terza parte - viii

Perché non controlli
questo bambino?

Per modificare le opinioni di una persona, l’ascolto è uno strumento più efficace delle parole.

Harvey Jackins

I bambini smarriti nell’angoscia reagiscono male e poi vengono biasimati.

Tim Jackins

Ecco, ho dato enfasi al capitolo precedente con la sua semplice brevità per attirare la vostra attenzione e aiutarvi a ricordare. Ora vi dirò perché.


Prima di tutto, quali sono i vostri bisogni, i vostri obiettivi e desideri per i bambini affidati alle vostre cure? Forse volete che si comportino bene, che siano cooperativi, gentili e servizievoli con gli altri. Volete anche che sappiano aver cura di se stessi, che siano sani e protetti, e vi piacerebbe che avessero una curiosità attiva, una mente sveglia e partecipe che ami imparare e pertanto impari bene.


Ora riflettete. Credete davvero che farli sentire peggio li aiuterebbe a raggiungere questi obiettivi? Credete che vi ascolteranno di più e avranno maggior rispetto di voi se li punite, li ferite fisicamente o emotivamente, o se li private di libertà e privilegi?


I bambini non sono cattivi. Se agiscono facendo del male è perché hanno provato un dolore che ancora non è stato sfogato e compreso appieno, e perché non sono stati aiutati a ritrovare la loro naturale disposizione ad essere disponibili, attenti, giocosi e curiosi.

Aggiungere offesa a offesa non serve

Questo vale anche per il sistema della giustizia penale.

Tutte le persone ora chiuse in carcere sono state un tempo bambini innocenti feriti più e più volte senza aver mai ricevuto ascolto, comprensione e aiuto. Ogni recluso nei nostri cerchi desidera essere bravo, rendersi utile, dare in qualche modo un contributo positivo. Per quanto siano terribili le cose che hanno fatto, non è mai una scelta delle giovani persone che erano un tempo. Molti di loro possono ancora essere aiutati a guarire dalle ferite del passato, e vorrebbero aiutare altri a fare altrettanto, evitare ai giovani di essere feriti come lo sono stati loro. Ma è un argomento che meriterebbe un libro a parte.


Posso assicurarvi, dopo ottant’anni di esperienza personale come figlio e uomo, padre, insegnante e counselor, che non funziona. Tutte le ricerche sono concordi: a lungo termine la punizione non previene né fa da deterrente ai comportamenti indesiderati, né in famiglia, né a scuola, non nelle aziende e neppure in ambito giudiziario.


Se i bambini sono trattati bene e aiutati ad avere una comprensione migliore di se stessi, se sono aiutati ad avere una maggiore autostima, sono meno ribelli, meno ostili, non si uniscono al bullismo verso i bambini più deboli, è anzi probabile che contribuiscano a far cessare tali comportamenti. Le relazioni con i fratelli sono più intime e affettuose. Sono bambini che tendono a essere più ottimisti e fiduciosi, a mettere pace, a risolvere i conflitti, a far bene anziché male.


Ho sentito persone affermare: “Non c’è niente di sbagliato nelle punizioni. Chi trattiene la verga vizia suo figlio; guardate me, sono venuto su bene. Non potevo certo fare un casino con mio padre, avrebbe usato la cinghia, ma oggi grazie a quello sono un uomo migliore”. E dentro di me penso: “Lo sei davvero?”. So invece che questa persona avrà una quantità di problemi con se stessa, così come con i suoi figli o i suoi impiegati, che non avrebbe avuto se la relazione con il padre fosse stata intima e affettuosa.


Ricordo un cerchio di uomini di una trentina di anni fa, durante un campeggio in montagna. Venti di noi erano seduti attorno a un fuoco sotto la luna piena, e uno dopo l’altro iniziammo a parlare dei nostri padri. In tutto il cerchio non ci fu una sola descrizione positiva della relazione padre-figlio. I padri erano o assenti, o indifferenti, o aspri dominatori punitivi.


È un’esperienza che si è ripetuta e confermata nel corso di tanti anni facendo counseling con uomini che mi parlavano della loro infanzia. Mi sentivo fortunato ad avere un padre assente a cui non importava stabilire alcun legame paterno con me.


Forse molti di voi sono stati puniti in modi diversi, magari non picchiati ma umiliati, e fate del vostro meglio mentre amici e parenti non fanno altro che dirvi di essere più severi, che è necessario esercitare un controllo su quel vostro figlio ribelle e scatenato.


So che la mia giovane mamma sentiva il peso della pressione da parte della famiglia e della cultura. Sentiva che, non avendo un uomo, avrebbe dovuto non solo essere la madre affettuosa, incoraggiante e tenera che era per natura, ma una volta dovette forzarsi, come mi disse, e fare “il lavoro dell’uomo” punendo le mie malefatte. Quella volta me la ricordo che mi frustava sulle gambe nude con un ramo di salice mentre io strillavo e mi dimenavo. Non riuscivo a credere che la mia mamma adorata, affidabile e protettiva, mi stesse facendo una cosa simile. Il mio mondo si capovolse, ebbi paura.


Eppure, in qualche modo, sentii anche la sua paura e la sua confusione. Percepii la realtà del suo amore per me, il suo unico figlio, confermata ogni giorno. Ecco qualcosa che davvero non riuscivo a comprendere, e potei solo accettarla e tenere per me la mia confusione.


C’erano luoghi al mondo in cui ero solo e senza aiuto e avrei dovuto cavarmela da solo.


Spero che comprendiate che, per quanto possa essere folle, i genitori che vi punivano è molto probabile che vi amassero davvero. È solo che a volte non sapevano come esprimerlo e mostrarlo. Facevano ciò che sapevano, e voi avete dovuto trovare un modo per sopravvivere, per aver cura di voi stessi e vivere una vita positiva. Se non fosse stato così, ora non stareste leggendo questo libro.


I vostri genitori hanno fatto del loro meglio; hanno utilizzato ciò che avevano appreso, e forse sono riusciti a trattarvi un po’ meglio rispetto a come erano stati trattati loro; forse anche ad essere un po’ più affettuosi e intimi di quanto i loro genitori erano stati con loro.


Esistono molti modi di crescere un bambino e relazionarsi con lui; se si riesce a farlo sentire amato appieno e a dargli la sicurezza di una famiglia, è probabile che se la caverà. Ma la psiche umana è fragile e può essere danneggiata con più facilità di quanto non si creda.


Vorrei raccontarvi di un prigioniero in uno dei miei cerchi in carcere che aveva avuto un’infanzia e una formazione assai diverse dalla maggior parte degli altri. Non veniva da una famiglia distrutta, come era per molti, né povera, come per la maggior parte di loro. I suoi genitori erano piuttosto agiati e non aveva mai sofferto la mancanza di beni materiali. Non erano severi con lui e lasciavano che andasse per la sua strada. Con i suoi soldi poteva fare e ottenere quasi ogni cosa desiderasse.


Dunque qual è il punto? Se non è stato punito, allora perché si è rovinato? Non parlerò del suo crimine, ma era detenuto per scontare una lunga pena, dunque non si trattava di una cosa da poco.


Il punto è che è stato punito, non con intenzione, ma è stato trascurato, non ha ricevuto ciò di cui ogni essere umano ha bisogno per la propria integrità, per sentirsi bene e vivere bene. Non ha ricevuto amore. Forse i suoi genitori lo amavano, o credevano di amarlo – nella nostra cultura tendiamo a credere che i doni materiali siano indice del nostro amore. Forse pensavano che dargli piena libertà fosse un modo per esprimere il loro amore. Sono sicuro che sapete quanto questo sia sbagliato, perché in realtà lui era stato abbandonato.


I bambini hanno bisogno di essere accarezzati e abbracciati, di essere tenuti vicino e conoscere le persone che li circondano, essere a loro volta conosciuti e apprezzati per ciò che sono. Vogliono sentirsi voluti e vogliono sentire di appartenere. Vogliono fare cose interessanti e divertenti con la famiglia. Quel povero bambino ricco non era amato, era trascurato, abbandonato a cercare la propria strada in un mondo di altri giovani negletti, abbandonati, spesso abusati, un mondo con il suo facile accesso alle droghe, sostituto dell’amore che può essere comprato.

Ci sono molti modi per punire

Sì, sono molti i modi per punire e danneggiare la tenera psiche umana. La ragione per cui molti di noi ricorrono alle punizioni è la paura. Temiamo per la salute e la sicurezza dei bambini affidati alle nostre cure; temiamo che si facciano male o lo facciano ad altri, che danneggino oggetti o feriscano animali. Temiamo l’opinione degli altri, di essere giudicati se non addirittura apertamente criticati per il modo in cui trattiamo i bambini. Temiamo persino di mostrare un eccessivo attaccamento fisico, per quanto innocente, per evitare che desti sospetti.


Tutto questo avviene soprattutto perché siamo tanto isolati nelle nostre relazioni con i bambini (e perché esistono dei pericoli reali dovuti a malintenzionati, a loro volta danneggiati da questa solitudine). Non abbiamo aiuti nella nostra veste di genitori, insegnanti o di qualsiasi altro ruolo che implichi l’accudimento dei più piccoli. Gli ultimi due capitoli affronteranno proprio il tema dell’isolamento.


Puniamo spinti dalla paura, dalla rabbia, in segno di rappresaglia: “Così impari!”


Puniamo perché non sappiamo cos’altro fare, almeno è qualcosa: agiamo anziché essere sopraffatti dall’impotenza e dalla frustrazione. Siamo troppo stressati e stanchi per pensare. È più facile rimproverare e minacciare, che diventano punizione di per sé. Sono stato in famiglie dove la vera disciplina è quasi inesistente ma le arrabbiature, i rimproveri, le critiche, gli ordini e le imposizioni abbondano, senza gioia, senza risate né divertimento, e dove genitori e figli sembrano prigionieri in un’atmosfera di punizioni infinite per entrambi.


Ricordo un grande fumetto della mia infanzia: un padre con un figlio sulle ginocchia a sedere scoperto e la mano alzata pronta a colpire con una spazzola e la didascalia: “Questo ti insegnerà a non picchiare la gente!”


È uno dei motivi per cui è così importante aver cura di voi stessi: dovete sfogare e lasciar andare tutta la rabbia e il disappunto in modo sano, in un luogo che non sia vostro figlio. In tal modo potrete riflettere su come scegliere un approccio più efficace e positivo.


Potremmo persino essere incerti e dubbiosi in merito alle punizioni, forse ci sforziamo di utilizzarle perché il peso della nostra storia e della nostra cultura ce le fa credere necessarie.

Il fatto è che il controllo è impossibile.

Il controllo a cui aspiriamo è impossibile

Non si possono controllare le persone. Non a lungo termine. Forse potrete ideare una minaccia abbastanza forte da fermare qualcuno al momento, ma questo non è vero controllo, non appena la persona sarà fuori dal vostro raggio di influenza farà esattamente come desidera lei, non come pretendete voi. Punizioni eccessive possono funzionare per breve tempo con poche persone, ma i ladruncoli continuavano a borseggiare le folle che assistevano alle impiccaggioni dei ladri.


A volte le dittature durano una generazione, ma tutte finiscono per cadere. Sarà più facile, efficace e divertente se deciderete di lasciar perdere il controllo.

Esiste un modo migliore.


La Via del cerchio è ciò che propongo, avendola vista in azione nelle comunità native così come nelle comunità intenzionali dove il rispetto per i giovani, la creazione di un legame affettivo con loro e i rituali di ringraziamento sono parte della vita di ogni giorno.


Connessione, la si potrebbe chiamare, comprendendo che la disconnessione, l’isolamento, è l’atmosfera che respiriamo, dalla quale sviluppiamo i nostri sentimenti e le risposte al mondo.


Vi invito a riflettere ancora una volta su ciò che è necessario a un bambino. A parte il nutrimento, l’esercizio fisico, la salute, la sicurezza, a parte le necessità di base, i bambini hanno bisogno delle stesse cose che sono necessarie a tutti: sentirsi voluti, apprezzati, compresi e riconosciuti per ciò che sono, percepire la propria appartenenza, avere legami affettivi. Un bambino ha bisogno di informazioni su se stesso e il mondo, ha bisogno di piacersi e di sapere che gli altri lo amano e lo apprezzano.


Un bambino ha anche bisogno di scoprire e imparare le cose della vita per conto suo.


Ma crescere non dev’essere una battaglia, una lotta contro restrizioni e obblighi. Può essere invece una danza, la stessa che si osserva nei bambini di uno o due anni. Gattonano o trotterellano allontanandosi per esplorare; si guardano indietro per vedere se qualcuno li guarda, tornano indietro per rassicurarsi e si allontanano di nuovo un poco più oltre per esplorare cose nuove. Forse tornano con qualcosa da mostrare, trovano approvazione, imparano qualcosa in più e se ne vanno di nuovo. Si avventurano verso l’ignoto, tornano indietro per sentirsi sicuri e protetti.


È la danza della vita, e verrà ripetuta a ogni stadio della crescita in modi diversi se a casa la relazione è buona, esplorando sempre di più attraverso la scuola, gli amici, dalla pubertà all’adolescenza fino all’età adulta. Nella nostra società dell’isolamento i legami familiari e di parentela si logorano presto, si indeboliscono e si strappano, troppo spesso si perdono del tutto. La terapia della famiglia è un bisogno essenziale del nostro tempo.


La Via del cerchio è il modo in cui gli esseri umani diventano umani. L’essere umano sviluppa tutt’ora la sua innata cooperatività, disponibilità, gentilezza e compassione attraverso un’intima vicinanza. Quella con la madre durante la dipendenza dell’infanzia, e si spera anche con il padre e poi con altri membri del nucleo familiare unito: fratelli, nonni, zie, zii, cugini. Nelle migliori comunità native tradizionali questa unità e vicinanza si estende all’interno del clan e dell’intero villaggio.


Nell’antica lingua della mia gente non esisteva una parola per indicare “io” o “me”, era la stessa che indicava “noi”. Noi siamo la nostra gente, la nostra gente siamo noi.

Chiedete a un Diné1 tradizionale chi sia e lui vi dirà del clan in cui è nato, del clan di sua madre e di quello di suo padre, il nome della sua famiglia, del suo villaggio e della sua nazione. Ecco chi è.


Il cerchio è stato creato dai nostri antenati non solo per proteggersi e sopravvivere, ma perché la vita fosse migliore. Per questo l’essenza del cerchio è la vicinanza, la cooperazione e la gentilezza.

L’aiuto e l’apprendimento per un bambino di un villaggio che segue la Via del cerchio vengono non solo da mamma e papà e dai familiari più stretti, ma anche dagli anziani e dai giovani dell’intera comunità. Poiché è improbabile che avreste letto questo libro se steste già vivendo in una simile comunità, negli ultimi due capitoli condividerò con voi quello che ho imparato sui modi per sviluppare un aiuto simile per voi e i vostri figli.


La prima parte delle considerazioni che riguardano la formazione di un forte legame inizia prima della nascita di un bambino. È relativa al legame e alla cooperazione dei futuri genitori. L’argomento, per quanto importantissimo, non rientra nei limiti di questo libro, ma se avrò vita a sufficienza me ne occuperò in un altro libro. Il legame fra madre e figlio avrà preso l’avvio nel grembo materno e dal momento della nascita l’arricchimento e la crescita di quel legame è nel migliore interesse di entrambi, così come della famiglia e della comunità, nonché del mondo intero. Sarà di primaria importanza per la salute e il benessere del bambino, per la gioia e la comprensione della madre, della famiglia e della comunità.


A ogni stadio il bambino beneficierà dell’amore e della conoscenza della madre; sarà utile soprattutto durante gli scatti di crescita e il disorientamento sociale della pubertà e dell’adolescenza. Così tanti giovani stanno cercando da soli la propria rotta attraverso acque turbolente perché il legame non è abbastanza forte da consentirgli di riporre la fiducia nei genitori, e sono lasciati a scegliersi una strada in balìa dello smarrimento dei coetanei.


Mi auguro che ogni madre possa avere la comprensione e la collaborazione del padre di suo figlio o di qualche altro adulto amorevole in grado di offrirle un sostegno e di essere incluso in questo legame di fiducia.


Tutti i membri della famiglia possono essere inclusi nel legame di amore e aiuto. I fratelli, che si sentono anch’essi altrettanto speciali e considerati, partecipano del legame familiare, il neonato è il fratellino o la sorellina che avrà bisogno del loro aiuto e di cui andranno fieri.


Genitori, famiglia e comunità non dovrebbero focalizzarsi sull’obbedienza o sugli obblighi, sul seguire regole e direttive, ma sulla qualità delle relazioni. E questo dipende dalla fiducia e dalla comunicazione, dal comprendere e dall’essere compresi, dalle gioie comuni, dal divertirsi, dallo stare vicini e dall’affermazione reciproca.


Le punizioni spezzano il legame, creano lotte di potere, trasformano gli alleati in nemici. I genitori tentano di spiegare la punizione: “Lo faccio per il tuo bene”, “Lo faccio solo perché ti amo”, “Così imparerai”, “Fa più male a me che a te”. Forse che una qualunque di queste frasi ha avuto senso per voi quando eravate giovani?


I bambini hanno bisogno di appartenere, di sentirsi legati affettivamente, a loro certo non serve che il legame sia messo a repentaglio, così come non hanno bisogno di essere lasciati soli o abbandonati. Per loro è invece più che mai necessario il nostro amore e la nostra comprensione, i migliori che possiamo mettere in campo.


Il bambino è un nuovo venuto, uno straniero in terra straniera, non conosce ancora le abitudini e i costumi della gente. Come vi rivolgereste e come fareste da guida a uno straniero, a un visitatore forestiero?


Non vorrete un bambino che segue le regole solo perché glielo avete ordinato, o solo perché sono regole. Questo è l’atteggiamento di coloro che hanno permesso la deportazione nei campi di concentramento, perché quelli erano gli ordini, e quelle erano le regole.


Vogliamo bambini che siano in grado di prendere delle decisioni per conto proprio, quando noi non siamo presenti con le nostre regole e restrizioni, le nostre prediche e critiche, verso le quali hanno da tempo spento i recettori. Vogliamo che sviluppino il rispetto, e possono impararlo solo se vengono rispettati e se ci vedono rispettare gli altri.


Vogliamo che siano umani e comprensivi verso gli altri e sono qualità che si sviluppano solo se a loro volta sono trattati con comprensione e umanità. Vogliamo che siano sicuri di sé e fiduciosi nelle proprie capacità, e apprezzandoli li stimoleremo in tal senso. Possono pentirsi e dispiacersi per aver causato dolore e tuttavia continuare a pensare a se stessi come persone buone e valide, soprattutto se li aiutiamo a capire come risolvere le situazioni agendo per il futuro con maggiori informazioni, chiarezza di pensiero e compassione.


Jean Liedloff riporta che fra gli Yequana a un bambino non si dice mai che è cattivo, o che fa sempre la cosa sbagliata. “Non sente mai di essere cattivo; solo, al massimo, di essere un bambino adorabile che sta compiendo un’azione indesiderata.” Afferma che è il bambino stesso a voler smettere di fare qualsiasi cosa che possa dispiacere alla sua gente, e commenta con tristezza: “La vera gioia, lo stato in cui gli Yequana trascorrono la maggior parte della loro vita, è oltremodo rara da noi.”


Anziché essere i loro persecutori, giudici, giuria e guardiani, vogliamo essere le loro guide, i loro consiglieri, difensori e alleati. Vogliamo aiutarli a comprendere se stessi e le insidie della vita, a sviluppare l’autocontrollo e tutte quelle abilità che servono alla risoluzione dei problemi.


Per questo dobbiamo sviluppare un legame con loro, che le punizioni distruggono. L’obbedienza forzata innalza barriere, le punizioni feriscono, le intenzioni si smarriscono e tutto sembra inutile. Prendono corpo atteggiamenti di sfida, rabbia, ribellione o aggressione passiva, si interrompe la comunicazione e si premia la menzogna. Adulti e bambini si sentono entrambi incompresi.


Anziché punire dobbiamo facilitare l’intimità, che vuol dire comunicazione, ascolto. Più ascolto e meno prediche. Ricordate, la prima volta che dite qualcosa a un bambino è un’informazione, forse la seconda potrebbe essere un semplice memorandum – se si presta ascolto alle reazioni del bambino – ma la terza e le successive non sono altro che l’ennesima predica.


Aiutare i bambini con le cose da imparare, con l’autodisciplina, la salute fisica, il benessere emotivo, le relazioni con gli altri, tutto funziona meglio se c’è un buon legame affettivo. Un forte legame emotivo; che fosse un genitore, un nonno, un fratello, un insegnante, un medico, un terapeuta o un amico, colui che ha significato di più per noi e ha influenzato di più la nostra vita è colui che amavamo più di ogni altro.


A nessuno piace essere comandato, non vogliamo vivere in una famiglia o in uno stato dittatoriale. Non si va da un medico di cui non ci si fida, che non ci ascolta quando parliamo e pensa solo a dare direttive. Accettiamo direttive e consigli solo dalle persone di cui abbiamo fiducia. Più ci fidiamo e più accettiamo ciò che ci viene dagli altri. La fiducia scaturisce dalla vicinanza, dall’amore, dal mutuo comprendersi e apprezzarsi.


Perciò è tanto meglio e tanto più semplice se l’attaccamento emotivo iniziale fra l’adulto e il bambino, che prende le mosse da quello fra madre e neonato per poi estendersi anche ad altri, quell’attaccamento che crea un legame di fiducia, affetto e comprensione, è tanto meglio e tanto più semplice, dicevo, se non viene spezzato mai. E se invece accade? Se invece non v’è fiducia sulla quale fondare una disciplina creata insieme da adulto e bambino? E se il bambino non è nostro figlio? Come creare fiducia con un membro della nostra comunità, uno studente, un paziente o un cliente?


Anche in questi casi è ancora possibile e del tutto auspicabile che anziché punire si cerchi una vicinanza, una fiducia, una partecipazione comune per giungere a una comprensione reciproca e a un modo accettabile di lavorare insieme.


Lo strumento è sempre lo stesso: l’ascolto. Tanto ascolto. Ascolto e comprensione. Accertatevi di aver compreso verificando con il bambino e poi lavorando insieme per decidere quali siano i passi da compiere per soddisfare al meglio i suoi bisogni.


Vogliamo crescere dei bambini che si sentano partecipanti, non vittime. Persino le regole che devono essere imposte, come non picchiare, non giocare in mezzo alla strada e così via, devono essere accettate. Il che significa cose diverse a età diverse, ma sin dal momento in cui sono abbastanza grandi per discutere una regola, dovrebbero essere ascoltati per bene e ricevere una risposta con l’atteggiamento di chi elabora un pensiero condiviso, esplorando le possibili soluzioni e collaborando alla ricerca di una comprensione reciproca e di un accordo. È naturale che a volte gli accordi si possano rompere. Le conseguenze, perché siano efficaci, non devono essere punitive, bensì un’ulteriore partecipazione ed esplorazione alla ricerca di una soluzione accettabile per entrambi.


Vorrei rimandarvi ancora una volta al lavoro di Thomas Gordon, per il quale sono tre gli stili fondamentali con cui relazionarsi con un bambino: il primo è quello dell’adulto che dà ordini a cui il bambino deve obbedire; il secondo è quello del bambino che detiene il controllo della situazione e fa ciò che desidera; nessuno di questi funziona bene. Il terzo stile di relazione è quello che usavamo nella nostra comunità e a cui davamo il nome di “risoluzione”. Con questo sistema adulto e bambino utilizzano il metodo della risoluzione di problemi per giungere a una soluzione senza perdenti su cui entrambi concordano. È un processo che ha funzionato bene per tutti noi, anche con bambini che ancora non parlavano e potevano solo accettare o rifiutare una proposta con un cenno della testa. Ulteriori dettagli si trovano nel libro di Gordon citato in bibliografia.

Che dire del metodo denominato a volte come “conseguenze”, o del “time-out2”? E le “ricompense”? Sono dei buoni sostituti delle punizioni?


La mia impressione sulle “conseguenze” è che esse non siano vere conseguenze, la naturale, inevitabile reazione a un comportamento. Sono conseguenze inventate e imposte e i bambini riescono a vedere attraverso il trucco e ben presto le giudicano per ciò che sono in realtà: delle punizioni.


Il time-out è alla stregua di un vero e proprio castigo? Dipende. Credo che sia spesso utilizzato con intenti punitivi, e ritenuto tale dalla sensibilità infantile. Ma credo anche che ci siano momenti in cui il genitore ha bisogno di una pausa. Non siamo rilassati, siamo tesi, ci irrigidiamo e rispondiamo troppo in fretta, bruscamente, irritati e sgarbati. Siamo noi ad aver bisogno di un time-out. Suggerisco di lasciar perdere quello che ci ha fatto innervosire e di fare qualcosa di più divertente per entrambi. Insieme se è possibile, oppure separati se questo facilita le cose. Ristoratevi, magari chiamate un amico, sfogatevi e ripensate il vostro approccio al problema. Poi riprendetelo in mano e ascoltate. Troppo spesso il time-out è solo un eufemismo contemporaneo per “vai in castigo nell’angolo” o “resta nella tua stanza finché non sei in grado di comportarti come si deve”.

Le “ricompense”, a ben guardare, condividono con le punizioni molti degli stessi effetti negativi. Anziché essere nella veste del nemico siamo in quella del dispensatore di premi, ma questo non ci avvicina di più al bambino né lo rende più comprensivo nei nostri riguardi. Non ci accontenta perché concorda o capisce la situazione, ma solo per una remunerazione. E se il pagamento viene rifiutato, lo percepirà come una punizione. Ci ritroveremo ancor più isolati e avremo incoraggiato l’etica del consumismo, per cui il valore risiede nelle ricchezze materiali e in ciò che si possiede, non nell’affetto, nell’intimità e nel divertimento che scaturisce dal fare le cose insieme.

Comunione anziché controllo

È probabile che mi ripeterò nel corso dei prossimi capitoli, ma per fissare le attività e gli atteggiamenti di fondo raccomandati in questo, potrei semplificarli in due parole:


Ascoltare… e abbracciare.

Ascoltare è l’attività che serve per cercare di comprendere il bambino, che parli o rida, pianga, urli, corra, salti, balli, lanci oggetti, colpisca o semplicemente stia fermo in una certa posizione con una certa espressione sul volto.


Abbracciare è l’affetto, l’apprezzamento e il far mostra del proprio amore, che sia con un abbraccio, una pacca sulla schiena, un arruffare i capelli, una stretta di mano, un incitamento, un restare senza fiato o una parola di apprezzamento.


L’ascolto è la posizione di partenza alla quale torneremo sempre quando saremo confusi o combattuti, o se le cose non andranno per il verso giusto.

L’abbraccio è ogni momento in cui possiamo rilassarci e esprimere gioia per i doni della vita e dell’amore, e per i meravigliosi bambini con cui ci è dato stare insieme.


Anche se a lungo termine è davvero impossibile controllare un qualsiasi essere umano, è assolutamente possibile e necessario fissare dei limiti per i bambini affidati alle nostre cure; ne va della loro salute e sicurezza, nonché della nostra salute e pace mentale. Sarà l’argomento del prossimo capitolo.

Crescere insieme nella gioia
Crescere insieme nella gioia
Manitonquat (Medicine Story)
Prendersi cura dei bambini nella via del cerchio.Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, ci insegna a trasformare la vita quotidiana con i bambini in un’avventura consapevole e gioiosa. Crescere insieme nella gioia è un progetto meraviglioso che per noi genitori del ventunesimo secolo è difficile anche solo immaginare, ma si può realizzare. Significa vivere con piena consapevolezza il nostro coinvolgimento con l’ambiente che ci circonda e gli accadimenti del momento; quando siamo con i bambini, in una sintonia profonda, loro ci rendono partecipi del loro coinvolgimento, ci aprono le porte per esplorare nuovi mondi, e l’esperienza può essere condivisa a tutto tondo. Presi dal vortice frenetico delle preoccupazioni, dei ritmi di lavoro e delle esigenze familiari, non siamo neppure consapevoli dell’immensa solitudine che ci circonda, dell’incredibile e innaturale condizione dell’essere adulti del tutto soli (o quasi) a mandare avanti una serie di compiti che richiederebbe invece la presenza di un’intera tribù di persone, le quali, un tempo, sentivano l’urgenza di legarsi, di stare vicine, di cooperare e di unirsi in entità più grandi. Gli esseri umani hanno bisogno di legami affettivi e della vicinanza dei loro simili.Il processo di apprendimento per diventare un essere umano completo richiede quindi legami che forniscono un aiuto prezioso per guidare e proteggere il bambino fino alla sua trasformazione in un vero e proprio adulto; chi lo circonda dovrebbe instillare in lui fiducia e autostima e offrire il necessario senso di appartenenza. Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, con la sua esperienza quarantennale a contatto con i bambini e le loro famiglie, ci illustra un bellissimo percorso alla scoperta dei tanti strumenti a nostra disposizione per trasformare la vita quotidiana con i bambini e i ragazzi in un’avventura divertente, consapevole, gioiosa; offre ai genitori aiuti preziosi per prendersi innanzitutto cura di loro stessi, per guarire le proprie antiche ferite e guardare alla relazione con i più giovani da una prospettiva nuova, pervasa da un profondo sentimento di rispetto e di amore incondizionato. Conosci l’autore Manitonquat, il cui nome tradotto in inglese è Medicine Story (la storia che cura), è narratore, poeta e guida spirituale della nazione nativa americana Wampanoag. Svolge attività di insegnante e formatore sui temi della pace e della non violenza, della giustizia, dell’ambiente e della presa di coscienza per una società più giusta.Negli Stati Uniti è responsabile di un programma di sostegno per nativi nelle carceri. Ha pubblicato numerosi libri e articoli.