quarta parte - x

La via del cerchio

È possibile che il prossimo Buddha non assuma la forma di un individuo. Il prossimo Buddha potrebbe assumere la forma di una comunità – una comunità che pratichi la comprensione e la gentilezza amorevole, una comunità che pratichi un vivere consapevole. Potrebbe essere la cosa più importante che possiamo fare per la sopravvivenza della Terra.

Thich Nhat Hanh

Voglio iniziare a costruire un villaggio della Via del cerchio che possa essere d’esempio al mondo… chi vuole venire a giocare con noi e cominciare a costruire un villaggio e un mondo adesso?

Manitonquat

Il primo proposito del cerchio era di aiutare la gente, e il primo proposito della gente era di aiutare il cerchio.

Manitonquat

Vi sarete forse chiesti cosa sia questa “Via del cerchio” citata nel titolo. La Via del cerchio è il modo in cui molti di noi hanno iniziato a immaginare come adattare il meglio di ciò che gli esseri umani avevano sviluppato in più di diecimila anni di vita comune sulla Terra. Per me include tutto quello che mi è stato insegnato da molti saggi anziani delle Prime Nazioni, e che ho imparato da genitori nativi che cercano di allevare i propri figli secondo la tradizione, nelle regioni del Nord America. Include anche quello che ho raccolto parlando con indigeni giovani e anziani provenienti da ogni continente e che ho incontrato in molti raduni, o con i quali ho scambiato una corrispondenza quando ero un redattore della rivista dei nativi Akwesane Notes.


Ho trasmesso queste informazioni nei cerchi della piccola comunità che creammo nel New Hampshire negli anni ’70, e durante i campi e i seminari per famiglie a cui ci dedichiamo da trent’anni.

Il sacerdote e guaritore oglaga Nick Black Elk1 disse che tutto quello che la nostra gente fa lo fa in cerchio perché il potere del mondo agisce in cerchi. Se estendiamo la nostra concezione di cerchio fino a includere sfere, ovali, ellissi e spirali, la cosa sembrerebbe vera. Notò che quando eravamo un popolo forte e felice tutto il nostro potere proveniva dal sacro cerchio delle persone. In quel concetto di cerchio v’è la convinzione che tutte le cose siano legate fra loro e siano sacre. La Creazione è viva, e tutta la vita, tutte le creature, tutte le persone sono unite fra loro e sacre. Perciò i bambini sono sacri, le donne, gli uomini, gli anziani, tutti ugualmente importanti e sacri, e il cerchio di tutti loro, le nazioni, le comunità e i clan, erano tutti sacri e importanti allo stesso modo perché tessevano la rete della vita per le persone.

Nel pensiero e nella considerazione delle persone il cerchio era di importanza capitale, derivava i suoi poteri dallo spirito che unisce tutto; il pensiero e la considerazione del cerchio era per ogni singola persona, bambino, donna, uomo e anziano, e dava loro la sua forza. Il primo scopo del cerchio era di aiutare le persone, e il primo scopo delle persone era di aiutare il cerchio.


Qualsiasi posizione una persona occupasse nella comunità non era per il potere o l’onore che ne derivavano, in quanto queste cose avrebbero intralciato lo scopo di quella posizione, che era di servire e tornare utile. Le persone gioivano non nell’accumulare o nel possedere, ma nell’essere un tutt’uno con gli altri, con i bambini e gli anziani, con le piante e gli animali, con il vento, l’acqua, la Terra, il sole, la luna e le stelle.


Poiché i bambini tirano fuori la tenerezza dalle persone, e poiché il legame con loro è una gioia, la tenerezza e la gioia sono i loro doni.


A un certo punto della loro vita molti, se non la maggior parte, cercheranno un significato, il significato della propria esistenza. Perché siamo qui? Quale dev’essere il nostro contributo? Nel mezzo di una carriera gratificante e di successo in teatro sentii che avevo bisogno di una risposta migliore a queste domande. Il mondo aveva bisogno di una risposta migliore da me. Così, dopo dodici anni eccitanti in cui avevo fatto ciò che mi piaceva e che sapevo fare meglio, lasciai il teatro e, dopo alcune ricerche, incontrai degli anziani che mi parlarono delle istruzioni originarie per gli esseri umani e di come erano andate perdute nella cultura dominante colonizzatrice. Questo mi cambiò la vita e mi avviai per un sentiero nuovo, imparando e divulgando il modo in cui l’essere umano potrebbe seguire queste istruzioni alla luce della conoscenza moderna e delle condizioni sociali odierne.


Il quadro ideale che ho tracciato della vita nei cerchi non è completo, è solo la parte migliore. Ci sono stati luoghi e cerchi nella nostra storia in cui le pratiche si sono trasformate in tradizioni stagnanti, che hanno limitato il pensiero e hanno impedito la crescita per devozione o paura. Ma quando il rispetto su cui gli anziani insistevano è stato mantenuto, quando il pensiero e la creatività di tutti sono stati presi in considerazione e onorati – soprattutto quelli dei bambini – nella vita delle persone la forza e la resilienza si sono sviluppate, insieme alla premura, alla compassione, alla gentilezza e alla gioia.


Black Elk aveva anche richiamato l’attenzione sul fatto che il cerchio sacro della sua gente era stato distrutto dai conquistatori, e questo gli aveva spezzato il cuore. Ma dopo la sua morte, nei primi anni cinquanta, le sue preghiere e la visione che aveva concepito della sua nazione e della Terra iniziarono a suscitare entusiasmo, a essere conosciute dalle nuove generazioni e a risollevare lo spirito di tutte le popolazioni native per ritrovare la strada verso il cerchio sacro.


Attraverso i miei studi di antropologia ho capito che è stato il cerchio a trasformarci in esseri umani, che prendersi cura dei bambini per tutti gli anni che servono a diventare individui adulti ci ha reso teneri e compassionevoli, ci ha incoraggiati a coltivare la curiosità e la meraviglia per tutto il corso della vita, a non perdere mai la gioia e la giocosa vivacità dell’infanzia.


Come insegnante, educatore e fondatore di scuole, partecipante alla fondazione di comunità consapevoli, conduttore di seminari e campi per famiglie, nonché come padre e nonno, la mia esperienza non ha fatto altro che avvalorare queste convinzioni e aiutarmi ad affinare gli strumenti che servono a renderle effettive. Poiché desideriamo tutti che i bambini crescano sviluppando appieno il proprio potenziale, ecco alcuni pensieri orientati alla Via del cerchio sui quattro àmbiti propri di un essere umano completo (tendo a organizzare il pensiero in quattro sfere, secondo la maniera nativa, come nelle quattro stagioni e nei quattro punti cardinali).

Il Nord – La direzione del corpo

Il primo aspetto da considerare è quello fisico. Include la necessità di provvedere un ambiente sano e sicuro per noi stessi e i nostri cari, estendendosi fino a includere un vicinato, una comunità, una nazione e un pianeta sani e sicuri.


I cibi saranno quelli più sani, si avranno acqua e aria pure e pulite, esercizio fisico e gioco a sufficienza, il riposo e il sonno saranno garantiti, si baderà che tutta la famiglia goda di buona salute e, se necessario, saranno disponibili cure mediche. Sono argomenti su cui una famiglia e una comunità potrebbero riflettere insieme ai bambini, includendo i loro pensieri nel processo decisionale.


Quello che non serve e che molti di noi hanno già in eccesso sono i beni materiali. Affastelliamo la nostra vita di oggetti e confondiamo i bambini e noi stessi con troppi giocattoli e cianfrusaglie. Si trae un piacere molto maggiore dal mondo materiale quando non si acquistano, posseggono e ammassano collezioni di paccottiglia. La pubblicità, i cataloghi, i centri commerciali ci allettano inducendoci in eccessi che sono reclamizzati come forieri di piacere e soddisfazione, ma che forse riescono nell’intento solo per poche ore prima di finire su uno scaffale, in un ripostiglio o una soffitta. I bambini traggono più piacere dalle scatole con cui sono confezionati i giocattoli che dai giocattoli stessi.

Quando ci sbarazziamo delle nostre cose con una yard sale2 ci sentiamo sollevati e purificati, almeno finché non arriva il prossimo catalogo o la prossima svendita. Leggiamo Thoreau e decidiamo di semplificare – ci avvicineremmo di più a noi stessi e alla vita in un’umile capanna nei boschi di Walden?


I legami sono importanti per sfuggire all’isolamento e alla solitudine della nostra cultura, e il contatto fisico è importante nel creare e mantenere un legame. Abbracci, coccole, pacche amichevoli, lotta, star seduti in braccio, sono cose che fanno star bene i bambini e tutti noi. Tanto tempo fa visitai una comunità nelle Trinity Alps della California dove, al mattino, tutti si riunivano per spazzolarsi i capelli a vicenda, adulti e bambini, uomini e donne. Era un rituale affettuoso e rassicurante che piaceva a tutti.

L’Est – La direzione della mente

La seconda direzione riguarda la mente. L’istruzione primaria nei bambini, radicata in ogni cellula che si sviluppa, è quella di crescere e imparare. Tutto per loro fa parte dell’apprendimento, il gioco, il divertimento, le esplorazioni, le osservazioni, il loro esprimersi. Apprendono una quantità incredibile di cose nei primi anni di vita, come controllare il proprio corpo, le mani e le dita, le gambe e i piedi, la vescica e gli sfinteri, imparano una lingua intera, a parlare, leggere e scrivere. Imparano presto perché lo vogliono, e si dedicano al compito senza riserve. Quando cerchiamo di insegnar loro qualcosa tendiamo troppo spesso a interferire con il desiderio di imparare. Per loro imparare è divertente, e quando sono liberi di seguire i propri interessi e divertirsi sono allievi straordinari. Ma se cessa il divertimento e l’apprendimento viene imposto in maniera troppo veloce e confusa, o troppo lenta e noiosa, o troppo rigida, perdono interesse e la loro voglia di imparare appassisce. Come ho già ricordato, John Holt soleva dire che se tentassimo di insegnare ai bambini a parlare nel modo in cui cerchiamo di insegnare loro a leggere, ci impiegherebbero molto di più a parlare, forse anni. Ecco in estrema sintesi cos’è che non va con i nostri sistemi educativi. Non sono impostati per rendere divertenti le materie, e restringono la libera gamma degli interessi dei bambini.


Non dobbiamo preoccuparci troppo di sviluppare la mente dei nostri figli. Se riusciamo a rendere disponibili le risorse, e se le utilizziamo noi stessi, le useranno anche loro. Vogliono esplorare, sono molto curiosi. Se siamo i primi a leggere e leggiamo anche a loro, se andiamo in biblioteca ed esploriamo con loro, se cerchiamo insieme le risposte sul dizionario, le enciclopedie e internet, perseguiranno i loro interessi e acquisiranno un’abitudine all’apprendimento che durerà tutta la vita.


Mia madre mi leggeva con regolarità, adorava i libri e la letteratura – il centro della nostra casa era la libreria. Discuteva libri e film con me, e mi ascoltava quando le riferivo in dettaglio la trama di ogni storia. Mi regalava libri e mi portava al cinema e a teatro. Quando scoprii un vecchio disco di Caruso che era stato di sua madre, la mia, che non sapeva nulla di musica né aveva alcuna dote musicale, mi comprò, su raccomandazione di un commesso, un disco della quinta e sesta danza ungherese di Brahms. Da allora ha stimolato in me una duratura passione all’ascolto e all’apprendimento di ogni genere di ottima musica. E questo ha arricchito la mia vita più di ogni altra singola attività.


Nel salotto di mia nonna c’era un vecchio pianoforte a mezzacoda, un dono di mio nonno, morto prima che io nascessi. Sapevo che lei cantava e suonava molto bene, ma non l’avevo mai sentita. Gli adulti si riunivano tutti nella biblioteca al piano di sopra e il salotto restava deserto, un pezzo da museo. Io ero magneticamente attratto da tutti quegli affascinanti tasti d’avorio, e sedevo al piano per ore infinite, assaporando in solitudine i suoni che riuscivo a produrre. Da quando avevo quattro anni non avevo perso occasione per esplorarli ogni volta che andavamo a far visita alla nonna, che viveva solo a mezzo chilometro da casa nostra, e all’epoca della scuola superiore avevo imparato da solo a suonare tutti i motivi in voga all’epoca. Tutta la vita ho sentito persone che mi dicevano quanto avrebbero desiderato suonare, ma i cui genitori li avevano forzati a prendere noiose lezioni e così avevano abbandonato lo studio appena possibile e non avevano mai imparato.


Da allora, ho suonato in un’orchestra da ballo nell’Esercito, ho fatto parte di un complesso jazz di New Orleans e di vari gruppi rock negli anni ’60 e ’70; nel frattempo mi guadagnavo la cena suonando nei ristoranti su e giù per la costa del Pacifico, e per tre anni ho suonato con un’orchestra locale ogni settimana, il cui repertorio erano i vecchi successi di quella prima era del rock.

La curiosità, il desiderio e la capacità di imparare sono innate in ogni essere umano. Se solo esponiamo i bambini alle meraviglie del mondo e alla possibilità di esplorarle e scoprirle, vorranno apprenderle. Quello che li intralcia è farli stare seduti per ore ogni giorno con un sacco di altri bambini sottoposti a nulla di curioso, eccitante o rilevante per i loro interessi – un’ora di matematica, un’ora di storia, un’ora di biologia – e così via, solo memorizzare e rigurgitare quello che è stato detto loro. E non bastano le ore di scuola, ma si prosegue nel pomeriggio con i compiti rubando all’infanzia altre ore preziose, mentre incombe su tutto il timore e l’umiliazione delle interrogazioni e dei voti, uccidendo ogni possibilità di gioia e delizia nella scoperta delle meraviglie del mondo.


Uno dei corsi migliori che ho seguito alla scuola superiore è stato, un anno, quello di biologia, non tanto per la materia, di cui non ricordo nulla, ma perché il professore era un supplente arrivato all’ultimo istante ed era un professore di Inglese anziché di scienze. Non provò neppure a insegnarci le nozioni del testo, ci portava invece ogni giorno in gita a osservare la natura. Pensate! Niente libri, né lavagne, né lezioni. Camminavamo tutti nei boschi, nei campi e lungo la riva del fiume. Osservavamo i fiori e gli alberi, gli uccelli e le libellule; restavamo stupefatti di fronte alla grande rete della vita. Ho dimenticato tutti gli altri corsi e quello che era scritto sui libri di testo, ma ricordo ancora quelle escursioni.


Un altro professore di Inglese ebbe grande influenza su di me a quel tempo. Era anziano e canuto, con occhi brillanti e tutti lo chiamavamo “Capo”. Aveva una predilezione per le mie composizioni scritte e mi incoraggiava a indulgere con la fantasia e a scrivere storie mie anziché le relazioni sui libri assegnati. Mi consigliò di scrivere seguendo le mie passioni o qualsiasi cosa avessi a cuore.


Ero infiammato da digressioni eccessive in dettagli sensuali che oggi mi sentirei senza dubbio imbarazzato a leggere – ma che rispecchiavano il me stesso di allora, all’inizio dell’adolescenza. E forse mi rispecchiano ancora.

Raccontar storie

I bambini adorano le storie, tutti le amiamo. Sono il mezzo di trasmissione della conoscenza e dell’interpretazione del mondo da una generazione alla successiva sin dall’inizio dei tempi. I bambini oppongono resistenza alle prediche e alle lezioni, come tutti del resto, ma si deliziano nell’ascolto delle storie e ne cercano il significato nel profondo del cuore, assorbiti dal desiderio di esplorare e imparare, nonché dal bisogno di giustizia e di riequilibrio delle forze disarmoniche.


Mio nonno era un grande storyteller; quando voleva impartirmi una lezione sul comportamento, sul rispetto o la tolleranza, allargando la mia coscienza del mondo, mi raccontava una storia. A volte era una storia della tradizione nativa, altre una semplice storia inventata che parlava di animali nel bosco, nei campi o sulla riva del mare. Le sue storie sono ancora vive in me, e sono una delle ragioni per cui oggi continuo a scriverle e a raccontarle ovunque alla gente.


Gli insegnamenti che si rivelano tanto oppressivi e noiosi a scuola, prendono vita dentro di noi attraverso le avventure di altri descritte in un racconto. Le storie di Astrid Lindgren, ad esempio, nutrono il cuore e la mente di tanti bambini svedesi e di molti altri nel mondo. Ogni bambina che conosco è stata deliziata e resa più forte dalle avventure di Pippi Calzelunghe.


Quando ero figlio unico inventavo storie per i miei tanti burattini da dito, e poi per il teatrino che mi fu regalato con molti personaggi di piombo. Mi piaceva tanto anche la lettura che mia madre mi faceva quasi ogni sera, ed ero impaziente di raccontare le mie storie durante le visite quotidiane che facevo alla nostra anziana vicina, la signora Waters, ai Browns, una coppia di pensionati che viveva in fondo alla strada, e ai miei bisnonni, nella strada accanto. Poi arrivò il meraviglioso mondo della radio, che senza gli schermi panoramici della televisione di oggi, offriva un intero regno all’immaginazione.

Nella scuola secondaria, l’insegnante che più ha influenzato la mia gioventù, Francis Hyde Bangs, mi insegnò a mettere in discussione tutto quello che mi veniva insegnato, ogni asserzione di ciò che leggevo, ma anche a leggere e a riflettere sulle verità vive nella letteratura di ogni Paese.


Ricordiamo con vivacità gli insegnamenti delle tradizioni spirituali del mondo solo perché sono state raccontate attraverso delle storie.


Perciò, se volete che qualsiasi bambino accolga le vostre verità, io vi imploro: non impartite lezioni, non fate prediche, non provate neppure a insegnare, ma raccontate una storia.

Il Sud – La direzione del cuore

La terza direzione è quella del cuore. Una delle storie preferite fra quelle che mi raccontava mio nonno è quella di Primo Uomo, a cui, quando chiese alla nonna come sapere ciò che doveva fare, fu detto “Segui il tuo cuore”, e quando domandò in che modo, ella gli rispose di chiedere al suo cuore: “qual è la cosa più amorevole che posso fare in questo momento?”. L’amore in tutto il mondo è al centro delle religioni e delle filosofie, è il tema più popolare di narrativa, musica popolare, cinema e televisione, psicoterapia e libri di auto aiuto. Non si può definire, non c’è accordo su questo, ma sappiamo quando è assente, lo sentiamo e ci manca da morire. È il vero centro del nostro essere. Si dice sia ciò che fa girare il mondo, e spesso che “Dio è amore”. Immagino voglia dire che la forza della Creazione che guida tutto l’esistere sia ciò che chiamiamo amore.


Come nell’affermazione famosa di Eric Fromm, l’amore è un’arte. Non un’emozione, ma una capacità creativa interpersonale. Tutti ne possediamo il potenziale alla nascita; se siamo amati sboccia in noi, ma se non lo siamo, se il mondo non ci fa sentire al sicuro, potremmo non apprendere quest’arte, reagendo al contrario con paura o rabbia per poter sopravvivere. Parlare ci viene naturale, ma per parlare bene dobbiamo studiare l’arte del discorso. Ameremo con naturalezza se saremo incoraggiati e ci sentiremo voluti, ma amare bene è anch’essa un’arte che può essere appresa: amare se stessi, la propria famiglia e gli amici intimi, la propria comunità, gli stranieri e i nemici. Gran parte dei testi e dei maestri religiosi ci dicono di amarci l’un l’altro, ma non ci spiegano come fare.


Non intendo dire che mi ritengo un maestro di quest’arte, sono piuttosto ancora uno studente. Riesco a vedere in me quanto ancora devo imparare, ma anche quello che in 84 anni di vita sono riuscito ad apprendere. Posso riflettere sull’esempio che sono riuscito a dare ai miei figli e quanto so esprimere ora di quest’arte con tutti i bambini, compresi i miei nipoti, ma so anche vedere le mie mancanze.

Sue Gerhardt, nel suo libro Perché si devono amare i bambini3, scrive che secondo la ricerca tutti i neonati arrivano aspettandosi un’interazione sociale, e il pieno sviluppo del loro cervello, del sistema immunitario, dell’intelligenza emotiva, della sicurezza di sé e dell’abilità di regolare i propri sentimenti dipende dall’esperienza con adulti amorevoli che mostrino interesse verso di loro e reagiscano in modo positivo. In altri parole che li amino. Scrive anche: “…dobbiamo tornare indietro alle origini della vita emotiva, ai primi processi che hanno determinato le nostre traiettorie emozionali – al neonato e al suo ambiente emotivo.”

È più facile farlo con chi è molto giovane, e impara e muta tanto in fretta. Ma secondo la mia esperienza, sebbene più la persona sia in là con gli anni e maggiore saranno il tempo e l’attenzione necessari a raggiungere una stabilità emotiva, ad ogni età il potere della compassione, dell’ascolto e della comprensione, l’accettazione e l’apprezzamento metteranno in movimento una magia risanatrice che avrà effetto su ciascuno. I bambini stessi possono essere i migliori guaritori, come esemplificato nelle storie di Silas Marner e del Piccolo Lord Fauntleroy, in cui vecchi uomini rancorosi vengono trasformati dall’innocenza di un bambino.


Molti di noi imparano che ci si sente soddisfatti e al sicuro solo quando si è amati appieno per se stessi, per ciò che si è. Lo capiamo bene quando ci rendiamo conto di cosa sia la privazione d’amore, il vuoto delle notti e il desiderio struggente dei giorni. Lo vediamo nell’angoscia del neonato allo sparire della madre e nella sua gioia quando riappare. Crescendo nel mondo crediamo che l’amore ci sia dovuto, sia ciò per cui siamo nati, e se non siamo amati dovremmo esserlo; se l’amore ci è negato c’è qualcosa di molto sbagliato, con il mondo, o con gli altri, o con noi stessi.


Mentre cerchiamo quell’amore nella nostra cultura dell’isolamento, troppo spesso siamo sviati verso sostituti inadeguati e persino pericolosi: da amanti inadatti che maltrattano se stessi o noi, alle varie forme di dipendenza dal lavoro, dai beni materiali e dal possesso, dalla notorietà e dalle droghe. La mancanza d’amore si rende manifesta nelle oppressioni continue, nei conflitti armati, nei genocidi e nella cultura malata di avidità. È deprimente quando si considera lo splendore delle umane possibilità. Ma spesso un altro paio di occhi intenti alla ricerca potrebbero apprezzarci e la speranza e la bellezza risorgono di fronte a noi, possiamo di nuovo espanderci con gioia per la promessa dell’amore.


E quando ci nasce un bambino la speranza spunta di nuovo nei nostri cuori. Quel visetto si rivolge a noi, quegli occhi curiosi ci catturano e noi siamo innamorati. È così minuscolo e perfetto, talmente indifeso, e noi siamo sbalorditi e intimoriti all’idea di essere il suo legame con ciò che diventerà.


È lui il nostro maestro, agitando in noi l’essenza del nostro essere – il nostro amore, il nostro bisogno di aiutare, di essere necessari e degni di fiducia, di offrire il dono di tutto ciò che siamo e sappiamo. Il legame che può formarsi fra noi è sacro e ci unisce in un mutuo crescere e imparare.


È mia convinzione che abbiamo una responsabilità, un obbligo verso la vita, verso noi stessi, verso l’amore che è la nostra essenza, abbiamo la responsabilità di nutrirlo e coltivarlo in noi stessi e in ogni bambino con cui abbiamo il privilegio di stare, la responsabilità di dare e ricevere il dono dell’amore incondizionato. E se danneggiamo o strappiamo quel legame sacro che il bambino cerca e di cui ha bisogno, è doveroso da parte nostra ricucirlo in fretta e sanarlo.


Martin Luther King Jr. espresse la convinzione che “la verità inerme e l’amore incondizionato avranno l’ultima parola nella realtà.” Confido che tutti concordiamo fin nel profondo con questo credo, speriamo tutti che si avveri. La nostra parte nella realizzazione di questa speranza dev’essere nell’imporre alla nostra attenzione e alla nostra vita di imparare l’arte dell’amore. Riconoscendo con umiltà che abbiamo tutti tanto da imparare. E in questo tipo di apprendimento i bambini sono i migliori insegnanti, nel flusso ininterrotto del loro amore, nel loro bisogno, e nelle sfide che presenteranno alla nostra capacità d’amare.


Forse dovrei sottolineare che questo amore non è quello che monopolizza la maggior parte degli atteggiamenti culturali, la nostra arte, il nostro pensiero; non riguarda il desiderio, il sesso, l’intimità, il romanticismo, il matrimonio, l’armamentario della narrativa, della musica e della cinematografia popolare, nonché della pubblicità. L’amore di un bambino è ben più grande di tutto ciò. Riguarda la vicinanza, l’identità, la compassione e il continuo espandersi della coscienza, riguarda la gioia universale dell’unione.


Riuscite a immaginare una società che si fondi davvero sull’amore? Pensate a un governo in cui i rappresentanti e gli amministratori esibiscano sempre un amore reciproco e per la gente; un sistema educativo dove gli insegnanti dimostrino amore a tutti gli studenti; ospedali dove l’intero staff non abbia altro che amore per il paziente; gli affari e l’industria che operino mossi dall’amore per i lavoratori e i clienti. Se potessimo sognarlo e raccontarlo ai nostri figli con delle storie, potrebbero trovare un modo di metterlo in pratica quando saranno grandi.


L’amore e la gioia, i sentimenti positivi che cerchiamo di nutrire nel nostro intimo, sono un potenziale presente in ogni essere umano alla nascita. Ciò che definiamo emozioni negative, la paura, la rabbia, il dolore e così via non sono presenti. Sono reazioni ad accadimenti della vita che hanno il potere di disturbare la pace del nostro amore e del nostro appagamento.


Senza queste interferenze l’amore e la gioia sarebbero costanti e indisturbati. Certo, non mancherebbero situazioni di perdita, minaccia o frustrazione capaci di provocare tali sentimenti negativi. È naturale, ma siamo anche dotati di capacità di reazione che ci consentono di guarire dalla negatività, e che ho menzionato nel capitolo dedicato allo sfogo terapeutico di queste emozioni. Dobbiamo comprendere che ciò che noi adulti in qualità di guide possiamo fare è ascoltare, permettere e incoraggiare questo sfogo in tutta la sua pienezza nel momento in cui emerge dal bambino, offrendo poi una guida gentile nella comprensione e riparazione del danno.


È utilissimo, pertanto, far pratica con lo strumento dell’ascolto empatico. Se il bambino percepisce che la sua sofferenza è stata ascoltata e considerata, e che inoltre ha la capacità e il discernimento per gestire questi incidenti, e che voi siete alleati fidati che resteranno al suo fianco, allora egli sarà in grado di riaversi in fretta e anche di crescere e imparare dall’esperienza. Quando esprime emozioni negative come la paura, la rabbia o il dolore, potremmo a volte reagire minimizzando, senza essere d’aiuto al bambino. Non ci piacciono quei sentimenti, vogliamo che spariscano, a volte siamo disposti persino a negarli: “Non aver paura, non c’è nulla di cui temere.” Ma se riusciamo a impedirne l’espressione, ciò che abbiamo fermato non è il sentimento, che continuerà a esistere inespresso. Abbiamo invece arrestato la guarigione di quel sentimento causato da uno sconvolgimento.


Per questo non è d’aiuto insistere nel distrarre il bambino dal proprio sentire: “Vorresti un pezzetto di cioccolato o dei biscotti?” Ma non aiuta neppure esagerare nella direzione opposta ed essere sconvolti insieme al bambino, cosa che serve solo a drammatizzare e aggiungere altra confusione. Un bambino che strepita o piange disperato, si dimena, pesta i piedi o è in preda a una crisi di rabbia ci disturba e vorremmo fare qualcosa per fermarlo o rimettere le cose a posto. Ma la cosa migliore da fare è restargli accanto, calmi e concentrati, ascoltando con empatia, prendendo la cosa sul serio, pronti ad attraversare tutte le fasi dello sfogo. Mostrando con il vostro atteggiamento che lo avete a cuore, toccandogli la mano, abbracciandolo se ve lo permette.


Grazie alla calma accettazione dei sentimenti del bambino, il dolore alla fine diminuirà, e lui avrà imparato che è in grado di gestirlo. Riprenderà presto a pensare e voi potrete incoraggiarlo, senza offrire una soluzione, bensì chiedendo: “Cosa ne pensi ora?”, offrendogli la libertà di esplorare le sue proprie opzioni per un risanamento ulteriore. O forse ritornerà semplicemente al gioco, o si addormenterà, ha consumato molta energia in quello sfogo e ha bisogno di ricaricarsi.


Gli dà moltissima forza il non esservi fatti carico del problema, né l’aver evitato, ignorato, offeso o contraddetto i suoi sentimenti. L’essergli stati accanto, premurosi ma non sconvolti, mostrando non solo di capirlo ma anche di aver fiducia in lui; quell’amore e quella vicinanza sono le cose migliori della vita e resteranno per sempre con entrambi.

L’Ovest – La direzione dello spirito

L’ultima direzione nella ruota che descrive l’essere umano completo è ciò che alcuni chiamano spirito o anima. Con questo non intendo riferirmi ad alcuna religione, teologia o credo. Sono argomenti che mi interessano moltissimo, rientravano negli ambiti di studio della mia tesi di laurea, ma li lascerò per un altro libro (non mi mancano gli argomenti per nuovi scritti se le forze mi sosterranno!).


La spiritualità è qualcosa su cui si tende a non riflettere o parlare spesso. Perlopiù la nostra attenzione si concentra su ciò che ci riguarda da vicino ed è a portata di mano, nello spazio e nel tempo. Su ciò che accade in noi stessi, nei nostri pensieri e sensazioni, nelle relazioni con gli altri, su ciò che facciamo o sogniamo di fare, e anche sulla nostra comunità e ciò che avviene nel mondo su vasta scala. A volte ripensiamo alla nostra storia e a quella del mondo, altre volte ci interroghiamo sul futuro delle cose che conosciamo, sulla vita dei nostri figli e nipoti mentre crescono.


Quello che intendo per spirito è ciò che si trova al di là di tutto questo, del quale non abbiamo una conoscenza diretta – almeno per come definisco io la conoscenza. Al di là del tempo: cosa esisteva prima di questo universo, e quale potrebbe essere il suo destino. Al di là dello spazio: su ciò che ci lega all’ignoto, chi siamo? Se il cosmo è un organismo, allora come si legano tutte le cose? E questo legame come influenza il nostro modo di pensare e il modo in cui percepiamo noi stessi, i nostri cari, la vita e la storia del nostro pianeta, la coscienza, il tempo e la morte?


Molti di noi talora si soffermano su questo genere di preoccupazioni, ma altri no. Credo che a volte domande analoghe sorgano in modo spontaneo nei bambini. Se crescono in un contesto religioso potrebbero accettare per il resto della vita le risposte fornite dalla religione a cui appartengono. Altrimenti potrebbero a un certo punto rifiutare quelle risposte e cercare ancora, o forse decidere che non esistono risposte adeguate e rinunciare alla ricerca.


Il fatto che un bambino crescendo si possa porre domande di natura spirituale è una meravigliosa occasione per accrescere la vicinanza e l’intimità con lui. È un’altra opportunità per ascoltarlo e incoraggiarlo a esplorare i propri pensieri. Un cerchio familiare può unirsi di più dedicando del tempo all’ascolto reciproco dei pensieri spirituali.


Sobonfu Somé dice: “Quando gli indigeni parlano dello spirito, si riferiscono essenzialmente alla forza vitale che è in ogni cosa”. Dai contatti che ho avuto con popolazioni indigene in diverse parti del mondo credo che ciò possa essere vero. Le popolazioni indigene hanno una percezione speciale della forza vitale. La ritrovano nelle pietre, nel vento e nell’acqua, la percepiscono ovunque, e anche le stelle ci parlano in questo modo. Lo spirito, come noi nativi lo intendiamo, ci aiuta a creare un legame con ogni cosa, con il passato, il presente e il futuro.


La comunità per noi è importante, per poter essere appieno noi stessi, esseri umani completi. Ed è lo spirito a guidarci, a guidare la comunità, a creare un legame fra tutti. È essenziale per ciscuno di noi, anziani, uomini, donne e bambini, ritrovarsi ogni tanto e sentirsi uniti nello spirito della comunità. Percepiamo che quando un bambino nasce proviene da una profonda unione con lo spirito, così come è stato in comunione profonda con la madre nel suo grembo. Se prestiamo la dovuta attenzione alla sua crescita, potremmo udire intuizioni pure e meravigliose sullo spirito che il bambino ha compreso. Spesso i bambini hanno rinnovato e corroborato la mia stessa consapevolezza dello spirito in questo modo. E così presto attenzione.


Nella Via del cerchio non cerchiamo di emulare culture di altri tempi o luoghi quando ci relazioniamo ai bambini e ce ne prendiamo cura. Guardiamo alle altre culture per capire cosa potrebbe funzionare (o non funzionare), ma ci sforziamo di dar vita a un modo che sia nostro, non solo nella relazione con i bambini ma anche con gli altri, con l’ambiente, la vita, con il nostro senso dell’evoluzione, di ciò che è giusto e con il senso della bellezza nell’universo. Cerchiamo di comprendere e di apprendere dalle tradizioni, ma senza sentirci vincolati ad alcuna. Desideriamo fondare le nostre relazioni e azioni su chi siamo oggi e su ciò che abbiamo appreso da tutti i nostri studi e esperienze. Quindi è interessante e giusto per noi creare miti e storie propri, cerimonie e celebrazioni che si fondino su ciò che siamo, sulle nostre più alte aspirazioni.


Non esiste un’unica via giusta. Non cerchiamo la perfezione, ma siamo sempre tesi nello sforzo di scoprire cosa sia meglio. Siamo tutti diversi ma con molti bisogni comuni e possediamo l’abilità di imparare e di fare un lavoro comune alla scoperta di cosa sia meglio per tutti.


La Via del cerchio scaturisce da noi per rendere migliori le nostre vite grazie alla scelta di restare uniti e darsi ascolto reciproco. Riconosce che i bisogni delle persone possono essere diversi, ma che tutti talvolta hanno bisogno di sentirsi vicini ad altre persone mentre talaltra desiderano star soli. Non esiste un rapporto ideale fra le due che possa andar bene a tutti, ma ciascuno ogni tanto ha bisogno di essere ascoltato e di ascoltare gli altri.


Perciò la Via del cerchio ha a che fare con il sentirsi uniti, con l’imparare bene l’arte dell’ascolto in quanto parte dell’arte di amare. Nelle comunità e nei raduni più grandi ci dividiamo in piccoli cerchi, piccoli abbastanza per permettere a tutti di essere ascoltati a dovere nel tempo stabilito. A volte i cerchi possono comprendere anche solo due persone, o tre o quattro. Se un cerchio ne ha più di dieci si può considerare una scissione momentanea in due cerchi, così che tutti siano ascoltati appieno.


Ci si organizza in modo che ognuno abbia una stessa quantità di tempo per condividere idee e sentimenti, e possa scegliere qualcuno che agisca da ascoltatore principale sostenendo e incoraggiando l’esplorazione dei suoi sentimenti e delle sue idee. In questo modo la persona non viene confusa da molti interventi diversi d’aiuto e il resto del cerchio avrà solo una funzione d’ascolto passivo. I pensieri delle altre persone sui sentimenti espressi saranno condivisi in una successiva retrospettiva. Ogni piccolo gruppo potrà condividere quegli eventi del proprio cerchio che siano considerati importanti e interessanti per il cerchio più grande attraverso un proprio rappresentante.


Una delle ragioni principali per cui la gente si sente impotente e frustrata è perché non viene ascoltata. Dobbiamo fondare le nostre decisioni comuni su gruppi che siano abbastanza piccoli da permettere che sia data voce ad ognuno. Le organizzazioni politiche ed economiche attuali sono troppo grandi. I sentimenti e le idee delle persone sono accessibili a coloro che prendono le decisioni solo attraverso sondaggi e votazioni periodiche, non tramite un faccia a faccia che lavori sulle differenze con rispetto e comprensione.


Se potessimo ricordarci di continuo che i bambini non sono diversi da noi, che sono persone i cui sentimenti e idee sono importanti per loro, che si sentono impotenti e disperati quando non sono ascoltati con serietà e rispetto, allora potremmo capirli meglio, aiutarli a scoprire quelle capacità e quella sicurezza che servono ad affrontare il mondo, ad avere maggior fiducia in noi, a creare un’intimità con noi che siamo i loro alleati e le loro guide. Questa è l’essenza della Via del cerchio, che le persone, pur avendo bisogno di tempo per se stesse, a meno che non siano determinate a vivere come eremiti, hanno bisogno degli altri. Abbiamo bisogno di essere ascoltati e capiti, dobbiamo sentirci voluti e accettati, ci serve un gruppo che ci conosca e ci apprezzi e al quale sappiamo di appartenere. Siamo tutti interessanti e spesso diversi in modo delizioso, ma condividiamo molti sentimenti e bisogni comuni. Nella Via del cerchio siamo tutti importanti e meritiamo attenzione e, sì, anche celebrazione; possiamo scegliere di darci e ricevere tutto questo gli uni con gli altri, perché INSIEME NULLA È IMPOSSIBILE

Crescere insieme nella gioia
Crescere insieme nella gioia
Manitonquat (Medicine Story)
Prendersi cura dei bambini nella via del cerchio.Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, ci insegna a trasformare la vita quotidiana con i bambini in un’avventura consapevole e gioiosa. Crescere insieme nella gioia è un progetto meraviglioso che per noi genitori del ventunesimo secolo è difficile anche solo immaginare, ma si può realizzare. Significa vivere con piena consapevolezza il nostro coinvolgimento con l’ambiente che ci circonda e gli accadimenti del momento; quando siamo con i bambini, in una sintonia profonda, loro ci rendono partecipi del loro coinvolgimento, ci aprono le porte per esplorare nuovi mondi, e l’esperienza può essere condivisa a tutto tondo. Presi dal vortice frenetico delle preoccupazioni, dei ritmi di lavoro e delle esigenze familiari, non siamo neppure consapevoli dell’immensa solitudine che ci circonda, dell’incredibile e innaturale condizione dell’essere adulti del tutto soli (o quasi) a mandare avanti una serie di compiti che richiederebbe invece la presenza di un’intera tribù di persone, le quali, un tempo, sentivano l’urgenza di legarsi, di stare vicine, di cooperare e di unirsi in entità più grandi. Gli esseri umani hanno bisogno di legami affettivi e della vicinanza dei loro simili.Il processo di apprendimento per diventare un essere umano completo richiede quindi legami che forniscono un aiuto prezioso per guidare e proteggere il bambino fino alla sua trasformazione in un vero e proprio adulto; chi lo circonda dovrebbe instillare in lui fiducia e autostima e offrire il necessario senso di appartenenza. Manitonquat, storyteller nativo del Nord America, con la sua esperienza quarantennale a contatto con i bambini e le loro famiglie, ci illustra un bellissimo percorso alla scoperta dei tanti strumenti a nostra disposizione per trasformare la vita quotidiana con i bambini e i ragazzi in un’avventura divertente, consapevole, gioiosa; offre ai genitori aiuti preziosi per prendersi innanzitutto cura di loro stessi, per guarire le proprie antiche ferite e guardare alla relazione con i più giovani da una prospettiva nuova, pervasa da un profondo sentimento di rispetto e di amore incondizionato. Conosci l’autore Manitonquat, il cui nome tradotto in inglese è Medicine Story (la storia che cura), è narratore, poeta e guida spirituale della nazione nativa americana Wampanoag. Svolge attività di insegnante e formatore sui temi della pace e della non violenza, della giustizia, dell’ambiente e della presa di coscienza per una società più giusta.Negli Stati Uniti è responsabile di un programma di sostegno per nativi nelle carceri. Ha pubblicato numerosi libri e articoli.