parte prima - Il cerchio della salute e della malattia

La teoria delle risonanze

Dopo di allora, ad ora incerta, quella pena ritorna,e se non trova chi lo ascolti gli brucia in petto il cuore

P. Levi

Chi non può e non vuole ricordare il passato è condannato a ripeterlo

G. Santayana

La vita è come un eco: se non ti piace quello che ti rimanda,devi cambiare il messaggio che invii

J. Joyce

Per anni ogni sera, tra le sette e le otto, io mi sentivo male: all’improvviso si scatenava l’ansia, come se una parte di me andasse in cortocircuito, la terra mi mancasse tutto d’un colpo sotto i piedi e io temessi di morire da un momento all’altro.


Come se una sirena tutto d’un tratto si mettesse a suonare “Pericolo, pericolo!”…

Lo stesso succedeva nei viaggi di ritorno in treno che passavo per lo più chiusa nel gabinetto a piangere o attaccata al telefono per cercare conforto nella voce e nelle parole di qualche amica.


Sono sempre riuscita a mantenere lo sguardo lucido del testimone anche nelle situazioni più difficili e quindi ho registrato tutto e diligentemente annotato nei miei diari ogni minimo moto dell’animo e del corpo. Ma ho impiegato dieci anni di assidua ricerca e lavoro senza tregua su di me per riuscire a capire il perché di questi strani sintomi e comportamenti apparentemente inspiegabili, che nessun terapeuta riusciva a decifrare.


Ho potuto scoprire che si trattava di un trauma avvenuto in viaggio, nel viaggio più avventuroso di tutti: quello uterino! Che aveva lasciato in me echi indelebili…

La realtà è che noi siamo malati di ricordi.

“Ricordi dimenticati, che non ci dimenticano” come ha scritto qualcuno. Che ci perseguitano, a volte ci ossessionano, non ci lasciano in pace. I dolori da arto fantasma negli amputati ne sono una chiara testimonianza.

Come scrive Janov “Noi soffriamo di un ricordo di cui non abbiamo coscienza”1.


Sono le memorie dolorose del nostro passato che si sono incistate dentro di noi, impresse nelle nostre cellule, che ci hanno marchiato a fuoco, a farci soffrire. Soltanto che noi non siamo consapevoli di tutto ciò perché i ricordi sono stati cancellati dalla nostra memoria e ne è rimasta traccia soltanto nell’inconscio, in quella che i buddisti chiamano la “coscienza-deposito”. Come spiega Thich Nhat Hanh, in questa sorta di “cantina” della nostra coscienza sono depositati tutti i semi delle nostre formazioni mentali cioè della rabbia, della paura, della disperazione ma anche della compassione o della gioia: “La coscienza deposito è una sorta di sala cinematografica dei film del passato. È lì che immagazziniamo i ricordi di traumi e sofferenze. …I semi riposano fino a quando non sentiamo, vediamo, leggiamo o pensiamo a qualcosa che li solleciti, provocando in noi rabbia, gioia o dispiacere. Allora un seme affiora e si manifesta a livello della coscienza mentale: in soggiorno.”2

Questo è il vero meccanismo che sta dietro la sofferenza.

Ecco cosa ho scoperto dopo anni e anni di ricerca, di lavoro duro e faticoso su di me: i sintomi non sono altro che tentativi del corpo e dell’anima di farci ricordare ciò che abbiamo sepolto nel più profondo del nostro essere in un’epoca in cui non potevamo fare altro per sopravvivere.


I sintomi non sono altro che memorie dolorose che riaffiorano nel corpo e nell’anima quando qualche circostanza esterna agisce da grilletto per scatenarle e riportarle in superficie. Il problema è che non è facile rendersene conto… A volte può trattarsi di una condizione climatica: il caldo quando supera i 30° a me per esempio mandava completamente in tilt perché mi ricordava la temperatura troppo alta dell’incubatrice in cui ho creduto di morire… A volte invece può essere semplicemente un odore, un sapore (come nel caso delle allergie), un’immagine, una parola, che fanno da “apriscatole” e tirano fuori la memoria sepolta. Per esempio un film, come succedeva a una mia piccola paziente che addirittura sveniva nella sala del cinema… Oppure un orario, che può ricordare quello del travaglio o della nascita, o una data come nel caso di una bimba a cui è venuta la bronchiolite nello stesso giorno in cui la mamma era stata male in gravidanza… Oppure la risonanza può essere con un avvenimento traumatico le cui radici si perdono nel tempo: così per esempio la puntura di una vespa può ricordare un’iniezione o una penetrazione dolorosa mentre una seduta dal dentista può scatenare il panico perché fa riaffiorare la memoria di un intervento prenatale o neonatale.


Nel bellissimo film Io ti salverò con Ingrid Bergman e Gregory Peck, questo meccanismo è mostrato egregiamente: il protagonista affetto da amnesia viene colto da un attacco di panico ogni volta che vede delle strisce su una superficie bianca. L’assiduo lavoro della sua compagna psichiatra lo porterà a ricordare la causa di tutto ciò, legata ad un trauma avvenuto su una pista da sci.

Ricordiamoci che la mente inganna ma il corpo non mente mai e possiede una memoria cellulare indelebile. Come ci ricorda Janov “Il corpo è una banca di memoria che non dimentica nessun dettaglio della sua esperienza. Il corpo immagazzina tutte le sue esperienze e non dimentica mai niente, anche se lo spirito cosciente è incapace di ricordarsi questi avvenimenti.”3 Un esempio eclatante di ciò è riportato dallo stesso Janov che racconta la storia di una donna di 48 anni che ha rivissuto il momento della nascita in cui era stata presa per i piedi e sculacciata e nel farlo ha visto ricomparire sulla sua pelle negli stessi punti dei lividi che sono stati fotografati e la cui immagine compare nel libro di Janov L’amour et l’enfant.


Ma anch’io posso testimoniare che il corpo ricorda: una sera, in preda a un fastidio all’esofago che non accennava a passare, ormai esasperata e stanca, ho seguito l’improvviso istinto di mettere il dito su un piccolo punto sullo sterno, che premuto mi doleva al tatto e massaggiandolo delicatamente ho pronunciato la prima frase della logosintesi, adattandola alla situazione contingente: “Recupero tutta l’energia legata alla memoria dolorosa collegata a questo punto di cui non conosco l’origine e il significato e la rimetto al posto giusto dentro di me”.


Ed ecco che è avvenuto il miracolo: all’improvviso, da mezza sonnolenta che ero, ho spalancato gli occhi, sentendo che una nuova forza mi pervadeva, e con un bel “marameo” me ne sono andata a letto sorridente senza più alcun fastidio. Solo con successive sessioni di Logosintesi sempre indirizzate al punto in questione ho potuto scoprire a quale ricordo doloroso del mio passato esso fosse collegato e mi sono resa conto di come ogni singola parte del nostro corpo conservi in sé una memoria a livello profondo: ogni cellula del nostro organismo potrebbe adottare per sé il motto del Quebec “Je me souviens” (Io mi ricordo)…


Lo stesso tipo di esperienza l’ho vissuta con lo Jin Shin Do®, in cui la delicata, prolungata e profonda pressione di particolari punti del corpo collegati ai meridiani, da parte del terapista, mi ha liberato memorie inconsce molto profonde relative per esempio alla vita prenatale, permettendomi di processarle e lasciarle andare una volta per tutte.


Oggi gli scienziati hanno scoperto (così riporta per esempio una ricerca del 2004 della Southwestern University di Dallas) che la memoria non risiede solo nel cervello, come ci era stato insegnato, ma in tutte le cellule del nostro organismo e che le memorie cellulari sono la vera causa di tutti i nostri disturbi e malattie.


Noi ci ammaliamo a causa dei ricordi perché viviamo le situazioni presenti attraverso il filtro delle esperienze passate, che è come se fossero ancora presenti per noi.


L’esperienza attuale ci fa star male non tanto in se stessa ma perché ci ricorda un’altra situazione già vissuta in tempi lontani. Allora è come se il dolore, la rabbia, la paura che proviamo si moltiplicassero, venissero potenziate al quadrato, al cubo…


È importante possedere risorse e strumenti per affrontare questi ricordi dolorosi e non lasciarcene sommergere perché noi “Abbiamo la tendenza a rimanere imprigionati nel tempo trascorso. In teoria sappiamo che non c’è più, che i nostri ricordi sono soltanto un film, immagini, ma il film continua a essere proiettato e ogni volta che questo accade soffriamo di nuovo.”4


È proprio come quando guardiamo una storia drammatica al cinema: quello che vediamo sullo schermo è una finzione ma la sofferenza che proviamo o le lacrime che versiamo, se si tratta di un film triste e commovente, sono reali. Perché la mente subconscia ha sempre la meglio su quella conscia…

“Quando ascoltiamo qualcosa che ci rammenta la nostra sofferenza, automaticamente rientriamo in contatto con quella vecchia immagine”5.


Come scrive Thich Nhat Hanh “Sento questo perché sono entrato in contatto con quello”6.

Questo capita anche nelle relazioni: quando qualcuno per esempio ci dice o fa qualcosa che ci fa soffrire in modo sproporzionato alla situazione è perché è andato a toccare un tema doloroso del nostro passato e della nostra storia e noi reagiamo in modo spropositato innescando il pilota automatico. Da qualche parte il nostro inconscio è stato ferito e ha detto “Ahi, mi fai male!”…


Tutte le volte in cui abbiamo reazioni abnormi, eccessive rispetto all’evento che le ha provocate, vuol dire che siamo stati colpiti in un punto estremamente cruciale e vulnerabile per cui dovremmo andare ad indagare nel nostro passato: inevitabilmente vi ritroveremo la causa scatenante. In particolare quando ci ostiniamo in determinati comportamenti in modo quasi ossessivo, quando siamo preda da dipendenze e non riusciamo a venirne fuori, vuol dire che siamo incappati in una questione per noi di vitale importanza: qualcosa che quando eravamo piccoli è stata legata addirittura alla nostra sopravvivenza emotiva. Ne parla molto efficacemente lo psicologo Alexander Loyd nel suo volume Il codice dell’amore, uno strumento molto prezioso e utile per chi vuole effettuare dei cambiamenti nella propria vita e riprogrammare il suo computer interno eliminando i virus che gli impediscono di funzionare come dovrebbe. Loyd ci ricorda per esempio che spesso quando ci si sente bloccati in un’area della propria vita è perché durante l’infanzia, in un momento di estremo stress e sofferenza, per proteggersi dal provare ancora quel dolore in futuro, è stato formulato un voto, del tipo “Se soltanto potessi ottenere (o evitare) la tal cosa, rinuncerò alla talaltra”. (Per esempio “pur di non sentire più urlare o di non venire abbandonata sposerò un uomo tranquillo e fedele anche se insignificante”).


Questa tacita promessa, sepolta nell’inconscio, diventa una programmazione a lungo termine che porta a comportamenti autosabotanti e distruttivi: assume il significato di una questione di vita o di morte, che ci costringe inconsapevolmente a vivere in una modalità di autoprotezione e quindi di continuo stress, mantenendo il controllo della nostra vita anche da adulti.


Riuscire a riportarla alla coscienza e scioglierla è come disinnescare una bomba a orologeria…


Quanto detto precedentemente circa le memorie dolorose innescate da situazioni contingenti vale anche per i bambini: quando hanno reazioni drammatiche per eventi che a noi sembrano del tutto insignificanti dovremmo pensare che loro non stanno piangendo disperati per quello che sta accadendo in quel preciso momento ma per il ricordo che ha scatenato la situazione attuale.

Le coliche gassose, queste sconosciute

Un esempio classico di questo meccanismo è rappresentato dalle coliche gassose dei neonati, tipica patologia dei primi tre mesi di vita, tanto frequente e comune quanto misteriosa e incompresa. La medicina non ne conosce le cause esatte: si dà la colpa alla dieta della mamma (e si consiglia l’eliminazione dei latticini), si accusa il sistema digerente del lattante ancora immaturo, (c’è chi in passato ha parlato addirittura di problemi di relazione madrebambino), ma fondamentalmente non si sa come intervenire a risolvere un problema tanto fastidioso, causa di pianti prolungati e inconsolabili.


Il pediatra spagnolo González, vede nel contatto fisico mamma-bambino la soluzione a questo tipo di problema e sicuramente ha ragione: i neonati tenuti in braccio, in una fascia o in un marsupio, cullati e massaggiati piangono meno degli altri lasciati da soli in una culla. È normale che se un bambino grida il suo malessere e un adulto amorevole gli risponde e gli dice “Sono qui con te” il piccolino stia meglio, ma questa forma di terapia non spiega però la causa degli accessi di pianto che a volte non spariscono nemmeno in condizioni di “alto contatto” da parte del genitori e soprattutto hanno la strana caratteristica di comparire in orari precisi e determinati: per esempio il pomeriggio intorno alle 17 oppure la sera verso le 19. Ma ci sono bambini che hanno le coliche anche al mattino o alla notte.


Dopo anni di esperienza clinica e di osservazione dei neonati, sono giunta ad una mia interpretazione del fenomeno coliche: personalmente ritengo si tratti di “memorie dolorose” (anche in questo caso ho ricevuto conferma da Appleton che parla di “pianto di memoria”), relative in genere alla vita prenatale e alla nascita, che riemergono all’improvviso e scatenano nei neonati dei veri e propri attacchi di ansia o addirittura di panico. Possono manifestarsi anche sotto forma di fascicolazioni muscolari, una sorta di “frulli” avvertiti a livello addominale che spaventano non poco il neonato. La conferma a questa mia ipotesi mi viene anche dall’utilizzo dei fiori di Bach che quasi sempre riescono a risolvere la situazione di crisi.


Un caso tra i tanti: la piccola Gilda, nata con taglio cesareo, a pochi mesi di vita piange disperata tutte le sere sempre alla stessa ora. “È inconsolabile, non sappiamo come fare a calmarla – mi dice la mamma che ha un ottimo rapporto con la sua bimba e la colma di attenzioni – non serve neanche il metterla nella fascia, che a lei piace tanto”. Fisicamente non c’è nulla, la bambina è sana, sta bene e cresce normalmente. Le prescrivo Aspen (per la paura da cause ignote) insieme a Star of Betlehem (per i traumi) e Honeysuckle (per i ricordi che emergono dal passato), da prendere ogni giorno prima dell’ora consueta della crisi e dopo poco tempo i pianti sono definitivamente scomparsi con grande sorpresa di tutti. A volte un massaggio sul pancino con la Rescue cream ha la stessa efficacia perché contiene i rimedi che aiutano a sciogliere i traumi e la paura: la vera causa delle coliche gassose…

La teoria delle risonanze

Dicesi risonanza l’amplificazione dell’ampiezza delle oscillazioni di un sistema e il fenomeno per cui un sistema oscillante è in grado di assorbire energia da una sorgente esterna in modo particolarmente efficiente solo ad una (o più) frequenze ben precise

Quand’ero piccola mio papà mi faceva fare un gioco che mi piaceva tantissimo: gettava un sasso piatto in una pozza d’acqua o un ruscello e lo faceva saltare sulla superficie che si increspava in cerchi concentrici.


Ecco, questa immagine illustra quanto avviene anche nella vita dell’uomo: le esperienze più recenti risuonano con quelle più remote e queste a loro volta con altre ancora più antiche, generando innumerevoli “cerchi” che espandono sempre più la coscienza.


In questo senso, come abbiamo visto, le coliche gassose non sarebbero quindi che “risonanze” di altri eventi che riguardano soprattutto la sfera della vita prenatale o della nascita.


Ma facciamo ancora un esempio per comprendere meglio, uno dei tanti presi dalla mia casistica clinica di pediatra.


Un giorno arriva nel mio studio una giovane mamma il cui bimbo presenta molti, frequenti, risvegli notturni ma non sembra avere problemi di alcun tipo. Una situazione piuttosto comune per i piccoli allattati al seno… La madre invece è terribilmente infastidita e mi dice “Sono distrutta, non ce la faccio più ad andare avanti così”. È visibilmente tesa, arrabbiata, al limite. La sua reazione però appare sproporzionata alla situazione. Investigando attentamente scopro che i risvegli notturni frequenti le ricordano inconsciamente un periodo di crisi con il partner: è da lì che il suo sonno ha cominciato a rovinarsi. Il bambino non c’entra niente: è solo uno specchio che costringe la madre a guardarsi e a prendere in esame un aspetto della sua vita che vorrebbe invece evitare di affrontare ma che preme per essere visto. Con cosa risuonerà a sua volta la crisi con il partner? Con quale esperienza dolorosa della sua infanzia? Non ho avuto modo di scoprirlo perché la signora in questione non è più tornata… Evidentemente si aspettava che le prescrivessi un farmaco, cioè un rimedio sintomatico, per far dormire il suo bambino, mentre la risoluzione duratura della situazione spiacevole avrebbe richiesto come minimo un altro colloquio e incontro di approfondimento…


Ecco come, in base alla mia esperienza personale e a quella dei pazienti che in tutti questi anni ho avuto modo di conoscere e di aiutare, sono giunta ad elaborare quella che io chiamo la “teoria delle risonanze”.


Ho poi avuto conferma a posteriori della affidabilità delle mie intuizioni leggendo autori come Arthur Janov, Alice Miller, Peter Levine, Bruce Lipton, Robin Norwood e Alexander Loyd, medici e psicoterapeuti che hanno espresso in modo forse un po’ diverso dal mio concetti sostanzialmente simili. Io cerco di presentarveli e riassumerveli in modo molto semplice e facilmente comprensibile anche per i non addetti ai lavori.


Ciò di cui mi sono convinta in tanti anni di ricerca e di studio è che ognuno di noi rivive nella sua vita molte volte esperienze simili che servono a fargli riaprire la sua ferita primaria per poterla poi guarire una volta per tutte.


Per tornare all’esempio del film sopracitato “Io ti salverò”, il protagonista scopre di essere stato testimone di un delitto su una pista da sci, in cui ha visto morire un collega medico: questo evento però gli ha ricordato la morte di un suo fratellino, scivolato da un cornicione, a cui lui aveva assistito impotente. Il ricordo gli ha scatenato un senso di colpa che lo ha fatto sentire colpevole dell’omicidio di cui è stato invece solo uno spettatore. L’amnesia che lo ha colpito è stata una misura di protezione messa in atto dal suo inconscio per impedirgli di rivivere questa esperienza terrificante. (A proposito di film, vi suggerisco di prestare attenzione a quelli da cui vi sentite più attratti perché possono darvi indizi importanti per indagare sulle tematiche che maggiormente vi affliggono).


Le situazioni di dolore e sofferenza che ci troviamo a dover attraversare sono riconducibili ad alcune esperienze-base, che sono più o meno le stesse per tutti (vedi capitolo sul maternage interiore) e sono anche limitate come numero, per esempio l’esperienza del rifiuto e dell’abbandono, tra le più arcaiche, o del tradimento o dell’ingiustizia, della violenza e dell’abuso, cioè dell’invasione di territorio. Si tratta di una sorta di pattern, che, proprio come i frattali, continuano a replicarsi all’infinito.


A loro volta queste esperienze risuonano con altre della storia familiare (madre, padre, nonni, bisnonni ecc.) in una sorta di eco, come a rinforzare il messaggio.


Si può parlare di “memorie transgenerazionali”, di cui oggi si occupa la psicogenealogia, o più scientificamente di patrimonio ereditario legato al DNA, o di vite precedenti per chi crede nel karma e nella reincarnazione. Oppure, ancora più semplicemente come piace fare a me, di un patrimonio di storie e miti che ognuno di noi si porta dietro nel suo fagottino quando viene al mondo. Che siano storie realmente vissute oppure no non mi pare abbia alla fine nessuna importanza: l’essenziale è utilizzarle come simboli, come “favole di potere” che sono potenti strumenti di guarigione, in quanto portano con sé immagini capaci di suggerire nuove possibilità, nuove strategie per cambiare la propria vita o almeno una parte di essa. Si sa che niente che non sia stato prima immaginato può accadere nella realtà: i simboli contenuti nelle favole ci aiutano, proprio come potrebbe fare una bacchetta magica, a operare questa trasformazione alchemica.


Comunque non è quasi mai necessario risalire a esperienze estremamente lontane nel tempo – e assolutamente non trovo corretto l’andare a cercarle per curiosità – perché in genere esse sono riflesse, per il fenomeno delle risonanze, negli eventi della nostra vita attuale, in particolare nel periodo perinatale che pare esserne una sorta di concentrato che le riassume tutte (quelle perlomeno di interesse per la nostra attuale esistenza). Basta quindi esplorare questa fase così cruciale – visibile anche sulla carta natale astrologica – per avere un’idea di qual è il tema di base su cui occorre lavorare.

Come sostiene Janov “La connessione è l’alfa e l’omega della guarigione”7.

Bisogna tirare fuori, una per volta, tutte le nostre matrioske, dalla più grande alla più piccina, come ci ricorda Claude Imbert con questa bellissima immagine delle bamboline russe di legno contenute una dentro l’altra, che racchiudono la nostra storia.


Connessione significa però non solo mettere insieme gli indizi, proprio come farebbe un bravo detective, da un punto di vista logico e razionale, ma soprattutto creare un collegamento tra il cervello rettiliano e mammifero – dove è memorizzato il trauma – e la neocorteccia frontale, sede della coscienza.


Finché i ricordi dolorosi, che spesso risalgono al periodo prenatale o comunque perinatale, non risalgono alla coscienza infatti non si riesce a interrompere le sequenze ripetitive e la guarigione definitiva non è possibile.

Ma attenzione: il processo di “rimembranza” (che come dice la parola stessa, va vissuto nelle membra, cioè nel corpo, per essere veramente efficace) dev’essere rispettato nei suoi tempi, non può essere forzato dall’esterno ovvero dal terapeuta quando il paziente non è ancora in grado di sopportarlo. Ogni cosa a suo tempo, un tempo per ogni cosa.


“I ricordi traumatici ereditari e prelinguistici sono letteralmente protetti dalla nostra mente inconscia perché non guariscano. Ma perché mai l’inconscio farebbe una cosa simile? È molto semplice. L’inconscio oppone una forte resistenza a quel tipo di ricordi perché stima che sia poco sicuro che quei ricordi vengano guariti”8: lo scopo dell’amnesia è proprio quello di proteggere la persona dal soffrire di nuovo!

In genere quindi occorre un lavoro preliminare di preparazione, di rinforzo e ricerca delle risorse per poter poi procedere allo scavo dei reperti fossili o archeologici. Si tratta di un lavoro “plutonico”, per dirla con linguaggio astrologico, che però cambia la vita. Perché è nelle viscere della terra che si trova il tesoro… Dobbiamo cercarlo alle radici del nostro essere, nel Dan Tien inferiore, come direbbe la medicina tradizionale cinese, là dove ha origine l’energia primordiale, quella della creazione; dobbiamo cercarlo nella profondità della buia notte uterina, dove giacciono spesso sepolti traumi senza nome; dobbiamo cercarlo nella grotta fredda della nostra Betlemme interiore… Perché lì c’è la quintessenza della Luce! Lì giace il nostro bambino divino…


Non basta però far affiorare i ricordi e riviverli liberando le emozioni congelate, occorre anche smantellare le credenze che ad essi si sono appiccicate.


Sì, perché i ricordi diventano credenze: “è sempre stato così…” e quindi ci aspettiamo che continui ad essere così. Se per esempio una volta in passato non ho avuto risorse continuo a credere di non averne, se in viaggio mi sono successe “cose brutte” sono convinta che continuino ad accadermi. La credenza non è altro che una conclusione tratta da un’esperienza o da una informazione ricevuta, del tipo: “Sei egoista!”, “Non capisci niente!” “Sei un buono a nulla!” o più impersonali come “La vita è dura…”. Si tratta di sentenze che pronunciate nella delicata età della formazione di un essere umano lasciano la loro traccia per sempre. La credenza plasma le percezioni che noi abbiamo della realtà e ci fa vedere il mondo non com’è ma in base ai nostri filtri, cioè alle lenti dei nostri occhiali… Ecco perché gli eventi del passato continuano a ripetersi senza fine.

Come ci ricorda Bourbeau9, noi abbiamo registrato nella nostra memoria la modalità con la quale abbiamo percepito un dato evento: sia che fosse particolarmente felice o particolarmente difficile abbiamo deciso che non dovesse essere dimenticato. Da quel ricordo abbiamo tratto una conclusione che poi è diventata una convinzione in base alla quale cercheremo in futuro di evitare una sofferenza se si è trattato di un evento infelice, o di ripeterne l’esperienza se è stato portatore di gioia.

Secondo Bruce Lipton non sono i geni che controllano la nostra vita ma le nostre credenze: il biologo molecolare americano sostiene che siano i messaggi registrati nella nostra mente subconscia a farci ammalare. Quante volte ci autosabotiamo impedendoci di vivere pienamente una situazione solo per ubbidire a quella vocina che nel più profondo di noi ci sussurra “Non meriti di essere amato” o “Godere è un peccato, non si può!” oppure “Io non l’ho avuto, non puoi averlo nemmeno tu”? Ma è una voce talmente sottile e profonda che noi non ne abbiamo coscienza. Io ho impiegato moltissimi anni e dovuto fare moltissimo lavoro su di me per esempio per scoprire, grazie alla Logosintesi, che la causa del mio autosabotaggio, che mi impediva di godere i momenti di felicità – a cui regolarmente seguivano improvvisi malesseri – era niente meno che una frase di mia madre (ritrovata poi in una sua lettera!): “La felicità si paga”… Questa sua credenza nasceva dall’esperienza drammatica da lei vissuta di una nascita, quella del suo primo bambino, seguita dopo pochi giorni da una morte. Io l’ho compresa appieno solo quando ho ritrovato, tra i ricordi da lei lasciatimi, i telegrammi di congratulazioni e di benvenuto al neonato uniti a quelli delle condoglianze… La sua convinzione è stata trasmessa per osmosi alle mie cellule e non per nulla io mi sono ammalata dopo la nascita del mio terzogenito, quando ero al colmo della felicità per l’arrivo inaspettato di questo bambino che vivevo come un miracolo e un dono del cielo…


E ho sofferto fino a quando non mi sono ricordata che queste inconsce credenze non erano altro che bugie: avevo creduto a delle menzogne! La terapia in questo caso consiste nel cambiare l’interpretazione sbagliata dell’evento originale e sostituire ad essa la verità. Per esempio la credenza di non essere stati voluti e desiderati può a volte nascere da una falsa percezione in utero: il feto può avere assorbito nella sua memoria cellulare la frase “Vattene, non ti voglio!” pronunciata o sentita emotivamente dalla madre ma diretta a qualcun altro!… Ristabilire la verità ecco che può cambiare completamente le carte in tavola.


E il senso di colpa può svanire quando ci si ricorda – come ci suggerisce Loyd – che in una data situazione con la programmazione che abbiamo non avremmo potuto fare diversamente… O quando, guardando la carta natale, ci si rende conto per esempio che nostro figlio era chiamato a vivere una determinata esperienza di cui noi siamo stati solo il tramite ma che, senza di noi, lui avrebbe comunque dovuto sperimentare con qualcun altro.


La mente è veramente potente e può condizionare la nostra vita impedendoci di essere pienamente noi stessi. Basti pensare all’effetto placebo o nocebo: quando siamo fermamente convinti dell’azione benefica o nociva di un rimedio ne risentiamo gli effetti che abbiamo immaginato nella nostra mente anche in assenza della sostanza stessa.


La credenza è un meccanismo incredibilmente resistente che appartiene alla mente subconscia – che è un milione di volte più potente di quella conscia – e può essere sbloccata solo a quel livello dove è immagazzinata: non è possibile agire su di essa attraverso la mente logica e razionale. Ecco perché non funziona autoconvincersi della falsità di una credenza per eliminarla. Tecniche efficaci per smantellare le credenze errate e liberarsi delle memorie dolorose del passato, senza necessariamente doverle rivivere ma lavorando su elementi simbolici, sono la Logosintesi e lo Jin Shin Do, di cui parleremo in appositi capitoli.


Un’altra “tecnologia spirituale” molto semplice ma anche estremamente efficace per identificare il virus (cioè la memoria originale che innesca la risposta di paura e di stress) e deprogrammare e riprogrammare il software del nostro computer interiore è quella proposta da Loyd nel suo libro sopracitato, che consiste in alcuni esercizi facilissimi basati su gesti, visualizzazioni e ripetizione di enunciati, che ognuno può praticare anche da solo. Io, lo confesso, ero molto scettica all’inizio su questa tecnica che pensavo fosse una delle tante da classico manuale americano di self-help, ma vi assicuro, dopo averla provata, che funziona davvero! E anche in tempi molto veloci…E ora so perché: poggia, diversamente da quelle proposte in tanti testi New Age, su basi prettamente spirituali e nasce dall’esperienza diretta dell’autore a cui è “arrivata” attraverso un’improvvisa illuminazione o “lampo trasformazionale” come lui lo chiama, in un momento di disperazione e impotenza in cui non sapeva più come aiutare la moglie che soffriva di una profonda e duratura depressione.


Qualunque sia comunque lo strumento che vogliamo utilizzare, ricordiamoci che cambiare la programmazione della nostra mente subconscia si può, ma è un processo lento e graduale che va affrontato con delicatezza e senza forzature. E per poterlo avviare occorre prima di tutto essere consapevoli delle nostre credenze, il che non è così scontato…


Alla luce di tutto ciò dovremmo ricordare il ruolo preventivo importantissimo che possiamo svolgere nei confronti dei nostri figli per evitare che si portino dietro pesanti nastri registrati, quelli cioè ereditati dalle generazioni passate. Secondo Lipton, e io concordo assolutamente con lui, l’educazione comincia ancor prima della fecondazione: perché è nei mesi che la precedono che avviene l’imprinting alle cellule germinali e ai geni che verranno selezionati. Lo sviluppo fetale viene poi modellato dall’ambiente uterino e il neonato percepirà il mondo in base alle percezioni dei suoi genitori. Il bambino quindi imparerà a essere genitore dal modo in cui è stato allevato (ricordate l’esperimento di Harlow con le scimmiette? Quelle cresciute da una mamma di filo di ferro sono diventate madri anaffettive). Un bambino per esempio a cui è stato ripetuto più e più volte il giudizio “Sei cattivo!” si convincerà di esserlo e agirà di conseguenza. Per contrastare un’affermazione negativa di questo genere si è visto che occorrono almeno dieci affermazioni positive: dovremmo ricordarci sempre che le parole sono potenti nel bene e nel male.


Ecco quindi come funzionano le risonanze e perché è fondamentale creare quelle giuste, armoniche e benefiche per noi e per tutti coloro che ci stanno intorno: una persona che è riuscita a deprogrammarsi e riprogrammarsi sintonizzandosi sulle frequenze dell’amore può diventare un vero e proprio canale di guarigione per gli altri.

A proposito di risonanze...

Una volta piantai in un vaso dei bulbi di tulipani, i miei fiori preferiti. Il tempo passava, arrivò la primavera ma dei tulipani nemmeno l’ombra. Fino a che mi decisi a controllare scostando la terra e mi resi conto con grande stupore che avevo piantato i bulbi al rovescio e le radici erano girate verso l’alto! Così certo non sarebbero mai spuntati… Questo “casuale” errore casuale non lo era affatto, perché mi ricordò la mia fatica a mettere radici e il mio sguardo sempre volto verso il cielo… E fu così che ripiantai i miei tulipani nella giusta direzione.


Quando ci si ammala, come abbiamo visto, ciò che non va è la risonanza di una nota stonata in passato che continua ancora a stonare. È come un disco rotto che continua a ripetere sempre la stessa canzone…


Se il problema sta nel passato, la soluzione però sta sempre nel presente.

Se il problema sta in una risonanza sbagliata, bisogna ritrovare la giusta risonanza, la nota giusta in questo momento, che non è quella di ieri o di un’ora fa, è quella di questo preciso istante. In questo senso potremmo dire che la terapia si basi sulla risonanza: bisogna trovare ciò con cui si risuona alla stessa frequenza, che può essere una musica, una canzone, un colore, una persona, una parola, un libro, un’immagine. Ogni cosa allora può diventare medicina. Se per esempio il terapeuta vibra alla mia stessa frequenza cura attraverso la sua stessa persona: è un uomo o donna medicina.

“Non ho bisogno dei medici nè delle loro medicine, e neppure di silenzio e riposo… ho bisogno di un rimedio spirituale – una mano amorevole che dia pace al mio spirito oppresso” scriveva il poeta Gibran verso la fine della sua vita.10 Solo noi possiamo sapere cosa ci può aiutare quando stiamo male, in quel preciso momento, nessun altro può dircelo o saperlo per noi. Ecco perché la terapia può essere solo individualizzata e plurisensoriale (un approccio tipicamente montessoriano!). Non ci possono essere ricette standard valide per tutti perché ognuno è un mondo a sé, ognuno è una nota, una vibrazione unica e speciale che si modifica nel tempo: ecco perché a volte potremo trovare sollievo nel movimento, in una bella passeggiata all’aria aperta, a volte invece nella parola, parlando o scrivendo a un caro amico, oppure nell’arte, mettendoci a disegnare o nel canto, nella musica, nella meditazione…


Ogni essere umano possiede dentro di sé un Maestro interiore, come lo chiamava Maria Montessori, o “una parte che sa”, come sono solita dire io, che conosce passato e futuro con una precisione incredibile e dimostra una saggezza antica e intramontabile.


Come scriveva Bach “la ghianda, trasportata a centinaia di chilometri di distanza dall’albero madre, sa senza istruzioni come diventare una perfetta quercia”11. Io ne ho avuto più volte la prova, ma c’è stata un’occasione in cui sono rimasta veramente a bocca aperta per lo stupore: è stato quando casualmente una sera, in cui ero particolarmente avvilita, ho ritrovato un vecchio quaderno dove parecchi anni prima avevo scritto una favola – che nemmeno ricordavo più – in cui c’era racchiusa tutta la storia che avrei poi ricostruito, riguardo al gemello scomparso in utero, ma che allora non sapevo nemmeno di aver vissuto… La mia meraviglia è giunta al culmine quando rileggendola vi ho trovato scritte le stesse identiche frasi che sarebbero emerse poi a otto anni di distanza durante il seminario di cranio-sacrale con Matthew Appleton!

In quella favola, che parlava di due barchette costruite dallo stesso tronco di legno, una delle quali non voleva navigare da sola, c’era già racchiuso tutto: il problema e anche la sua soluzione… Veramente incredibile… Per me fu una preziosissima iniezione di fiducia.


Se sono i ricordi che ci fanno ammalare possono essere i ricordi a farci guarire, per il principio omeopatico che “il simile cura il simile”. A me è successo più volte, come ho raccontato in qua e in là in questo libro e ogni volta ne sono rimasta piacevolmente stupita. Una di queste è stata quando ho risentito, dopo 50 anni, al telefono la voce dell’infermiera che si era presa cura di me quando ero in incubatrice che mi diceva “La mia bambina…”: tutto d’un colpo mi è passata l’afonia e la bronchite che mi era venuta una settimana prima quando avevo ricevuto il suo numero di telefono ma non avevo avuto il coraggio di chiamarla. Il dolore dell’abbandono e la rabbia repressa si sono sciolte all’improvviso e con esse anche il catarro… Questo evento – che mi viene da definire miracoloso – mi ha fatto comprendere come la guarigione possa essere anche istantanea quando si è centrato il bersaglio e rimesso le cose al posto giusto.


Ricordare vuol dire proprio questo: ri-mettere nel cuore qualcosa che ci è già stato, o, ancora meglio, rimettere nel cuore al posto giusto, che è proprio la frase che si dice con la Logosintesi: “lo rimetto al posto giusto dentro di me”.


Ri-cordare è anche ri-accordare ciò che si era scordato ovvero che stonava perché non era più accordato e quindi non poteva vibrare sulla giusta nota.

Se ricordo ri-accordo, rimetto in armonia, alla giusta frequenza. E così posso anche rendermi conto che in realtà sono stata amata e che quindi lo sarò ancora…


La borsa delle storie

Quando, all’inizio dei tempi, il Grande Spirito creò il mondo, pensò di fare un dono speciale agli esseri umani: ad ogni bambino che nasceva regalò un fagotto, anzi una vera e propria borsa e la riempì di storie.

Ce n’erano di tutti i tipi: allegre e divertenti, tristi e dolorose; alcune facevano ridere, altre incutevano paura, alcune facevano piangere, altre sognare… Alcune erano lunghe, altre brevissime. Erano storie vecchie come il mondo e ognuno aveva le sue, diverse da quelle di ogni altro. Cambiavano i personaggi, i luoghi, i tempi ma ognuna aveva qualcosa da insegnare.

“Le storie sono Medicine – si disse il Grande Spirito – e frugando nella borsa delle storie ogni uomo potrà ritrovare la sua in caso di bisogno”.

Ma la faccenda si dimostrò più complicata del previsto.

Gli esseri umani, che erano curiosi, si gettarono a capofitto dentro al sacco e molti di loro ne rimasero imprigionati dentro. Per altri invece la borsa si rivelò troppo pesante da portare e solo alcuni, molto pochi in verità, furono in grado di utilizzarla e farne tesoro.

Fu così che il Creatore decise di nascondere la borsa delle storie in un luogo così recondito della mente di ogni uomo che solo i più arditi e avventurosi riuscivano a trovare e solo i più saggi e valorosi sapevano trasformare in dono per se stessi e per quanti si rivolgevano a loro alla ricerca della guarigione. “Le storie sono Buone Medicine – si disse il Creatore – ma bisogna saperle usare…”


Compagni di viaggio
Compagni di viaggio
Elena Balsamo
Come adulti e bambini insieme possono aiutarsi a guarire.Una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia e in particolare della coppia mamma-bambino. Compagni di viaggio volge l’attenzione alla salute emotiva della famiglia.Basandosi sulla sua personale esperienza di medico e di paziente, Elena Balsamo offre al lettore una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia (e in particolare della coppia mamma-bambino), nonché numerosi spunti di riflessione sul significato della malattia e sul messaggio contenuto nei sintomi, per trasformare la sofferenza in un’occasione preziosa di apprendimento ed evoluzione. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.