durante la gravidanza, la madre avrà ricevuto anche dosi aggiuntive. In questo caso si avrebbe sia il cesareo, sia diverse dosi antibiotiche prima del parto.


C’è poi la situazione in cui dopo il parto il neonato presenta segni di infezione. Una pubblicazione suggerisce che i bambini nati dopo cesareo d’elezione mostrano sintomi respiratori molto più di frequente rispetto agli altri neonati, il che potrebbe far sì che il neonatologo li identifichi come soggetti a rischio infezioni e prescriva antibiotici. Tutti i parti cesarei possono essere associati ad altri tipi di esposizioni ed è utile considerarli tutti come un’unica categoria. Ed è proprio ciò che è avvenuto finora in molte pubblicazioni.


Un ricercatore scrupoloso cercherà di descrivere in modo corretto il cesareo con o senza travaglio, di capire se vi sia stata occasione di esposizione al microbiota materno, e se questa si sia verificata oppure no. In quanto l’impronta microbica potrebbe essere diversa in funzione di una mancata esposizione, oppure come risultato dell’uso precedente di antibiotici, o anche per modificazioni dovute al successivo allattamento. Credo che questo sia davvero un aspetto essenziale.”

Per riassumere

La rilevanza delle nostre attuali scoperte, grazie allo studio pilota – che abbiamo riprodotto nel più vasto gruppo di 200 bambini – è che il genere Bacteroides è meno abbondante nei bambini partoriti con cesareo. La domanda successiva, pertanto, è: si tratta di un aspetto rilevante per la salute del bambino?


La letteratura attuale non identifica questo particolare genere di batteri come associato a malattie allergiche o asma, ed è qualcosa che ci interessa molto. Perciò la domanda che segue è: si tratta di un marcatore in combinazione con un’altra configurazione microbica in grado di aumentare il rischio?


Il mio gruppo e anche altri hanno mostrato come il genere Bacteroides sia meno abbondante nei bambini partoriti con cesareo e in quelli alimentati in modo prevalente con formula. Dal punto di vista della coerenza, sarebbe bello se ora arrivasse qualcuno e dicesse: ‘Bene, abbiamo analizzato questo particolare batterio e abbiamo visto che è associato a un aumentato rischio, per esempio, di malattie allergiche’.


Ma mentre gli studi sperimentali condotti sugli animali dimostrano come questo particolare batterio sia importante nell’addestramento del sistema immunitario, nessuno ha ancora riferito di una sua associazione con un aumentato rischio di asma e allergie. Hanno identificato invece un altro gruppo di batteri, che sono i Clostridia, come associati a un aumentato rischio di malattie allergiche e asma. E noi non abbiamo riscontrato differenze rispetto a questo specifico batterio, nel nostro studio pilota, in relazione alla modalità del parto. Si tratta tuttavia, come abbiamo detto, di uno studio fatto su un campione esiguo. Non abbiamo preso in considerazione l’uso di antibiotici, che credo sia invece davvero importante.

Non abbiamo, inoltre, analizzato del tutto i dati relativi al tipo di alimentazione – allattamento e sua durata, formula, che tipo di formula, inizio dello svezzamento: quando avviene e con quali cibi solidi. Nel nostro studio pilota abbiamo visto un aumento nella ricchezza delle specie nei bambini nutriti con formula, ed esistono anche alcuni tipi di batteri che hanno più probabilità di trovarsi in bambini alimentati con formula, uno di questi è proprio il genere Bacteroides.


Vanno misurate e considerate tutte queste esposizioni, includendole nella nostra analisi. È quello che abbiamo intenzione di fare ma che ancora non è stato fatto.”

3. Qual è la relazione fra parto cesareo e obesità?

Una recente ricerca condotta dalla professoressa Neena Modi all’Imperial College di Londra, ha mostrato che esiste un’associazione fra nascita con parto cesareo e aumentato rischio di sovrappeso o obesità nel corso della vita. Ecco le sue scoperte.


Quella che segue è una breve trascrizione di alcune parti scelte dell’intervista filmata condotta da Toni Harman e Alex Wakeford a Londra, in Inghilterra, nel marzo del 2014.


Abbiamo appena terminato e pubblicato una vasta revisione sistematica e una meta-analisi sull’esame della relazione fra obesità e sovrappeso e la modalità del parto, ossia parto cesareo o vaginale. Abbiamo passato in rassegna tutta la letteratura mondiale pubblicata, con diverse centinaia di migliaia di partecipanti agli studi. Una meta-analisi non fa altro che raggruppare tutte le informazioni, così che non ci si focalizzi su uno studio soltanto, con il rischio che sia troppo limitato. Si guardano invece tutti gli studi nella loro totalità. La ragione per cui si decide di effettuare una meta-analisi e una revisione sistematica è quella di poter avere una sintesi di quello che dice la letteratura mondiale su quel tema.

Le scoperte

Quello che la letteratura mondiale dice con moltissima forza è che sembra proprio esserci un’associazione fra il modo in cui si nasce e il rischio di diventare sovrappeso o obesi, e anche di avere altre complicazioni una volta adulti. La nostra ricerca dice che abbiamo bisogno di considerare la possibilità che nascere con parto cesareo possa aumentare il rischio di obesità nel corso della vita. Abbiamo mostrato che le probabilità di diventare sovrappeso o obesi aumentano del 22 per cento e del 26 per cento in associazione al cesareo. La nostra ricerca suggerisce che, in media, nascere con parto cesareo è associato a un aumento dell’Indice di massa corporea, BMI, di circa 0,5 punti di BMI. Se l’associazione che abbiamo descritto fra cesareo e sovrappeso e obesità si rivelerà causale, in altre parole se il cesareo sarà da annoverare fra le cause del sovrappeso e dell’obesità, allora saremo potenzialmente di fronte a un reale problema di salute pubblica. Si tratta di una cosa importante perché se abbiamo una popolazione infantile in cui il sovrappeso e l’obesità aumentano rapidamente, questi bambini diventeranno poi adulti obesi e sovrappeso. Questo significa che saranno afflitti da una vasta serie di problemi di salute, e questo non li aiuterà certo quando diventeranno adulti e poi anziani. Si può capire facilmente come tutto ciò possa diventare una sorta di bomba a orologeria.

Effetto microbioma
Effetto microbioma
Toni Harman, Alex Wakeford
Come la nascita influenza la salute futura.Il parto è un momento cruciale per la formazione del microbioma umano: come si forma e qual è la sua importanza per la salute del bambino? Che cos’è il microbioma umano? E perché è così importante? Il trasferimento al figlio dell’insieme dei microorganismi presenti sul e nel corpo della madre al momento della nascita sembra rivestire un ruolo fondamentale nella salute futura del bambino. Si tratta di un evento particolarmente delicato, che purtroppo è messo a rischio dalle moderne pratiche che circondano il parto. Come fare allora per preservare questo fondamentale processo?Effetto microbioma di Toni Harman e Alex Wakeford risponde proprio a questa domanda e spiega qual è la sua importanza per la salute del bambino. Conosci l’autore Toni Harman e Alex Wakeford, coppia professionale e nella vita, sono registi e produttori cinematografici. Il loro film-documentario, Microbirth (2014), è stato insignito del primo premio, il Grand Prix Award, al Life Sciences Film Festival di Praga.