prima parte - iii

I bambini

I bambini sono esseri umani ai quali si deve rispetto, superiori a noi a motivo della loro innocenza e delle maggiori possibilità del loro futuro.

Maria Montessori

Un nuovo essere umano, trattato con rispetto e dolcezza, ben informato sull’ambiente che lo circonda,
diventerà e resterà una persona integra e di grande coraggio.

Harvey Jackins

Spero che abbiate già avuto modo di sperimentare i miei suggerimenti del capitolo precedente, ricordando le relazioni e le esperienze importanti della vostra infanzia con i vostri genitori o altri adulti. Quando si considerano i modi in cui si è stati trattati da piccoli, si ha una migliore comprensione di come si tende a trattare i propri figli adesso. I bambini di cui vi occupate apprezzeranno e trarranno beneficio dalla vostra scelta di restare calmi e attenti, di avere modi gentili e comprensivi in relazione a come sperimentano la vita e il tempo trascorso con voi. Vi aiuterà a ricordare come vi sentivate alla loro età.


Considerando, invece, la relazione con i bambini, l’atteggiamento migliore in assoluto, essenziale per ogni tipo di rapporto con i più piccoli, è definito dall’espressione “amore incondizionato”, coniata e resa famosa da un carissimo amico e maestro, Ken Keyes Jr.: quando amiamo qualcuno senza porre condizioni, costui non deve guadagnarsi il nostro amore, non deve comportarsi come desideriamo o vivere secondo uno standard prestabilito. Lo amiamo per quello che è, senza incertezze o mutamenti. Per sempre.


All’inizio è molto facile, non si possono imporre condizioni ai neonati. Sono semplicemente adorabili e ci scaldano il cuore di meraviglia e delizia. È naturale e umano amare un minuscolo bambino indifeso. Quando crescono e si interessano al mondo, potrebbe non essere più tanto semplice e automatico. Esplorano, si avventurano, vogliono provare, commettono errori, creano disordine, mettono alla prova la nostra pazienza, sanno essere pestiferi, fastidiosi, anche sgarbati; sono estenuanti, problematici, fonte di guai, ci fanno impazzire, a volte ci spezzano anche il cuore e misurano i confini della nostra capacità d’amare.


Amare senza condizioni è comunque liberatorio, possiamo spogliarci da richieste, attese e da ogni “si dovrebbe”, finire per sentire solo la tenerezza e l’accettazione gioiosa, riversando tutto il nostro bene sulla creatura che ci è tanto cara. Quando chi riceve è un bambino, che guarda a noi per comprendere il mondo ed essere guidato, il dono è ancor più prezioso e sacro. Amare senza condizioni ci aiuta a scoprire le reali profondità del nostro sé.


In molte circostanze si tratta di un’attitudine molto naturale per le madri, e secondo me lo è anche per tutto il genere umano. L’amore è lo spirito della Creazione che alberga al centro di ognuno di noi. Quando è perduto, soffocato, attutito o sviato dalla paura e dal dolore, allora siamo privi della più profonda, essenziale e possente parte di noi stessi. L’amore incondizionato è puro e assoluto.


Essere amati senza condizioni è il diritto di ogni bambino e di ogni essere umano. Se ogni bambino del mondo fosse amato da tutti senza condizioni, crescerebbe per creare un mondo d’amore anziché di paura, un mondo senza violenza e brame di possesso, poiché tutti avremmo già ciò che davvero desideriamo e ci è necessario.

“I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie del desiderio che la vità ha di se stessa… Potrete dar rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime, poiché esse abitano la casa del domani che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.1


Certo non è facile da mettere in pratica, anche quando se ne comprenda la saggezza. I nostri figli ci appartengono, ma nel senso in cui tutti ci apparteniamo l’un l’altro e apparteniamo alla vita stessa. Gibran ci mette in guardia dall’essere possessivi e dal tentare di dirigere la vita dei figli secondo i nostri bisogni e desideri, quando l’unica cosa che conta sono i bambini, e la vita stessa.

Che siate genitori o professionisti, sono certo che amate coloro che sono affidati alle vostre cure.


Senza condizioni?

Se vi sembra molto difficile, vi suggerisco di pensare a loro da neonati.

Non potreste porre condizioni al vostro amore per una creatura tanto piccola. Non direste: “Ti amerò solo se farai il bravo, se non mi darai fastidio e non mi deluderai.” Quando osserviamo un bambino molto piccolo non pensiamo mai: “Oh oh, questo è proprio un brutto ceffo, è uno che darà dei problemi, sembra proprio il tipo del criminale. Antisociale, forse un ladro. Guarda che occhietti ravvicinati, furtivi, sarà un subdolo e un bugiardo, non ci si può fidare di lui.”


La sola idea ci fa ridere. A meno di non recitare in un film davvero inquietante, quello che vediamo in un neonato è bontà pura, assoluta innocenza. Non vuole certo essere il nostro nemico, vuole solo potersi affidare a noi, desiderando affetto, accettazione, intimità. Ci guarda dritto negli occhi, dopo aver messo bene a fuoco i suoi; ci osserva con curiosità quasi a domandare se noi siamo uguali a lui. Non può ancora formularne il concetto, tuttavia sembra voler sapere se saremo suoi amici, se lo accompagneremo nella vita. Ben presto inizierà a sorridere, e lo farà quando riconoscerà la vostra faccia, felice di rivedervi. Voi sorridete, fate facce buffe e lui ride, vuole giocare, divertirsi con voi.


Ecco il legame.

Ecco cosa cercano gli esseri umani sin dal primo momento. Il legame con se stessi, scoprire sempre di più cosa sono, cosa vogliono, di cosa sono capaci. Il legame con l’ambiente che li circonda, con il mondo attorno a loro, gli alberi, le piante, gli animali, il cosmo, la luna, il sole, le stelle, il clima, il tempo. Ma soprattutto, il legame con i loro simili, con altri esseri umani. Ne sono affascinati sin dall’inizio: toccare, osservare le espressioni del volto e i toni di voce, condividere sentimenti, pensieri, percezioni.


Sin dal nostro arrivo ci apriamo e prosperiamo al contatto umano gentile e affettuoso.

Il mio incontro con i neonati è iniziato settant’anni fa, quando nel 1942 è arrivato mio fratello Jimmy e io avevo tredici anni. Un anno e tre mesi dopo nacque nostra sorella Priscilla, e ancora un anno dopo morì d’infarto nel sonno il loro padre e mio patrigno Jim, e io dovetti assumere il ruolo di capofamiglia a quindici anni. Adoravo i miei fratellini e il compito di cambiar loro i pannolini, fargli il bagnetto, vestirli e aiutarli a mangiare era per me fonte di apprendimento, piacere e orgoglio. A sedici anni fui esonerato dalle responsabilità quando mia madre si risposò e io acquisii due fratellastri adolescenti, ma continuai ad aiutare ogni volta che potevo.


Alla Cornell University mi specializzai in scrittura creativa ma pensai di insegnare e anche di seguire corsi come educatore presso la facoltà per l’abilitazione all’insegnamento. Mentre scrivevo sceneggiature teatrali a New York, mi mantenevo come maestro d’asilo prima, counselor nel doposcuola poi, e più tardi professore di scuola superiore. Quando mi trasferii in California, aiutai la mia compagna a crescere i suoi due figli piccoli, fui co-fondatore e insegnante di una libera scuola elementare, professore in una libera università, e riuscii a prendere un master in formazione per corrispondenza. A quarantacinque anni incontrai in Arizona Emmy Rainwalker e capii in fretta quanto fossero simili i nostri sentimenti, non solo nel volere dei bambini, ma nell’insistere a volerli considerare pienamente umani e a voler rispettare i loro pensieri e sentimenti. Il nostro primo figlio arrivò un anno dopo e il secondo nel 1980, quando avevo cinquant’anni.


Emmy e io desideravamo una vita migliore per i nostri figli, non l’oppressiva società adultista che ci circondava. Volevamo vivere in una comunità che rispettasse i bambini in modo naturale come facevamo noi. Non trovandone nessuna che andasse bene da quel punto di vista, decidemmo di fondarne una nuova con persone affini a noi. Organizzammo una conferenza con la locandina che recitava: Avete perso la vostra tribù? (è anche il titolo del mio ultimo libro in cui descrivo il movimento degli eco-villaggi e la formazione di quella comunità).


Quella settimana sullo striscione affisso nella sala conferenze era scritto: Confidiamo in noi. Negli incontri mensili dei tre mesi seguenti riunimmo un gruppo che prese il nome di Mettanokit (Nostra Madre Terra) e che condivideva il nostro atteggiamento verso i bambini, oltre a volersi liberare del razzismo, della discriminazione in base all’età e alla classe sociale, e di altre oppressioni prevalenti nella nostra società.


Per l’epoca in cui il nostro gruppo era pronto a trasferirsi nel New Hampshire e prendere possesso del centro conferenze di Another Place, Emmy ed io avevamo messo su un asilo nido familiare a casa nostra, tenevamo lezioni sul metodo di Thomas Gordon per essere genitori efficaci, e avevamo entrambi seguito i corsi base del Re-evaluation Counseling, organizzazione che prende posizione con forza e ponderatezza contro tutte le oppressioni e i maltrattamenti nel mondo.


La comunità conveniva con noi che sarebbe stato di grande aiuto per tutti utilizzare un simile strumento per lavorare su se stessi e sulle relazioni con gli altri, e poter raggiungere gli obiettivi comuni. Di comune accordo, ingaggiammo un insegnante di co-counseling che una volta alla settimana ci faceva approfondire l’uso di questa pratica. Si rivelò la decisione migliore che avremmo potuto prendere.


I nuovi bambini che si univano alla comunità si appassionavano molto in fretta all’atmosfera di mutuo rispetto, lealtà, gioco e creatività a cui cercavamo di dar vita. Chuck Esser venne da noi per condurre seminari familiari e allargare la nostra comprensione di questo strumento. I visitatori restavano piuttosto sorpresi dalla libertà, dalla presenza vivace dei bambini, e dalla facilità delle nostre relazioni con loro. Non erano abituati a vedere adulti tanto coinvolti nel gioco, alcuni di loro erano disturbati dalla sicurezza e dalla forza di giovani persone realizzate appieno e tentavano di controllarne la spontaneità e di dir loro come comportarsi.


Di solito questo colpiva i bambini come qualcosa di curioso e divertente. La loro risposta era qualcosa come: “Cosa sei, una specie di adulto sciovinista?”, poi magari spiegavano: “Qui non funziona così, ci si ascolta e le cose si risolvono insieme, se vuoi ti insegnamo.” Cosa che sovente facevano, spiegando e mostrando le fasi della risoluzione dei conflitti senza perdenti, così come descritta da Gordon nel metodo PET (Parent Effectiveness Training).


Si sente spesso dire che i genitori non dovrebbero essere amici dei figli. Capisco cosa si voglia intendere con questo, e credo risponda a un giusto timore. Non ci sentiamo responsabili verso gli amici in qualità di guide o maestri. Eppure, per me la vera amicizia è il fondamento di ogni relazione davvero intima e bella. Una calda amicizia mi lega ai miei figli, e mia madre è stata la mia più cara amica per tutta la sua vita. Mia moglie è la mia amica migliore, e sono certo che lo capite, spero anche che possiate credere che la madre dei miei figli è mia intima amica da quando ci siamo incontrati, 39 anni fa.


Una differenza nella relazione fra adulti e bambini e l’amicizia fra adulti è che per i bambini è necessario fissare dei limiti. È vero, ma fissiamo limiti anche nelle relazioni fra adulti; per esempio non permettiamo a nessuno di maltrattare qualcun altro in nostra presenza. Se qualcuno inquina l’acqua o l’aria condivise da tutti dobbiamo fare qualcosa perché smetta. Non permettiamo alle persone di farsi del male. Se qualcuno si ubriaca gli prendiamo le chiavi dell’auto. Impediamo alla gente di picchiarsi o saltare giù dai ponti.


Se dobbiamo contenere un adulto è perché ha perso il controllo. Lo stesso vale per i bambini. La differenza è solo che i bambini hanno minori conoscenze e comprensione di se stessi e del mondo. Ci sono situazioni in cui dobbiamo intervenire a salvaguardia della loro incolumità e della nostra. Non vogliamo che facciano del male a se stessi o ad altri, né che danneggino le cose che li circondano. E in realtà neppure loro lo vogliono, seppure non ne siano al momento consapevoli. Per questo interrompiamo il comportamento improprio con fermezza, ma nel modo più gentile, amorevole e comprensivo possibile.


Approfondirò il tema dei limiti da porre ai bambini in un capitolo a parte. Per ora desidero solo sottolineare che esistono limiti al comportamento da stabilire per ciascuno al fine di convivere in armonia e sicurezza. Questo non vuol dire che non si possa essere amici. Certo che si può!


Gesù diceva di amare i propri nemici. Dopo duemila anni è ancora un concetto radicale e tuttavia possibile. I miei amici nell’ecovillaggio di Tamera in Portogallo hanno un Istituto per la Pace Globale che sponsorizza durante l’estate un’Università della Pace, promuove pellegrinaggi per la pace e villaggi pacifici in aree violente del mondo. I giovani di questa comunità fanno un gioco che presentano quando viaggiano, e portano con sé uno striscione con il suo nome: Ci rifiutiamo di essere nemici.


Perciò direi che non solo è possibile ma anche desiderabile essere amici dei nostri e di tutti i bambini, pur restando responsabili del loro accudimento, guide attraverso le complessità della vita odierna, e un aiuto perché possano scoprire se stessi, realizzarsi appieno e affrontare al meglio la vita e le sue sfide.


Un amico è qualcuno di cui fidarsi, onesto e diretto, che vi dice ciò che sa e pensa in modo che possiate udirlo e comprenderlo. Un amico è anche colui su cui si può far affidamento per fare ciò che ha detto che farà.


Mia madre, appena ventenne, mi ha cresciuto da sola per i primi sei anni della mia vita. Eravamo molto uniti e mi affidavo a lei per sapere le cose del mondo. Se accadeva qualcosa che le impediva di fare ciò che mi aveva promesso non mancava mai di chiedermi scusa e di trovare un modo per rimediare in seguito. Poteva arrabbiarsi con me per qualcosa che avevo o non avevo fatto, ma non ho mai sentito neppure per un istante che questo significava che non mi amava, che non considerava i miei desideri o che non potevo fidarmi di lei.


Ho imparato, come chiunque, che non potevo sempre ottenere ciò che desideravo, ma sapevo che lei avrebbe sempre fatto in modo che avessi ciò di cui avevo bisogno.


Ho sentito persone dire che non si dovrebbe essere amici dei bambini perché un leader non può essere amico dei propri sottoposti, né un maestro dei propri studenti. Mi dispiace, ma credo siano solo buoni esempi di quanto ci sia di sbagliato nella nostra cultura. Nei corsi più aggiornati ed efficaci sulla leadership i dirigenti sono incoraggiati ad avvicinarsi ai propri collaboratori, ad ascoltarli, a comprenderne i problemi. Le persone lavorano con più entusiasmo e attenzione se sono guidate da una simile dirigenza.


Gli insegnanti che hanno contato di più per me sono stati quelli che mi hanno dedicato un’attenzione amichevole e piena di interesse, e sono anche quelli da cui ho imparato meglio e di più.


Maria Montessori ha scritto: “L’educazione non è ciò che il maestro dà, ma è un processo naturale che si svolge spontaneamente nell’individuo umano; essa non si acquisisce ascoltando delle parole, ma per virtù di esperienze effettuate nell’ambiente.” Ha anche detto: “L’ambiente stesso insegnerà al bambino… Senza l’intervento di un genitore o insegnante, che dovrebbe restare un quieto osservatore di tutto ciò che accade.”


Per quanto mi riguarda, apprezzo il concetto di amicizia in tutte le relazioni, anche se forse all’orecchio di qualcuno questa parola potrebbe sembrare inappropriata. D’accordo, comunque la vogliate chiamare, ciò che desidero è che ci si relazioni ai bambini con completo rispetto per ciò che sono.


Rispetto per i loro corpi, per i loro pensieri e sentimenti, per la sacralità del loro essere.

Il rispetto per i loro corpi include la certezza che ciò che ingeriscono per sostentamento o piacere sia sano, educando noi stessi e loro in questo senso. Include l’accertarsi che dormano e si riposino a sufficienza, che facciano abbastanza movimento fisico e abbiano un atteggiamento positivo verso il proprio corpo e il proprio aspetto. Significa che dobbiamo mostrare attenzione e rispetto nel modo in cui li tocchiamo. Un contatto amichevole e affettuoso con i dovuti modi è meraviglioso e li nutre, ma niente botte, colpi, schiaffi, sculacciate, né solletico (dominazione aggressiva mascherata da gioco).


Il rispetto del pensiero non vuol dire che dobbiamo considerare saggia e vera ogni cosa che pensano. Alcune lo saranno, altre meno, ma siamo felici che si esprimano, anche quando ci accorgiamo che avrebbero bisogno di maggiori informazioni. Significa ascoltarli e prenderli sul serio. Usano la loro mente e le loro idee per cercare di dare un senso al mondo, e questo è apprezzabile a ogni età. Mia madre mi ascoltava sempre; da che mi ricordo, sin da quando ero un bimbetto chiacchierino di tre o quattro anni, trovava sempre il tempo di ascoltarmi e rispondermi con onestà e attenzione, per quanto le mie idee potessero essere strambe, infantili o fantasiose. Avevamo lunghe e vivaci discussioni, talvolta molto accese, e ho imparato moltissimo nel tentativo di argomentare la mia posizione o di proporre una visione contraria alla sua. Com’è ovvio, ero spesso in errore, non avendo sufficienti dati, ma la discussione ampliava le mie conoscenze e le mie idee; di tanto in tanto il mio punto di vista era valido e mia madre lo accoglieva e lo elogiava. Era una donna intelligente e istruita e per tutta la vita ho tenuto in considerazione le sue critiche ai miei scritti. Sono così grato del fatto che quando a 60 anni ho finalmente pubblicato il mio primo libro, lei, che ne aveva 81, mi chiamò dopo averlo letto d’un fiato per dirmi che era meraviglioso! Poiché era una donna ponderata, molto critica e amante della grande letteratura, stimo quel suo giudizio sopra ogni altro.


Rispetto per i sentimenti vuol dire fare molta attenzione all’espressione emotiva nelle reazioni dei bambini. Quando danno sfogo ai loro sentimenti di dolore possono suscitare in noi sensazioni che ci fanno desiderare di ignorare ciò che provano e di impedirgli di esprimerlo. Si dicono cose come: “Oh, non è niente!”, “non fare il bambino!”, “non è mica una tragedia!”, “sii uomo, gli uomini non piangono!”, “che sarà mai, non c’è bisogno di fare tutta questa scena!”; oppure si cerca di distrarli: “vieni, aiutami a fare i biscotti!”, “vediamo cosa fanno in Tv!”, “vuoi un po’ di gelato?”. Tutto ciò è una grave mancanza di rispetto e impedisce di ascoltare o persino tentare di capire quello che il bambino sta passando.


Forse oggi le cose sono migliorate rispetto a quando ero un ragazzo; quello che mi capitava di ascoltare all’epoca, non da mia madre ma da molti altri adulti era: “I bambini dovrebbero vedersi ma non sentirsi”, “se vuoi comportarti così vai da un’altra parte!”, “basta piangere o te lo darò io un buon motivo per farlo!”.


Quando sento un bambino piangere, gridare o avere una brutta crisi di rabbia, dopo essermi accertato che non ci siano problemi fisici a cui porre rimedio, penso fra me e me: “Bene, sta buttando fuori; sta facendo ciò che è naturale e si libera delle emozioni dolorose.” Sono ben consapevole che sfogarsi è una funzione necessaria alla guarigione. Almeno all’inizio. Quando il bambino si è liberato della pressione ed è stato ascoltato da una persona comprensiva ed empatica, a volte può bastare. Non gli serve altro per fronteggiare il dolore. Spesso però c’è altro da capire e considerare per arrivare alla causa del dolore e un adulto esperto e compassionevole può essere d’aiuto, rassicurare il bambino sulla sua bontà e sul suo valore, sulla sua forza e intelligenza, su quanto sia amato e apprezzato, e quanto ci dispiaccia che abbia sofferto, e come non sia in alcun modo sua la colpa. Siamo inoltre davvero felici che abbia condiviso con noi i suoi sentimenti e ci saremo sempre quando avrà bisogno di noi.

Sono felice quando sento un bambino piangere

La prima cosa che faccio se sento un bambino piangere è verificare che abbia accanto un adulto responsabile ad assisterlo. Se non vedo nessuno cerco di avvicinarmi con cautela per rassicurarlo facendogli sapere che qualcuno lo ha sentito e non è abbandonato, che la mamma tornerà e il suo mondo si ricostituirà, e cerco poi di scoprire se ha bisogno di attenzioni mediche o di altra natura. Se la persona che si occupa di lui è a portata di mano, offro sostegno e comprensione, la rassicuro dicendole che non è l’unica a trovarsi in questi momenti difficili, che sta affrontando la situazione al meglio, e poi l’ascolto quando la crisi del bambino è passata.


Qualsiasi cosa pensiate del ruolo dell’adulto come buon amico, o qualunque termine preferiate sostituire a quello di amicizia, l’ingrediente essenziale è la fiducia. Una fiducia conquistata con la cura e il rispetto di corpo, mente, cuore e spirito. Il rispetto si mostra attraverso l’ascolto, che indica comprensione, e attraverso l’onestà, la coerenza, l’affidabilità. Mi piace il termine ‘alleato’ visto che i giovani soffrono una tale oppressione nelle nostre società che vorrei potessero difendere con adulti al fianco la libertà di essere appieno se stessi.

In un capitolo successivo parleremo ancora dell’oppressione sociale e dell’essere alleati dei giovani.


Il rispetto è l’istruzione primaria nell’accudimento dei bambini, e la si trova ovunque nelle comunità tradizionali dei nostri anziani. La si ascolta per tutta la vita, nei raduni e nelle cerimonie, eppure l’insegnamento più importante non giunge mai attraverso parole o regole. I nostri bambini rispettano gli altri, se lo fanno, perché hanno visto gli adulti delle loro comunità rispettarsi a vicenda. Rispettano le donne perché le donne sono rispettate e tenute in alta considerazione all’interno della comunità. Rispettano gli anziani perché hanno visto che tutti li trattano con deferenza e tributano loro i massimi onori per i servizi resi agli altri nel corso della vita. Rispettano i bambini piccoli e se stessi perché sono trattati con completo rispetto da parte di tutti gli adulti.


Tutti possiamo seguire l’istruzione relativa al rispetto. Tutti potremmo anche amarci l’un l’altro, ma questo è un po’ più difficile e complicato perché coinvolge i sentimenti. È molto facile per me a ottantaquattro anni amare tutti, poiché capisco che i loro tratti non amabili non rappresentano ciò che essi sono, chi vogliono essere, e non ne hanno colpa. Perciò posso guardarli e vedere il bambino tenero e ferito che è dentro di loro e amare tutto il pacchetto. Ma non è sempre stato così. Quando ero giovane ci sono state persone che non amavo e non volevo amare. Non avrei potuto amare per scelta, per senso di dovere e dicendo a me stesso di farlo. Però potevo scegliere e decidere di rispettare appieno tutti, anche chi mi appariva insopportabile. E questo perché il rispetto riguarda il comportamento; si può scegliere come comportarsi mentre è molto più difficile scegliere i propri sentimenti.


L’amore, come ho detto, è l’essenza di ciò che siamo, è il modo in cui tutti ci relazioneremmo gli uni agli altri per via naturale se non fossimo mai stati feriti, o se fossimo guariti da tutte le nostre ferite e presenti appieno nell’intima bontà della nostra natura. Può aiutare sapere che se qualcuno non vi ama o non vi tratta bene non è colpa vostra e neppure sua, ma dipende da ferite che gli sono state inferte e non sono mai guarite. Se quella persona potesse amare se stessa, allora amerebbe anche voi.


L’amore incondizionato è dunque in ciascuno di noi, talvolta oscurato da antiche pene irrisolte e dagli schemi che ne sono scaturiti. Il legame che si è formato nel grembo materno e alla nascita è talmente forte per la maggior parte delle madri che il loro amore è del tutto privo di condizioni e dura per la vita. La mia preghiera è di fare ogni sforzo per preservare e mantenere intatto questo legame.


All’inizio è piuttosto semplice, questa piccola creatura è talmente adorabile e indifesa che il mondo intero l’amerebbe. Se i padri sono vicini proveranno anch’essi sin da subito un amore incondizionato, e con gioia faranno il possibile per contribuire all’accudimento del piccolo.

L’umanizzazione frutto dell’accudimento

Sono felice di sapere che sono sempre di più i padri che condividono le responsabilità genitoriali, quindi non solo sollevando le madri dalle varie incombenze, ma portando una gioia più grande nella loro vita e in quella dei figli. I miei due figli sono entrambi papà casalinghi mentre le mamme vanno a lavorare.


In alcuni Paesi illuminati, come la Svezia della mia Ellika, la legislazione e le aziende prevedono il congedo parentale paterno e consentono che entrambi i genitori restino a casa, dopo la nascita di un bambino, nel momento in cui l’intera famiglia deve trovare nuovi equilibri e prendersi cura di sé.


Esiste un guadagno netto per tutti in questa tendenza. Vi sono ricerche su uomini che potrebbero essere stati deumanizzati da ruoli di isolamento negli affari e nelle aziende, condizionati da preoccupazioni dovute allo stress finanziario, dalla pressione a dover primeggiare, dall’ostentazione degli indicatori materiali del proprio status e dalle istruzioni culturali secondo le quali non sarebbe da uomini avere o mostrare sentimenti diversi dalla rabbia. Quando a questi uomini si chiede di accudire dei bambini, il poterlo fare piano piano li trasforma. Il solo essere responsabili per queste tenere creature indifese e stare in loro compagnia, rispondendo ai bisogni di accudimento e attenzione, li rende più empatici. Gli uomini diventano più teneri e gentili, più comprensivi e in grado di conoscere ed esprimere le proprie emozioni.


Se solo si riuscisse a far sì che tutti gli uomini avessero il tempo, la responsabilità e le istruzioni per scoprire la gioia di prendersi cura dei bambini, quanto ne sarebbero alterati i valori inappropriati della civilizzazione, quanto più felici sarebbero le nuove generazioni, e quale slancio di prospettive verrebbe dato all’evoluzione umana!


Purtroppo, mentre sempre più uomini scoprono le gioie dell’accudimento, allo stesso tempo una notevole percentuale di famiglie sono dilaniate dall’abbandono di madri e figli da parte degli uomini. Alcuni versano gli alimenti per i figli e poco altro, molti spariscono e basta. Persino per coloro che accettano un affidamento congiunto, il ruolo di padri part-time non è abbastanza. Un genitore da solo è oberato di lavoro, incapace di dare tutta l’attenzione necessaria durante i molti anni di cui un essere umano ha bisogno per maturare. I nostri figli, luce della nostra esistenza, meritano molto di più.


Meritano attenzione piena negli anni della loro immaturità, cure profonde e comprensione, meritano il meglio di noi, il nostro tempo, i nostri buoni pensieri e la nostra creatività. Meritano la nostra vivacità e gioia, il nostro divertimento e la nostra follia, non un’educazione per forza costosa, ma certo meritano di sapere che sono voluti, sentire l’appartenenza, che sono il dono più grande che la vita ci abbia dato. E che hanno tutto ciò che occorre per rendere le loro vite tanto meravigliose quanto loro hanno reso le nostre.


Come scrisse Maria Montessori: “L’umanità che si è rivelata in tutto il suo splendore intellettuale durante la dolce e tenera età dell’infanzia dovrebbe essere rispettata con una sorta di venerazione religiosa. È come il sole che spunta all’alba o un fiore che inizia a sbocciare”.


Vorrei, a questo punto, inserire una breve digressione per consigliare i neogenitori sull’uso del lettone familiare, a cui oggi si dà anche lo strano nome di sonno condiviso (co-sleeping). Esistono controversie e discussioni sull’argomento, ma per me la questione è molto semplice. Per milioni di anni nella storia e nella preistoria del genere umano non sono esistite stanze separate, e le famiglie dormivano riunite nei loro rifugi. Non lo considero un disagio dovuto a ignoranza o povertà, considero piuttosto un disagio quello di mettere un neonato in un’altra stanza, in una culla, da solo, senza il calore familiare e il conforto del corpo materno, né quello del padre o dei fratelli tutti felicemente accocolati insieme; un disagio per la madre e per il padre. E per il neonato un simile isolamento è molto vicino al maltrattamento.


Quando letti e stanze separate hanno fatto la loro comparsa hanno forse reso i bambini più felici o più forti? Hanno rafforzato il legame d’amore familiare? Hanno reso l’allattamento notturno più facile per la madre? Considerando la storia degli ultimi cinquemila anni di civilizzazione rispetto all’esperienza tradizionale delle popolazioni indigene che ho conosciuto, direi che è quasi l’opposto sotto ogni punto di vista.


Emmy e io lo sapevamo e i nostri figli hanno condiviso il lettone familiare finché non hanno desiderato un letto e uno spazio propri. Nei primi periodi dell’allattamento era molto più semplice con le poppate notturne, senza doversi alzare alle grida di un bambino affamato, coprirsi e andare dove dormiva. Quando Emmy e io ci siamo separati dopo sette anni, la cosa più difficile per i nostri due figli è stata abbandonare il lettone familiare che adoravano.


In seguito, quando Ellika è venuta a vivere con noi, si è abituata presto al lettone familiare e ad avere due piccoli ragazzi in crescita accanto a noi. Il calore e il piacere di stare accoccolati nel tempo dei sogni crea un forte legame.


Oggi ho un nipote di dieci anni che dorme nel suo letto, ma ha spesso preferito dormire abbracciato ai genitori. Ora lascia il posto nel lettone a un nuovo fratellino. Non è un problema, solo una cosa buona e deliziosa per tutti. Sono felice che mia nipote Marla dorma anch’essa nell’abbraccio amorevole di un lettone familiare con mamma Frieda e papà Tashin, mio figlio minore (hanno costruito un minuscolo letto a rotelle attaccato al lettone ma quando Marla ha iniziato a spingersi fuori lo hanno messo a terra perché non cada quando esplora per conto suo).


Tornando al tema del legame da mantenere intatto, questo è anche argomento di molti metodi o libri nel cui titolo appaiono parole come Attaccamento, Connessione, Genitori secondo Natura. È una delle ragioni, insieme alla salute fisica, per preferire l’allattamento all’uso di formule artificiali. Per una madre l’attaccamento a un neonato minuscolo e del tutto dipendente da lei è piuttosto facile, ma presto arriveranno pressioni che allenteranno o romperanno quel legame. Se restiamo consapevoli delle percezioni e dei sentimenti del bambino possiamo prendere delle misure per rafforzare o riparare in fretta il legame nei momenti di tensione in cui rischia di spezzarsi o indebolirsi.


Non sarà il bambino a fare il primo passo per rompere quel legame. Non ha alcun concetto di legame, perciò non può scegliere di preservarlo, ignorarlo o spezzarlo. È compito di noi adulti esserne consapevoli e sapere quanto è importante per conservare l’intimità e la fiducia. Se restiamo calmi e attenti, consapevoli dell’esperienza del bambino e comprensivi il più possibile, allora riusciremo a conservare intatto il legame.


Quando agiamo in modo inconsapevole e lo spezziamo, possiamo sempre compiere dei passi per ricostituirlo. Se le rotture sono rare e l’intimità viene ristabilita il legame resterà saldo. L’amore che provate per vostro figlio, e che prova vostro figlio per voi, non può essere danneggiato da errori occasionali.


Penso che la prima volta che ciascuno di noi abbia percepito un improvviso cambiamento nel flusso d’amore, accettazione e apprezzamento a cui era abituato sin da neonato sia stato uno shock terribile. Il mondo non era come avevamo creduto, per qualche motivo a noi incomprensibile non eravamo più circondati dal caldo fulgore della delizia di chi ci aveva accanto. Ci siamo sentiti abbandonati e confusi. Le espressioni sui volti e nelle voci delle persone che amavamo e da cui dipendevamo si erano fatte dure e aspre. Un tale improvviso cambiamento ci avrà forse sbigottiti e angosciati. Quando il nostro pianto d’angoscia non ha suscitato nessuna compassione, deve essere stato terrificante.


Se la persona che aveva causato la ferita ha compreso presto la nostra sofferenza e ha iniziato a confortarci e ad ascoltare i nostri sentimenti, mostrando che erano stati capiti, e se poi, quando eravamo di nuovo calmi, la persona ci ha spiegato con pazienza e premura ciò che l’aveva fatta arrabbiare, senza dare a noi la colpa e forse anche chiedendo scusa, quell’inaspettata rottura del legame sarà stata sanata. I bambini sanno quando l’amore è sincero e imparano presto che tutti noi commettiamo errori e ci arrabbiamo talvolta, e hanno un occhio di riguardo per noi se si sentono al sicuro.


La ragione per cui il legame andrebbe salvaguardato con diligenza, preservato e considerato in tutto il suo valore, è che entrambi, genitori e figli, hanno bisogno di quella fiducia durante tutti gli anni che li aspettano. La persona giovane ha bisogno di qualcuno con cui sentirsi al sicuro per esprimere i propri sentimenti, le ansie e timori, la propria confusione nel corso degli inevitabili dilemmi della vita. E ai genitori servono queste informazioni per comprendere e sostenere i figli attraverso i confusi anni della crescita, della scuola, delle amicizie e delle ostilità, del sesso, delle droghe, dei soldi e di altre pressioni sociali.


I neogenitori sappiano che le prime sfide si presentano già quando il bambino si affaccia all’ambiente che lo circonda per scoprirlo e esplorarlo. Siate pronti al cambiamento ma restate calmi, il cambiamento non è male, è solo più interessante, e merita qualche riflessione. Il piccolo metterà tutto a soqquadro, distruggerà ciò che potrà, creerà un insopportabile fracasso, e non vi darà tregua chiedendo attenzione ogni volta che vorrete lavorare o riposare. È giusto e del tutto normale, è il suo lavoro. Per crescere e imparare deve avventurarsi, esplorare, giocare: che sensazione prova? Può dividere in due quella cosa? Che sapore ha? Si può mangiare? Quanto può lanciarla lontano?


È chiaro che l’ambiente dovrà essere a prova di bambino e gli oggetti pericolosi o di valore saranno messi al sicuro, fuori dalla portata della capacità del bambino di strisciare, gattonare, arrampicarsi.


Anche così, ci saranno momenti in cui sarete fuori dai gangheri, sembrerà che faccia di tutto per rendersi insopportabile, e la vostra pazienza sarà messa a dura prova. Fa parte del suo modo di saggiare il mondo, di apprendere. Non vuole essere odioso, sta solo giocando, ricordiamoci che è il suo compito. Resterà scioccato se vi arrabbierete o ci resterete male, se sarete infastiditi o spazientiti. Se rompe un oggetto di valore comprenderà la vostra tristezza ma non la vostra rabbia, perché non aveva alcuna intenzione di causarvi dolore o fastidio. Confortatelo se apparirà triste o confuso, invitatelo a ripulire insieme a voi, ascoltatelo, fate da specchio ai suoi sentimenti e spiegate i vostri, ascoltatelo di nuovo e ringraziatelo per l’aiuto e la comprensione, e anche per avervi mostrato i suoi sentimenti.


Il legame più stretto di norma è quello fra madre e figlio, ma tutti noi, padri, fratelli, nonni, parenti, bambinaie, insegnanti, psicologi, bibliotecari, lavoratori dei servizi sociali, chiunque può sviluppare un legame speciale e una relazione stretta con i bambini, portando maggiore gioia e sostegno nelle loro vite e nella propria.


Anche senza essere genitori, e trascorrendo con i bambini brevi periodi di tempo, come una lezione, una seduta psicologica, una seduta sportiva o di altra natura, è sempre possibile sviluppare un legame. Molti bambini sono davvero in cerca di alleati, persone a cui affidarsi per farsi aiutare a capire se stessi e il mondo. Come storyteller, sento nascere questo legame ogni volta che entro in contatto con loro raccontando una storia. Succede anche giocando o portandoli fuori per scoprire qualcosa di nuovo, ma, prima di ogni cosa, soprattutto ascoltandoli.


Ascoltarli e ripetere ciò che pensate abbiano cercato di esprimere significa fare da specchio ai loro sentimenti: “Dunque, quello che mi stai dicendo è che…”; è importante poi mostrare di aver compreso ciò che stanno vivendo e far capire che i loro sentimenti sono giusti e importanti per voi. Sarete felici e onorati che loro vi rendano partecipi di ciò che provano.


Il linguaggio da utilizzare per esprimere tutto questo varierà in funzione dell’età del bambino, ma è possibile iniziare sin dalla più tenera età. Anche con bambini che ancora non parlano possiamo comunicare tutte queste cose con gli occhi, le espressioni del volto e del corpo, il tono di voce. È un linguaggio del cuore, d’immediata comprensione.


Dobbiamo cogliere ogni occasione per poter dar vita a questo legame, e ogni volta la fiducia si accresce, diventando una risorsa a cui tutti i bambini amano attingere.


Perciò, rendete automatica questa sequenza reagendo alle manifestazioni emotive dei bambini, positive o negative che siano.


Prima di tutto ascoltate, con attenzione piena di interesse e premura. Riferite al bambino quello che avete capito di ciò che intendeva comunicare.

Mostrate di apprezzare il suo sentire: divertimento, dolore, confusione etc.

Se la vostra risposta sollecita ulteriori manifestazioni da parte del bambino, siate pronti a ripetere la sequenza, ascoltando, facendo da specchio e mostrando comprensione.


Il più delle volte questo basterà a far sì che il bambino trovi il suo sfogo, si senta capito e sostenuto, e sia pronto a continuare con sicurezza nella sua capacità di gestire la situazione.


A volte farà domande cercando ulteriori informazioni e comprensione, e la cosa potrebbe condurre a una conversazione che si rivelerà importante per entrambi.


In qualsiasi conversazione vi incoraggerei ad adottare l’atteggiamento di un amico intimo, anziché quello di un insegnante. Thomas Gordon afferma che la prima volta che diamo un consiglio a un bambino si tratta di un’informazione, la seconda è una predica e ogni ripetizione successiva non sarà ascoltata. Una trappola nella quale a volte sono caduto io stesso, pur conoscendola e insegnando ad altri come evitarla. Dai miei figli potevo ricevere avvertimenti verbali o alzate d’occhi al cielo; talvolta mi bastava notare l’appannarsi di uno sguardo per domandare: “L’ho già detto altre volte?”, e loro annuivano e rispondevano: “Solo un centinaio, papà!”. Forse non ero del tutto incorreggibile, continuo a imparare e ora sono molto migliorato. Pazienza, gli adulti a volte sono un po’ lenti.


I bambini di solito sono più intelligenti di quanto non si creda, e se non subiscono pressioni o giudizi, di norma tollerano le nostre mancanze. Ricordo le riflessioni di un’amica di mia sorella minore, quando erano adolescenti, che si chiedeva: “Chissà se quando avrò una figlia sarà tanto più saggia di me quanto io lo sono più di mia madre”.


Per riassumere, tornerei a ciò che influenza alla base il comportamento umano: l’amore e la paura. Ho parlato degli aspetti oppressivi della cultura odierna; non sono certo tutti oppressivi, solo quelli che hanno origine dalla paura anziché dall’amore. La maggior parte delle culture contemporanee sono migliori rispetto al passato, a eccezione delle Prime Nazioni americane, quelle con cui ho una maggiore familiarità, il cui sviluppo ha subìto uno stravolgimento massiccio ad opera della conquista coloniale. Vi è ora una complessa condizione di passaggio caratterizzata dall’interiorizzazione dell’oppressione, ma con sforzi che lasciano sperare il ritorno ai più antichi valori della tradizione nativa.


Non voglio incoraggiare una visione romantica del nostro passato nativo, né idealizzare il “nobile pellerossa”. Gli esseri umani sono ovunque molto più complessi di così e il potenziale di violenza, competizione, distruttività e ostilità rimane e oscura spesso la nostra natura intimamente pacifica, cooperativa, creativa e amorevole. A seguito dei miei studi universitari di storia e preistoria, alle esperienze personali di vita tribale tradizionale contemporanea in America del Nord, ai cerchi nelle prigioni e al lavoro di counseling che durano da più di quarant’anni, ciò che credo è che la presenza dell’amore e della fiducia ci permette di fiorire, mentre la presenza della paura e dell’ostilità corrompe gli individui, le nazioni e le culture (c’è una ragione per cui non abbiamo avuto bisogno di polizia e prigioni, tribunali o avvocati prima dell’invasione europea!).


Questo mette il futuro dei nostri figli, e di conseguenza il futuro dell’intera società, nelle nostre mani. Siamo noi che possiamo assicurarci che siano circondati, perlomeno nei primi sei cruciali anni delle loro vite, dall’amore, da un contesto emotivo che permetta loro ampie possibilità di sviluppare sicurezza e autostima, che offra libertà e incoraggiamento per esplorare e scoprire la bellezza e la ricchezza della vita. Possiamo ridurre la paura e il trauma, e quando l’inevitabile dovesse accadere possiamo anche guarirlo con l’ascolto, la comprensione e l’infallibile medicina della compassione e dell’amore.


Uno degli strumenti più possenti da brandire nell’impresa fatidica di creare un legame con i bambini è il gioco. Necessita di un apprendimento continuo e reiterato ma è il modo più efficace per raggiungerli sul loro terreno, alle loro condizioni. È talmente importante che ad esso sarà dedicato l’intero prossimo capitolo.

Crescere insieme nella gioia
Crescere insieme nella gioia
Manitonquat (Medicine Story)
Prendersi cura dei bambini nella via del cerchio.Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, ci insegna a trasformare la vita quotidiana con i bambini in un’avventura consapevole e gioiosa. Crescere insieme nella gioia è un progetto meraviglioso che per noi genitori del ventunesimo secolo è difficile anche solo immaginare, ma si può realizzare. Significa vivere con piena consapevolezza il nostro coinvolgimento con l’ambiente che ci circonda e gli accadimenti del momento; quando siamo con i bambini, in una sintonia profonda, loro ci rendono partecipi del loro coinvolgimento, ci aprono le porte per esplorare nuovi mondi, e l’esperienza può essere condivisa a tutto tondo. Presi dal vortice frenetico delle preoccupazioni, dei ritmi di lavoro e delle esigenze familiari, non siamo neppure consapevoli dell’immensa solitudine che ci circonda, dell’incredibile e innaturale condizione dell’essere adulti del tutto soli (o quasi) a mandare avanti una serie di compiti che richiederebbe invece la presenza di un’intera tribù di persone, le quali, un tempo, sentivano l’urgenza di legarsi, di stare vicine, di cooperare e di unirsi in entità più grandi. Gli esseri umani hanno bisogno di legami affettivi e della vicinanza dei loro simili.Il processo di apprendimento per diventare un essere umano completo richiede quindi legami che forniscono un aiuto prezioso per guidare e proteggere il bambino fino alla sua trasformazione in un vero e proprio adulto; chi lo circonda dovrebbe instillare in lui fiducia e autostima e offrire il necessario senso di appartenenza. Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, con la sua esperienza quarantennale a contatto con i bambini e le loro famiglie, ci illustra un bellissimo percorso alla scoperta dei tanti strumenti a nostra disposizione per trasformare la vita quotidiana con i bambini e i ragazzi in un’avventura divertente, consapevole, gioiosa; offre ai genitori aiuti preziosi per prendersi innanzitutto cura di loro stessi, per guarire le proprie antiche ferite e guardare alla relazione con i più giovani da una prospettiva nuova, pervasa da un profondo sentimento di rispetto e di amore incondizionato. Conosci l’autore Manitonquat, il cui nome tradotto in inglese è Medicine Story (la storia che cura), è narratore, poeta e guida spirituale della nazione nativa americana Wampanoag. Svolge attività di insegnante e formatore sui temi della pace e della non violenza, della giustizia, dell’ambiente e della presa di coscienza per una società più giusta.Negli Stati Uniti è responsabile di un programma di sostegno per nativi nelle carceri. Ha pubblicato numerosi libri e articoli.