Raccontami la tua storia...
C’è una storia dietro ogni persona. C’è una ragione per cui loro sono quel che sono. Loro non sono così solo perché lo vogliono. Qualcosa nel passato li ha resi tali, e alcune volte è impossibile cambiarli.
S. Freud
Di recente in America hanno scoperto l’importanza della narrazione come strumento terapeutico ed è nato un nuovo approccio: “la medicina narrativa”.
La “Narrative Based Medicine” nasce come tentativo di colmare le lacune della Medicina Basata sull’Evidenza che dimentica di prendere in considerazione per la cura la storia del malato e i suoi aspetti più personali e intimi.
Quando ne ho letto la prima volta su internet mi sono resa conto che io la applicavo da sempre…
Chi viene da me in consultazione sa che io sono solita iniziare la visita ai miei piccoli pazienti facendomi raccontare dal genitore, in genere la mamma, la storia del bambino, cercando di ricostruirla insieme a lei, di vedere dove si è inceppata e raccontandogliela di nuovo perché ne possa scorgere la trama.
Le spiego che è importante cercare degli indizi, proprio come farebbe un bravo detective, per scoprire qual è il problema che sta sotto i sintomi, quale il tema critico per quel particolare bambino che continua a ripetersi nella sua vita, anche se a volte in modi diversi. Da qualche parte il disco si è rotto e continua a ripetere all’infinito lo stesso pezzo.
Ognuno di noi è segnato da un pattern individuale, che spesso ha radici molto lontane, anche di tipo transgenerazionale: può trattarsi della tematica dell’abbandono, dell’invasione, del tradimento, dell’incomunicabilità, dell’insicurezza, della dignità ferita, della gelosia, della paura e così via.
Questo schema, che è come un modello predefinito, si imprime nella nostra memoria cellulare e riemerge periodicamente in momenti di crisi e difficoltà. Spesso e volentieri la prima traccia del pattern può essere recuperata nel periodo prenatale e perinatale: fase fondamentale della vita, su cui indagare sistematicamente. È lì in genere che si nascondono le radici del problema, non sempre così evidenti altrimenti. Ecco perché mi soffermo a lungo a interrogare la mamma sull’andamento della gravidanza: i suoi vissuti emozionali, i suoi sogni, gli eventi familiari accaduti. Ed ecco che emergono traumi dimenticati: lutti importanti, separazioni, litigi, spaventi, stress e ansie significative che hanno lasciato la loro traccia anche sul bambino, che nel ventre vive la vita della madre.
Un’ansia importante e uno stato di depressione materna per esempio possono far sì che il bambino nell’utero viva l’ambiente che lo circonda come poco piacevole e anche faticoso per lui che, così piccolo, deve reggere il peso di problematiche altrui. In questo caso la vita prenatale non è certo un’esperienza idilliaca ma piuttosto una situazione da cui fuggire il prima possibile.
Questo vale anche per il parto e il post-partum: anche qui spesso raccolgo storie di grande sofferenza, di nascite avvenute in modo violento (o perlomeno vissuto come tale dalla madre), di separazioni precoci mamma-bambino, a volte di ricoveri ospedalieri, tutti eventi traumatici per un neonato. E così si spiegano tanti problemi di sonno, ma anche di pelle o di digestione del lattante che, non sapendo parlare, non ha altro modo per esprimere le sue paure o la sua rabbia ovvero le sue emozioni. E ci porta le sue cicatrici di guerra nella speranza che noi le riconosciamo e onoriamo le storie che ci stanno dietro.