PRIMA PARTE - I

Chi siamo

Non è tanto che ci prendiamo cura dei bambini perché li amiamo, quanto piuttosto che li amiamo perché ce ne prendiamo cura.

Alison Gopnik

La condizione autentica dell’essere umano dotato di una certa intelligenza è quella di amare, amare, amare,
ed essere intelligente è davvero la stessa cosa che essere amorevole.

Harvey Jackins

La storia proveniva dalla tradizione orale del nostro popolo, me l’ha raccontata mio nonno. Come lui, anch’io sono uno storyteller, e adoro i racconti che provengono da terre, culture e tradizioni diverse. Spesso contengono profonde verità che toccano il cuore e la mente.


Vorrei soffermarmi su una storia della tradizione cristiana così come viene riferita da Matteo. Non è necessario essere cristiani per apprezzarla. Io stesso non sono cristiano, seguo le antiche tradizioni del mio popolo, ma credo che questa storia riveli molte profonde verità. Noi non diamo il nome di religione alle nostre pratiche spirituali; sono parte del nostro modo di vivere, ed è un modo che va ben oltre la semplice preoccupazione per la sopravvivenza, per ciò che è materiale, per il guadagnare e lo spendere. Si fonda sull’amore per la vita, per la Terra e tutte le sue creature; amore per i bambini, la famiglia, gli amici e i vicini – non una religione bensì una condizione dello spirito. Onoro la saggezza che ho trovato in altre religioni e rispetto coloro che le seguono. Ma se siete cristiani, vi chiedo per un momento di mettere da parte ogni dogma ecclesiastico relativo a questa storia, insieme a qualsiasi pensiero sulla vita nell’aldilà, e di pensarla invece come semplice sguardo sulla verità della natura umana, e su come consideriamo la nostra relazione con i bambini.


“Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non cambierete1 e non diventerete come fanciulli, non entrerete mai nel Regno dei Cieli.»”

“Se non cambierete”

Gesù dice alle persone che sbagliano nel loro atteggiamento verso i bambini. Per essere felici, in armonia con l’universo, il regno dei cieli, devono cambiare. Le società contemporanee fondate sulla dominazione del mondo, su atteggiamenti di superiorità e di potere conferito a pochi, finiscono per opprimere tutti tranne i dominatori; opprimono bambini, donne, vecchi, indigenti e minoranze di qualsiasi genere. Gesù dice alla gente di cambiare il modo di pensare quando si interagisce con i più piccoli. Entrate con me nella storia per un momento, per cercare di percepire il significato inteso da Gesù.


Siamo tutti seduti quando porta fra noi il fanciullo. Pensate a un bambino molto piccolo, sentite la sua presenza. Siamo sopraffatti dalla sua innocenza, percepiamo il senso di pura bontà che lo pervade. Siccome Gesù lo accoglie con amore e rispetto è soddisfatto e senza timore, ci osserva con benigna curiosità. Sembra che voglia far sua l’intera esperienza dello stare in mezzo a noi, ci guarda negli occhi in attesa del contatto con il suo simile, della possibilità di comunicare con un’altra mente, di sentire il piacere e l’accettazione di un altro cuore. Il bambino accoglie la vita e il mondo che lo circonda con l’interesse di chi vuole imparare, con la fiducia di chi si sente a casa, con la gioia di chi desidera giocare. Ride, è tutto meraviglia e eccitazione. Facciamo tutti parte della sua grande avventura. Si guarda intorno e poi si volge a Gesù, che lo ha condotto qui. Lui gli sorride con infinito amore e comprensione e il fanciullo ride ancora, sa di essere al sicuro con la famiglia e le persone che si prendono cura di lui. Non c’è bisogno di comandamenti, il bambino è il sermone. La Creazione ha inviato fra noi il fanciullo per appagare il bisogno che tutti abbiamo di dare amore. E lui è venuto per darci amore e mostrarci la pura bellezza della vita e dell’intera Creazione.


I nostri figli sono la lezione migliore, il modo migliore per ricordarci che l’amore è il nostro centro, la nostra essenza, il nostro significato e la nostra gioia.


Accanto alla preoccupazione di nutrire i figli, tenerli al sicuro e al caldo, prepararli per la vita quando lasceranno la nostra casa, abbiamo anche altre cure familiari e altre relazioni, dobbiamo pensare alla nostra salute e al lavoro, a pagare i conti e alla nostra responsabilità di cittadini. Se siete genitori, sapete bene quanto sacrificio è necessario in termini di soddisfazione e realizzazione personale, riposo, tempo ed energia. Mi auguro che in tantissimi momenti abbiate sentito quanto ne valga la pena. È possibile che nessuno o quasi verrà a congratularsi per la vostra dedizione, spero perciò che siate capaci di riconoscerla e farvi i complimenti da soli. Di sicuro avete tutta la mia comprensione e ammirazione.


Chi di voi è genitore fa sempre del proprio meglio per i figli. So quanto li amiate e desideriate evitar loro le sofferenze, le difficoltà e le battaglie che voi stessi avete dovuto affrontare.


Ma l’aspetto “gioioso”? Quanto c’è di gioioso in neonati che strillano in preda alle coliche nel cuore della notte? Nel cambiare pannolini sporchi; nel tentare di far mangiare la pappa a un piccino infuriato; nel mollare tutto e precipitarsi al pronto soccorso con un bambino a cui, cadendo, è andato di traverso il bastoncino del leccalecca; nell’impedire che il grande prenda a randellate il più piccolo con una mazza da hockey; nel cercare per ore, presi dal panico, un piccolo triciclista che si è perso; nell’aspettare alzati, ben oltre l’orario stabilito, un adolescente al primo appuntamento, rimuginando su disastri e calamità?


Certo, fa tutto parte del gioco, ed è un gioco cruciale e fondamentale quello di crescere i figli. Del resto, cosa potrebbe essere più essenziale per gli esseri umani? Il riconoscimento e il sostegno però sono esigui; nonostante sia senza dubbio il lavoro più importante del pianeta, insegnanti e operatori dell’infanzia sono a dir poco malpagati, e i genitori, che fanno la gran parte del lavoro e hanno la massima responsabilità, non sono pagati affatto!


La società vi dice che la responsabilità dei figli è vostra, e se si trova in disaccordo con i vostri metodi, anziché aiutarvi vi porta via la prole. I genitori sono l’ultimo gruppo sociale oppresso; abbiamo bisogno di un movimento di liberazione! (si veda il cap. XI)


Ogni genitore dovrebbe essere sostenuto, assistito e apprezzato (con più di un biglietto e dei fiori il giorno della festa della mamma o del papà una volta l’anno) da tutta la comunità, dallo stato e dalla nazione. Insegnanti e operatori dell’infanzia dovrebbero ricevere stipendi e bonus migliori di quelli dei dirigenti delle grandi corporazioni, il cui contributo sociale è insignificante al confronto.


Esistono senz’altro momenti esaltanti che alleviano gli sforzi di un genitore: le lodi a vostro figlio da parte di estranei, la comprensione che i figli vi dimostrano quando siete tristi, i premi che vincono, ridere insieme davanti a un cartone animato, il grande che in classe sostiene con orgoglio che il fratello più piccolo dovrebbe essere ammesso a scuola un anno prima, guardare la vostra giovane figlia affrontare da sola e con prontezza la stupidità dello sciovinismo adultista.


La vita quotidiana, però, è spesso estenuante, non proprio ciò che si direbbe un tripudio di gioia.

Gioia per me vuol dire vivere appieno nel presente, con piena consapevolezza. Non una consapevolezza tutta incentrata su noi stessi, bensì frutto del nostro coinvolgimento all’unisono con l’ambiente che ci circonda e gli accadimenti del momento, quello che nello sport si attua con la difesa “a zona”. È questo il modo di stare con un bambino. I più piccoli sono coinvolti senza riserve con l’ambiente che li circonda, ne traggono spunti di gioco e apprendimento, sono tutti nel presente. Quando siamo con loro, in una sintonia profonda, ecco che ci rendono partecipi del loro coinvolgimento. E mentre crescono e imparano intraprendiamo di nuovo questo viaggio, da lungo tempo dimenticato. Ci aprono le porte per esplorare nuovi mondi, e possiamo farlo insieme.


Cammino spesso con bambini di tre anni, già esperti nell’uso del proprio corpo, non più interessati a se stessi ma alle meraviglie del mondo che li circonda. È necessaria molta pazienza perché si fermano spesso a investigare le meraviglie che si presentano a ogni istante. D’improvviso, mi accorgo che il piccolo non è più accanto a me, si è fermato ed è chino su una pozzanghera della strada che conduce a casa mia. Perciò torno indietro e mi chino accanto a lui, che tenta di raggiungere pietruzze di diversi colori in fondo all’acqua. Come sono belle! Camminavo dritto senza fare attenzione, pensando solo a raggiungere la casa, ma il piccolo non ci pensa affatto ed è tutto intento alle meraviglie incredibili che lo assorbono, che vuole prendere e rendere parte di sé. Ne prende alcune per mostrarmele, vuole condividere questa fantastica scoperta, che io ne confermi il valore e faccia parte di questo grande momento insieme a lui. Ecco la gioia profonda, per entrambi, in questa condivisione, in questo istante, che senza di lui avrei perduto.


Vorrei che questo libro vi parlasse di una simile gioia, e nonostante sia consapevole dell’inevitabile dolore e sofferenza, frustrazione e fatica che accompagnano la relazione con i bambini, li comprendo e li accetto come parte della gioia.


Quando due persone sono coinvolte in una profonda relazione, ognuna ha una naturale considerazione per l’altra, oltre che per se stessa, e al crescere e approfondirsi della relazione una terza considerazione potrebbe diventare persino più forte di quella per i singoli: la considerazione per la relazione stessa. Anche la relazione ha un suo spirito che acquista sempre più importanza. È il genere di rapporto che noi adulti abbiamo il privilegio di sviluppare con ogni bambino con cui entriamo in contatto, anche solo per breve tempo, se il legame che stabiliamo è autentico.


Sobonfu Somé, un anziano del popolo Dagara in Africa occidentale, afferma che ogni cosa ha uno spirito e partecipa dello spirito della Creazione; quando due persone del suo popolo si incontrano in una relazione, si concedono del tempo per racchiudersi in uno spazio sacro e aprirsi allo spirito che li guiderà.

Poiché tutto nella Creazione è in relazione, potrebbe essere una buona idea considerare una cerimonia analoga per tutti i nostri rapporti. Potremmo iniziare proprio con tenere in considerazione lo spirito di ogni legame che intrecciamo con i bambini.


All’inizio sarà il legame fra la madre e il neonato. È un evento del tutto naturale ma potrebbe guadagnare molta forza se gli si dedicano pensieri, se lo si racchiude in uno spazio intimo e sacro invocando lo spirito che ne guiderà il prezioso evolversi, e se si fa tutto questo con piena consapevolezza.

I neonati provengono da un atto che ci si augura sia sempre d’amore, in una relazione che beneficierebbe anch’essa di un’analoga apertura verso lo spirito. Molti bambini nascono da relazioni che non sono di sostegno, o che addirittura non esistono più al momento della nascita, e questa non è certo una situazione ottimale per madre e bambino. Perciò, sarebbe auspicabile essere molto consapevoli e protettivi al momento del concepimento e assicurarsi che la relazione sia consapevole e aperta alla guida spirituale che protegge entrambi, così come veglierà sul bambino quando sarà nato.


La situazione ottimale non è sempre possibile, ma le madri combattono e riescono grazie al grande amore che viene messo in campo per i figli. Uno dei miei insegnanti una volta mi chiese come avessi fatto a sfuggire all’oppressione della cultura, del razzismo, del classismo, e alla separazione dei miei genitori. La risposta è mia madre. Chiuse la relazione con mio padre, un libertino impenitente, prima che nascessi, e per i successivi sei anni, finché non trovò un nuovo marito e bravo patrigno per me, mi diede tutta la sua attenzione e il suo amore, incoraggiandomi sempre, contenta di me e convinta che avrei potuto fare qualsiasi cosa avessi voluto in questo mondo. Mi diede la sicurezza necessaria per poter credere in me stesso, credere che qualsiasi cosa avessi scelto l’avrei fatta bene e avrei sempre potuto imparare e perfezionarmi per migliorarla.


Facevamo cose insieme, uscivamo, leggeva per me e mi ascoltava con interesse e rispetto. Abbiamo parlato e discusso, riso e giocato in un mondo che era solo nostro. In quei primi sei anni così importanti è stata il mio specchio e la mia finestra sul mondo. Sono convinto che sia stato il suo amore, la qualità profonda della nostra relazione per tutta la sua vita, la sua presenza in ogni momento del mio viaggio, che mi hanno aiutato a innamorarmi della vita, del mondo, di chiunque incontrassi, e a restare accanto ai bambini per mantenermi giovane e vitale.

L’amore e il nostro bisogno di dare

Abbiamo tutti bisogno d’amore. Quando non ci sentiamo amati lo desideriamo ardentemente. Ma abbiamo un bisogno persino più grande di dare il nostro amore agli altri.


Vale la pena riflettere sull’amore, con la A maiuscola. Si riduce tutto a questo, in fondo. I nostri momenti migliori, gloriosi e mozzafiato, ma anche i più dolorosi, devastanti, annichilenti e autodistruttivi. L’amore può condurci in paradiso, come fece Dante, o scagliarci all’inferno, come accadde a Otello. Direi che ci riguarda più di ogni altra cosa, anche se non lo comprendiamo bene.


Non lo analizziamo a fondo: da dove proviene, come capire e intervenire quando non funziona; quando ci sono dei problemi molti di noi tendono a fare proprio la cosa sbagliata e a peggiorare la situazione. Il dolore può essere un buon maestro, perciò a volte impariamo qualche piccola cosa e ce la caviamo meglio. Da vecchi capita di pensare: “se solo avessi saputo allora ciò che so adesso!”


Prima di parlare di bambini, genitori ed educatori, credo sia essenziale comprendere l’amore come meglio possiamo. Da dove proviene? È presente negli animali che possiedono una coscienza più elevata. Lo vedo ad esempio nei lupi e nei cani, nelle balene e nei delfini, nelle scimmie e nei primati. Forse le api amano la loro regina, le farfalle i fiori, la lucertola la roccia soleggiata – non saprei, ma la tenerezza che le madri dei mammiferi mostrano per i propri cuccioli va ben oltre ogni altra manifestazione.


È lì che anche per noi esseri umani ha inizio l’amore. Subito dopo l’inizio della gravidanza, le femmine dell’uomo sono prese da un senso di appagamento e gioia, fanno qualsiasi sforzo per proteggere l’embrione e avvolgerlo in un benessere fatto di calma e di pace. E questo avviene se la madre stessa è al sicuro in un ambiente che la sostiene con calore e affetto. Nella nostra società logorante e insensibile, sono troppe le donne e le ragazze che iniziano una gravidanza in condizioni di abbandono e trascuratezza, in contesti violenti, in cui si fa uso di droghe; l’amore naturale fra madre e bambino si perde o si altera, viene distorto in rabbia, repulsione, paura.


Non è colpa dell’amore o della natura, ma di una società e di una cultura costruite solo sul dolore e l’ignoranza. In un contesto naturale in cui protezione e cura siano adeguate, l’amore della madre per il nascituro cresce dentro di lei insieme al piccolo. La madre è presente in ogni istante ed è curiosa di sapere com’è e come sarà il suo bambino. E quando sarà nato, la cosa più naturale per lui sarà di riposare sul corpo della madre, percependone la pelle, il calore, l’odore, il familiare battito del cuore. L’amore materno avvolge il bambino ed entrambi non possono fare a meno di innamorarsi l’uno dell’altra. È il momento di gioia su cui si fonda tutta la crescita futura del bambino, l’inizio di una relazione che lo sosterrà e lo guiderà in tutte le relazioni future.


È questo amore, specchio nel quale egli si guarderà, nutrendo e rinforzando l’amore naturale che ha per se stesso, che gli permetterà di avere cura del suo corpo e di conservarlo forte, di sviluppare la propria mente e tenerla ben desta e curiosa, di nutrire il proprio cuore con gioia e compassione per tutta la vita, di avere cara l’esperienza intuitiva dell’anima che gli parlerà di cose oltre la percezione sensoriale, oltre la materia, al di là della conoscenza razionale, che gli confiderà qual è il suo posto nell’universo.


In questo amore il bambino crescerà e fiorirà, e altrettanto farà la madre. Offrendo al figlio sicurezza e libertà, attenzione e cura, gli fornirà le migliori condizioni per sviluppare il meglio di sé. Ma anche la madre crescerà in questa relazione e non cesserà di imparare dal figlio – a meno che non accetti le colpevoli indicazioni di una società che crede che il bambino non sappia nulla e debba essere condizionato e istruito dagli adulti.


Caro lettore, se sei un genitore, so che ami moltissimo il tuo bambino, e spero che ci siano anche tanti lettori non-genitori a dare conforto e aiuto alle famiglie ovunque serva, per rendere la vita e il mondo sempre migliori. Chiunque, nella vita o nel lavoro, abbia avuto l’opportunità di entrare in relazione con i bambini avrà provato almeno una volta quella sensazione di appagamento che il loro amore sa dare. Spero che questo libro venga letto da insegnanti, medici e infermieri, psicologi e counselor nelle scuole, allenatori sportivi, baby-sitter, lavoratori del sociale e chiunque abbia a che fare con i bambini.

Da qualche tempo ormai ogni anno ho il privilegio di trascorrere una giornata in un asilo Waldorf a Mölln, in Germania. Non vedo l’ora e pregusto ogni volta con piacere la gioia che mi attende. Ci sono tre classi, con maestre quantomai premurose e amorevoli a cui dico sempre che fanno il mestiere più bello del mondo! Non appena metto piede in giardino, i bambini smettono di giocare e gridano il mio nome eccitati. “Manitonquat!”. Resto a osservarli, entro nei loro giochi dove posso, pranziamo insieme e dopo racconto loro delle storie in uno dei tipi2 che sono stati eretti in permanenza in giardino. Sono come rapiti, è normale – tutti i bambini adorano le storie. Ma ciò che mi resta più impresso dopo che sono andato via sono i ricordi di alcuni di loro, che soli o in piccoli gruppi si avvicinano e mi fissano silenziosi; ecco, in quei momenti sono investito da una tale ondata di amore puro e privo di complicazioni che resto sconcertato. È lo stesso in ogni campo che facciamo, in ogni scuola in cui andiamo, e questo mi ricorda non solo che si tratta dei nostri bambini, miei e vostri, ma anche che essi siamo noi; il loro amore semplice, aperto, fiducioso e sconfinato è l’essenza di ciò che tutti noi siamo.

La filosofia della Via del cerchio

Ho iniziato con l’amore perché, se siete genitori, l’amore è l’essenza della relazione con i figli, loro vi amano e voi li amate sopra ogni cosa. Se siete coinvolti con i bambini in altri ruoli, parenti, baby-sitter, insegnati, psicologi, medici e infermieri o qualsiasi altra cosa, ciò che avrete in cambio guardandoli, ascoltandoli e stando con loro è l’amore.


Come dice Alice Miller: “…Lo stimolo indispensabile per sviluppare doti di empatia… è l’esperienza delle cure amorevoli.”


Questo libro è soprattutto sulla migliore e più efficace espressione di questo amore, da cui deriva la gioia, che scaturisce anche dalla felicità esuberante dei bambini che sono amati per se stessi e dalla delizia di osservarli mentre sviluppano la propria natura.


Per il popolo della Via del cerchio, quello delle tribù, dei clan, dei villaggi che seguono le antiche tradizioni, amore non è una parola d’uso comune. La parola che sentireste di più è spirito. Ma si tratta della stessa cosa. Non ho ancora parlato di spirito perché è un termine che viene usato in molti modi, e spesso le persone ne sono confuse o ne provano ripulsa.


Queste parole, che stentiamo a comprendere, sono solo suoni creati per riferirsi a qualcosa di cui si percepisce la qualità universale di forza di attrazione che attraversa tutta la Creazione. Unisce insieme i quanti a formare gli atomi, gli atomi a creare le molecole, e le molecole a produrre cellule viventi. Sentiamo nelle nostre cellule quest’urgenza di legarci, di stare vicini, di cooperare e unirci in entità più grandi. Vogliamo appartenere ed essere accettati. Ci uniamo in famiglie, comunità, nazioni, con altre specie viventi e con la Terra, che è legata al nostro sole, che è legato alla sua galassia, e così via attraverso l’universo – e forse questo universo è legato ad altri che ignoriamo. Alcuni chiamano questa forza spirito, e altri amore.


Poiché state leggendo siete istruiti, di certo siete stati a scuola, ma non è lì che avete imparato quella saggezza millenaria, acquisita a poco a poco, primo tratto distintivo della nostra umanità. La saggezza che le società umane hanno acquisito vivendo in piccoli cerchi compatti per decine di migliaia di anni.

Cosa ci ha resi umani

Prendersi cura dei bambini è ciò che ci ha resi umani. Accudire tutti insieme i piccoli, esserne amati, provare amore e tenerezza, sentire la bontà e l’innocenza, cooperare per proteggerli, aprirsi a nuovi orizzonti per il loro bene, ed esserne ispirati.


Cos’è la natura umana? La nostra cultura è portatrice di un messaggio che proviene dal lontano passato, secondo il quale noi esseri umani saremmo peccatori sin dalla nascita, egoisti, crudeli, sopraffattori e avidi. Dissento da questa antica credenza, in gran parte perché non ci è di alcun aiuto. Non credo neppure sia vera. Sono certo che quelle caratteristiche non siano presenti alla nascita, bensì instillate da ferite e paure successive, ma non intendo discutere sul vero e sul falso. Per me la misura della verità è la sua efficacia, e questo vecchio atteggiamento non è né utile né efficace nel rendere migliore la vita dell’umanità su questo pianeta.


Io credo (ne ho vista conferma in ogni neonato che mi è capitato di incontrare, e sono molti) che i bambini nascano pieni d’amore – il loro primo innamoramento inizia nel ventre materno, e se nulla interviene a rompere il legame con la madre, quello sarà l’amore più grande che stabilirà la misura di ogni altra relazione nella vita.


I neonati si aspettano che il mondo sia un buon posto per vivere, sono eccitati e felici di essere qui. Anelano al contatto, vogliono essere tenuti e coccolati, desiderano attenzione e molto altro di cui hanno bisogno, non solo dal punto di vista fisico ma anche emotivo e intellettivo – vicinanza, accettazione, apprezzamento, l’opportunità di imparare – sono curiosi da morire. Amano anche giocare, creare giocattoli con qualsiasi cosa e rendere giocosa qualsiasi attività. Divertimento e risate sono la loro peculiarità. Collaborativi, premurosi e indulgenti, il loro amore, a meno che non venga tradito, si estende a tutti coloro che si avvicinano con gentilezza e mostrano di essere a loro volta premurosi e degni di fiducia.


In un recente seminario per le famiglie, un bambino di due anni ha risposto al pianto di un altro di sei mesi correndo da lui, accarezzandogli la testina con tenerezza e poi portandogli di corsa un biberon d’acqua. Nessuno glielo aveva insegnato, è stato un istinto naturale che tutti possediamo sin dalla nascita. Tutti siamo nati premurosi e compassionevoli.


Sono qualità costitutive della natura umana, formatesi in migliaia d’anni di vita cooperativa in cerchi egualitari dove tutti si conoscevano dalla nascita e dove i neonati e i bambini piccoli erano il centro della comunità, il centro della vita, un centro traboccante di empatia e tenerezza, di gioco e allegria, di curiosità e vivacità.


Ancora oggi, persiste in gran parte del mondo un atteggiamento verso i bambini piccoli che prevede di proteggerli e curarli dal punto di vista fisico, ma di dominarli da quello mentale, emotivo e spirituale, affinché diventino esseri umani completi e adeguati.


Gli adulti hanno ancora la convinzione, tipica di un atteggiamento di potere e di dominio, che poiché il bambino è piccolo e debole non sappia essere un bravo essere umano finché non sia stato educato, istruito, disciplinato, allenato e condizionato a diventare come i suoi maestri adulti.


Ritengo che sia una convinzione del tutto falsa, utile solo a perpetuare la rovina del mondo.

Antropologia tribale

La mia cara amica, insegnante e collega nei programmi per i nativi in carcere, Slow Turtle, soleva prendersi gioco degli uditori di bianchi dicendo: “Sono un’antropologa del nostro popolo minoritario. Voi siete qui per studiarci, ma noi stiamo studiando voi. Perché non vi capiamo. Sono ancora alla ricerca di esseri umani e credo che voi lo siate stati un tempo, mi piacerebbe sapere cosa vi è capitato.”


Mi sono sentito spesso anch’io così. Studio l’antropologia e credo di sapere come mai molti antropologi fraintendono la preistoria. Agli albori, gli esseri umani vivevano tutti in tribù, e questa esperienza, vivere a stretto contatto in un cerchio di eguali che si proteggevano e aiutavano a vicenda, permise ai nostri antenati di imparare a cooperare, a comunicare, a lavorare insieme; fu questo che permise lo sviluppo del linguaggio e ci consentì, infine, di pianificare e pensare in astratto, rendendoci umani. È un’esperienza che si è sviluppata in milioni di anni, mentre l’esistenza dell’Homo sapiens sapiens è durata forse centomila anni. Centomila anni in cui le persone sono vissute insieme cooperando, accudendo i bambini, i vecchi e gli infermi, proteggendosi e sostenendosi, pensando in termini di clan, di villaggio o tribù, uno per tutti e tutti per uno. Per la gran parte di quei centomila anni il nostro modo di pensare è stato radicalmente diverso da quello odierno.


Quando mi sono avvicinato all’antropologia e alle sue interpretazioni ho capito cos’è che non andava. Gli antropologi non erano uomini tribali, non pensavano come i popoli tribali, e descrivevano gli antichi popoli pre-civilizzati come se fossero fatti di individualisti contemporanei, competitori temibili e violenti, uomini che brutalizzavano donne e bambini e che, crescendo di numero, dovettero creare istituti legislativi e di controllo sociale per proteggersi.


Confuso dal tratto disumano della civilizzazione, ho chiesto agli anziani delle Prime Nazioni di tutto il Nord America: “Cos’è che non va con gli esseri umani? Perché sono così disumani, violenti, egoisti, indifferenti alle sofferenze altrui, così avidi?” La risposta che in un modo o nell’altro mi è stata sempre data è che: “Hanno dimenticato le proprie istruzioni”.


La prima istruzione di cui mi hanno parlato è sempre stata il rispetto. A partire dall’invasione degli europei, le persone non hanno più rispettato la terra, i congiunti, gli altri esseri viventi, non hanno avuto più alcun rispetto reciproco. Gli uomini non rispettano se stessi e il loro corpo, la mente e il cuore che hanno ricevuto, non rispettano le donne, gli anziani e i bambini. Nei nostri antichi cerchi tutti erano rispettati.


La seconda istruzione riguarda la necessità che gli esseri umani vivano in cerchi. Solo così possono aiutarsi e prendersi cura gli uni degli altri per garantirsi una vita migliore. In un cerchio tutti hanno la stessa importanza e devono essere ascoltati e onorati.


La terza istruzione è il ringraziamento. Per vivere una vita felice e buona dobbiamo sempre apprezzare ciò che ci è stato dato, rendere grazie e celebrare insieme.


Ho visto le vestigia di questi antichi modi di vita in molte comunità tradizionali, ed è sorprendente come funzionino ancora alla perfezione, nonostante tutte le avversità, se ci si mantiene fedeli ai loro insegnamenti.


Non indagherò in questa sede i motivi che hanno impedito all’antica cultura di sopravvivere alla civilizzazone nel mondo moderno. È un argomento che richiederebbe un libro a sé, al quale potrei dedicarmi se vi-vrò abbastanza. Per me è stato importante scoprire nei miei viaggi che gli antichi modi erano sopravvissuti fra i popoli indigeni del Nord America, almeno quelli che conoscevo nella regione che chiamiamo l’Isola della Tartaruga, la parte oggi nota come America e Canada.


C’è una similitudine in ciò che ho ascoltato dagli anziani di quei luoghi, i cui progenitori erano a loro volta cresciuti seguendo le antiche tradizioni.


Andando in cerca di tratti comuni fra i diversi popoli, mentre viaggiavo con il North American Unity Movement, scoprii che esistevano quasi sempre elementi concordi a proposito dell’accudimento dei bambini.


Il primo, quello relativo al rispetto, era assolutamente universale. La prima cosa che ho sempre ascoltato è che gli antichi modi insegnavano a tutti il rispetto reciproco e quello verso i bambini, e questi, vedendosi rispettati e osservando il rispetto vicendevole degli adulti, imparavano a rispettare se stessi e la vita in tutte le sue forme. Di solito i bambini riuscivano ad avere un loro posto in tutti i cerchi ed erano ascoltati con grande interesse e incoraggiamento da parte degli adulti. Erano anche i primi a cui si offriva il cibo, seguiti dagli anziani, sebbene molto spesso, raggiunta una certa età e consapevolezza, i bambini in modo spontaneo dessero la precedenza agli anziani. Con un ringraziamento si dava inizio a ogni evento o raduno: grazie alla Terra, per le piante e gli animali – nostri fratelli –, per l’acqua e i venti, per le nostre famiglie, i clan e le tribù, per tutta l’umanità e le creature lontane nel grande cerchio dell’universo, fratelli distanti e sconosciuti, e per il Grande Mistero che ci ha donato la vita.


Durante il mio lavoro all’“Akwesasne Notes”, il giornale Mohawk, le madri delle famiglie tradizionali con cui ero più in confidenza mi dissero che non avevano mai punito i loro bambini. Non solo punizioni corporali, ma anche nessun genere di atteggiamento che potesse alimentare l’idea che i bambini dovessero soffrire per essere stati cattivi. Né esistevano ricompense per ever fatto bene qualcosa o essere stati bravi, a parte il semplice riconoscere che il gesto del bambino era stato notato e apprezzato. L’idea era che i bambini fossero naturalmente bravi, pronti, onesti e coraggiosi e non avessero bisogno di essere elogiati per aver fatto ciò che era nella loro natura.


A volte, quando un bambino faceva bene qualcosa, poteva esserci un tributo speciale in una cerimonia che avrebbe mostrato quanto fosse amato da tutti. Quest’accettazione rendeva tutti felici. Se il bambino aveva qualche problema, era confuso o si comportava in modi non consoni al benessere della comunità, allora una zia, un nonno, una madre del clan o uno zio del clan si sarebbero fatti avanti per aiutare, per dare ascolto ai sentimenti, comprendere e spiegare in che modo essere una creatura umana rispettabile e un onorato membro della comunità. Con premura e comprensione, senza colpevolizzare, i bambini avrebbero sempre scelto di fare la cosa giusta, per cooperare e aiutare, poiché questa era la loro natura.

Tutti i bambini sono nostri figli

Vorrei suscitare in voi l’idea che apparteneva ai miei anziani: che tutti i bambini sono nostri figli, e nulla è più importante dell’offrire il meglio di sé, essere il più possibile consapevoli, comprensivi e premurosi quando si interagisce con i bambini. Spero che questo libro vi aiuti a capire che una relazione positiva, intima, empatica e attenta con ogni bambino non solo è un bene per il bambino, per la società e l’umanità intera, ma è anche una straordinaria esperienza gioiosa di apprendimento e di crescita.


“Imparerai dai tuoi alunni” è il ben noto concetto espresso con le parole della canzone di Oscar Hammerstein. È ciò che accade se si concentra l’attenzione sul bambino, senza provare a istruirlo o a imprimergli le nostre priorità su ciò che riteniamo debba imparare, ma lo si ascolta, invece, e ci si apre alla possibilità di imparare da lui.


Il bambino sa per istinto quali siano le cose importanti da sapere nell’ambiente che lo circonda, nelle relazioni umane, nell’apprendimento e nella crescita, quale sia il momento giusto per assimilare ciò di cui ha bisogno in ogni frangente.


Tutti abbiamo avuto questa facoltà quando siamo venuti al mondo, ma l’abbiamo perduta quando la cultura, attraverso i nostri genitori, ci ha istruiti e condizionati.


Come gli adulti che poi diventeranno, i bambini sono tutti diversi, ma ci sono molte cose che li accomunano alla nascita. Non hanno bisogno che si insegni loro come apprendere, né tantomeno a voler apprendere.


La loro curiosità è immensa e sono immersi senza riserve nell’ambiente che li circonda. È palese la meraviglia e la delizia di ogni nuova scoperta. Osservano, ascoltano, vogliono toccare e sentire, manipolare, assaggiare, odorare. Imparano, come piccoli scienziati, facendo esperienza e giocando. In tal modo apprendono da noi, ma dobbiamo essere molto attenti e consapevoli dello spirito e dell’atteggiamento con cui ci apprestiamo allo scambio.


Se tentiamo di istruirli potremmo interferire con i loro processi di apprendimento, come quando ne inibiamo l’aspetto ludico e divertente. O se pretendiamo di imporre un nostro programma o i nostri bisogni. Quando invece consentiamo ai bambini la libertà di esplorare e fare le proprie scoperte, assimileranno prima e meglio. In uno spirito di gioco e di rilassato divertimento sono molto predisposti a imparare, ma se diventiamo troppo seri, inflessibili o critici, inibiremo il processo e interromperemo la comunicazione gioiosa e lo scambio proficuo. L’ansia indurrà la loro mente a chiudersi, a ritirarsi in un luogo protetto e a difendersi impedendo ogni accesso.


È questo il problema della scuola, come ci hanno spiegato A. S. Neill e John Holt. Holt diceva sempre che se tentassimo di insegnare ai bambini a parlare nello stesso modo in cui insegnamo loro a leggere, ci vorrebbero anni prima che imparassero (ed è probabile che anche allora odierebbero parlare). “Quando spaventiamo un bambino”, affermava Holt, “blocchiamo del tutto la sua capacità di apprendere”.


I bambini imparano da soli a parlare. La facoltà del linguaggio è innata, è connaturata all’uomo. Come per ogni altro apprendimento, possiamo inibirla attraverso la critica e il giudizio, facendo pressione affinché si faccia a modo nostro. Si impara a parlare ascoltando, guardando le bocche degli adulti e le espressioni facciali, imitando, giocando con i suoni e i movimenti. Possiamo assistere incoraggiando, giocando insieme ai bambini, lodandoli, ridendo e divertendoci con loro.


Ho aiutato il mio primo figlio a leggere perché me lo ha chiesto. A due anni Tokeem non si accontentava solo che gli leggessimo, voleva capire come quei segni sulla pagina diventassero suoni nella mia bocca. Perciò inventammo giochi con lettere, parole e suoni. Feci dei cartoncini da appendere in giro per la stanza, e a turno scoprivamo i diversi suoni e le parole.


Poiché era così ansioso e fiero di imparare e si divertiva molto, imparò a leggere prima dei tre anni.


Il nostro figlio più piccolo, Tashin, adorava anche lui le storie, come tutti i bambini, ma preferiva solo ascoltarle. Forse era più interessato alle immagini che creavano nella sua mente e ai pensieri che emanvano da esse. Lo assecondammo, leggendogli e raccontandogli storie, e imparò a leggere molto più tardi, con i suoi tempi. Inventava, però, le sue storie e ci faceva tante domande su noi e sul mondo.

Durante i primi anni i nostri figli sono stati entrambi istruiti a casa, dalla nostra comunità. Ogni persona condivideva con loro e con tutti i bambini della comunità i propri interessi, ed essi esplorarono in seguito ciò che li aveva incuriositi e divertiti. Hanno continuato a seguire i propri interessi negli anni delle superiori e dell’università; oggi, a trent’anni, leggono ancora tanto e amano esplorare e ampliare i territori della conoscenza. Come i loro genitori, saranno studenti e studiosi per tutta la vita.


Sono partito dall’amore ed eccomi al gioco e al divertimento; spero che il nesso sia chiaro, poiché lo ritengo essenziale. I bambini non sono sempre fonte di piacere per noi; sanno essere estenuanti, assillanti, irritanti. Hanno i loro problemi, che sono causa di disagio e fanno esplodere la loro rabbia e frustrazione. Non li amiamo di meno in quelle circostanze, ma in quei frangenti è più difficile per noi esprimere il nostro amore. Ci sentiamo irritati, impazienti, frustrati, ed è ciò che spesso esprimiamo.


So che nessuno vorrebbe esprimersi a scapito dei figli o di qualunque bambino: non sono affatto pronti a gestire i nostri problemi, e non è certo compito loro. I nostri problemi sono nostri, non loro. I nostri sentimenti hanno origine da tanti eventi della vita che abbiamo vissuto, ma non certo dai bambini. Fanno del loro meglio, con ciò che hanno appreso e le emozioni che provano, per affrontare i problemi che noi creiamo loro!


Per fortuna, giusto in tempo per voi, abbiamo iniziato a pensare a una soluzione. Non dovrete più riversare sui figli la rabbia, la paura o qualsiasi altro sentimento vi opprima e vi addolori. E neppure sul partner, su vostra madre o su chiunque ne possa uscire ferito e confuso.


La necessità di un conforto e un sostegno è indubbia: essere responsabili per un bambino è un compito immenso, sfiancante, che spaventa. È molto difficile portarlo avanti da soli, e non è necessario. So che siete genitori, nonni, insegnanti, counselor, allenatori, guide scout e assistenti all’infanzia fantastici e premurosi, e so che tutti desideriamo essere il più possibile coscienziosi e attenti con le preziose creature che ci vengono affidate. Sono certo che tutti abbiate fatto del vostro meglio. E molti desiderano forse fare ancor di più. Credo sia necessario comprendere che i vecchi atteggiamenti dovuti al condizionamento culturale sono ormai inutili a questo scopo, e i nostri figli meritano di più.


Un paio di settimane fa mi è capitato di vedere in aereo un film per famiglie molto carino in cui una madre amorevole e attenta, desiderosa di offrire il meglio al figlio dodicenne, insieme all’insegnante, anch’essa dedita al proprio lavoro di istruire e dare una buona educazione ai ragazzi, se la prendono con il bambino che taglia le lezioni per accudire un animale malato. Gli parlano con durezza, senza mostrare alcun desiderio di ascoltare i sentimenti e le idee del ragazzo, con il solo pensiero di far rispettare le regole. Credo che nessuno, fra il pubblico, lo abbia notato e abbia pensato, come invece ho fatto io: “Non parlereste con questo tono a un amico, non manchereste di rispetto a un adulto”. Eppure, sembra del tutto normale parlare a un bambino in quei termini. Quando però la madre e l’insegnante scoprono ciò che stava facendo il ragazzo, il suo coinvolgimento, quanto stava imparando e maturando grazie a quest’esperienza fatta in solitudine, allora capiscono e si scusano, apprezzando la sua premura e devozione, e mostrandosi persone intelligenti e attente.


Per dare a ciascuno di voi il sostegno che desidero tanto offrirvi, devo presentarvi una prospettiva molto diversa dalla quale riconsiderare tutto ciò che fate e dite ai vostri figli.


Ci sono cose che i bambini non sanno, e noi invece sì, e sarebbe utile per loro imparare da noi molto di ciò che abbiamo appreso. Sono ansiosi di poterlo fare, così come sono pronti ad apprendere dagli amici, da coloro di cui si fidano, da chi è dalla loro parte, dalle persone che hanno a cuore i loro migliori interessi.


Ma ci sono anche molte cose che i bambini sanno e noi no, o forse che abbiamo dimenticato, visto che tutti veniamo al mondo conoscendole. Se riusciamo ad aprirci a loro, a imparare da loro pur guidandoli e aiutandoli, ci sapremo espandere, e avremo una visione più ampia del mondo, dell’esistenza, di noi stessi.


Bambini di tutte le età, dai neonati ai… ancora non so bene, sono nella mia ottantacinquesima estate e i miei figli sono uomini adulti dai quali continuo a imparare. Ho molti nipoti spirituali in tanti Paesi; osservo e ascolto i bambini che giocano, parlo con loro, attraverso le porte che mi aprono, entro nei loro mondi dove trovo l’incanto e la profonda delizia che rendono giustizia al titolo di questo libro.


Certo non è sempre facile; è spesso faticoso, frustrante, indisponente avere a che fare con le energie sovrabbondanti dei giovanissimi, ma nessuna di queste cose interdice la gioia profonda che possiamo provare insieme a loro. Credo sia la gioia più profonda di tutta la vita. Questo libro è sull’atteggiamento che possiamo tenere e la relazione che possiamo promuovere per conquistare una visione e una partecipazione più ampia in regni inesplorati, che si raggiungono solo se accompagnati da un bambino.


Nel prossimo capitolo vorrei indicare alcuni dei modi che consentono di trovarsi nella forma migliore per godere della relazione sacra con ognuno di loro.

Crescere insieme nella gioia
Crescere insieme nella gioia
Manitonquat (Medicine Story)
Prendersi cura dei bambini nella via del cerchio.Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, ci insegna a trasformare la vita quotidiana con i bambini in un’avventura consapevole e gioiosa. Crescere insieme nella gioia è un progetto meraviglioso che per noi genitori del ventunesimo secolo è difficile anche solo immaginare, ma si può realizzare. Significa vivere con piena consapevolezza il nostro coinvolgimento con l’ambiente che ci circonda e gli accadimenti del momento; quando siamo con i bambini, in una sintonia profonda, loro ci rendono partecipi del loro coinvolgimento, ci aprono le porte per esplorare nuovi mondi, e l’esperienza può essere condivisa a tutto tondo. Presi dal vortice frenetico delle preoccupazioni, dei ritmi di lavoro e delle esigenze familiari, non siamo neppure consapevoli dell’immensa solitudine che ci circonda, dell’incredibile e innaturale condizione dell’essere adulti del tutto soli (o quasi) a mandare avanti una serie di compiti che richiederebbe invece la presenza di un’intera tribù di persone, le quali, un tempo, sentivano l’urgenza di legarsi, di stare vicine, di cooperare e di unirsi in entità più grandi. Gli esseri umani hanno bisogno di legami affettivi e della vicinanza dei loro simili.Il processo di apprendimento per diventare un essere umano completo richiede quindi legami che forniscono un aiuto prezioso per guidare e proteggere il bambino fino alla sua trasformazione in un vero e proprio adulto; chi lo circonda dovrebbe instillare in lui fiducia e autostima e offrire il necessario senso di appartenenza. Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, con la sua esperienza quarantennale a contatto con i bambini e le loro famiglie, ci illustra un bellissimo percorso alla scoperta dei tanti strumenti a nostra disposizione per trasformare la vita quotidiana con i bambini e i ragazzi in un’avventura divertente, consapevole, gioiosa; offre ai genitori aiuti preziosi per prendersi innanzitutto cura di loro stessi, per guarire le proprie antiche ferite e guardare alla relazione con i più giovani da una prospettiva nuova, pervasa da un profondo sentimento di rispetto e di amore incondizionato. Conosci l’autore Manitonquat, il cui nome tradotto in inglese è Medicine Story (la storia che cura), è narratore, poeta e guida spirituale della nazione nativa americana Wampanoag. Svolge attività di insegnante e formatore sui temi della pace e della non violenza, della giustizia, dell’ambiente e della presa di coscienza per una società più giusta.Negli Stati Uniti è responsabile di un programma di sostegno per nativi nelle carceri. Ha pubblicato numerosi libri e articoli.