terza parte - ix

Stabilire dei limiti

Un’educazione permissiva abbandona i bambini alla prigione delle proprie angoscie.

Tim Jackins

Guidavo lungo una strada remota del New Hampshire quando un poliziotto del luogo mi fermò per eccesso di velocità.


“Perché tanta fretta?” mi chiese. “Mi scusi”, risposi, “ma è venerdì e devo andare a Keene a ritirare il computer che ho portato a riparare, il negozio chiude alle sei.”


Il poliziotto mi disse di apettare, andò verso la pattuglia, poi tornò e mi informò che potevo andare, ma senza correre, aveva chiamato il negozio e mi avrebbero aspettato.


Vi è mai capitato che un poliziotto vi fermasse per un’infrazione, ascoltasse la vostra storia e vi lasciasse andare con un semplice monito? La sensazione è di tale gratitudine e gioia per il trattamento amichevole e comprensivo da parte di un’autorità il cui compito, vi rendete conto, è di salvaguardare l’incolumità di tutti. Non amiamo l’autorità, ma quando è necessaria ci piace sentire che è dalla nostra parte.


Se, però, incappate in un poliziotto che non è dell’umore giusto, disturbato dalle vostre spiegazioni e in vena di prediche, allora vi sentite trattati in modo ingiusto, anche se la multa è del tutto giustificata. Penserete più a non farvi prendere anziché riflettere sulla necessità di cambiare abitudini di guida. L’atteggiamento del tutore dell’ordine contribuisce moltissimo al tipo di pensieri e comportamenti che sviluppiamo nei confronti dell’autorità.


Noi adulti siamo i tutori delle regole da far rispettare ai bambini. Il modo in cui lo facciamo influenza fortemente la nostra relazione con loro, nonché i loro sentimenti e comportamenti verso di noi.


Il modo in cui rinforziamo le regole agisce anche sui loro sentimenti. Saranno sentimenti di fiducia, vicinanza e apertura? O piuttosto di diffidenza, distanza e chiusura?


Il nostro è un ruolo ineludibile, necessario alla salute e alla sicurezza di tutti; è indispensabile al loro benessere emotivo e anche al nostro. I bambini stanno meglio quando i limiti sono chiari e comprensibili.


A intervalli cercheranno di allentarli e superarli, lo abbiamo fatto tutti, ricordate? Ma è necessario che sappiano che per noi è importante e non demorderemo.


Perciò stabilire dei limiti è di vitale importanza, ed è essenziale che vengano affermati preservando la comprensione e la fiducia fra noi e il bambino e incoraggiando la sua sicurezza in se stesso.


L’atteggiamento è dunque di estrema importanza. Il nostro motto sarà: gentili ma fermi. L’intero capitolo si occuperà di questo. Come mantenere la fermezza, far rispettare limiti necessari e ragionevoli, restando sempre calmi, comprensivi e amorevoli. Un compito arduo? Da principio forse sì, ma con la pratica diventa più semplice, e anche con un piccolo aiuto da parte degli amici (si veda il cap. XI).


A volte è un po’ come “non lascio guidare un amico ubriaco”, gli prendete le chiavi dell’auto mentre impreca e gli sorridete dicendo: “Adesso ti porto a casa”. Non è in sé, dovete prendervi voi la responsabilità, ma non avete nessuna intenzione di fargli del male. Cercherete di frenarlo fisicamente perché non faccia male a nessuno e vi sforzerete di restare calmi e comprensivi.


Lo sappiamo, ogni volta che si tenta di impedire a una persona di fare qualcosa, lei si arrabbierà; ma questo non deve far arrabbiare anche voi. Cosa fare se qualcuno è arrabbiato? Se avete letto fin qui, saprete certo la risposta: ascoltarlo.


Quando dovete stabilire un limite e impedire a un bambino di fare qualcosa, sapete in anticipo che se la prenderà. Perciò preparatevi all’ascolto mentre riversa su di voi tutta la sua rabbia.


Fate vedere che lo state ascoltando e che tenete ai suoi sentimenti, mostrategli che lo capite pur dovendo mantenere fermo il vostro limite. Non discutete, non spiegate, non vi ascolterebbe perché è preso dalla rabbia; se non si ferma quando gli dite di fermarsi trattenetelo voi in ogni modo possibile, con dolcezza, anche fisicamente.


Con un bambino molto piccolo è naturale che non ci sia nulla da spiegare. Capirà le vostre azioni ma non le vostre parole. Potete dire “no, no” ma facendo molta attenzione. I più piccoli sentono tanti di quei “no” che ne imparano il significato alla velocità della luce. “Sì” è una parola che apprendono molto più tardi perché non la sentono altrettanto spesso. Se è possibile, prevenite con dolcezza e in modo fisico il pericolo o il danno immediato. Abbracciatelo o tiratelo su, spostate la sua attenzione su qualcos’altro, mettete fuori portata l’oggetto pericoloso o fragile senza dire “no, no”. L’azione parlerà da sé e il bambino alla fine capirà, meglio limitare i “no” al minimo e conservarne il potere e la coerenza.


Ma che lo diciate oppure no, voi adulti dovete mantenere uno stato d’animo leggero e gioioso con il piccolo, persino giocoso e divertente mentre fissate il vostro limite. Lo si può fare con umorismo o cantando; le cose più importanti sono la dolcezza del tocco, il calore dell’abbraccio, i baci, i sorrisi di piacere e di gioia, i toni amorevoli.


È naturale che non sarà sempre facile per noi, e la difficoltà aumenterà man mano che il bambino cresce. I neonati sono teneri e inermi, ci tirano fuori tutti i nostri istinti di cura e accudimento, a meno di non soffrire di coliche o di qualche ignoto disagio che li fa piangere disperati per ore senza potersi consolare. Al che, vittime della spossatezza e dell’agitazione, potremmo essere noi ad aver bisogno d’aiuto.


Mi auguro che, se state accudendo un neonato, abbiate tutto l’aiuto necessario. Un ottimo modo di utilizzare l’aiuto disponibile è quello descritto nei capitoli percedenti, ossia condividere delle sessioni in cui lasciate andare tutti i vostri sentimenti e prendete decisioni positive su come affrontare i problemi (e le gioie) dello stare insieme al bambino. Nel capitolo XI ne parleremo ancora.


Più il bambino cresce, più sarà una sfida al vostro autocontrollo, alle reazioni calme e ragionevoli, alla vostra comprensione e allo stabilire limiti fermi durante le sue esplosioni di energia, di aggressività, i suoi scoppi d’ira e di pianto, le sue urla. Sono talmente dolci e adorabili, quando dormono!


Voglio soffermarmi in particolare sulla preparazione. Sapendo che stabilire dei limiti evocherà quasi certamente un’opposizione e un tumulto emotivo, è necessario essere pronti. Fate una sessione in cui pensate ed esprimete i sentimenti che sono legati allo stabilire dei limiti con il vostro bambino. Esercitatevi a restare calmi di fronte ai lamenti e alle suppliche, alla rabbia e alla quieta manipolazione – “Sei proprio una mamma cattiva!” – alle minacce, alle promesse, alle lacrime, al rifiuto imbronciato. Siate pronti.


Ricordate la versione breve di questo libro, le due parole che riassumono le istruzioni sempre valide: abbracciare e ascoltare.


Mostrate attraverso l’espressione del volto, il tono della voce, il linguaggio del corpo e le parole quanto ci tenete a questa personcina, e ascoltatela. Ascoltatela con tutto il cuore mentre riversa su di voi tutta la sua rabbia e il suo dolore. Fatele sapere che avete sentito e che davvero, davvero la capite e l’apprezzate, ma che il limite deve essere mantenuto.


Due cose possono essere d’aiuto. A partire da quando le capacità cognitive del bambino lo rendono possibile, potete concedere una grande quantità di scelte e dargli quanto più potere possibile, ve lo raccomando di cuore. Più aiutiamo i bambini a diventare partecipanti attivi del loro mondo, più saranno abili, competenti, fiduciosi in se stessi.


È perché si sentono parte del processo, esercitano un ruolo attivo sulla loro stessa vita. L’infanzia è un processo nel quale i bambini sviluppano i loro poteri, offrire loro delle opportunità in tal senso è di grande aiuto.


Il nostro potere deriva dalla nostra capacità di scelta. Quando non abbiamo scelta ci sentiamo impotenti, disperati, e tendiamo a deprimerci. Ma possiamo sempre scegliere, e quando ce ne ricordiamo la fiducia e l’ottimismo ritornano. Possiamo scegliere su cosa focalizzare l’attenzione e come reagire. Ricordiamo la Preghiera della Serenità di Reinhold Niebuhr in cui si chiede di avere il potere di cambiare le cose che possono essere cambiate, la serenità di accettare quelle che non possono esserlo, e la saggezza di riconoscerne la differenza.


Più scelte siamo in grado di offrire ai nostri bambini, più rimarranno attenti e partecipi. Se saremo fermi sui limiti stabiliti alla fine li accetteranno, soprattutto se avranno a disposizione altre possibilità di scelta. I miei figli sono maestri straordinari in questo. Li ho ascoltati tantissime volte con i bambini, ammirato dalla loro pazienza, pensando fra me e me che avevano avuto il vantaggio degli errori e dei punti di forza dei loro genitori, l’incoraggiamento e la fiducia su cui fondarsi. Emmy e io abbiamo quantomeno ascoltato e incoraggiato l’espressione dei loro sentimenti e pensieri.


Tokeem, il maggiore, informa suo figlio Linus che non può fare una certa cosa che desiderava tanto, poi gli offre un paio di alternative fra cui possa scegliere.


“No!” dice Linus, “Voglio…”

“So che lo vuoi adesso, Linus, lo capisco. Mi dispiace ma non è possibile, però…” e Tokeem ripete l’offerta, a volte forse aggiungendo una nuova alternativa fra cui scegliere.


“Mai!” dice Linus, per un po’ è stata la sua parola preferita. Ha un bel carattere vivace mio nipote! E continuano così, Tokeem sempre calmo e comprensivo, leggero nei toni ma fermo nel limite e Linus le tenta tutte ma alla fine capisce di essere incappato in una di quelle cose che non si possono cambiare e sceglie una delle alternative che gli vengono offerte.


Ci vuole tempo e molta pazienza, tanto ascolto e risposte comprensive, date con toni leggeri, simpatici e un pizzico di umorismo e voglia di giocare. Se immaginate che ci sia una resistenza sarà bene pensarci in anticipo per dare al bambino il tempo sufficiente a poter scegliere, così non dovrete trascinarlo urlante e scalciante perché siete già in ritardo.


Il vecchio modo, tradizionale in Europa e in molte culture, potrebbe apparire più semplice: “Ora fai quello che dico io e non discutere!”, ma in realtà non lo è affatto. Crea una distanza, una barriera, del risentimento e la sottomissione, che limita il coinvolgimento del bambino, la sua fiducia e creatività, oppure la ribellione, che mina la fiducia in voi. Un piccolo investimento di tempo e pazienza nell’offrire delle scelte porta magnifici frutti di cooperazione e gioia.


Anche se il bambino opera una scelta potrebbe aleggiare ancora del risentimento per la limitazione subita. È bene restare in sintonia, parlarne, ascoltare e alla fine volgere l’attenzione su argomenti più vivaci e interessanti o più divertenti. Quando accettiamo i bambini, con tutti i loro pensieri e sentimenti, e mostriamo di apprezzarli e di essere felici del tempo trascorso insieme, anche loro vogliono che il tempo trascorra in allegria. È un’altra buona occasione per offrire delle alternative o per fare i mattacchioni.


A man a mano che le loro abilità cognitive crescono, potrebbero voler mettere in discussione i limiti imposti o da imporre. Bene. Un ulteriore passo per imparare come pensare insieme, come ascoltare ed essere ascoltati, dare e ricevere rispetto. Il primo metodo che ho studiato per gestire limiti e conflitti con i bambini era un corso di Parent Effectiveness Training (PET), il metodo per essere genitori efficaci di Thomas Gordon.


Gordon ipotizza tre stili di relazione con i bambini, che in breve si riassumono in: 1) si fa come dico io, 2) fai come ti pare, e 3) lavoriamo insieme e troviamo il modo migliore per essere soddisfatti entrambi. Il suo metodo era congeniale al nostro mutuo desiderio di rispetto completo per la personalità di ogni bambino, per questo Emmy e io lo utilizzammo con i nostri figli e lo insegnammo ad altri.


Tutti i bambini della comunità lo conoscevano e avrebbero potuto utilizzarlo anche da soli se nessun adulto fosse stato presente. Quando gli estranei venivano in visita e cercavano, nel vecchio modo autoritario, di dire ai bambini quello che dovevano fare, i nostri bambini spiegavano che lì le cose funzionavano in un’altra maniera e che dovevano trovare insieme la “soluzione”; se non sapevano come fare loro glielo avrebbero spiegato volentieri.


Con questo approccio, come in tutte le risoluzioni di conflitti, il primo passo è quello di identificare il problema. Quando c’è un conflitto è probabile che le parti interessate abbiano tutte una visione differente di quale sia il problema. Pertanto è necessario andare a vedere di che si tratta e discuterne. Di chi è il problema? Chiarito questo, per il passo successivo tutte le persone coinvolte, adulti o bambini, sono incoraggiate a suggerire delle soluzioni. Sarebbe utile darsi tempo e pensare a una varietà di suggerimenti. L’umorismo può essere d’aiuto, le soluzioni buffe e fantasiose sono divertenti e rilassanti per tutti. L’ultimo passo è scegliere una delle proposte che metta d’accordo tutti; una soluzione nella quale ci sia un perdente e un vincitore infatti non è destinata a funzionare. Serve invece una soluzione “senza perdenti”.


I bambini della nostra comunità erano diventati molto bravi in questo. Se ne uscivano con una quantità di soluzioni creative. Una volta c’era stata un’esplosione di conflitti fra i bambini e all’improvviso sembrava ripetersi ogni giorno. Capirono che non erano in grado di risolverla da soli e chiesero aiuto. Ci fu un cerchio con tutti i bambini e qualche adulto, e ci si ascoltava a vicenda.


Noi adulti non proponemmo soluzioni ma incoraggiammo e apprezzammo i bambini nel loro processo. La loro decisione finale fu quella di organizzare ogni giorno una grande battaglia di cuscini nella grande sala comune, che era fornita di ampie scorte, con dozzine di cuscini. La battaglia sarebbe stata obbligatoria per chiunque si fosse trovato in quel momento nel locale. Una volta al giorno tutti i bambini marciavano in gruppo attraverso la casa e il giardino annunciando la zuffa e per un’ora l’aria della sala grande si riempiva di cuscini che volavano e di risate. Gli adulti adoravano questa pausa di esercizio selvaggio e caos gioioso e incontrollato, i giovani si godevano tutti contenti il modo sicuro per consumare tutta l’energia repressa sparando a raffica sui grandi, deliziati dall’esercizio del loro potere. E non ci furono più lotte fra bambini.


Il processo per trovare soluzioni senza perdenti può iniziare anche prima che i bambini siano capaci di esprimersi a parole. Un adulto che conosca il processo e comprenda il bambino può suggerire quale immagina sia il problema dal punto di vista del piccolo, esprimendolo con parole a lui comprensibili. Il bambino potrà indicare l’accordo o il disaccordo con cenni della testa. L’adulto può poi offrire diverse soluzioni, e se vengono tutte respinte si continua a provare, magari facendo un po’ i buffoni e lavorando di fantasia, con l’aiuto del gioco e del divertimento.


Quando si raggiunge un accordo, una soluzione accettata dal bambino e che vada bene anche all’adulto, l’adulto deve accertarsi che si proceda secondo gli accordi. In seguito, si considerano con il bambino i termini dell’accordo per verificare se ha funzionato bene o se sono necessari dei ripensamenti. Notando anche quanto sia stato divertente trovare insieme la soluzione. Man mano che i bambini sperimentano di avere delle scelte e di poterle effettuare, migliorano nel processo e pensano in modo creativo alle possibili soluzioni.


Il secondo ingrediente, importantissimo ma non contemplato dal PET, era la comprensione delle emozioni, che Emmy e io imparammo e insegnammo dopo i corsi con il Re-evaluation Counseling. La maggior parte di ciò che si legge o si sente dagli insegnanti sul relazionarsi ai bambini riguarda il come essere razionali, come aiutarli a utilizzare le loro capacità di pensiero nelle relazioni e in ciò che scelgono o nel modo in cui osservano il mondo. Tutto molto importante, certo, ma leggo e sento davvero poco sul tema cruciale dei sentimenti.


Nei primi capitoli abbiamo detto quanto sia centrale per la cura dei bambini comprendere e saper gestire i loro sentimenti e anche i nostri. Nel prossimo capitolo entrerò appieno nel tema delle forti emozioni.


Quando si stabiliscono dei limiti dobbiamo tenere a mente che i bambini non sempre li accoglieranno e potrebbero suscitare in loro sentimenti molto forti. Bisogna stare pronti. Se stanno già facendo qualcosa di pericoloso o fanno male a qualcuno, potrebbe essere necessario contenerli fisicamente e potrebbero infuriarsi. Se dobbiamo portargli via qualcosa potrebbero arrabbiarsi o affliggersi. Per questo dovremmo metterci in ascolto empatico del loro dolore o della loro rabbia. Senza cercare di bloccare o distrarre i sentimenti negativi, ma ascoltando e dimostrando che sentiamo ciò che hanno da dire e capiamo il loro stato d’animo. Le emozioni di ciascuno hanno bisogno di esprimersi, fa parte del processo di guarigione. Quando il potere travolgente dell’emozione trova il suo sbocco ci sentiamo sollevati e capaci di riflettere con più chiarezza sull’intera situazione. Possiamo valutarla sotto una nuova luce e compiere nuove scelte, per gestirla in modo benefico. Se accanto a noi c’è un ascoltatore attento è più facile dar sfogo alle emozioni. Per questo dovremmo incoraggiare i bambini a esprimere i propri sentimenti, senza contraddirli o cercare di cambiarli, mostrando invece di essere felici che li vogliano condividere con noi.


Una cosa meravigliosa dei bambini è che di norma non hanno avuto abbastanza tempo per reprimere le reazioni spontanee e fingere che i sentimenti non abbiano influenza, quando in realtà sono stati solo sepolti più in profondità. Dopo aver accolto lo sfogo con comprensione, potremo aiutare il bambino a cercare delle opzioni che diano un maggior senso di libertà e potere pur nel rispetto del limite. Il bambino apprende che ci sono cose che si possono cambiare e altre no, così è la vita, ma si può sempre fare molto con ciò che è passibile di cambiamento.


Potrebbero esserci volte in cui è necessario fermare il bambino all’istante. Con un bambino piccolissimo le parole non sono necessarie, basta l’interruzione pronta, il contenimento fisico calmo e gentile, senza rabbia o disappunto, magari con una canzoncina o una distrazione giocosa. Con un bambino più grande l’interruzione dovrebbe essere rapida e fisica al contempo, senza urlare: “Cosa stai facendo? Dovresti saperlo che non si fa! Che ti succede?”. Fate il possibile per dire in modo semplice e rapido: “Non ti posso lasciar fare questo”. Una spiegazione in quel momento sembrerebbe una predica e non verrebbe ascoltata o solleverebbe una questione. Una breve affermazione potrebbe evitare la discussione: “A casa nostra non si fa così”, “Colpire non va bene”, “Fa male”.


Il contenimento fisico potrebbe portare a rappresaglie fisiche, siate pronti anche a questo. Ricordate di essere più gentili possibile, di usare solo la forza necessaria a contenere, di non arrabbiarvi o dire al bambino che è cattivo, ma solo che il suo comportamento è inaccettabile. Poi siate pronti a un ulteriore sfogo di sentimenti, pianti, lotte, calci, morsi, urla, imprecazioni. Non dovete sconvolgervi, ma restare calmi e ascoltare lo sfogo mantenendo fermo il limite. Non parlate molto, solo poche parole per far capire che non siete arrabbiati: “Ti voglio tanto bene, ma non posso lasciarti fare questo”. Cercate di essere più pazienti e amorevoli che potete mentre impedite al bambino di colpirvi, graffiarvi, mordervi, tirarvi calci, e rispondete alle imprecazioni dirette a voi con leggerezza e affettuoso umorismo.


Per tutto il tempo dovreste rimanere calmi e centrati. Come? Be’, il mio metodo è di parlare a me stesso e ricordarmi che è un bambino meraviglioso in preda a sentimenti che non riesce a controllare, che i sentimenti non sono colpa sua, che vorrebbe davvero liberarsene e questo è il modo migliore che conosce per farlo. Mi dico che forse il suo comportamento è volto a richiamare l’attenzione su emozioni per lui incomprensibili e divoranti, nella speranza di trovare un modo per liberarsene e tornare a essere se stesso, giocherellone e simpatico. Forse spera tanto che io lo possa aiutare in un modo o nell’altro, anche se mi combatte. Ricordo a me stesso che sono più forte e so che tutto finirà bene e alla fine lui sarà libero da ciò che lo tormenta e saremo di nuovo uniti perché avrà capito che lo amo e stavo facendo del mio meglio per aiutarlo.

Stabilire limiti: un esempio

Eravamo alla fine di un seminario in un piccolo centro su un’isola, con persone provenienti da diversi Paesi. C’era un bambino di cinque anni, che chiamerò Tommy, vivace, intelligente, pieno di vita… e birbante. Il centro purtroppo non era preparato, né si aspettava la presenza di bambini; la loro cura era affidata ai genitori, che volevano concentrarsi sul seminario, e ai bambini veniva detto di andare a giocare per conto loro. Ma questo non soddisfaceva il bisogno di Tommy, che era alla ricerca costante di attenzione da parte degli adulti. L’attenzione che riceveva dalla sua giovane mamma single era perlopiù un tentativo di controllare lui e i suoi veloci assalti alle persone. Mi piaceva Tommy, tantissimo. Le sue selvagge incursioni erano spesso divertenti e fantasiose, ma anche provocatorie e a volte non volute, soprattutto con l’altro maschietto della sua età che se ne lamentava.


Volevo dedicargli del tempo, dargli la mia attenzione, giocare con lui e lasciare che mi usasse per esprimere e lasciar andare i demoni che preten-devano la nostra attenzione. Ma non era un seminario per famiglie, e visto che non aveva disturbato i partecipanti durante i cerchi, credevo che avrei potuto aspettare fino alla fine del seminario.


Il destino, oppure Tommy, accelerarono la mia decisione al termine del cerchio finale. Tommy iniziò a colpire il bambino più mingherlino e, come al solito, rise e corse via, ridendo anche alla mamma che cercava di acchiapparlo, ma era troppo svelto per lei.


Come tutti, avevo osservato l’evoluzione della cosa e pensavo fra me e me: “Va bene, Tommy, continui a far vedere a tutti ciò di cui hai bisogno, perciò credo sia proprio venuto il momento di aiutarti.”


Sgusciai svelto dalla sedia e arrivai proprio mentre sfuggiva lesto alla presa materna. Lo raggiunsi da dietro e cercai di afferrare il suo polso sinistro con la mia mano destra mentre stringevo il suo polso destro con la sinistra, lo strinsi a me, la sua schiena che premeva contro la parte anteriore del mio corpo, poi lo sollevai in fretta e tornai a sedere con lui in braccio. All’inizio rideva, era un gioco e aveva finalmente ottenuto l’attenzione che tanto cercava. Poi tentò di divincolarsi, ma io lo tenni stretto, deciso ma con dolcezza, usando il mio abbraccio per immobilizzare la lotta delle sue braccia, evitando i suoi tentativi di tirarmi calci o colpirmi con la testa. Gridava di lasciarlo andare ma rimasi calmo, né arrabbiato né irritato, dicendogli con tono dolce e amichevole: “Non ti lascio, ti terrò stretto finché non ti sarai calmato, non ti farò più colpire nessuno.”


Urlò di indignazione e di rabbia, dovevo liberarlo, e ripetè senza sosta quel limitato numero di parole offensive che aveva avuto modo di imparare nella sua breve vita. Non feci altro che continuare a ripetergli con pacata dolcezza: “Ti voglio bene Tommy, davvero, ma non posso lasciarti andare, almeno finché sei così arrabbiato.” E lo abbracciavo più stretto strofinandogli il naso come per gioco.


“Lasciami!” gridò, “ti odio! Ti ammazzo!” “Bene allora”, sempre con delicatezza, “forse è meglio se non ti lascio, non voglio mica essere ammazzato!”


Andò avanti così per quarantacinque minuti circa. Il cerchio, da principio interessato, poi preoccupato, iniziò a cercare di farlo ragionare, ma io dissi loro che mentre era così sconvolto sarebbe stato inutile, non avrebbe potuto ascoltarli attraverso la rabbia. E potevo sentirlo nel suo corpo, che voleva unirsi alle risate – un pezzetto della sua mente funzionò per un breve istante, ma aveva ancora troppa forza ed energia da impiegare nella lotta.


Per tutto quel tempo non feci che ricordare a me stesso che la sua lotta fisica era ciò di cui aveva bisogno e che voleva davvero. Le sue azioni non erano state altro che un grido di aiuto, senza che ne fosse consapevole. Non sapeva cosa farne di tutti quei sentimenti aggressivi che lo premevano da dentro, se non combattere e infuriarsi, e aveva bisogno di farlo in un modo protetto che non avrebbe fatto male né a lui né ad altri. Dovevo ripetermi che, nonostante la mia età, lui doveva impiegare molte più energie per combattere di quante ne servissero a me per tenerlo, e potevo resistere più di lui, dandogli l’opportunità di scaricare tutto quello che gli ribolliva dentro. Rammentai a me stesso che era un meraviglioso piccolo bambino, e quanto ammiravo quel guerriero in lui che non voleva arrendersi, e che la sofferenza che lo divorava non era colpa sua né di nessun altro. Che il mio contenimento, la mia vicinanza fisica, il mio apprezzamento e il tifo che facevo per lui erano cose che voleva e di cui aveva bisogno.


Infatti iniziai a sentire che cominciava ad accettare la sfida di questa battaglia come qualcosa che avrebbe potuto utilizzare a suo favore, qualcosa di necessario per lui.


Alla fine si stancò e la sua mente si accese per immaginare come avrebbe potuto liberarsi. Riuscivo a sentirlo, lo avevo fatto tante di quelle volte con tanti di quei bambini, e funzionava sempre.


“Se vuoi la smetto”, disse.

“Va bene, Tommy. Ti lascio se fai un accordo con me.”

Un grande cambiamento. Ora era curioso. Vedevo che ci stava pensando sul serio.

“Che accordo?”

“Devi solo smettere di colpire le persone, tutto qua. Ma devi volerlo sul serio e lo devi fare, sono sicuro che ci riesci.” Ci pensò ancora un momento.

“Nemmeno mia mamma?”

“No Tommy, nemmeno tua mamma. Colpire fa male.” Ci rifletté di nuovo.

“D’accordo.”


Lo misi giù, si liberò all’istante e scappò. Lo guardavamo tutti per vedere cosa avrebbe fatto.


Corse nella parte esterna del cerchio e, sempre correndo intorno, andò da una persona alla volta, perlopiù sconosciuti, e l’abbracciò, un grande e forte abbraccio per ciascuna.


Quando arrivò da me, l’ultimo, mi abbracciò da dietro, timidamente all’inizio, poi senza lasciarmi mi girò intorno, si arrampicò sulle mie ginocchia, mise la testa sul mio petto stringendomi forte e pianse. A quel punto piangevo anch’io, come gran parte delle persone nel cerchio. Dopodiché si addormentò.

Da quel momento, per il resto della serata e per tutto il giorno successivo durante la lunga traversata verso la terraferma, Tommy fu sempre al mio fianco. Ci facevamo le coccole, giocava e rideva con me come se mi avesse conosciuto da sempre e fosse la cosa più naturale del mondo. E infatti lo era. È il modo del tutto naturale in cui le persone potrebbero sempre stare le une con le altre se non fossero confuse e addolorate da sentimenti negativi, ma fossero invece rilassate e aperte all’incontro gioioso con l’altro.


È successo quasi due anni fa e da allora ho rivisto Tommy e ho giocato con lui, sebbene non parli inglese e io non parli la sua lingua stiamo bene insieme; sua mamma dice che si è proprio trasformato e che quel giorno sull’isola lei e tutti noi abbiamo avuto una grande lezione.

Crescere insieme nella gioia
Crescere insieme nella gioia
Manitonquat (Medicine Story)
Prendersi cura dei bambini nella via del cerchio.Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, ci insegna a trasformare la vita quotidiana con i bambini in un’avventura consapevole e gioiosa. Crescere insieme nella gioia è un progetto meraviglioso che per noi genitori del ventunesimo secolo è difficile anche solo immaginare, ma si può realizzare. Significa vivere con piena consapevolezza il nostro coinvolgimento con l’ambiente che ci circonda e gli accadimenti del momento; quando siamo con i bambini, in una sintonia profonda, loro ci rendono partecipi del loro coinvolgimento, ci aprono le porte per esplorare nuovi mondi, e l’esperienza può essere condivisa a tutto tondo. Presi dal vortice frenetico delle preoccupazioni, dei ritmi di lavoro e delle esigenze familiari, non siamo neppure consapevoli dell’immensa solitudine che ci circonda, dell’incredibile e innaturale condizione dell’essere adulti del tutto soli (o quasi) a mandare avanti una serie di compiti che richiederebbe invece la presenza di un’intera tribù di persone, le quali, un tempo, sentivano l’urgenza di legarsi, di stare vicine, di cooperare e di unirsi in entità più grandi. Gli esseri umani hanno bisogno di legami affettivi e della vicinanza dei loro simili.Il processo di apprendimento per diventare un essere umano completo richiede quindi legami che forniscono un aiuto prezioso per guidare e proteggere il bambino fino alla sua trasformazione in un vero e proprio adulto; chi lo circonda dovrebbe instillare in lui fiducia e autostima e offrire il necessario senso di appartenenza. Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, con la sua esperienza quarantennale a contatto con i bambini e le loro famiglie, ci illustra un bellissimo percorso alla scoperta dei tanti strumenti a nostra disposizione per trasformare la vita quotidiana con i bambini e i ragazzi in un’avventura divertente, consapevole, gioiosa; offre ai genitori aiuti preziosi per prendersi innanzitutto cura di loro stessi, per guarire le proprie antiche ferite e guardare alla relazione con i più giovani da una prospettiva nuova, pervasa da un profondo sentimento di rispetto e di amore incondizionato. Conosci l’autore Manitonquat, il cui nome tradotto in inglese è Medicine Story (la storia che cura), è narratore, poeta e guida spirituale della nazione nativa americana Wampanoag. Svolge attività di insegnante e formatore sui temi della pace e della non violenza, della giustizia, dell’ambiente e della presa di coscienza per una società più giusta.Negli Stati Uniti è responsabile di un programma di sostegno per nativi nelle carceri. Ha pubblicato numerosi libri e articoli.