PARTE SECONDA - IN VIAGGIO VERSO LA SALUTE

Il cibo come terapia

Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo

Ippocrate

Esiste un’alimentazione “biologica” per l’anima?

J. Hillman

Le pietanze sono l’eredità, passaggio di bocconi e cure.Conservano un posto a tavola agli assenti

E. De Luca

Quand’ero piccola e non stavo bene mia mamma mi preparava un semolino al latte con un po’ di zucchero e cannella e sopra una pioggia di codette colorate, una sorta di arcobaleno tascabile e pronto all’uso…


Ancora oggi, quando mi sento giù e ho bisogno di una coccola e un po’ di conforto mi preparo una scodella di semolino dolce e, attraverso il suo sapore, rivivo un ricordo della mia infanzia.


Penso che ognuno di noi abbia un modo peculiare di amare: mia mamma ci ha amato soprattutto attraverso il cibo. Era un’ottima cuoca e fin da piccola mi ha insegnato i segreti dei fornelli: cucinavo di fianco a lei con i miei pentolini di rame a misura di bambino e assorbivo senza accorgermene la sua arte.


E oggi, quando ripeto i suoi gesti e cucino i suoi piatti per le persone che amo, la sento vicino a me che mi sorride…

È proprio come dice Thich Nhat Hanh: “Quando cuciniamo una pietanza che nostra madre o nostra nonna ci ha insegnato a preparare secondo una ricetta tramandata di generazione in generazione nella nostra famiglia, guardiamo le nostre mani e sorridiamogli, perché sono anche le mani di nostra madre e di nostra nonna. Coloro che hanno preparato questa pietanza la stanno cucinando ancora con noi.”1 Sono fermamente convinta che il cibo abbia una valenza terapeutica e che in certi momenti della vita possa diventare medicina, specialmente se cucinato con amore.

Non vi parlerò quindi qui di diete e alimentazione, come vi aspettereste da un medico, ma di cucina…


Quella delle mamme e delle nonne, fatta di piatti preparati con cura, fatta di ricette tramandate di generazione in generazione, con ingredienti semplici e genuini.


Quella fatta di rituali, di gesti sempre uguali, di tradizioni che si ripetono nel tempo e scandiscono festività e occasioni importanti.


Proprio come ogni persona anche ogni piatto ha la sua storia e il suo dono da offrire a chi sa riconoscerlo ed apprezzarlo. E ogni cibo conserva memoria.


E così per me per esempio il profumo dell’arrosto di tacchino o del risotto ai funghi è legato ai pranzi domenicali, mentre a casa mia non è Natale senza le “zeppole”, deliziose e morbide frittelle passate nello zucchero e cannella, la cui ricetta si tramanda di generazione in generazione…


Il sapore della parmigiana di melanzane invece è legato a mia nonna così come gli gnocchi di patate che lei cavava a mano uno ad uno e portava in tavola insieme all’immancabile budino al cioccolato che si alternava a volte ad un’accattivante ciotola di crema pasticcera fatta da mia mamma.

“Cucinare e alimentare l’Altro è l’atto supremo di accudimento. Cucinare con e per l’altro cura l’Anima, il cuore e la mente”2 scrive Roberta Schira nel suo simpatico libretto Cucinoterapia in cui elenca tutti i benefici di quest’arte antica:

  • cucinare ha un’azione antidepressiva

  • aiuta a far emergere la nostra parte creativa

  • conferisce dignità al quotidiano

  • è un modo per dire ai nostri cari che li amiamo

  • è un mezzo per tramandare il sapere familiare

  • serve ad aumentare la complicità e la solidarietà femminile

  • è un modo per sentirsi utili

  • è un modo per trasformare l’aggressività in creatività

  • insegna l’arte di arrangiarsi

  • e molto altro…

Oggi le donne passano poco tempo ai fornelli e per lo più i bambini mangiano alla mensa scolastica, fin dall’epoca del Nido, un cibo preparato in serie da mani anonime per centinaia di piccoli consumatori. Che tipo di memorie olfattive e gustative possono conservare, ce lo siamo mai chiesti?


I pediatri si accaniscono a prescrivere schemi nutrizionali per lo svezzamento che sembrano più formule chimiche che pasti, senza pensare che anche i bambini piccoli hanno un gusto e a volte se rifiutano il cibo è anche perché è insapore, scialbo e per nulla accattivante. Provate ad assaggiare le pappe che proponete loro: voi le mangereste?


Per fortuna il bel libro del dott. Piermarini Io mi svezzo da solo ha portato una ventata di aria nuova sull’argomento svezzamento sfatando molti miti e pregiudizi del tutto privi di fondamento e proponendo di far assaggiare anche ai più piccoli i cibi consumati dai genitori, come si fa del resto in tutte le culture tradizionali del mondo.


C’è poi chi si lancia in crociate contro alcune categorie di alimenti, come per esempio i latticini, che vengono accusati di colpe anche non loro e vietati alle mamme in allattamento. Ad alcune persone fanno male, è vero, ma non a tutte.


Personalmente non ho mai amato le diete e sono anche contraria ai fanatismi, a qualunque genere appartengano. Sono ben consapevole dell’importanza di una alimentazione variata, bilanciata e soprattutto sana, cioè di qualità, ma ritengo anche che mangiare debba dare gioia perché è uno dei modi che ci è stato dato per celebrare la Vita. E chi celebra la Vita, anche attraverso il cibo, vive più a lungo e in migliore salute, così almeno dicono le ricerche in proposito.


A volte invece mi trovo di fronte a persone che sono letteralmente ossessionate dall’alimentazione e che trasferiscono sui loro figli la loro concezione rigidissima a riguardo, per la quale sono più i cibi proibiti di quelli permessi.


Io penso che ognuno di noi abbia i suoi gusti peculiari che vanno per quanto possibile rispettati e soprattutto, come ci ricorda la medicina ayurvedica indiana, ognuno di noi ha la sua propria costituzione e dovrebbe quindi nutrirsi secondo quanto essa gli suggerisce: una persona “pitta” (cioè di costituzione fuoco), sempre surriscaldata e irritabile per esempio dovrebbe evitare gli stimolanti (caffè, tè, superalcolici, spezie piccanti) e le carni rosse e preferire insalata, frutta e verdura, cereali e legumi; un individuo “vata” (cioè di costituzione aria), sempre stanco, pallido e freddoloso invece ha bisogno di cibi riscaldanti come l’avena con chiodi di garofano e cannella o zuppe cotte a lungo o carni arrosto e al forno e dovrebbe al contrario ridurre le cruditè, le bevande fredde, i surgelati e gli agrumi; per un soggetto “kapha” (cioè di costituzione acqua), in genere depresso e sovrappeso, con problemi di ritenzione idrica, sono da evitare grassi, dolci e latticini e da preferire riso, legumi e verdure cotte.


Ma indicazioni molto più precise si possono trovare nel bel libro di Dahlke Mangiar sano in cui ognuno può scoprire il perché dei propri gusti e imparare a seguire l’istinto e il buon senso sia per sé che per i propri figli.


Forzare un bambino a mangiare ciò che non gli va infatti è solamente controproducente e scatena lotte di potere intorno al cibo da cui tutti escono perdenti, oltre a lasciare brutti ricordi anche a distanza di molto tempo… Proprio come quello rimasto a me quando, studentessa pallida e anemica, venivo costretta a bere una specie di brodo concentrato, fatto cuocendo un pezzo di carne “in bottiglia”, che mi veniva spacciato come ricostituente. Io che da piccola sputavo la pastina in brodo, da più grandicella versavo lacrime silenziose di fronte a quello che per me non era altro che “succo di cadavere”… E che da grande, come conseguenza, ho poi totalmente eliminato dalla mia vita e dalla mia cucina…


I nativi americani sostengono che ciò che si mangia ridendo e scherzando in compagnia non fa mai male. Ma del resto lo diceva anche Epicuro: “Non bisogna preoccuparsi di cosa si mangia ma chiedersi con chi si mangia”.


La scienza ha confermato che un pasto anche nutritivamente “pesante” consumato in un clima piacevole, per esempio insieme a degli amici, si rivela essere molto più digeribile di uno altamente dietetico mangiato da soli o in situazioni di stress.

Come dice Dahlke “L’ingrediente principale di un pasto non è quello che si cucina, ma l’esperienza che se ne fa”. “Chi mangia la cosa sbagliata al momento sbagliato e lo fa con gusto è chiaro che si sentirà meglio di chi mangia la cosa giusta al momento giusto, con un atteggiamento da moralista inacidito. In ultima analisi è più importante lo stato d’animo con cui si mangia che non quello che si mangia”.3 (Questo non significa naturalmente aprire la porta al “cibo spazzatura”.)

Le donne del continente indiano cantano mantra mentre cucinano perché sanno che la vibrazione energetica delle loro parole rende il cibo migliore. E sanno dosare le spezie conoscendone le virtù curative: per esempio il cumino con la sua azione antimeteorismo, la curcuma con potere antinfettivo, la cannella con proprietà ipoglicemizzanti e lo zenzero antiossidante e antinausea.


In Thailandia e un po’ in tutto l’Oriente la presentazione di un piatto è fondamentale: per chi lo consuma dev’essere una vera e propria esperienza estetica. Ed ecco che allora la frutta viene scolpita e intagliata fino a farne fiori di incredibile bellezza.


Cucinare è un’arte creativa. Anche noi, nel nostro piccolo, possiamo sbizzarrirci insieme ai nostri figli nella decorazione dei piatti, fino a farne una sorta di quadri: i riccioli di maionese sapientemente distribuiti, le verdure intagliate, la tavolozza di colori delle insalate mescolate a qualche frutto di stagione, l’esatta geometria delle tartine al salmone…


Cucinare e mangiare ciò che si è preparato è un’esperienza plurisensoriale importantissima per i bambini: pensiamo ai morbidi impasti in cui affondare le mani, le tonde pagnottelle di pasta da premere, sbattere, ripiegare più volte fino a renderle perfettamente lisce ed elastiche; l’alchimia della lievitazione e poi della cottura nel forno che dà vita a capolavori inaspettati che stuzzicano sia il gusto che l’olfatto: la morbidezza del pan brioche o dei panini da sandwich, la croccantezza della focaccia alle erbe aromatiche, il profumo e la dolcezza di una ciambella all’arancia o dei biscotti con la glassa preparati insieme per festeggiare il compleanno…

“Cucinare con i bambini è come raccontare loro una fiaba – sostiene Roberta Schira – e manipolare e impastare è come modellare la propria vita”4.


Il cibo è terapia perché risveglia i sensi: nelle fredde giornate invernali, quando c’è bisogno di sentire il calore entrare dentro nel corpo e nell’anima intirizziti cosa c’è di meglio per esempio di un piatto di fumante polenta gialla, affogata in una morbida fonduta al formaggio? Oppure di una cioccolata calda con panna montata accompagnata da una fetta di strudel?


Per una volta le calorie e gli zuccheri saliranno un po’ sopra la norma ma la memoria sensoriale che guadagneremo in cambio ci accompagnerà per il resto della nostra vita.


Specie se il cibo verrà condiviso con gli amici a noi più cari, nella gioia dello stare insieme magari davanti ad un camino acceso o d’estate tutti seduti in un’allegra tavolata in giardino…


La fame esprime il desiderio dell’uomo di legarsi con la terra – scrive il medico antroposofo Holtzapfel – Per questo il digiuno facilita un atteggiamento di fuga dalla terra ed è così importante in alcune pratiche religiose e meditative.


Nell’anoressia il rifiuto (delle condizioni terrene insoddisfacenti) si spinge a tal punto che viene rifiutato il collegamento primario con l’elemento terreno, vale a dire l’alimentazione”. Perdere l’appetito significa spesso perdere la voglia stessa di esistere e di gustare la vita in tutte le sue espressioni ed è associato in genere ad una dinamica depressiva.


Secondo Lise Bourbeau5 chi soffre per una ferita di rifiuto tende a mangiare molto poco, l’essenziale per sopravvivere, perché si sente invisibile e cerca di occupare il minor spazio possibile; mentre chi ha vissuto un trauma di abbandono usa il cibo come consolazione e ricompensa (quello che io chiamo il “comfort food”), per colmare il proprio vuoto interiore, ma in genere non ingrassa, diversamente da chi soffre invece prevalentemente delle ferite di umiliazione, tradimento e ingiustizia.


In particolare chi ama i dolci è in genere una persona a cui manca la dolcezza nella vita e che esige troppo da se stessa; mentre chi cerca alimenti morbidi e cremosi è una persona che crede di non farcela da solo e cerca sostegno negli altri in cui ripone la propria felicità (come non pensare ai teneri Cancerini?). Del resto le pappe non sono forse il cibo dei bebè, bisognosi di cure e di attenzioni?


Ecco perché la terapia migliore in caso di disordini alimentari è innanzitutto scoprire quali sono i bisogni emotivi e i veri desideri che si celano dietro di essi.


Se il rimpinzarsi di cibo è legato ad una situazione di insoddisfazione e di insicurezza la terapia migliore è centrarsi, sentire quale cibo il nostro corpo desidera e mangiarne gustandolo lentamente, masticandolo a lungo e godendo delle sensazioni che ci dà. Il risultato sarà che un po’ alla volta nessun nutrimento potrà più essere una tentazione se non se ne ha realmente bisogno. Basterà ascoltare che cosa ci dice il nostro corpo e non il nostro mentale perché il corpo è saggio mentre la mente “mente”…


Secondo la Cabalah ebraica, mangiare con consapevolezza cura il corpo e l’anima: nel Cantico dei Cantici è scritto “Sostenetemi con focacce d’uva passa, rinfrancatemi con le mele perché io sono malata d’amore”. Il curarsi con cibi prelibati (non come fuga nevrotica ma come terapia consapevole) può aiutare a sperimentare ciò che scriveva il salmista “Assaggiate e vedete quanto è buono Dio”6.

Pensiamo invece quante volte ci affidiamo ai consigli di altri per sapere cosa mangiare e facciamo diete assurde solo perché abbiamo letto un articolo su una rivista o su internet… I bambini, anche in questo, sono più saggi di noi: mangiano quando hanno fame così come dormono quando hanno sonno. Se sono ammalati rifiutano il cibo e se sono piccoli si nutrono, in questa circostanza, esclusivamente di latte materno, assecondando cioè l’istinto del corpo che suggerisce loro un passeggero digiuno per alleggerire l’organismo già affaticato dalla malattia.


Siamo noi adulti che vogliamo imporre loro orari e tabelle nutrizionali dimenticando che non esistono regole universali perché ogni individuo è unico. Come diceva G.B.Shaw “la sola regola d’oro è che non ci sono regole d’oro”.


Una persona veramente felice non mangia grandi quantità di cibo, dice Osho, ma sa gustare ciò che mangia con un senso di profonda gratitudine.


È questo senso di sacralità dell’alimentazione, io credo, che dovremmo sforzarci di recuperare perché la nostra società dei consumi l’ha proprio dimenticato per strada…

A questo proposito ecco qualche consiglio di Tich Nhat Hanh:

  • innanzitutto quando prepariamo un pasto facciamolo con consapevolezza e in presenza mentale: così quel pasto sarà “salutare e delizioso” e le persone mangeranno il nostro affetto e “potranno godersi pienamente il pasto con il corpo e la mente, proprio come ci si gode una magnifica opera d’arte”7

  • poi quando mangiamo spegniamo la TV, ma non solo quella che a volte troneggia in sala da pranzo o in cucina, anche la televisione che abbiamo in testa, nella mente e che non smette mai di trasmettere… “L’emittente radiofonica RPC: Radio Pensiero Continuo”8

  • “A volte mangiamo e non siamo consapevoli di stare mangiando: la nostra mente non è lì. E quando la mente non è presente guardiamo ma non vediamo, ascoltiamo ma non sentiamo, mangiamo ma non sappiamo che sapore abbia il cibo. La mancanza di consapevolezza è uno stato di dimenticanza, di noncuranza. Per essere davvero presenti bisogna fermare l’attività di pensiero”9. Concentrarci sul respiro ci può aiutare a farlo.

  • quindi rivolgiamo la nostra attenzione al momento presente e dirigiamo la nostra consapevolezza verso ogni boccone che introduciamo in bocca: riusciremo così a renderci conto che “ogni boccone ha in sé l’universo … il cibo che abbiamo sul cucchiaio o la forchetta è il dono dell’universo intero”10. “Con un pochino di consapevolezza puoi vedere da dove proviene il pane che mangi. Non è piovuto dal nulla: viene dai campi di grano e dal duro lavoro, viene dal panificatore, dal distributore e dal rivenditore. Ma il pane è altro ancora: il campo di grano ha bisogno di nuvole e di luce solare; dunque in quella fetta di pane ci sono le nuvole, c’è la fatica del contadino, la gioia di aver prodotto la farina, l’arte del panettiere; solo allora — miracolo! — ecco il pane. L’intero universo ha concorso a far sì che tu possa avere in mano quel pezzetto di pane.”11

  • siamo consapevoli anche di chi ci sta attorno: “Se stiamo mangiando insieme ad altri possiamo notare quanto sia bello, in questa vita a volte frenetica, riuscire a trovare il tempo di sederci insieme in questo modo, rilassati, ad assaporare un pasto. Poter respirare, sedere e mangiare in consapevolezza insieme ai propri familiari o amici è quel che si dice una “vera costruzione della comunità”12.

  • Infine ricordiamoci che “Mangiare è un tempo di meditazione importante quanto il tempo che si dedica alla meditazione seduta o camminata.”13

E i nostri pasti assumeranno tutto un altro sapore e diventeranno una vera e propria medicina, del corpo e dell’anima.


Il menu del buon umore

Quando vi sentite giù, tristi, stanchi o avviliti provate a prepararvi un “menu del buon umore”… Può trattarsi anche di un solo piatto o di diversi combinati insieme a seconda delle stagioni.


Ecco alcune idee prese dal mio personale ricettario:

  • Bruschette dell’allegria : pane toscano con aglio, olio, sale, pomodorini e origano.

  • Parmigiana di melanzane della nonna : se ne volete una speciale, fatela come la preparava la mia nonna friggendo le melenzane infarinate e poi versando un po’ di uovo sbattuto tra uno strato e l’altro.

  • Vellutata scalda-anima : con zucca, patate, cipolla e un tocco finale a base di fontina, un goccio di panna e semi di cumino. È ottima per le fredde giornate invernali…

  • Focaccia sapore di casa : aggiungete all’impasto della pizza due cucchiai di olio e un trito di erbe aromatiche (rosmarino, salvia, timo).

  • Torta delle coccole : (www.ricette.giallozafferano.it/Torta-delle-rose.html) La variante alla cannella è la mia: sostituisco alla farcia proposta dalla ricetta sul web una a base di burro (100 gr.), zucchero di canna (100 gr.) e un cucchiaino di cannella. Molto adatta per merende invernali…

  • Macedonia della gioia : nelle calde giornate estive svuotate un anguria in modo tale da ricavarne un cestino (https://www.youtube.com/watch?v=bAaPCWv44po), quindi riempitelo con una macedonia preparata tagliando a grossi cubi un ananas, un melone e la polpa dell’anguria svuotata e infilateci dentro dei lunghi stecchini per gustarla come si fa con gli stuzzichini degli aperitivi… Oppure create un’opera d’arte preparando la macedonia descritta sul sito di un amico scrittore, nonché surfista, (www.winki.it alla voce “ricette”) che ha indubbiamente il senso della bellezza…

  • Coppa E vissero tutti felici e contenti: per i momenti più difficili e i casi più refrattari mettete in una coppa, possibilmente di cristallo, una pallina di gelato alla crema, una di gelato al cioccolato, una cucchiaiata di panna montata e lasciateci colare sopra un po’ di cioccolata calda… D’inverno potete sostituire il gelato con la crema pasticcera oppure preparare una mousse con marmellata di castagne e panna montata da alternare a una mousse al cioccolato… Naturalmente non eccedere nelle dosi… (si può comunque utilizzare panna vegetale) e buon appetito!


Compagni di viaggio
Compagni di viaggio
Elena Balsamo
Come adulti e bambini insieme possono aiutarsi a guarire.Una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia e in particolare della coppia mamma-bambino. Compagni di viaggio volge l’attenzione alla salute emotiva della famiglia.Basandosi sulla sua personale esperienza di medico e di paziente, Elena Balsamo offre al lettore una panoramica chiara ed esauriente dei diversi strumenti terapeutici alternativi a disposizione della famiglia (e in particolare della coppia mamma-bambino), nonché numerosi spunti di riflessione sul significato della malattia e sul messaggio contenuto nei sintomi, per trasformare la sofferenza in un’occasione preziosa di apprendimento ed evoluzione. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.